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RIVISTERIA

 

Recensioni bibliografiche 2005

Recensioni bibliografiche 2004

Recensioni bibliografiche 2003  

 

 Rassegna delle riviste  uscite nel primo quadrimestre 2006 a cura di Giuseppe Leo.

Novità - News

 

 

 

 

 

La Rivista Sperimentale di Freniatria (n. 1/2006) ha dedicato un numero monografico a Sessualità e psichiatria. Gian Maria Galeazzi nel suo editoriale esordisce con la domanda <<Cosa c'entra la sessualità con la psichiatria?>> E così prosegue:<< Questo fascicolo della Rivista Sperimentale di Freniatria propone innanzitutto all'attenzione dei lettori questa domanda, nella convinzione che la scarsa attenzione che la disciplina psichiatrica ha dedicato in questi ultimi anni all'area della sessualità come tema sottenda qualcosa di più di un disinteresse e qualcosa di diverso da un'estraneità e segnali invece una sempre crescente difficoltà a occuparsi delle persone nella loro interezza e dei loro bisogni>>. Di fronte ad una psichiatria "ufficiale" incapace ad articolare un discorso sulla sessualità, oppure che utilizza "schemi di comprensione logori e mummificati" (Galeazzi fa l'esempio delle classificazioni diagnostiche correnti nella manualistica generale),  la sessualità, in quanto "dimensione di fondo dell'umano personale e sociale", obbliga la psichiatria a prendersi carico della persona nella sua globalità e nelle sue relazioni, anche col sistema dei valori degli psichiatri e degli addetti alla salute mentale. Il prestar voce agli utenti deve stimolare tutti coloro che si occupano di salute mentale a non glissare sui loro bisogni sessuali. Il numero della rivista inizia perciò con un articolo di Eddie Mc Cann ("La sessualità in persone con psicosi") che <<dando voce agli utenti "cronici" di un servizio di salute mentale londinese, rende conto di quanto questi bisogni siano complessi, non corrisposti, e>> citando l'editoriale di Galeazzi <<a volte, calpestati oltre che ignorati, dalle stesse agenzie di cura>>. A seguire l'articolo di Sheila McNamee dal titolo "Assunti costruzionisti per conversazioni terapeutiche sulla sessualità": in esso partendo da  tre esempi concreti si mette in evidenza come l'adozione di un linguaggio condiviso tra curante e utente consenta di uscire <<da gabbie interpretative patologizzanti e stereotipe, rispettando>> secondo Galeazzi <<la storia delle persone e la ricchezza delle relazioni, per disegnare scenari aperti al futuro>>. Nel successivo articolo dal titolo "Modificazioni permanenti a scopo non terapeutico dei genitali femminili" Vanna Berlincioni e Mara Rosani, partendo da testimonianze raccolte fra donne immigrate, intendono approfondire questo tema complesso soffermandosi dapprima sulle questioni terminologiche, in cui << si annida il rischio di un approccio parziale ed etnocentrico al fenomeno>> come affermano le autrici, per poi passare ad esaminare le controverse relazioni tra tale costume e l'islam. "La seduzione sessuale e amorosa in psicoanalisi e in psicoterapia" di Simona Argentieri esamina un tema tanto vasto quanto scivoloso e scomodo. Per l'autrice, la maggiore difficoltà nell'affrontare questo tema spinoso sta nel rischio costante di usare difensivamente i diversi livelli (etici, tecnici, medico-legali, giuridici, storici...) l'uno contro l'altro. Patrick Singy nel suo "Il caso Sade" afferma che l'appropriazione da parte della psichiatria del nome di Sade si basa su un equivoco. Infatti, né Sade né i personaggi dei suoi romanzi erano sadici, poiché sperimentavano una sessualità modellata da regole differenti da quelle della sessualità moderna. La trasformazione di Sade nel paradigma del sadismo ha richiesto l'instaurazione di tre importanti regole che governano il discorso sulla sessualità: la regola della spontaneità (l'istinto sessuale è indipendente dalla volontà), la regola della soggettività (non è il comportamento esterno che definisce la sessualità, ma la natura dell'istinto sessuale), la regola della totalità (l'istinto sessuale coinvolge l'intera personalità). Secondo l'autore, solo dopo che queste tre regole hanno gradualmente preso corpo nel corso dell'Ottocento, l'esperienza sessuale, e quindi il sadismo, è divenuta possibile. E solo ignorando questo complesso processo storico è stato possibile considerare Sade un sadico. Un articolo più inerente la clinica 'di tutti i giorni' è quello di Isabella Soreca ed Andrea Fagiolini "Psicofarmaci e disfunzioni sessuali: meccanismi, prevalenza e gestione clinica", mentre la rubrica Il punto di vista ospita l'intervento di Piergiorgio Paterlini "E' come se invece di pulire una casa si nascondesse frettolosamente la polvere..." in cui l'autore mette in guardia <<dal considerare consolidate alcune conquiste recenti, connesse alla maggiore visibilità delle persone gay>> come dice Galeazzi.

