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La
prima parte del mio articolo è dedicata ad una sintetica storia dello
sviluppo della psicoanalisi in questo Paese. La seconda parte tratta
alcuni aspetti della realtà esterna che sono stati anch'essi
importanti nell'evoluzione della Società Ceca di Psicoanalisi e della
psicoanalisi ceca.
Questo
si può considerare un contributo ad una psicologia sociale
psicoanalitica. Parlerò di porte sul mondo esterno e dei loro
guardiani. La storica "Cortina di Ferro" è un esempio delle porte
chiuse dalle conseguenze di vasta portata per lo sviluppo della
psicoanalisi ceca. Ma, ovviamente, la maggioranza delle porte del
mondo esterno sono capaci di essere aperte. E nell'attuale società
globalizzata, in cui i confini reali stanno rapidamente scomparendo,
siamo interessati, e ne siamo anche più dipendenti, alle porte ed ai
guardiani elettronici. Ci sono anche delle porte interne nella
nostra mente, almeno tra conscio e preconscio, e ci sono anche delle
porte nel 'setting' psicoanalitico, non solo le porte dello studio
dell'analista, ma tutte le procedure di selezione; ci sono, ancora,
delle porte immaginarie nel processo analitico (ad esempio, il modo
con cui otteniamo il materiale dal paziente e ciò che scegliamo nel
dirgli).
E' ben
noto che Sigmund Freud nacque in Moravia, a Freiberg (Pribor), una
piccola città vicina ad Ostrava, ma questo fatto ha avuto poca
influenza sull'evoluzione locale della psicoanalisi. Il movimento
psicoanalitico ceco è probabilmente l'unico che abbia avuto tre Gruppi
di Studio nella sua storia. Il primo Gruppo di Studio venne
riconosciuto al 14° Congresso dell'I.P.A. a Marienbad. Tale gruppo non
poté continuare dopo il 1939 a causa dell'occupazione nazista della
Cecoslovacchia. Alcuni membri del gruppo si salvarono emigrando. Il
secondo Gruppo - quello del Dopoguerra - fu chiuso dal regime
comunista, nuovamente dopo 3 anni (nel 1949). Fu solo il terzo
Gruppo di Studio, negli anni '90, che potette attraversare le porte
esterne, ed il Congresso dell'IPA a Santiago del Cile del 1999
riconobbe il Gruppo di Studio Ceco di Praga come Società Provvisoria.
Il primo gruppo ad essere interessato alla psicoanalisi si originò a
Praga attorno all'analista russo Ossipov negli anni '20 e consisteva
per la maggior parte di emigrati russi. Ossipov era in contatto con
Freud, e Freud gli diede dei consigli su dove reperire persone adatte
a Praga con cui stabilire un gruppo. Il secondi gruppo si organizzò a
Kaschau (nella Slovacchia orientale) attorno alla psichiatra ceco
Jaroslav Stuchlik. Due membri del gruppo di Stuchlik's, Emanuel
Windholz e Jan Frank, andarono via da Praga alla fine degli anni '20 e
nei primi anni '30 si unirono al gruppo di analisti ebrei tedeschi che
erano arrivati a Praga per salvarsi dalle persecuzioni antisemitiche
in Germania.
Otto
Fenichel arrivò a Praga da Oslo nel 1935 e, insieme a svariati
analisti provenienti da Vienna, aiutarono il gruppo di Praga a
diventare un Gruppo di Studio al 14° Congresso dell'IPA a Marienbad
nel 1936. Otto Fenichel a Praga lavorò, formò dei candidati,
organizzò seminari e conferenze e scrisse le sue "Rundbriefe"
(lettere circolari) fino al 1938, quando lasciò Praga per gli Stati
Uniti, ed Emanuel Windholz assunse la direzione del Gruppo Ceco.
L'occupazione tedesca del 1939 mise fine all'esistenza del Gruppo di
Studio. Alcuni emigrarono, altri morirono nei campi di concentramento.
