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Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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Recensioni Bibliografiche

 

  Recensione del libro di Andreas Giannakoulas "LA TRADIZIONE PSICOANALITICA BRITANNICA INDIPENDENTE"  (Borla, 2010)

 

 

 

 

SCHEDA LIBRO: 

Titolo: La tradizione psicoanalitica britannica indipendente

Autore:  Andreas Giannakoulas

ISBN: 978-88-263-1783-0


Casa Editrice: Borla

Collana: Orizzonti di psicoanalisi

Anno di pubblicazione: 2010

Pagine: 224


Euro: 28,00


 

 


 

 

 

Recensione di Santa Fizzarotti Selvaggi

 

 

 

 

Attraversare la storia

 

     Attraversare la storia significa permettere la possibilità di ritrovare le fondamenta della continuità dell’essere. Andreas Giannakoulas, con il suo recente libro “La tradizione psicoanalitica britannica indipendente” (edizioni Borla, Roma 2010), ci consente di incontrare Maestri di scienza e di vita, dunque Maestri di conoscenza insieme alla sua enorme esperienza clinica sostenuta dal materiale teorico.

Parola dopo parola si aprono universi inconsueti in un dialogo libero e foriero di nuove istanze e intuizioni che in ogni caso si radicano nella tradizione.

In questo libro affiorano relazioni ricche di significato o assunti indelebili, come sigillo nella mente e nel cuore.

Da Lothar H. Rubinestein a Masud R. Khan a Marion Milner, così come i riferimenti a D. W. Winnicott,  J. Bowlby, M. Balint, a Freud insieme agli insegnamenti alla Tavistock Clinic di W. R. Bion, J.D. Sutherland….

È evidente che attraverso la rivisitazione storico-critica della tradizione britannica abbiamo l’opportunità di incontrare proprio Andreas Giannakoulas al quale dobbiamo una profonda riflessione  in Italia e all’estero di un pensiero innovativo e al medesimo tempo rigoroso e fermo nelle sue linee fondamentali, condivise, tra gli altri, con Adriano Giannotti, del quale vengono ampiamente ricordate le sue non comuni doti amministrative e la sua creatività al servizio della psicodinamica e della Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Età evolutiva. Così come l’Autore sottolinea il ruolo del Centro di Studi Winnicottiani organizzato da Mario Bertolini e Francesca Neri, oltre al confronto permanente con Max Hernandez.

Il tutto sta a significare, però, come sia proprio nella capacità di riconoscere contributi e approfondimenti da parte di altri studiosi eminenti e non, pazienti e collaboratori, a generare quella che si chiama “tradizione” di una Scuola in cui centrale è l’attenzione alla Persona.

Ho avuto l’onore e la fortuna di collaborare con Andreas Giannakoulas e non posso dimenticare come, per esempio durante la stesura del libro “ Il counselling psicodinamico”,  la prospettiva diversa con la quale venne rielaborato il caso di Katharina nacque proprio da una sua acuta osservazione nel corso di un seminario sul "counselling"  di cui è Maestro indiscusso. Fu come accendere la luce in una stanza buia. Credo  che questo si chiami “insight”: una esperienza per me indimenticabile. Non a caso Max Hèrnandez, nella prefazione al libro, scrive che Giannakoulas è un “singolarissimo ascoltatore dal genio del linguaggio” e prosegue ponendo in intima relazione il linguaggio come tale con la poesia, dove s’inscrive l’Essere nel linguaggio, come ci insegna Heidegger.

Invero, sia la psicoanalisi che la poesia hanno in comune lo spazio del sogno, quel luogo non luogo dove tutto può accadere nello svelamento e nel medesimo tempo nel nascondimento.

E se la parola della poesia ci conduce al fondo dell’abisso per illuminare gli anfratti misteriosi del nostro essere senza traumi e lacerazioni, la parola della psicoanalisi consente di cogliere le ragioni altre del trauma sì che queste si trasformino in parola. Una “poiesis" dell’una e dell’altra. Un fare e plasmare il mondo interno e dunque consentire visioni diverse del mondo esterno.

Il libro consta di una introduzione dell’Autore e di nove capitoli oltre ad una esauriente bibliografia.

Sin dall’introduzione è possibile cogliere il senso dell’intera complessità del volume.

Andreas Giannakoulas, infatti, pur sottolineando l’esistenza di molteplici “scuole in conflitto”, riconduce le stesse ad una unica genitorialità e pertanto cita Winnicott quando scrive che “siamo tutti più o meno freudiani”. E' su questa base solida di condivisione di aree teorico–cliniche che è possibile aprire il dibattito e la ricerca intorno alla complessità dell’essere umano in generale e del paziente in particolare.

Dall'incontro tra le differenze scaturiscono nuove istanze che, a loro volta, pongono in gioco tutti gli infiniti “potenziali trasformativi” dell’essere in quanto tale.

Di qui l’attenta riflessione sulle “configurazioni emozionali dell’ascolto”, sulla ricchezza del materiale clinico pre-verbale che costituisce il fondamento di ogni linguaggio verbale.

Su questa consapevolezza nasce l’ “indipendenza”, intesa come capacità di sentire sé e l’altro in un ampio contesto di reciproca soggettivazione dell’uno e dell’altro.

