Jason Shulman:
Perché l’idea di organizzare una mostra nella Casa di Giulietta ti
attira molto di
più di un’esposizione in un museo
d’arte contemporanea?
Marc Quinn:
I templi o i luoghi di culto mi hanno sempre interessato. Non esiste
nulla di altrettanto straordinario che visitare, ad esempio, un tempio
dell’India meridionale per vedere l’ultima civiltà classica rimasta in
vita che funziona come mille anni fa.
Spesso pensiamo ormai di essere
diversi, ma in realtà nell’uomo permane la necessità di trovare uno
spazio sacro, persino nel nostro mondo secolarizzato. Al livello più
banale, questo bisogno si concretizza, ad esempio, nei negozi, luoghi
frequentati da migliaia di persone, oppure nelle folle che si
assiepano per la prima di un film sognando di intravedere le star,
come se fossero pellegrini hindu che sperano di contemplare il loro
dio. Ciò che amo della Casa di Giulietta è che rappresenta un tempio
vivente dedicato all’idea dell’amore. L’amore è una di quelle idee
astratte con le quali modelliamo le nostre vite; quella di Giulietta
ha subito un’evoluzione ed è diventata una sorta di santuario laico.
Giulietta Capuleti è il personaggio di una tragedia di Shakespeare,
forse basata su una persona realmente esistita, ma che non è quella
rappresentata nell’opera del drammaturgo inglese. In ogni modo,
nessuna delle due ha mai vissuto in quella casa. Si tratta di una casa
scelta per diventare qualcos’altro. Quindi, quello che le persone
vengono a visitare non è un luogo reale, bensì un luogo interiore.
Penso che il mito, che è il sogno della società, sia analogo all’arte.
Quindi la Casa di Giulietta diventa una sorta di stazione spaziale del
sentimento. Un luogo reale, una casa, è in qualche modo diventata la
rappresentazione di un’astrazione: la Casa di Giulietta che esiste
solo nell’immaginazione.
Tutto ciò è strettamente collegato a
Siren,
nel modo in cui la vera Kate Moss e la sua immagine
sono state separate e conducono vite diverse. La persona Kate è come
la Casa di Giulietta: una persona reale, con una vita vera, e nello
stesso tempo un’astrazione, “la persona più bella del mondo” o la
perfezione, qualcosa che va oltre la vita. Il mito è ciò che consente
al reale e all’irreale di coesistere, una sorta di collegamento
situato nello spazio architettonico della sua struttura. Noi
camminiamo letteralmente dentro questo spazio di sogno.
Foto: "Siren" (2008)
JS: E i tuoi
love
paintings,
che mi pare siano eseguiti in situ?
MQ:
I graffiti all’ingresso della casa mi interessano molto perché hanno
una purezza e un’ambizione straordinariamente toccanti. La Casa di
Giulietta è un luogo sì immaginario, ma
nel quale è possibile esplorare i
nostri veri sentimenti nei riguardi dell’idea di amore; ai miei occhi
i graffiti sulle pareti dell’ingresso sono un autentico sogno a occhi
aperti, immateriale, il che in un certo senso è proprio ciò che l’arte
rappresenta. Ciò che è interessante è che di solito i graffiti sono
scatologici e negativi o trasgressivi, mentre questi sono graffiti di
sogni e aspirazioni. Un’illusione, stupenda, che ci svela aspetti del
cuore umano.
Mi sono limitato a far disporre alcune tele sulle
pareti nell’ingresso della casa; le persone che stavano eseguendo i
graffiti non hanno notato alcuna differenza perché la tela era bianca
e copriva la parete. Ciò che ne risulta sono dipinti bell’e fatti di
emozione allo stato puro. Portandoli nuovamente nella casa viene a
rovesciarsi la nostra percezione di ciò che è reale e del luogo dove i
due si incontrano. In una certa misura, la Casa di Giulietta,
Siren,
le emozioni abitano tutti in uno spazio virtuale e, secondo me, i
love paintings
sono le
finestre che danno su questo spazio. Ogniqualvolta li guardo, mi
sembra di volare attraverso i pensieri e i sentimenti delle persone,
mi sembra che siano senza peso, come i dipinti di paesaggi del mondo
virtuale nel quale tutti abitiamo; non solo in Internet, ma anche nel
primo spazio virtuale che ci accompagna dall’inizio della coscienza:
la mente e il cuore dell’uomo.
JS:
Le tue sculture spesso rappresentano persone realmente esistenti, come
Kate Moss, Alison Lapper, Thomas Beatie, tua moglie, tuo figlio e così
via. Vuoi ritrarre i soggetti come veramente sono o simboleggiano
un’idea astratta?
