Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Rivista di Psicoanalisi Neuro-evolutiva  

  Home Frenis Zero

        

 

 

  "LA TEORIA NEUROPSICOANALITICA DEL TRAUMA DI ALLAN SCHORE"

 

 

 

 

 

 di Eric Stremmler

 

    Foto: Allan N. Schore

 

 

 

 


 

In occasione dell'uscita in italiano del libro edito da Astrolabio "La regolazione degli affetti e la riparazione del sé", vogliamo proporre questo testo di Eric Stremmler tratto da un Seminario di "Filosofia e storia della medicina mentale" tenuto all'Università Paris I nell'anno accademico 2007-2008. Si ringrazia il curatore francese Pierre-Henri Castel, nonché l'autore per aver acconsentito alla sua pubblicazione in versione italiana su "Frenis Zero". La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

Note introduttive ai problemi della neuropsicoanalisi

 

Alla questione del perché la psicoanalisi non abbia de facto integrato l'ambito delle scienze cognitive nell'ultimo quarto del XX  secolo, una parte fondamentale della risposta potrebbe venire da uno studio epistemologico, come complemento di uno studio storico così come l'ha invocat Nicolas Georgieff, professore di psichiatria, psicoanalista e membro dell'Istituto di Scienze Cognitive di Lione. La questione di Georgieff è eminentemente pertinente dato che i suoi lavori così come quelli dei primi neuropsicoanalisti anglo-sassoni tenderebbero a mostrare che il Freud pre-analitico sarebbe stato, in qualche modo, il primo autentico cognitivista. Quel Freud è un Biologo dello spirito, o ancora un Cristoforo Colombo delle neuroscienze  come ci viene presentato d'ora in avanti. In modo più specifico, è nell'Entwurf, opuscolo confinato nella corrispondenza con Wilhelm Fliess, che ci viene assicurato si trovino gli embrioni della teoria olografica del cervello, dei circuiti di retro-propagazione cibernetica, o ancora della neuro-chimica delle emozioni.

Ho mostrato in un lavoro sulla storia della neuropsichiatria che è allo scopo di aprirsi un passaggio verso le scienze cognitive e di rompere un isolamento mortifero - in particolare negli Stati Uniti - che un gruppo di psicoanalisti ha deciso di prendere il toro per le corna, negli anni '90, associandosi a dei neurobiologi prestigiosi. Tali neurobiologi non erano in partenza tutti favorevoli ad un tale avvicinamento. Tuttavia, alla fine giunsero a confortare la credibilità scientifica della disciplina seriamente compromessa dalle Freud Wars.  Ho soprattutto indicato che non si trattava unicamente di considerare un avvicinamento alle neuroscienze, ma anche all'intelligenza artificiale e, in una misura minore, alla filosofia dello spirito. Il movimento neuropsicoanalitico mira in qualche modo ad integrare la psicoanalisi in quanto a disciplina a pieno titolo all'interno del campo delle scienze cognitive moderne.

La sua intrinseca razionalità, messa in primo piano da Georgieff, non sarebbe più sufficiente, ma sarebbe necessario, costi quel che costi, che la psicoanalisi si riagganci al treno delle neuroscienze cognitive pena la sua scomparsa.

Allora, dopo quindici anni di neuropsicoanalisi, perché la psicoanalisi non ha acquisito diritto di cittadinanza tra i cognitivisti?

La risposta attraverso la spiegazione storica mi sembra parziale. C'è da scommettere che uno studio filosofico faciliterà la messa in evidenza dei problemi epistemici, ontologici e metodologici che fanno sì che non sia assolutamente garantito che le spiegazioni neuroscientifiche possano sovrapporsi o articolarsi con quelle psicoanalitiche per accrescere l'intelligibilità del processo esplicativo del funzionamento della psiche in generale e del suo funzionamento patologico in particolare.