D’altra parte l’uno senza l’altro è prigioniero delle proprie condizioni mentre si rinchiude in una difensiva ortodossia.

Costruire identità integrate e dinamiche, libere e autrici della propria storia diviene il terreno su cui possiamo ricominciare a ripensare il mondo.

Si tratta, dunque, della possibilità di sentirsi creativi e pertanto di comprendere che l’identità è mutevole grazie al continuo gioco di decostruzione e ricostruzione del  mondo interno nell’infinito gioco di rispecchiamento e reciprocità con il mondo esterno.

In tale dinamica ciascuno trova parti di sé credute smarrite e del tutto sconosciute che erano, però, “in attesa di essere trovate”.

Andreas Giannakoulas più volte ci ricorda, citando Winnicott, che “Non c’è cambiamento senza Tradizione”. E dunque non c’è trasformazione, quale esplicazione di concetto di quel “divenire” democratico che ha accompagnato il metodo scientifico dell’Occidente e le cui radici trovano origine e nutrimento nella cultura ellenica.

Ma la trasformazione è quel processo che  si fa base per l’innovazione e in tal modo finisce per riguardare più ampi contesti all’interno dei quali convivono trasformazioni diverse. Il tutto ri-crea tradizioni che rappresentano la continuità storica dell’essere in cerca di sé.

Il riferimento che all’interno del volume ritroviamo relativamente alla “tragedia” ci fa comprendere come questa per  Freud “racchiude sia il precedente greco che quello personale, psicoanalitico”.  E’ attraverso l’autoanalisi che Freud diviene  “Independent Mind” e ci conduce alla percezione del “tragico” in noi. Vale a dire alla consapevolezza di  qualcosa di indicibile e inudibile che governa la nostra vita alla ricerca della chiave interpretativa per meglio approfondire simbologie e metafore, sì da tollerare l’originario in noi.

Estremamente pertinente è la riflessione su Masud Khan quando scrive che “Eissler (1951) ci descrive in modo molto vivo la dura lotta che Freud dovette sostenere per maturare il suo proposito di comprendere i misteriosi processi della propria psiche…”. È infatti il contatto con il “mistero”, che è in ciascun essere umano, che sollecita la ricerca e dunque il cambiamento, che però in qualche modo deve radicarsi in una qualche  tradizione e aprire quei varchi di “transizione”, di “terre di confine”  fondamentali al processo elaborativo che poi conduce al cambiamento, alla strutturazione di nuove aree di scienza e conoscenza.

In tale movimento è possibile risentire il senso dell’essere all’interno della riedizione degli affetti. Questione, questa, centrale del transfert e del controtransfert, nello scoprire “l’idioma dell’intimità”, ovvero di ciò che è veramente dentro.

In tal modo il paziente e l’analista si svelano a se stessi reciprocamente.

Nel libro di Andrea Giannakoulas si fa estrema chiarezza sul ruolo determinante del pensiero psicoanalitico britannico che ha consentito di sviluppare la visione di prospettive diverse  nell’ambito del corpus psicoanalitico freudiano.

L’Autore, dunque, ci pone dinanzi a Winnicott, a M. Khan, a Ferenczi, a  Balint, di cui cita l’assunto che “la malattia del paziente è, per lui, in gran parte il risultato di fattori ambientali precoci della vita del paziente, con sentimenti che ne risultano di impotenza inerme, di perdite e di ansia”. Di qui la considerazione sull’importanza dell’”atmosfera” che nel suo studio deve riuscire a creare l’analista. Una atmosfera che riguarda anche il rapporto Medico–Paziente e la definizione dell’identità dell’uno e dell’altro quale conditio sine qua non diviene difficile stabilire una alleanza terapeutica.

Il caso  Katharina di Freud ancora una volta ci ricorda come la base su cui ebbe inizio il rapporto terapeutico si fondò su quel “Lei è un dottore?” “Si, sono un dottore”- rispose Freud. “Come lo sa?”

In queste poche parole si definisce l’identità di entrambi e dunque la possibilità di una relazione sostenuta da empatia e al medesimo tempo dai necessari “confini stabiliti ma ricettivi”. Sono questi confini in una dimensione flessibile  che consentono quella “poiesis” capace di plasmare le forme del mondo. La voce della Musa che muove la “ poiesis”, invero, è la riarticolazione della voce del materno in noi, quell’“essere nel linguaggio della madre” senza la quale non si potrebbe ascoltare il bambino che in noi  ha esperito la dimensione “estetica” della beatitudine: quella “ atmosfera” che nelle arti si fa “estetica”, ovvero conoscenza attraverso i sensi e dunque attraverso la corporeità, la topica corporea dalla quale sorgono le complesse elaborazioni che danno luogo alla vita psichica, affettiva e cognitiva.

È in tal senso che dall’unità simbolistica indifferenziata è possibile “divenire uno”  e sentire quell’ “Io sono” non solo perché “Io penso”, ma perché “Io sento” e dunque percepisco, conosco, ricreo me stesso nel mondo. 

La lettura di questo libro, dunque,  evoca in noi  le parole di Edipo: “Così quanto io non chiedo di essere altro che colui che sono, e saprò Chi sono”.

 

              

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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