MQ:
Non è solo Kate Moss a essere sia una persona reale che un’immagine,
anche ognuno di noi presenta entrambe le qualità. Potrebbero non
essere espresse pubblicamente, ma in un certo senso il mio lavoro è
quello di trovare persone che possano rappresentare idee ed emozioni
che abbiano un senso nella mia arte: essere sé stessi e in qualche
modo rifrangere qualcosa del mondo come io lo vedo.
Per esempio
Thomas
Beatie,
il “pregnant man”, è la scultura di una persona che ha iniziato la
propria vita come donna e poi, con l’aiuto della chirurgia e assumendo
il testosterone, è diventata uomo. Lui/lei ha deciso che voleva un
bambino quindi ha smesso di prendere il testosterone ed è rimasto/a
incinto/a. Questa è la storia vera della persona Thomas Beatie. Per me
questa scultura è un’immagine che riflette le incertezze e le
contraddizioni del tempo nel quale viviamo, dove tutto ciò che sembra
sicuro si sta spostando, una sorta di mondo a specchi.
Eppure l’immagine che Beatie fornisce è
di speranza e positività, perché contiene il grande mistero della
creazione della vita all’interno del suo ventre e l’emozione reale con
la quale egli contempla tutto ciò.
La scultura di Alison Lapper nasce da una serie di
opere che per me costituiscono un punto d’incrocio. In origine l’idea
era di tipo concettuale: mi trovavo al British Museum e al Louvre e
guardavo le persone che ammiravano la scultura classica frammentata,
in particolare nel caso di Alison, la
Venere di
Milo.
Ho pensato che se nella sala fosse entrata una persona reale, il cui
corpo avesse avuto la stessa forma delle sculture, il pubblico avrebbe
avuto una reazione esattamente opposta. Sembrava che ci fosse un
divario tra ciò che era accettabile nell’arte ma non nella vita, e
questo concetto mi è parso degno di essere esplorato a fondo. Poi,
quando ho iniziato a realizzare queste sculture –
Peter Hull
è stata la prima – sono diventate immediatamente
celebrazioni delle persone reali che ne costituivano i modelli; esse
sono quindi sia la rappresentazione reale sia quella concettuale;
dipende dalla persona, da quanto l’immagine è lontana dalla persona
reale. Per esempio, nel caso di Kate Moss direi che l’immagine ha una
vita completamente autonoma e complessa.
JS: Quindi
Siren
è
una continuazione di questa idea di rappresentare le persone e le loro
immagini?
MQ:
Sì, la continuazione e il limite estremo. Questa è una delle ragioni
per le quali doveva essere in questa mostra, poiché, come ho già
detto, la Casa di Giulietta è una manifestazione architettonica della
stessa idea: ha una vita reale come casa e una vita come l’idea “Casa
di Giulietta”.
JS:
Negli ultimi anni hai realizzato una serie di sculture di Kate Moss
che sembrano culminare
in
Siren.
MQ: Sì, presumo perché questa immagine poteva essere
qualsiasi cosa, plasmata dai nostri meccanismi collettivi ma che a sua
volta ci plasma; è stato molto interessante esplorarla a fondo. Per
esempio, in
Laocoon Kate
l’immagine è ingarbugliata, non con serpenti che
cercano di
divorarla – come nella scultura
classica esposta in Vaticano e che porta lo stesso nome –, ma su se
stessa, nelle sue braccia e nelle sue gambe; è replica e riflessione
senza controllo.
Poi in
Golden Road
to Enlightenment
abbiamo
l’altra punta estrema dell’ascetismo, dove il corpo sta sfiorendo ma
il viso non cambia, quell’idea che le persone vivono nella quarta
dimensione temporale e le immagini sono fuori del tempo. Nella storia
della vita di Buddha c’è una parte nella quale egli deve unirsi a un
gruppo di asceti e rinuncia al cibo quasi fino a morire, ma poi
rifiuta tutto ciò come via verso l’illuminazione e sceglie la via di
mezzo.
La mia scultura si basa su quella di un
leggendario periodo Gandharan, con lo stesso soggetto, che si trova al
museo di Lahore. Tuttavia, nel mondo moderno quell’impulso ascetico è
stato corrotto ed è diventato l’ossessione di essere magri che sfocia
nell’anoressia, un’assuefazione da controllare veramente. Naturalmente
i nostri corpi e le nostre vite sono completamente senza controllo, al
punto tale che non possiamo fermare il tempo, dobbiamo correre con
esso.
[…]
JS: In un certo senso, anche la scultura
Selfish
Gene
rientra in questo quadro.
MQ: Sì,
Selfish Gene,
i due scheletri che fanno sesso, mostra come siamo schiavi di impulsi
invisibili ai quali diamo sfogo, anche fino alla morte. Siamo esseri
importanti dotati di libero arbitrio, ma da un altro punto di vista
siamo solo robot vittime dei nostri geni, la cui volontà di riprodursi
è come la volontà della pianta che cresce o del neonato che succhia,
qualcosa di irresistibile e inconscio. È’ ironico, ma anche una
celebrazione del nostro lato animalesco.