Il trauma è uno dei temi fondamentali studiati da questa nuova disciplina. Se non è sempre apparso appannaggio della clinica neuropsicoanalitica propriamente detta, numerosi lavori teorici hanno potuto fornire un resoconto di un tentativo di integrazione della teoria psicoanalitica del trauma con gli ultimi progressi neuroscientifici sul tema, in particolare sui disturbi legati alla sindrome da stress post-traumatico (PTSD). Propongo di portare avanti questo primo studio epistemologico della neuropsicoanalisi sul trauma, e più in particolare sul lavoro fondamentale effettuato da una quindicina d'anni da Allan N. Schore in questo campo. Di tutti i neuropsicoanalisti, Schore è senza dubbio quello che ha sviluppato la più riuscita teoria generale del funzionamento psichico, e soprattutto di quello patologico. La sua teoria del trauma psichico è considerevolmente sviluppata, anche se, e questa considerazione ha la sua importanza, ci dovrà trasportare in un universo che, sebbene originariamente radicato in Freud, sarà piuttosto lo spazio immaginario che si potrà tessere esaminando i lavori di Heinz Kohut, di John Bowlby e di Antonio Damasio.

  Foto: Antonio Damasio

 

Cosa caratterizza la specificità dell'approccio neuropsicoanalitico del trauma in rapporto a quello freudiano?

In Freud, si hanno le due tendenze, una molto neurologica (esso lascia tracce nel cervello e queste vengono ripercorse dal sogno traumatico, dagli agiti compulsivi e dai deliri), ed un'altra che diluisce l'evento scatenante nella reviviscenza dei traumi infantili, essi stessi un po' traumatici alla luce delle capacità dell'adulto, e di natura <<sessuale>>, con tra i due un fattore interno mediatore, il fantasma.

Dunque, si possono tirare le cose da entrambi i sensi. La neuropsicoanalisi cerca allora non di assumere questa tensione, ma piuttosto di riassorbirla in una sintesi superiore?

Questo studio dovrà permettere di avvicinare l'impegno epistemologico della neuropsicoanalisi sotto più punti di vista. Molteplici piste di riflessione si possono intravedere, ma le riassumerei in una sola frase: la neuropsicoanalisi sfoggia un'autentica pretesa scientifica oggettivante o invece non è altro che un tentativo piuttosto normativo di sviluppare un linguaggio comune tra la psicoanalisi e le neuroscienze?

E' in tre parti distinte che intravedo questa prima esplorazione.

In un primo tempo, fornirò un resoconto sintetico della teoria psiconeurobiologica del trauma sviluppata da Schore. Ho ritenuto che tre siano i punti essenziali della sua teoria e della sua clinica:

1. gli effetti del trauma relazionale sullo sviluppo del cervello destro;

2. le conseguenze del trauma relazionale precoce sulla regolazione degli affetti;

3. la nuova psicologia schoriana del Sé e la psicoterapia psicoanalitica evolutiva.

In una seconda parte, esaminerò un bel po' di questioni epistemologiche concernenti la teoria e la clinica del trauma, sviluppate da Schore. Mi riferirò in particolare al trattamento degli affetti e delle emozioni, quindi alle ragioni ed alle cause traumatiche, ed infine mi chiederò quali prove metta a disposizione la "neuro-imaging" funzionale nella sua teoria.

In un'ultima parte, menzionerò rapidamente in che modo il programma epistemologico della neuropsicoanalisi sembri, di fatto, corrispondere al programma di sviluppo delle conoscenze elaborato all'inizio del XX secolo da Moritz Schlick. Terminerò, allora, su una proposizione formulata attorno alla necessità di introdurre l'epistemologia psicoanalitica elaborata da Akeel Bilgrami in questo dibattito sulla neuropsicoanalisi.

 

 

 

La teoria neuropsicoanalitica del trauma di Allan Schore

 

Prima di prendere cognizione dei punti cardinali della teoria schoriana del trauma, mi sembra necessario fermarci un istante sull'introduzione al suo lavoro, consegnato alle sue due opere "Affect Regulation and the Repair of the Self" e "Affect Dysregulation and Disorders of the Self".

     

 

Vi si trova la sua teoria del trauma, ma anche la sua concezione generale della neuropsicoanalisi in quanto psiconeurobiologia delle funzioni e disfunzioni umane. Attorno ai due concetti chiave che sono l'attaccamento e la regolazione degli affetti nella sua teoria generale del funzionamento psichico, e della psiche traumatizzata in particolare, si troveranno esposte in maniera assai chiara le sue posizioni sui suoi riferimenti (e preferenze) analitici kohuttiani e bowlbyani, la sua sconfessione della metapsicologia freudiana, la sua fede nelle neuroscienze dell'emozione per come si sono sviluppate in ricercatori come Antonio Damasio, Jaak Panksepp o Joseph LeDoux, il suo essere affascinato dalle tecniche di "neuro-imaging" funzionale e, da un punto di vista più concettuale, come e dove egli situi la psiche nel cervello dei suoi pazienti traumatizzati.