Ci fu solo un membro di questo gruppo pre-bellico, Bohodar Dosuzkov,
che tenne in vita la psicoanalisi in modo clandestino durante la
Seconda Guerra Mondiale. Era anch'egli di origini russe. Il regime
comunista alla fine degli anni '40 bandì ufficialmente il Gruppo Ceco,
che continuò il suo lavoro clandestinamente. Questa situazione durò
per 40 anni. Il gruppo era solito avere incontri regolari in
appartamenti privati, ed il "training" dei nuovi candidati continuò
senza interruzione. La nostra situazione e le nostre condizioni erano
simili a quelle vigenti in Ungheria. Il campo comunista venne chiuso e
gli analisti cechi erano soliti addirittura aiutare nel 'training'
qualche collega proveniente da Varsavia negli anni '60, '70 e persino
'80. Alcuni colleghi polacchi ottennero quella che oggi chiamiamo una
"shuttle analysis" (un'analisi concentrata in tempi brevi) o analisi
condensata.
Il mondo
esterno era diviso in senso verticale dalla Cortina di Ferro che
teneva le porte chiuse. La parte totalitaria del mondo era divisa in
senso orizzontale in un piano "alto" ufficiale e formale ed in un
piano "sotterraneo" non ufficiale, informale che conteneva la maggior
parte della vita reale e privata della gente. Il destino della
psicoanalisi era quello di esistere per lo più nella realtà
sotterranea in cui si collocavano anche le vite private delle persone
(un'area più prossima al vero sé). E' innanzitutto questa connessione
tra la psicoanalisi e la vita privata della gente ad avere reso
possibile la sopravvivenza e l'evoluzione della psicoanalisi persino
in condizioni ideologiche piuttosto sfavorevoli ed in una situazione
esterna di oppressione. Dopo la cosiddetta Rivoluzione di Velluto del
1989 il Gruppo Psicoanalitico di Praga divenne ancora il gruppo
ufficiale del "piano alto". Ottenemmo presto il riconoscimento di
Gruppo di Studio. Siamo stati Società Provvisoria fino al Congresso
IPA tenutosi in Cile nel 1999.
Naturalmente, c'era non solo la massiccia influenza della realtà
esterna sul movimento psicoanalitico ceco, ma anche una potente
influenza esterna sul processo e sul "setting" psicoanalitico. La
questione generale era quella del come le condizioni esterne del
totalitarismo, caratterizzate dalla presenza di oggetti totalitari,
potessero permettere un processo di libere associazioni in
psicoanalisi. Il paziente si sentiva abbastanza sicuro col suo
analista, il quale era inevitabilmente una parte della realtà esterna
per lui? Gli oggetti totalitari erano solo esterni, o avevano anche la
loro esistenza interna? Quanto dovevano il paziente e l'analista
negare la realtà totalitaria per poter lavorare insieme all'interno
del processo psicoanalitico così complesso? Non ci sono risposte
semplici. Certamente le difese del paziente e quelle dell'analista
dovevano aiutare a proteggere la sicurezza analitica. Oggi, ci sono
molti analisti nel mondo che hanno esperienza del lavoro analitico in
condizioni esterne piuttosto sfavorevoli. Il lavoro psicoanalitico in
condizioni ideali di non pericolo simili a quelle di laboratorio è
un'illusione. Io entrai nella formazione psicoanalitica clandestina
all'inizio degli anni '70 quando la realtà politica esterna era
divenuta piuttosto repressiva. In realtà ho trovato che la situazione
psicoanalitica rappresentava per me l'unico posto sicuro oltre alla
mia famiglia. Vidi questo desiderio di sicurezza e di libertà in uno
spazio sicuro (lo spazio per dispiegare il vero sé) più tardi nei miei
pazienti quando iniziai a lavorare come analista in clandestinità. Era
la presenza di una qualche fiducia di base nei pazienti, parti
affidabili di buoni oggetti genitoriali e diniego del pericolo
esterno, ad aiutare, tra gli altri fattori, a mantenere l'alleanza di
lavoro. C'era un desiderio perché le porte dell'analista fossero una
porta sicura per entrare nel mondo della riservatezza e della libertà.
