Si sente dire che il successo delle lotterie nazionali, come il
Superenalotto, per intenderci, dipenda dall'incapacità della
maggior parte delle persone di raffigurarsi adeguatamente la
probabilità o, meglio, l'improbabilità della vincita. Avventurarsi
nel mondo della ricerca neurobiologica ha qualcosa in comune con
il giocare al Superenalotto. Innumerevoli articoli vengono spediti
ogni mese alle riviste del settore, nella speranza di comparire su
quella vetrina, all'attenzione della comunità scientifica
internazionale. La maggior parte di questi lavori, però, viene
respinta – dopo una anonima valutazione "tra pari" – e, al più
inviata ad un'altra rivista per un nuovo processo di valutazione.
Si stima che attualmente esistano poco meno di 15.000 testate
scientifiche "serie", dal che si deduce che essere aggiornati su
un tema circoscritto richiede una fatica improba e continua, ma
essere aggiornati in un ambito vasto, mettiamo quello delle
neuroscienze, equivale ad una vincita plurimilionaria. Questi due
volumi, usciti in contemporanea, sfidano la sorte, ponendosi agli
antipodi della stessa tematica, quella del rapporto tra struttura
e funzione del nostro organo più delicato, il cervello. Sono agli
antipodi per tipologia accademica degli autori (due docenti a
contratto versus due professori ordinari), per aspirazioni (l'uno
è un ampio trattato, l'altro un saporito pamphlet), per
dimensioni, per costo. Hanno però parecchio in comune, oltre alla
tematica di fondo che, se letta nei termini del mind-body problem,
è uno degli insolubili, appassionanti interrogativi
dell'esperienza umana. Silvio A. Merciai e Beatrice Cannella hanno
cercato di trascrivere su carta il frutto – finora online – dei
corsi tenuti presso l'Università della Valle d'Aosta. I due
temerari si sono così allontanati dalla necessità
dell'aggiornamento cogente in tempo reale, concedendo spazi a
riflessioni più ampie e a qualche tentativo di sintesi. Il
risultato è un volume ancora aggiornato, sì, ma anche compatto ed
omogeneo, che mette a disposizione degli psicoterapeuti di ogni
estrazione una gran mole di dati, piuttosto ben organizzati,
risparmiando il tempo e la fatica necessari per un aggiornamento
di prima mano. Le numerose, estese citazioni lo fanno
rassomigliare più ad una antologia che ad un comprehensive
textbook. Le grandi aree di ricerca, sono puntualmente citate e
sintetizzate; vi trovano spazio, ad esempio, la neuroeconomia,
come il fenomeno del mirroring, il tema della plasticità cerebrale
e l'utilizzo del placebo. Così pure i grandi personaggi della
ricerca neuroscientifica vi trovano posto, da Damasio a Kandel, da
LeDoux a Rizzolatti, solo per citarne alcuni. Insomma, sul
versante delle neuroscienze, la rassegna delle conoscenze, della
letteratura, persino del contorno, è molto ricca: dalle biografie
dei ricercatori, alla storia delle controversie, tutto appare in
ordine. Minore uniformità si apprezza sul versante psicoanalitico
dove gli Autori riportano – onestamente – posizioni e
atteggiamenti assai divergenti. L'impressione che si ricava dalla
disomogeneità delle teorie, degli stili, dei risultati è che,
quando anche coniugassimo il decennio del cervello con il secolo
della psicoanalisi, quando anche psicoanalisti e neuroscienziati
rinunciassero, ciascuno per la sua parte, a fraintendimenti,
gelosie e spocchiosità, il divario tra le due discipline
resterebbe marcato. Forse per questo gli Autori affermano di
essersi limitati ad indagare la psicoanalisi nelle terre di
confine. Ma la psicoanalisi è una disciplina di confine, fin dalla
sua fondazione, ad opera di un neurologo "fallito", sul cui
martelletto si era accumulata la polvere del non uso. E non è
forse la medicina stessa una disciplina di confine, per lo meno
finchè l'uomo sarà un essere di frontiera, miscela di aspetti
biologici, psicologici e sociali? Dal canto loro, Paolo Legrenzi e
Carlo Umiltà partono proprio dalla considerazione della
stupefacente irrilevanza clinica delle neuroscienze che, al più,
servono per ricordare al clinico quel che già dovrebbe sapere: che
sta trattando con un individuo unico ed irripetibile,
aristotelicamente sìnolo di materia e forma, geneticamente
determinato, ma plasmato dall'ambiente in cui è cresciuto. Se
anche in ambito neuroscientifico sussiste questa indeterminatezza,
ben si comprende lo sfogo di Legrenzi ed Umiltà, feriti e persino
esasperati, dal proliferare di molteplici, nuove aree di ricerca,
contraddistinte dal prefisso "neuro", che nulla aggiungono –
secondo gli Autori – ai tradizionali settori disciplinari, ed in
particolare alla psicologia. Neuroeconomia, neuropolitica,
neuroteologia, non hanno – secondo Umiltà e Legrenzi – diritto di
cittadinanza al di fuori dei dipartimenti di Psicologia. Se
economisti, politologi o teologi pensano di poter rifondare la
psicologia dei processi decisionali, del vivere insieme o del
libero arbitrio, prescindendo dalle acquisizioni che la psicologia
ha accumulato nell'ultimo secolo e mezzo, sbagliano. Eppure,
lentamente e faticosamente, la conoscenza avanza. Oggi abbiamo la
dimostrazione, ad esempio, di come la psicoterapia sia anche una
terapia biologica, nel senso che modifica strutturalmente il
cervello. E, in questo senso, gli odierni studi di visualizzazione
cerebrale appaiono come la degna continuazione delle osservazioni
del fisiologo torinese Angelo Mosso che, più di un secolo fa,
misurando empiricamente la circolazione cerebrale in pazienti con
una breccia della teca cranica, aveva ipotizzato una correlazione
tra funzioni cerebrali e flusso ematico regionale. Sappiamo quanto
la mente sia indissolubile dal cervello. Ma conosciamo ancora poco
del resto. Ad esempio, sappiamo che a un cervello danneggiato, può
corrispondere una mente danneggiata: la localizzazione post-mortem
di una lesione circoscritta in un paziente afasico condusse Paul
Broca nel 1861 a formulare il cosiddetto "dogma della terza
circonvoluzione frontale", mai più smentito. Un secolo e mezzo è
trascorso, però, senza che gli straordinari mezzi di cui
disponiamo siano riusciti a mappare con precisione fenomeni come
le allucinazioni, malattie come il disturbo ossessivo o
modificazioni stabili della personalità. Come se ciò non bastasse,
gli studi sui correlati neurali dei processi decisionali,
dell'essere in relazione con qualcuno, delle emozioni hanno
fornito alcuni dati sul "dove" e sul "come" hanno luogo certe
funzioni superiori, non certo sul "perché" queste avvengano. A
questo si aggiunga che gli esperimenti riportati e le riflessioni
condotte, si basano quasi sempre su campioni ristretti: una decina
di soggetti ed altrettanti controlli sono sufficienti per
pubblicare un lavoro di imaging; lo stesso ordine di grandezza
(qualche decina di analisi condotte a compimento) caratterizza
l'esperienza che uno psicoanalista può maturare nel corso della
propria vita professionale. In conclusione, entrambi questi volumi
ricordano al lettore, senza dover ricorrere ancora una volta alla
metafora del Superenalotto per richiamare l'importanza dei grandi
numeri, quanto siamo ancora lontani dal poter affermare certezze
universali a proposito di quell'incredibile microcosmo che
chiamiamo mente.
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