    

   

Recensioni dalla stampa 2003

 

   "Ricerca Psicoanalitica" (CDP Editore, Genova), diretto da Michele Minolli, è un periodico quadrimestrale fondato dalla S.I.P.Re. (Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione) ed è giunto all'anno XVII con il n. 1 del 2006. L'articolo di Iréne Matthis "Perché ci ammaliamo?" <<affronta i rapporti>> come dice Minolli nell'editoriale <<tra corpo-mente all'interno di una rilettura freudiana che si presenta puntuale, ma anche innovativa. Ci ha colpito della Matthis>> continua l'editorialista <<la sua posizione teorica unitaria dello psichico e del somatico; il superamento della "distinzione tra sintomi isterici e sintomi psicosomatici"; la narrazione come via per entrare nella decifrazione non tanto della dimensione traumatica, quanto di una "disposizione" corporea sottostante. Un termine, quello di disposizione che si pone al crocevia della teoria cognitiva, delle neuroscienze e della psicoanalisi, permettendo interazioni interessanti>>. Seguendo gli Studi sull'isteria  di Freud l'autrice sottolinea l'importanza della narrazione per comprendere il sintomo. La narrazione è pensata non tanto come strumento per la decifrazione della dimensione traumatica, quanto di una "disposizione" corporea. Perciò le associazioni libere non sono solo un metodo psicologico per garantire il processo spiegativo, ma anche strumento teorico e scientifico per rivelare l'intima relazione tra le parole (pensieri consci) e i sentimenti (emozioni consce) e tra i sintomi corporei (segni di disposizioni inconsce) e i processi mentali inconsci.  Massimo Giannoni in "Comportamento umano e significato"  cerca di mostrare come le moderne teorie di psicologia cognitiva e psicoanalitiche possano aiutarci a riflettere sull'intersoggettività, su come l'essere umano possa attribuire un significato socialmente condiviso ai comportamenti altrui. Giannoni si pone le seguenti domande: "leggere la mente è un dato di natura o si origina a partire dalla intersoggettività?" Se è un dato di natura perché alcuni esseri umani ne sono privi? E' essa un difetto naturale o relazionale?".   Alcune riflessioni epistemologiche vengono sviluppate al fine di distinguere ed integrare l'approccio delle scienze cognitive e quello psicoanalitico. Infine, il richiamo a Gadamer viene utilizzato per dibattere alcuni concetti della psicoanalisi contemporanea, come 'soggettività', 'oggettività', 'molteplicità', 'verità'. Seguendo Gadamer, egli afferma che <<il tema ermeneutico è costitutivo dell'essere uomo in ogni sua attività>> e che quindi è possibile <<giungere alla verità al di fuori del metodo scientifico rivalutando la conoscenza soggettiva con i suoi inevitabili pre-giudizi>>. La nozione di 'verità' come 'esperienza trasformativa', anziché come 'corrispondenza' riflette l'affermazione di Gadamer per cui <<ciò che è efficace è vero>>. Tuttavia, come sottolinea Minolli, <<sarebbe stato interessante un maggiore approfondimento>> in tal senso. <<In un mondo che sembra funzionare sempre più sul rapporto costi/benefici>> prosegue Minolli <<non è certo che l'"esperienza trasformativa" venga colta e rispettata nel tempo elaborativo di cui ha naturalmente bisogno>>.  Nancy McWilliams in "La relazione analitica con i pazienti schizoidi" sostiene che, nonostante la convinzione prevalente che vi sia qualcosa di 'primitivo' o patologico nelle dinamiche schizoidi, le persone che presentano caratteristiche schizoidi si possono situare lungo l'intero continuum della salute mentale. L'autrice prende in esame aspetti che la letteratura psicoanalitica tradizionale spesso trascura: la reazione alla separazione, la sensibilità ai processi inconsci degli altri, la sensazione di intima unione con l'universo, e le complesse relazioni tra personalità isteriche e schizoidi. Nella sua conclusione scrive: <<Ho provato con questo scritto a esplorare alcuni modi in cui la personalità schizoide differisce dalle altre configurazioni, sottolineando che queste differenze non sono intrinsecamente peggiori o migliori, né più o meno mature, né un arresto evolutivo né una conquista evolutiva. >> Alberto Lorenzini in "La crisi necessaria" assume che la terapia del paziente grave deve affrontare e sciogliere dei veri e propri "nuclei di follia". Essi vengono attualizzati attraverso crisi che coinvolgono il terapeuta in situazioni drammatiche. La concretizzazione delle configurazioni esperenziali del paziente produce degli psicodrammi che offrono potenzialità preziose per il terapeuta e, allo stesso tempo, non gli lasciano scampo, poiché in questi momenti cruciali la terapia passa attraverso la sua capacità di essere autenticamente se stesso.