E, davvero, nessun analista ceco è stato mai denunciato da alcun
paziente alle autorità totalitarie sebbene alcuni pazienti mostrassero
i loro sentimenti minacciosi nei confronti dei loro analisti nel
flusso del processo analitico. Ma c'era spesso una non espressa
percezione nell'analista e nel paziente che vivessero su una nave col
nemico ovunque fuori. Questa realtà e questa proiezione condivisa
poteva essere allo stesso tempo in alcuni casi una zavorra per
l'analisi vera e propria degli impulsi aggressivi del paziente. In
breve, le porte tra la realtà sotterranea ed il piano superiore erano
tenute chiuse.
Scoprii
solo in seguito - nella mia pratica post-totalitaria - gli oggetti
totalitari interni posti in differenti parti della psiche (Sebek,
1996, 1998). Naturalmente, il processo inconscio di internalizzazione
aveva compiuto il suo lavoro durante 40 anni di regime comunista. Tale
oggetto divenne un ostacolo maggiore dello stesso pericolo esterno.
Quando questo oggetto era collocato più nell'io, il paziente era
tormentato di più dalle credenze totalitarie nel proprio comportamento
con gli altri. Quando era più posto nel Super-io, il paziente aveva la
tendenza ad essere crudele e sadico con se stesso. Quando l'oggetto
totalitario era proiettato all'esterno, l'atmosfera paranoidea
inondava il transfert ed il paziente per lo più poteva mostrare solo
la parte falsa di se stesso. L'analista poteva avere gli stessi
problemi nell'essere più manipolativo, meno paziente, troppo ansioso o
meno sicuro.
C'era
anche l'influenza della realtà esterna sui confini del "setting"
psicoanalitico. Nessun analista nel mondo sotterraneo ceco poteva
lavorare come analista a tempo pieno. La loro pratica analitica era
per lo più una segreta appendice del lavoro nel servizio pubblico di
salute mentale (psichiatrico o psicologico, ambulatoriale o
ospedaliero) oppure era praticata a casa dell'analista, in genere in
una stanza con più funzioni che non il solo trattare i pazienti. C'era
anche una certa instabilità negli orari poiché si supponeva che gli
analisti dessero priorità al loro lavoro nel servizio pubblico prima
che potessero dedicare il proprio tempo libero ai pazienti in analisi.
L'analista non era capace di proteggere delle sedute dall'impatto
esterno di diversi elementi dato che non c'era alcunché che
assomigliasse ad una seduta analitica ufficiale. Quando l'impatto
esterno era troppo grande, la seduta doveva essere interrotta, ma
piccole distorsioni venivano prese in seduta come materiale di
ulteriore analisi, come ad esempio rumori da altre stanze se la seduta
aveva luogo, come accadeva di solito, in un piccolo appartamento
privato, o anche occasionali chiamate telefoniche a cui si doveva
rispondere. Era anche difficile stabilire un contratto buono e
affidabile con il paziente; le condizioni sotterranee non erano molto
adatte, ad esempio, per stabilire la regola del pagamento per le
sedute perse.
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Lascerò
ora questo resoconto storico che ritengo sia sufficiente per
illustrare il modo in cui il tema della realtà esterna era ed è
così importante per gli analisti cechi. Purtroppo, l'
importanza della realtà esterna non dice un granché del
concetto della realtà esterna. Facilmente diveniamo confusi se
gli aspetti epistemologici sono definiti in modo impreciso. Ad
esempio, se crediamo che la psicoanalisi possa soddisfare i
criteri della scienza odierna, in modo più o meno tacito
implichiamo il fatto che stiamo usando la situazione clinica come
la realtà esterna, come l'oggetto delle nostre osservazioni; ed
inferiamo le nostre ipotesi teoriche da queste osservazioni, e
modifichiamo le nostre teorie in relazione ai nostri cambiamenti
nell'interpretazione dei dati osservativi. Questo è ciò che ha
fatto Freud quando, ad esempio, abbandonò la teoria della
seduzione come causa della nevrosi. La teoria della seduzione era
importante come teoria della realtà sociale esterna, sebbene
limitata riguardo al campo patologico.
