Recensione
di Santa Fizzarotti Selvaggi
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Attraversare
la storia
Attraversare la storia significa permettere la possibilità di
ritrovare le fondamenta della continuità dell’essere. Andreas
Giannakoulas, con il suo recente libro “La tradizione psicoanalitica
britannica indipendente” (edizioni Borla, Roma 2010), ci consente di
incontrare Maestri di scienza e di vita, dunque Maestri di conoscenza
insieme alla sua enorme esperienza clinica sostenuta dal materiale
teorico.
Parola
dopo parola si aprono universi inconsueti in un dialogo libero e
foriero di nuove istanze e intuizioni che in ogni caso si radicano
nella tradizione.
In
questo libro affiorano relazioni ricche di significato o assunti
indelebili, come sigillo nella mente e nel cuore.
Da
Lothar H. Rubinestein a Masud R. Khan a Marion Milner, così come i
riferimenti a D. W. Winnicott, J. Bowlby, M. Balint, a Freud
insieme agli insegnamenti alla Tavistock Clinic di W. R. Bion, J.D.
Sutherland….
È
evidente che attraverso la rivisitazione storico-critica della
tradizione britannica abbiamo l’opportunità di incontrare proprio
Andreas Giannakoulas al quale dobbiamo una profonda riflessione
in Italia e all’estero di un pensiero innovativo e al
medesimo tempo rigoroso e fermo nelle sue linee fondamentali,
condivise, tra gli altri, con Adriano Giannotti, del quale vengono
ampiamente ricordate le sue non comuni doti amministrative e la sua
creatività al servizio della psicodinamica e della Scuola di
Psicoterapia Psicoanalitica dell’Età evolutiva. Così come
l’Autore sottolinea il ruolo del Centro di Studi Winnicottiani
organizzato da Mario Bertolini e Francesca Neri, oltre al confronto
permanente con Max Hernandez.
Il
tutto sta a significare, però, come sia proprio nella capacità di
riconoscere contributi e approfondimenti da parte di altri studiosi
eminenti e non, pazienti e collaboratori, a generare quella che si
chiama “tradizione” di una Scuola in cui centrale è
l’attenzione alla Persona.
Ho
avuto l’onore e la fortuna di collaborare con Andreas Giannakoulas e
non posso dimenticare come, per esempio durante la stesura del libro
“ Il counselling psicodinamico”,
la prospettiva diversa con la quale venne rielaborato il caso
di Katharina nacque proprio da una sua acuta osservazione nel corso di
un seminario sul "counselling"
di
cui è Maestro indiscusso. Fu come accendere la luce in una stanza
buia. Credo che questo si
chiami “insight”: una esperienza per me indimenticabile. Non a
caso Max Hèrnandez, nella prefazione al libro, scrive che Giannakoulas
è un “singolarissimo ascoltatore dal genio
del linguaggio” e prosegue ponendo in intima relazione il
linguaggio come tale con la poesia, dove s’inscrive l’Essere nel
linguaggio, come ci insegna Heidegger.
Invero,
sia la psicoanalisi che la poesia hanno in comune lo spazio del sogno,
quel luogo non luogo dove tutto può accadere nello svelamento e nel
medesimo tempo nel nascondimento.
E
se la parola della poesia ci conduce al fondo dell’abisso per
illuminare gli anfratti misteriosi del nostro essere senza traumi e
lacerazioni, la parola della psicoanalisi consente di cogliere le
ragioni altre del trauma sì che queste si trasformino in parola. Una
“poiesis" dell’una e dell’altra. Un fare e plasmare il
mondo interno e dunque consentire visioni diverse del mondo esterno.
Il
libro consta di una introduzione dell’Autore e di nove capitoli
oltre ad una esauriente bibliografia.
Sin
dall’introduzione è possibile cogliere il senso dell’intera
complessità del volume.
Andreas
Giannakoulas, infatti, pur sottolineando l’esistenza di molteplici
“scuole in conflitto”, riconduce le stesse ad una unica
genitorialità e pertanto cita Winnicott quando scrive che “siamo
tutti più o meno freudiani”. E' su questa base solida di
condivisione di aree teorico–cliniche che è possibile aprire il
dibattito e la ricerca intorno alla complessità dell’essere umano
in generale e del paziente in particolare.
Dall'incontro
tra le differenze scaturiscono nuove istanze che, a loro volta,
pongono in gioco tutti gli infiniti “potenziali trasformativi”
dell’essere in quanto tale.
Di
qui l’attenta riflessione sulle “configurazioni emozionali dell’ascolto”,
sulla ricchezza del materiale clinico pre-verbale che costituisce il
fondamento di ogni linguaggio verbale.
Su
questa consapevolezza nasce l’ “indipendenza”, intesa come
capacità di sentire sé e l’altro in un ampio contesto di reciproca
soggettivazione dell’uno e dell’altro.
D’altra
parte l’uno senza l’altro è prigioniero delle proprie condizioni
mentre si rinchiude in una difensiva ortodossia.
Costruire
identità integrate e dinamiche, libere e autrici della propria storia
diviene il terreno su cui possiamo ricominciare a ripensare il mondo.