 

 

                                                        

  

                 Rivista Frenis Zero

La "Rivista di Psicoanalisi" è uscita nel 2006 con un numero monografico dal titolo "Il dialogo scientifico sull'osservazione e sull'esperienza psicoanalitica". Nell'introduzione, Adamo Vergine ricorda che nel giugno del 2002 l'Esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana decise di costituire un Comitato per la Ricerca che riflettesse sul senso della ricerca nella psicoanalisi attuale e formulasse delle linee di conduzione della ricerca. Il Comitato fu costituito da 12 componenti (M. Balsamo, F. Barale, T.Bastianini, G. Berti Ceroni, M. Bezoari, S. Bolognini, V. Bonaminio, F. Napolitano, M. Ponsi, P. Luigi Rossi, A. Seganti, L. Solano) coordinati da A. Vergine. Rispetto ai vari campi possibili di ricerca il Comitato decise di restringere l'indagine ad un solo concetto <<e ci è sembrato che quello più immediato e centrale, clinico e teorico al tempo stesso, complesso ma anche semplificabile>> come dice Vergine <<interessante da indagare perché forse in uso in moltissime accezioni, fosse quello che indichiamo con il termine transfert>>. L'indagine quindi era tesa a rilevare le teorie implicite ed esplicite che gli analisti hanno sul transfert mediante due tipi di ricerche. La prima utilizzava un questionario sul modo di intendere il transfert, <<la seconda raccogliendo i racconti scritti dai colleghi su un episodio di transfert facilitante il trattamento ed uno di transfert ostacolante>>.  Nella prima ricerca si chiedeva agli analisti di dichiarare il grado di adesione (su una scala da +2 a -2) relativamente ad alcune affermazioni relative al transfert. Nella seconda indagine invece veniva chiesto agli analisti interpellati di scrivere il racconto di un episodio clinico in cui il transfert fosse stato di ostacolo al trattamento e di un altro in cui l'analisi del transfert fosse stata risolutiva. E veniamo ai risultati. Da maggio a settembre 2004 di tutti i soci SPI interpellati solo il 12% ha risposto all'invito a partecipare alla ricerca (73 analisti), di cui solo 53 hanno effettivamente scritto i racconti degli episodi clinici. Nel volume monografico della "Rivista di Psicoanalisi", pertanto, il primo articolo di Luigi Solano ("Primo questionario sul transfert: risposte e loro valutazioni statistica") riporta l'elaborazione statistica delle risposte ai questionari, mentre , a seguire, l'articolo di Michele Bezoari ("Contributo alla riflessione su dialogo scientifico e ricerca in psicoanalisi") propone delle riflessioni sui risultati, che cercheremo di sintetizzare. <<Dal confronto aperto tra i vari punti di vista non risulta - com'era prevedibile - una definizione univoca del concetto di transfert>> afferma Bezoari <<ma neppure - com'era forse temibile- una dispersione babelica del suo significato>>. Il maggior accordo tra le risposte dei psicoanalisti risulta per i gruppi di items attinenti al transfert come riedizione (di esperienze di esperienze e modalità relazionali del passato) ed all'influenza della relazione attuale nella diade analitica sul transfert. Invece, il maggior disaccordo è stato registrato su due gruppi di items: quello che concerne l'importanza della dimensione intrapsichica del transfert, e quello relativo al grado