JS: Nel locale più ampio hai esposto una serie di
flower paintings
e alcune
sculture floreali di
bronzo in colori brillanti. Come si
conciliano con la tua idea della mostra?
MQ: Beh, in un certo senso, il mio interesse per un
corpo e la sua immagine che si separa è iniziato quando ho realizzato
le sculture di fiori congelati, per esempio il giardino congelato (Garden,
2000) che ho realizzato alla Fondazione Prada, a Milano.
Si prende un fiore, lo si immerge in un
serbatoio di silicone congelato dove immediatamente si congela e
muore, mantenendo però il suo aspetto di fiore fresco. Così, da un
fiore fresco improvvisamente si ricava una scultura di un fiore fatto
con gli stessi atomi del fiore fresco, ma in qualche modo
riconfigurato per essere un’immagine di quel fiore. In un certo senso,
si tratta di una decostruzione della creazione di un’opera d’arte da
un modello vivente. Partendo da questi, ho realizzato grandi sculture
per esterni che rappresentano l’immagine pura e semplice di un fiore.
Sono piatte, come un’immagine, e con dimensioni illimitate.
Raggiungono i dodici metri di altezza, sono visitatori del nostro
mondo in 3D, provenienti da un mondo virtuale piatto. Ciò che mi piace
è che se le fotografi in situ la fotografia che si ottiene sembra sia
stata fatta con Photoshop. Sono una letteralizzazione dello spazio
virtuale del computer o della mente.
Successivamente ho realizzato sculture
di bronzo di piante in fiore fuse dal vivo. Per anni, i fonditori e i
tecnici mi avevano detto che non era possibile eseguire una gettata in
bronzo di un fiore con lo spessore reale. Ma dopo aver lavorato molto
e duramente, dopo aver fatto prove ed errori con le persone con le
quali collaboro, abbiamo trovato il modo di farlo.
Gettando ogni fiore e ogni parte
separatamente, sono riuscito a mettere assieme piante irreali
totalmente realistiche. Questo si ricollega anche al mio interesse per
il DNA e per la manipolazione genetica.
Nel caso di queste sculture dipinte,
(la serie “The Chromatic Nurseries of Eldorado”) il colore è quello
che chiamerei spostamento. È scorporato da parti specifiche delle
piante e giace sulla superficie come una sorta di ectoplasma. È quasi
come se fossimo testimoni del momento della trasformazione di qualcosa
che si muove dal reale nel regno dell’arte.
Come nella Casa di Giulietta e in
Siren,
si avverte la tensione tra il reale e l’immagine. In questo caso, il
reale proviene dalle forme gettate e l’immagine dalla vernice colorata
saturata. […]
JS:
GGGTDDAAGTTDAAGTATG
è una
scultura di tuo figlio Sky, che cammina in un paesaggio arido pieno di
dinosauri morti, indossando una fascia di perline che è la struttura
della molecola del DNA. Come è nata quest’opera?
Foto: "GGGTDDAAGTTDAAGTATG"(2009)
MQ:
Ho un amico che ha una collezione straordinaria di opere d’arte
provenienti dal Sudest asiatico, e da lui ho imparato che molte
sculture in origine erano ornate con gioielli: collane, orecchini e
fasce. Trovavo quindi interessante il fatto che su una scultura vi
fossero due strati, una sorta di carne e scheletro. La pietra è durata
e durerà migliaia di anni, ma molti gioielli sono andati perduti,
anche se su alcune sculture i gioielli sono rimasti.
Di solito le sculture in pietra
sopravvivono all’uomo, ma con queste parti contingenti si dà loro una
vulnerabilità e una bellezza con le quali possiamo identificarci. Sono
anche portate nel mondo di Mamon perché di questi gioielli non ne sono
rimasti molti; sono stati fusi e utilizzati per altri scopi.
Nel caso di
GGGTDDAAGTTDAAGTATG,
la figura del ragazzo è la forma creata dal percorso delle
informazioni contenute nel DNA che attraversano una macchina biologica
(la madre).
La fascia è un’astrazione, una sorta di
equivalente della struttura della molecola, come la scultura
figurativa è l’equivalente del corpo umano. Quindi in questa scultura,
abbiamo l’aspetto astratto e quello figurativo che descrivono la
stessa cosa. È una sorta di celebrazione ottimistica del futuro della
razza umana, della sua capacità di sopravvivenza.
JS:
Da dove hai tratto il titolo?
MQ:
È una sezione casuale della sequenza del DNA. Un’altra cosa che mi è
piaciuta è che suona come la parlata di un bambino, l’inizio del
linguaggio, della comunicazione e della scoperta.
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