Si
tratta, dunque, della possibilità di sentirsi creativi e pertanto di
comprendere che l’identità è mutevole grazie al continuo gioco di
decostruzione e ricostruzione del
mondo interno nell’infinito gioco di rispecchiamento e
reciprocità con il mondo esterno.
In
tale dinamica ciascuno trova parti di sé credute smarrite e del tutto
sconosciute che erano, però, “in attesa di essere trovate”.
Andreas
Giannakoulas più volte ci ricorda, citando Winnicott, che “Non c’è
cambiamento senza Tradizione”. E dunque non c’è trasformazione,
quale esplicazione di concetto di quel “divenire” democratico che
ha accompagnato il metodo scientifico dell’Occidente e le cui radici
trovano origine e nutrimento nella cultura ellenica.
Ma
la trasformazione è quel processo che
si fa base per l’innovazione e in tal modo finisce per
riguardare più ampi contesti all’interno dei quali convivono
trasformazioni diverse. Il tutto ri-crea tradizioni che rappresentano
la continuità storica dell’essere in cerca di sé.
Il
riferimento che all’interno del volume ritroviamo relativamente alla
“tragedia” ci fa comprendere come questa per
Freud “racchiude sia il precedente greco che quello
personale, psicoanalitico”. E’ attraverso l’autoanalisi
che Freud diviene “Independent
Mind” e ci conduce alla percezione del “tragico” in noi. Vale a
dire alla consapevolezza di qualcosa
di indicibile e inudibile che governa la nostra vita alla ricerca
della chiave interpretativa per meglio approfondire simbologie e
metafore, sì da tollerare l’originario in noi.
Estremamente
pertinente è la riflessione su Masud Khan quando scrive che
“Eissler (1951) ci descrive in modo molto vivo la dura lotta che
Freud dovette sostenere per maturare il suo proposito di comprendere i
misteriosi processi della propria psiche…”. È infatti il contatto
con il “mistero”, che è in ciascun essere umano, che sollecita la
ricerca e dunque il cambiamento, che però in qualche modo deve
radicarsi in una qualche tradizione
e aprire quei varchi di “transizione”, di “terre di confine”
fondamentali al processo elaborativo che poi conduce al
cambiamento, alla strutturazione di nuove aree di scienza e
conoscenza.
In
tale movimento è possibile risentire il senso dell’essere
all’interno della riedizione degli affetti. Questione, questa,
centrale del transfert e del controtransfert, nello scoprire
“l’idioma dell’intimità”, ovvero di ciò che è veramente
dentro.
In
tal modo il paziente e l’analista si svelano a se stessi
reciprocamente.
Nel
libro di Andrea Giannakoulas si fa estrema chiarezza sul ruolo
determinante del pensiero psicoanalitico britannico che ha consentito
di sviluppare la visione di prospettive diverse
nell’ambito del corpus psicoanalitico freudiano.
L’Autore,
dunque, ci pone dinanzi a Winnicott, a M. Khan, a Ferenczi, a
Balint, di cui cita l’assunto che “la malattia
del paziente è, per lui, in gran parte il risultato di fattori
ambientali precoci della vita del paziente, con sentimenti che ne
risultano di impotenza inerme, di perdite e di ansia”. Di qui la
considerazione sull’importanza dell’”atmosfera” che nel suo
studio deve riuscire a creare l’analista. Una atmosfera che riguarda
anche il rapporto Medico–Paziente e la definizione dell’identità
dell’uno e dell’altro quale conditio
sine qua non diviene difficile stabilire una alleanza terapeutica.
Il
caso Katharina di Freud ancora una volta ci ricorda come la base
su cui ebbe inizio il rapporto terapeutico si fondò su quel “Lei è
un dottore?” “Si, sono un dottore”- rispose Freud. “Come lo
sa?”
In
queste poche parole si definisce l’identità di entrambi e dunque la
possibilità di una relazione sostenuta da empatia e al medesimo tempo
dai necessari “confini stabiliti ma ricettivi”. Sono questi
confini in una dimensione flessibile che consentono quella
“poiesis” capace di plasmare le forme del mondo. La voce della
Musa che muove la “ poiesis”, invero, è la riarticolazione della
voce del materno in noi, quell’“essere nel linguaggio della
madre” senza la quale non si potrebbe ascoltare il bambino che in
noi ha esperito la
dimensione “estetica” della beatitudine: quella “ atmosfera”
che nelle arti si fa “estetica”, ovvero conoscenza attraverso i
sensi e dunque attraverso la corporeità, la topica corporea dalla
quale sorgono le complesse elaborazioni che danno luogo alla vita
psichica, affettiva e cognitiva.
È
in tal senso che dall’unità simbolistica indifferenziata è
possibile “divenire uno” e sentire quell’ “Io
sono” non solo perché “Io penso”, ma perché “Io sento” e
dunque percepisco, conosco, ricreo me stesso nel mondo.
La
lettura di questo libro, dunque,
evoca in noi le
parole di Edipo: “Così quanto io non chiedo di essere altro che
colui che sono, e saprò Chi sono”.
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