di centralità e specificità del transfert nel processo analitico. Bezoari conclude indicando due aree, due "punti caldi" da approfondire in successive ricerche: a) come si articola la metapsicologia classica, concepita in termini prevalentemente intrapsichici, e le più recenti formulazioni tese a cogliere la dimensione relazionale?; b)  come estendere il concetto di transfert ad esperienze cliniche nuove (ad es. in relazione con pazienti borderline, psicotici, psicosomatici, ecc.) oppure il ruolo del transfert <<nella teoria della cura analitica diventa meno essenziale (ad esempio, valorizzando le componenti non transferali della relazione "reale" con l'analista)?>> (citando Bezoari). Andrea Seganti nel successivo articolo prende in esame l'"Analisi dei racconti circa gli episodi di transfert facilitante e ostacolante".   Riassumendo al massimo, si sono  evidenziati due gruppi : quello degli intervistati che si trova maggiormente concorde sulla specificità e sull'alta efficacia del setting indipendentemente dalla relazione, ed un secondo gruppo che, invece, si riconosce maggiormente attorno alla specificità ed all'alta efficacia della relazione analitica indipendentemente dal setting. Seganti riassume la uestione <<come una questione teorica e di atteggiamento di fondo, dove si disquisisce se dare una priorità affettiva e teorica al metodo psicoanalitico piuttosto che all'analista come individuo. [...] Per evocare tale polarizzazione in chiave negativa si potrebbe dire che coloro che portano il focus sulla specificità (assieme ad alcuni che lo portano sulla riedizione e alcuni che lo portano sull'intrapsichico) sono coloro che si paludano del ruolo di analisti, si nascondono dietro il metodo; mentre di coloro che portano il focus sulla relazione (assieme ad alcuni dei due gruppi intermedi) si potrebbe dire che sono degli individualisti che vogliono farla da protagonisti. O ancora che i primi sono dipendenti dall'istituzione mentre i secondi sono dei ribelli. Ma anche in positivo, si potrebbe dire che i primi sono tendenzialmente più riorosi e affidabili in quanto fanno riferimento costante all'istituzione mentre i secondi garantiscono il paziente con maggiore indipendenza di pensiero e mettono al suo servizio maggiori potenzialità creative>>. Maria Ponsi nel suo articolo "Sulla ricerca empirica" dà un contributo di riflessione generale sulla ricerca empirica, provando ad impostare le questioni in campo in questo modo: <<Quali sono le conoscenze condivise intorno a cui si aggregano i membri di quell'entità sociale che è la disciplina psicoanalitica? Con quali processi si sviluppa la costruzione sociale e la legittimazione delle conoscenze psicoanalitiche? Come viene trasmesso il corpo di conoscenze ai nuovi membri e con quali criteri viene valutata la loro competenza? Come vengono affrontate le questioni spinose, come vengono scartate, o viceversa accettate, le idee nuove, in assenza di procedure metodologiche condivise basate su argomentazioni razionali? In sostanza: su quali procedure si è a tutt'oggi costruito il consenso fra gli psicoanalisti?