A questo punto sarebbe opportuna
una rassegna dei concetti psicoanalitici riferiti alla
realtà esterna: ad esempio, il concetto di Hartmann di "ambiente
mediamente prevedibile", o quello di Winnicott di "ambiente
facilitante", di "madre sufficientemente buona", ecc..
I concetti psicoanalitici della
realtà esterna sono perlopiù limitati agli oggetti primari, dato
che crediamo fortemente nell'importanza dei periodi precoci della
vita per la formazione della personalità. Sebbene ciò sia solo
parzialmente vero, sono convinto che altri oggetti ed altri spazi
(possiamo chiamarli oggetti secondari e spazi secondari) siano
anch'essi rilevanti. Ad esempio, sappiamo che gli Stati totalitari
nel XX secolo hanno cercato di sminuire il ruolo della famiglia
nella socializzazione dei bambini. Tali Stati hanno accentrato su
di sé molta influenza sull'educazione dei bambini utilizzando a
questo proposito gli asili d'infanzia, le scuole e varie
istituzioni pubbliche. Purtroppo, un tale lavaggio del cervello
ideologico ha avuto qualche successo e, ne sono convinto, fa avuto
come conseguenza lo sviluppo infausto di una patologia tipo falso
sé nella popolazione interessata da queste pratiche educative. Più
concretamente, ciò significa che le persone non possono sviluppare
in modo appropriato le proprie identità personali; esse sono
rimaste passive, conformiste, ritirate in se stesse, portatrici di
un senso di pericolo, tendenti alla dissimulazione quando esposti
all'autorità, ecc. Per questa ragione ritengo sia utile
descrivere, definire ed anche impiegare qualche altro concetto
della realtà esterna. Concetti quali "un mondo diviso", "confini",
"porte", "guardiani", "superficiale - sotterraneo" (in inglese:
"upper - under ground", nota del Traduttore), e naturalmente
la possibilità o l'impossibilità di movimento tra vari spazi,
possono essere interessanti per il pensiero psicoanalitico e ci
possono essere anche d'aiuto nel vedere meglio ciò che accade nel
processo psicoanalitico. Il concetto di oggetto totalitario può
costituire l'oggetto primario qualora esso sia rappresentato da un
genitore, ma può avere anche la qualità dell'oggetto secondario.
Esso può essere il potere statale, che penetra i legami familiari
ed anche quelli personali, e distrugge la capacità di pensare, di
sviluppare e di esprimere le emozioni. Nella seconda parte del mio
contributo esprimerò alcuni miei pensieri sull'oggetto familiare
che può essere anche un oggetto secondario, e che è un antidoto
molto importante per lo sviluppo della situazione totalitaria. I
cosiddetti guardiani (ad es., le autorità di controllo per gli
immigrati, i doganieri, i portieri, ma anche altre figure,
comitati ed istituzioni responsabili delle decisioni su chi far
entrare o meno, ecc.) sono detentori di un potere reale e al
contempo magico. La gente può entrare? E come uscire? E ci sono
delle "porte" nel trattamento psicoanalitico? Cosa accade con le
porte?