Il lavoro effettuato da Schore sul trauma può essere considerato, allo stesso tempo, come la base di questa teoria generale della psiconeurobiologia delle funzioni e disfunzioni umane e come la sua maggiore estensione.

In primo luogo, ricorderò come Schore metta in evidenza una coincidenza interessante per la psicoanalisi descrivendo come il trauma relazionale precoce modelli il cervello del bambino molto piccolo. Proseguirò rientrando nel meccanismo dell'attaccamento traumatico e della psicopatogenesi dei disturbi legati alla sindrome post-traumatica da stress. Affronterò quindi la regolazione degli affetti nelle situazioni in cui essa è perturbata da un trauma relazionale precoce. Concluderò questa recensione descrivendo come Schore sia portato a sottoscrivere che il cervello destro sia certamente il substrato neuronale dell'inconscio freudiano. Concluderò questa parte considerando le implicazioni cliniche e terapeutiche proposte da Schore che, seguendo Heinz Kohut, avanza verso una nuova psicologia del Sé ed una psicoterapia evolutiva di ispirazione psicoanalitica.

Occasionalmente, correderò la mia recensione degli apporti e delle proposte di Louis Cozolino e di John Gedo sulla teoria neuropsicoanalitica del trauma. Questi due ricercatori si iscrivono volontariamente nella corrente del pensiero di Schore.

Distinguerò questo gruppo dagli altri neuropsicoanalisti che hanno pubblicato sulla questione del trauma, sottolineando nei primi una coerenza ed una unità concettuale che non si ritrova (ancora) nei loro colleghi. Esiste, fuori da questo trio, una decina di lavori sufficientemente importanti sul trauma per essere menzionati, ma il loro statuto embrionario mi invita a pensare che sia giustificato dare priorità immediata a Schore, Cozolino e Gedo.

Gli effetti del trauma relazionale sullo sviluppo del cervello destro

 

Schore trae dall'insegnamento di Bowlby, all'incrocio tra la biologia e la psicoanalisi dello sviluppo, due ipotesi fondamentali:

1. la relazione detta d'attaccamento si gioca direttamente sulla <<capacità di gestire lo stress>>.

2. l'esistenza di un <<sistema di controllo>> situato nel cervello del bambino serve a regolare le funzioni dell'attaccamento. Secondo Schore, <<l'attaccamento è più di un comportamento manifesto, è interno, in costruzione nel sistema nervoso, e deriva dall'esperienza del bambino nelle sue transazioni con la madre>>1  .

Il prerequisito della sua teoria del trauma, elaborata alla fine degli anni 90, era di confermare che esistessero degli stati transazionali di attaccamento in termini di sincronia affettiva. Tali stati - positivi o negativi - sono regolati in modo interattivo dalla persona che dispensa le cure materne al bambino.

CITAZIONE N.2: <<Ho affermato che nelle transazioni di attaccamento con sincronia affettiva, il "caregiver" sintonizzato psicobiologicamente regola in modo interattivo gli stati positivi e negativi del bambino, così co-costruendo un ambiente facilitante la crescita per la maturazione dipendente dall'esperienza di un sistema di controllo nel cervello destro del bambino. Il corretto funzionamento di questo sistema di "coping" è centrale per la capacità in espansione del bambino di auto-regolazione, per l'abilità di regolare flessibilmente gli stati emotivi stressogeni attraverso interazioni con gli altri esseri umani (regolazione interattiva in contesti interconnessi) e senza gli altri (autoregolazione in contesti autonomi). La capacità adattativa di passare tra queste due modalità binarie di regolazione, in dipendenza del contesto sociale, è un indicatore dello sviluppo emotivo sociale normale. In questo modo una relazione di attaccamento sicuro facilita lo sviluppo del cervello destro, promuove un'efficiente regolazione affettiva e permette la salute mentale del bambino in senso adattativo>>5   .