>>. La Ponsi ammette che gli psicoanalisti tendono ad appoggiarsi all'autorità, denunciando una carenza grave di procedure argomentative che non facciano appello ad autorità o alla tradizione. Viene citato Tuckett ed alcuni suoi lavori in cui <<definire una base comune nel metodo di osservazione e comunicazione dei fatti clinici (Tuckett, 1994), produrre argomentazioni "trasparenti, ben fondate, in risposta a questioni ben precise" (Tuckett, 2003, p.7), seguire regole logiche di inferenza e di deduzione tali da poter venire valutate con criteri espliciti (Tuckett, 1998) sono finalità da perseguire se si vuole costruire una base di consenso di qualità superiore a quella che fa appello all'autorità ed alla tradizione>>,  come afferma Maria Ponsi nel suo articolo. Naturalmente l'autrice non nasconde quanto sia arduo intraprendere il cammino, ancora agli inizi, del metodo scientifico, della validazione in psicoanalisi, anche per difficoltà nel trovare un sistema concettuale <<articolato e congegnato in modo tale da costituire un modello teorico onnicomprensivo>>, dato per scontato comunque che non si può che considerare come "vera" un'acquisizione se non fino alla prova contraria (Westen et al., 2005).  Tiziana Bastianini nel suo "Uno psicoanalista "contemporaneo" alle prese con molti modi di ricercare" ha elaborato un saggio sul Dialogo Scientifico come contaminazione. La Bastianini parte da un interrogativo ben preciso: uno o più modi di ricercare in campo psicoanalitico? Ed espresso in altri termini: <<è possibile in questo momento storico, tentare di tenere in costante tensione dialettica, le diverse modalità di ricerca, caratterizzate da diverse modalità di raccolta dati, che, naturalmente, possono produrre in alcuni casi dati contraddittori?>>. L'autrice da subito sostiene il punto di vista affermativo a tale qustione. E nel prosieguo dell'articolo sviluppa delle ben precise argomentazioni a sostegno di questa sua posizione, che per motivi di spazio non è qui il caso di esaminare. Infine, questo numero monografico della "Rivista di Psicoanalisi" si conclude con la post-fazione di Giuseppe Berti Ceroni che aggiunge un suo commento sui dati della ricerca con queste parole: <<i lettini non sono vuoti, come invece affermano autorevoli critici del ruolo della psicoanalisi nel panorama odierno delle cure e come a volte sostengono anche alcuni di noi, che estendono alla totalità dei soci la difficoltà a riempirli che incontrano molti candidati e parte dei soci stessi: più di tremila persone in analisi avrebbero sovrastato le forze dei circa cento psicoanalisti attivi in Italia negli anni '70, quando la fama e l'influenza della psicoanalisi era massima nel mondo postsessantottino. La "crisi" della psicoanalisi non pare quindi essere - o ancora essere - una crisi della professione, ma semmai una nostra insufficienza nel misurarsi con umiltà e coraggio con i bisogni di cura e con le forme di cura per come ora si declinano [...]>>. Nel commentare i risultati della ricerca condotta dal Comitato della SPI, Berti Ceroni sostiene che il piccolo campione di partecipanti non è naturalmente rappresentativo di tutti i soci SPI, ma è comunque adeguato a confermare la pluralità degli orientamenti sulle questioni del transfert. Inoltre, citando Berti Ceroni, <<questa prima mappatura può essere una traccia per costruire quelle interviste semistrutturate [...] e la stessa revisione storico-critica della produzione scientifica nel corso dei decenni, sia pubblicata che solo letta>>.