Dopo essere approdato negli USA
svariati anni fa, dovevo essere identificato come di routine da un
ufficiale addetto al controllo degli immigrati. Questi diede
un'occhiata al mio passaporto e disse che il tipo di visto che io
avevo non era confacente al proposito del mio viaggio che era il
soggiorno presso il Centro "Austen Riggs". Egli allora mi chiese
cosa significasse "Riggs", poiché il logo di "Riggs" (sulla
lettera di invito) non dava alcuna indicazione. Quando risposi che
era un "ospedale psicoanalitico", ciò improvvisamente gli permise
di diventare informale e sorridente. Mi disse che sua moglie
lavorava coi tossicodipendenti, e così egli non ebbe alcuna altra
obiezione nei miei confronti e mi lasciò andare. Purtroppo, cinque
minuti dopo avevo nuovamente problemi. I doganieri scoprirono nel
mio bagaglio una piccola salsiccia e di fronte a me la gettarono
nei rifiuti. Nessun cibo del genere era permesso negli USA. Essi
mi volevano addebitare una multa di 50 dollari ed io protestai.
Quindi, all'improvviso, uno dei doganieri mi chiese se io fossi di
Praga, e mi disse che i suoi genitori erano anch'essi di Praga.
Quindi mi fece andare senza farmi pagare alcunché.
Questi due episodi, tra loro
connessi, si possono interpretare in vari modi, ma sono
interessato perlopiù a due aspetti correlati: (1) il processo di
cambiamento da un'autorità esterna, formale e potente ad un'altra
contenitiva, erotizzante ed informale che è flessibile, ma allo
stesso tempo incapace di aderire in modo preciso alle regole ed
alle leggi; (2) un desiderio di trovare un'analogia tra gli
oggetti interni di una persona ed i suoi oggetti esterni, o anche
gli oggetti interni altrui. In breve, un desiderio di trovare
oggetti familiari nella realtà esterna. Ma le storie, quando
vengono ri-raccontate, hanno certe caratteristiche simili ai
sogni. Ad esempio, si può dire che io potevo entrare negli USA
perché la moglie di qualcuno, che non avevo mai incontrato,
lavorava coi tossicodipendenti. E non pagai la multa poiché i
genitori di qualcuno erano vissuti in qualche periodo del passato
nella mia stessa città. In più, la mia salsiccia era considerata
pericolosa per gli americani. Queste persone si erano salvate
grazie al doganiere che la gettò nella spazzatura. Nondimeno,
questi processi primari (agiti), al di là del processo della
legge, sono una parte importante di identificazione basata sulla
separazione di oggetti buoni da quelli cattivi. Per fortuna, fui
scelto come oggetto buono da entrambi gli ufficiali della dogana
grazie ad una capacità fortuita di rispecchiare o di rappresentare
i loro oggetti buoni. La mia salsiccia secca, essendo per
definizione l'oggetto cattivo, finì la sua esistenza nella
pattumiera.
Un analista britannico, Roger
Money-Kyrle (1947), che appartiene a quei professionisti del
passato che erano anche interessati ai processi sociali, scrisse:
<<Se queste due cose, l'oggetto
interno e quello esterno, non corrispondono da vicino, la società
diventa per noi qualcosa di altro rispetto agli individui; e se il
divario tra di essi è notevole, possiamo abbandonare gli individui
per abbracciare delle astrazioni; o piuttosto cerchiamo di
controllarli, in una modalità compulsiva ed onnipotente, per dei
presunti benefici. In una forma estremizzata, questa mancanza di
conformità tra l'oggetto interno e quello esterno porta
all'inganno totalitario che il bene dello Stato astratto venga
meglio servito sacrificando il bene di tutti i suoi concreti
cittadini>> (Money-Kyrle, 1947, p. 204).
Riesaminando entrambe le storielle
già menzionate, gli ufficiali che rappresentavano la legge e
l'autorità dotata di potere divennero meno oppressivi quando
scoprirono qualche analogia tra loro e me, o anche quando
trovarono qualcuno dei loro oggetti interni connessi con me
(essendo io un oggetto esterno per loro). Questo è anche il modo
in cui ogni autorità totalitaria può diventare meno totalitaria.