 

                  Maitres à dispenser                                       Il numero 1 del 2006 (volume XL) del trimestrale "Psicoterapia e Scienze Umane" esordisce con l'editoriale di Paolo Migone, co-direttore della rivista, in cui vengono fornite nuove informazioni al lettore sulla indicizzazione nelle banche date internazionali, sul nuovo sistema dei referees, nel formato della rubrica 'Riviste'. L'articolo di Glen O. Gabbard "Mente, cervello e disturbi di personalità" rappresenta una mirabile sintesi delle attuali conoscenze sul tema dei rapporti tra influenze genetiche ed ambientali nella patogenesi dei disturbi di personalità antisociale e borderline. Evitando qualsiasi dicotomia tra questi due ordini di fattori patogenetici, emerge quanto invece essi siano intrecciati, poiché le esperienze psicosociali, inclusa la psicoterapia,  possono modificare permanentemente la struttura ed il funzionamento del cervello. La "teoria della mente" è un costrutto utile nella terapia dei disturbi di personalità, dato che collega "mente" e "cervello", dato che, come afferma testualmente Gabbard, <<il linguaggio del "cervello" e della "mente" sono entrambi necessari nel trattamento dei disturbi di personalità.>> Carlo Bonomi e Franco Borgogno in "Il simbolo rotto: la paura della mente dell'altro nella storia simbolica dell'individuo" partono dall'assunto che il bambino acquisisce il pensiero simbolico nell'ambito del processo di esplorazione della mente dei genitori e nell'esperienza di ritrovare i propri stati interni rispecchiati nella mente dell'Altro significativo. Però, sostengono gli autori, qualora gli stati mentali dei genitori sono troppo 'opprimenti', allora possono generare nel bambino un'intensa 'paura della mente' che interferisce con lo sviluppo delle funzioni simboliche, promovendo da una parte l'incorporazione di un oggetto sentito come "corpo estraneo", sia, dall'altra, portando in casi estremi ad un completo ritiro dalla realtà psichica.  In quest'ultimo caso, al fine di consentire l'avvio di una simbolizzazione al paziente <<deve essere rianimato un processo libidico e vanno ritrovati nell'analisi non solo gli stati mentali interni dell'oggetto, ma anche quelli del paziente-bambino, rimasti non visti e non riconosciuti da un genitore incapace di mettere in parole vitali le emozioni e i pensieri infantili>>. Mauro Fornaro in "Kurt Lewin e la psicoanalisi: attualità di un confronto", partendo in particolare dall'articolo "Psychoanalysis and topological psychology" (1937) di Lewin, prende in esame il confronto tra l'opera dello psicologo 'gestaltista' di origine tedesca e la psicoanalisi. Gli aspetti esaminati possono essere riassunti come segue: a) 'insospettate' convergenze nella concezione "dinamica" cui Lewin giustappone il modello fenomenologico; b) i limiti del metodo sperimentale nell'affrontare il vissuto soggettivo, che va pertanto integrato con il metodo clinico; c) l'errore nel contrapporre sistematicità e contemporaneità (Lewin) versus storicità (Freud); d) la <<fecondità euristica>>, in Lewin come nella recente psicoanalisi, della nozione di campo, di cui però occorre specificare i molteplici significati. Andrea Castiello d'Antonio in "Aerofobia: una interpretazione psicoanalitica" offre una riflessione sull'ansia del volo, richiamandosi anche ad un excursus storico sulla genesi delle fobie a partire dai primi lavori di Freud. Viene quindi proposta una descrizione fenomenologica dell'angoscia del volo, a cui viene  collegata un'interpretazione psicoanalitica. Vengono esaminati i vissuti persecutori e di isolamento empatico, il blocco nell'espressione dell'aggressività, la pressione sociale e l'impedimento a muoversi fisicamente. Nella rubrica "Tracce" Pier Francesco Galli propone le sue riflessioni su "L'aziendalizzazione nei Dipartimenti di Salute Mentale", a cui fanno seguito le ricche rubriche sulle Recensioni e sulle Riviste.

          

 

 

 

 

 

 

  Infine, la rivista "Adultità", semestrale sulla condizione adulta e i processi formativi, è uscita nel marzo 2006 con un numero dedicato ai "Sogni", con articoli di Duccio Demetrio ("Scrivere in sogno"), di Andrea Fontana ("Voci adulte su melodie infantili"), di Mauro Mancia ("Il sogno: la psicoanalisi in dialogo con le neuroscienze"), di Gian Piero Quaglino e Paola Gatti ("Raccontati dai sogni..."), di Paolo Mottana ("Deriva notturna"), di Arianna Cecconi ("<<I sogni vengono da fuori...>> Una etnografia dei sogni sulle Ande Peruviane"), di Annamaria Cavalli ("Sogni e letteratura. Riflessioni a partire dal caso di Iginio Ugo Tarchetti"), di Luca Iori ("Il sogno e la sua interpretazione nel mondo greco-romano"), di Davide Astori ("Il sogno e la sua interpretazione nella cultura ebraica"), di Gualtiero Rota ("La Rivelazione onirica tra Vecchio e Nuovo Testamento"), di Sergio Tramma ("Lettera a San Gennaro"), di Emanuela Mancino ("Lì dove si dismaga l'intelletto. L'incubo per trattenere il tempo e cullare i mostri"), di Monica Mancino ("Il sogno della cellula. La scoperta, il segreto, il mistero") ed altri ancora che per motivi di spazio non possiamo elencare tutti.