Money-Kyrle indica che crescenti differenze tra oggetti interni ed
esterni provocano un'onnipotenza totalitaria ed un controllo
compulsivo. Penso che questa sia la componente importante
dell'origine di ciò che chiamo l'oggetto totalitario (Sebek, 1996,
1998, 2001) e la situazione totalitaria. Una situazione
totalitaria è caratterizzata da un piccolo spazio esterno e da uno
interno in cui la porta reale o immaginaria è chiusa. Entrambi i
guardiani nelle situazioni prima citate sono in una posizione tale
da essere un'autorità formale che mantiene e rappresenta regole e
leggi impersonali. Se un individuo non si adatta a queste regole o
leggi, può essere arrestato o punito. In questo modo si può
sviluppare una situazione totalitaria. Ma entrambi i guardiani
erano probabilmente delle figure paterne abbastanza buone, ognuna
indipendentemente dall'altra capace di mantenere le regole e le
leggi all'interno di un contesto umano familiare, e di astenersi
dall'usare il loro potere assoluto per imporre possibili penalità.
Ciò si può considerare una normale situazione edipica o
post-edipica. Diminuendo il divario tra gli oggetti interni ed
esterni, cosa che io vedo come una sorta di erotizzazione
dell'intera situazione, queste figure conservano il loro volto
umano. Vedo anche in questa situazione una certa creatività:
qualcosa di veramente nuovo ed originale venne introdotto nel
quadro trovando oggetti familiari a livello della porta tra dentro
e fuori. Una capacità di fidarsi gioca un ruolo in parte in questa
più indulgente applicazione delle regole. Se questi ufficiali
statali avessero avuto paura di avvicinarsi alla mente individuale
di coloro che dipendevano da essi, essi avrebbero potuto creare
una situazione totalitaria. La situazione totalitaria
significherebbe che i rappresentanti del potere non darebbero
alcuna possibilità di accettare le menti individuali come
individui, e che chiunque con la minima irregolarità nel visto
verrebbe respinto, e che ognuno che fosse stato trovato con del
cibo pericoloso verrebbe multato. Un certo grado di sfiducia e di
paranoia, come espressione di maggiore differenza tra oggetti
interni ed esterni, è parte della situazione totalitaria. Il
concetto di oggetto totalitario può essere usato per descrivere il
potere che blocca il pensiero ed il dialogo, che offre solo
soluzioni pre-formate e comandi, e che non permette alcun
sostanziale sviluppo, impiegando l'ideologia, di qualsiasi tipo,
per la razionalizzazione di azioni sadiche utilizzate per
opprimere coloro che sembrano essere differenti. Inoltre, gli
oggetti esterni totalitari vogliono anche controllare lo spazio
interno delle persone. La paura della vicinanza e la sfiducia
operano in una tale situazione. Gli oggetti totalitari sono
inconsciamente interiorizzati come gli altri oggetti che vivono
nello spazio esterno ed accessibile. I concetti di Money-Kyrle sul
divario tra oggetti interni ed esterni indicano indirettamente
l'esistenza di un aspetto molto importante per la nostra vita
interiore: c'è una qualche spinta nel trovare nella realtà
esterna ciò che consciamente, ed anche inconsciamente, ci
aspettiamo, e ciò deriva dagli oggetti interni e dalle loro
relazioni. Quando incontriamo un nuovo oggetto esterno, cerchiamo
di identificare qualcosa di familiare con noi, che sia scoperto
dai processi percettivi o che sia proiettato al di fuori del
nostro spazio interno. Un senso di somiglianza può avere una
qualità psicotica quando prevalgono i processi proiettivi. Non
esagero nel suggerire la possibilità che tutti gli individui in
condizioni normali si sforzino di cambiare i loro oggetti esterni
per renderli più simili ai loro oggetti interni. Perciò il
mondo esterno rispecchia quello interno, o dà un senso o un
significato alla realtà psichica. Il divario tra oggetti esterni
ed interni può essere ridotto dal processo di identificazione, e
dalle proiezioni ed introiezioni per quanto queste sono parte del
processo di identificazione. Così, gli oggetti familiari ci
proteggono dalle situazioni totalitarie e hanno un'importante
influenza nel regolare l'equilibri tra un individuo e la sua
realtà esterna. Per inciso, gli oggetti familiari sono un
importante mezzo di sopravvivenza in una società totalitaria, come
ad esempio l'avere una rete sociale che si conosca e su cui si
possa contare, e che possa anche aiutare. Alcuni divari tra
oggetti interni ed esterni sono necessari per la protezione dei
confini del sé. I divari quindi sembrano avere una qualità
dinamica; inconsciamente monitoriamo e regoliamo questi divari
nella nostra vita quotidiana. Insomma, trovare vicinanza con gli
oggetti simili è la via più facile per stabilire una relazione
significativa, una nuova struttura psichica che si mantiene nella
memoria a lungo termine. Può darsi che in qualche futura occasione
l'ufficiale addetto all'immigrazione si ricorderà non solo di me
attraverso il lavoro di sua moglie coi tossicodipendenti, e che il
doganiere potrà ricordarsi non solo di me, ma anche della mia
salsiccia a causa dei suoi genitori giunti negli USA da Praga.
Le somiglianze ed i divari tra
oggetti esterni ed interni sono onnipresenti nel processo
psicoanalitico. Ad esempio, ci sono situazioni in cui avvertiamo
che il paziente sia in qualche modo distante da noi,
inaccessibile: potremmo persino pensare non analizzabile.
Certamente utilizziamo il controllo sulla nostra porta d'ingresso
quando cerchiamo di selezionare i pazienti per la psicoanalisi
oppure per il "training" psicoanalitico, ma il più delle volte
conosciamo fin troppo bene le limitazioni di tutte le prime
interviste. L'ampio divario tra l'analista ed il paziente può
creare una situazione totalitaria ed una soluzione nel processo
psicoanalitico: ad esempio, il terapeuta meno esperto può tentare
di spingere il paziente a diventare più "analitico" o a cessare
l'analisi; mentre quello più esperto sarebbe in grado di studiare
i sentimenti di controtransfert e di scoprire che il paziente
distante sta tentando di nascondersi in qualche sotterraneo
mentale.
Quando sceglie il terapeuta,
qualche paziente lo seleziona unicamente nel sesso opposto oppure,
al contrario, solo dello stesso sesso. Così l'analisi già parte
come il processo in cui il sesso dell'analista e del paziente sono
indicazioni, come a me sembra, del ponte tra due realtà interne,
che stanno l'una di fronte all'altra nella relazione delle realtà
interne ed esterne (il paziente è esterno all'analista, e
l'analista è esterno al paziente). Una paziente pensava di aver
scelto me perché si era trovata sempre meglio con gli uomini,
cominciando già molto presto con suo padre. In questo modo ella
pensava che gli uomini fossero più vicini rispetto alle donne ai
suoi oggetti familiari con cui poteva comunicare.
Alcuni pazienti analizzati in una
lingua straniera talora riferiscono una distanza o un divario tra
il loro mondo interno ed il mondo dell'analista che parla la sua
lingua nativa. Sia l'analista che il paziente sono rinchiusi
nei loro rispettivi linguaggi attraverso cui parlano i loro
oggetti interni. L'analisi va sempre avanti, anche in queste
condizioni, ma non dovremmo confondere le resistenze con le
distanze. Le distanze sono distanze. Un paziente mi disse che
poteva piangere sul divano solo nella sua lingua originaria. Il
suo analista di lingua inglese non capiva. Quando il paziente
traduceva il contenuto traumatico in inglese, non riusciva a
piangere. Si sentiva distaccato, nonostante il fatto che
l'analista gli mostrasse empatia. Il paziente sentiva che c'erano
alcune parti della sua esperienza traumatica che non era possibile
tradurre. Per impiegare la metafora della porta, c'era una porta
del discorso attraverso cui si può solo portare una quantità
limitata di "bagaglio", ed alcune sfumature semantiche non possono
essere mai riconosciute e comprese poiché sono impacchettate nel
loro specifico linguaggio.
Ci sono altri esempi di divario,
che sono parti delle dinamiche del processo psicoanalitico. Quando
un paziente entra in seduta, può fare un'osservazione del tipo:
<<Lei [l'analista] sembra come se fosse di malumore oggi, o lei è
stanco?>> Oppure: <<Lei sembra carino oggi, indossa qualcosa di
nuovo?>> Il paziente talvolta ha ragione, nel qual caso ciò
è più percezione che proiezione. Certamente non sembriamo sempre
allo stesso modo, ed alcuni pazienti sono estremamente sensibili
mentre passano dalla porta al divano. Ancora una volta la
questione è se la nostra apparenza combaci o meno con la realtà
interna o con la fantasia inconscia del paziente, oppure quale sia
il divario tra realtà interna ed esterna. Un piccolo esempio
clinico: un paziente mi disse all'inizio della seduta che sembravo
stanco. Aveva piuttosto ragione, mi sentivo davvero stanco, ma
egli aggiunse che anche lui si sentiva stanco, e suggerì
semplicemente di non far nulla in seduta. Fui rapidamente guarito
della mia pena e proposi che egli considerasse l'interessante tema
del "non fare nulla". Ma egli mi diede una lezione su quanto sia
importante tenere in mente la differenza tra proiezione e
percezione nel processo analitico. (Non c'è anche un qualche
divario tra una vita "normale" e la situazione analitica? Nelle
situazioni della vita normale le persone non pensano di
proiettare, ma credono di percepire. Nella situazione analitica
spesso dimentichiamo che anche i pazienti percepiscono e non solo
proiettano).
Gli incontri psicoanalitici ed il
lavoro nella diade sono anch'essi fortemente influenzati dalla
tendenza a ridurre un divario tra il mondo interno del paziente e
quello dell'analista. Quando il paziente ha scoperto che al suo
analista piace ascoltare ed analizzare i sogni, egli conosce una
delle "porte" attraverso cui entrare nell'analista. Allora
l'analista può ricevere abbondanza di sogni, talora troppi. Il
concetto di transfert è basilare per comprendere la tendenza del
paziente a creare un mondo familiare in psicoanalisi.
Potenzialmente, l'analista è capace di farsi carico del ruolo
storico ed attuale degli oggetti interni del paziente. Infatti,
suppongo che questa tendenza a ridurre il divario tra oggetti
interni ed esterni vada oltre ciò che si concepisce essere di
solito il transfert, dato che è un aspetto delle normali relazioni
quotidiane: ad esempio, la vicinanza della coppia quando ci si
riferisce all'identificazione genitale che coinvolge simultanee ed
intense identificazioni con il ruolo sessuale proprio di ognuno
dei due e con il ruolo complementare dell'oggetto durante il
rapporto sessuale. Gli adulti normali hanno una capacità di
entrare in un'altra persona e di diventare una sola cosa con essa.
Ci sono molti oggetti familiari
nella cultura che entrano nel processo psicoanalitico. Alcuni
possono temporaneamente disturbare la terapia: può succedere nella
nostra cultura che il paziente non venga alla seduta regolare
poiché egli entri in conflitto con un importante incontro di
hockey su ghiaccio alle Olimpiadi. Il paziente può rifiutarsi di
pagare la seduta mancata perché presume che anche l'analista
stesse guardando l'incontro (ognuno - essendo "normale" - lo
guarda).
La grande differenza o il grande
divario tra oggetti interni ed esterni (o con gli oggetti degli
altri) crea una tensione e può portare ad una soluzione
totalitaria nelle relazioni sociali. Una tendenza libidica
generale a diminuire il divario tra oggetti di individui trovando
oggetti familiari è un importante pietra da costruzione in tutte
le relazioni umane partendo, probabilmente, dalla nascita. Anche
le relazioni psicoanalitiche tra paziente e terapeuta sono
caratterizzate dalla convergenza o anche dalla divergenza di
relazioni oggettuali, cosa che va oltre il transfert ed il
controtransfert nonché la resistenza normalmente intesi.
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BIBLIOGRAFIA
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