Una volta acquisita questa premessa, Schore si poggia su questa base per mettere in prospettiva gli effetti che potrà generare una relazione madre-bambino traumatica sulla crescita dell'emisfero destro del bambino. Sarà in seguito a causa di questa crescita disfunzionale che una moltitudine di disturbi psicopatologici - tra cui la sindrome post-traumatica da stress - potranno, se così si può dire, venire a situarsi nella testa del bambino, dell'adolescente o del futuro adulto. Comprendo da Schore che se si sviluppa, suo malgrado, una predisposizione  alla malattia mentale, quest'ultima vi ricadrà un giorno addosso provenendo dall'esterno attraverso la mediazione di un evento estremo:

CITAZIONE N.3 <<Nel senso più ampio, questo lavoro utilizza una prospettiva psiconeurobiologica per tentare di spiegare in che modo gli eventi esterni possono avere un impatto sulla struttura intrapsichica e sullo sviluppo dei bambini già gravati da un alto rischio psico-sociale>>.

Ci si deve concentrare in primo luogo su questo primo evento che è la relazione traumatica imposta a suo figlio da parte della madre non protettiva o maltrattante. Sono i danni causati da questa relazione diadica problematica precoce sul substrato neuronale del cervello destro del bambino che Schore tiene a spiegare in apertura della sua teoria del trauma. Dal sesto mese di gravidanza fino alla fine del secondo anno, il cervello destro del bambino sarà anatomicamente predominante su quello sinistro.

La corteccia destra che arriva alla maturità prima della sinistra diviene quindi il principale attore (per non dire il ricettacolo) delle esperienze sociali precoci. Di nuovo, viene usato un linguaggio cibernetico per render conto di queste interazioni da cervello a cervello:

CITAZIONE 4: <<Il bambino sta usando l'output della corteccia destra della madre come un modello per l'imprinting - il complesso insieme di circuiti nella sua (del bambino) corteccia destra che verrà a mediare le sue capacità affettive in espansione. [...] In questi interscambi la madre sta "scaricando dei programmi" dal proprio cervello in quello del bambino>>6   .

Schore cita una moltitudine di lavori di "imaging" anatomica cerebrale che confermano questo fatto perturbante (cfr. F. Parot!). L'effetto è effettivamente perturbante dato che l'evoluzione dell'accrescimento anatomico del cervello del bambino coinciderà con svariate tappe essenziali dello sviluppo psichico del bambino e dell'adolescente nel modo in cui ha potuto essere concepito dalla psicoanalisi ed in particolare da Freud. Psicoanalisti come Kohut e Bowlby, d'altronde, non avrebbero fatto altro che rinforzare tale fermento interessandosi in modo più particolare di quanto non l'avesse fatto Freud alla vita psichica pre-edipica.

Schore considera come un elemento essenziale l'aspetto fisiologico dei postulati di Kohut che stabiliscono che il cruciale mantenimento del bambino all'interno di un equilibrio omeostatico dipende direttamente dalle sue interazioni diadiche reciproche coi suoi oggetti-sé. Eppure, nulla può garantire che Kohut avrebbe lui stesso considerato questi postulati come derivanti dalla fisiologia. Cosa che, senza alcun dubbio, fa dire a Schore che gli oggetti-sé agiscano come dei <<regolatori psicobiologici esterni>>, potendo agire anche a dei livelli infra-semantici, al di sotto dei livelli attentivi coscienti, per <<co-creare degli stati di coesione e di vitalizzazione massimali>>. E' questo il punto di partenza dell'incontro di Schore con Kohut.  La concezione di Schore del trauma deriva dalla disregolazione di questo <<momento>> kohutiano. L'apporto principale di Schore è la sua messa in forma neurobiologica.

  Foto: John Bowlby

L'attaccamento su cui ha lavorato Bowlby è concettualizzato da Schore come <<la trasformazione di una regolazione esterna in una regolazione interna>>. Egli intravede questa progressione come un accrescimento di complessità dei sistemi cerebrali in maturazione responsabili della regolazione adattativa delle interazioni tra l'organismo che si sviluppa e l'ambiente sociale. E' la regolazione delle emozioni nell'esperienza diadica madre-bambino che fornisce il quadro di questa maturazione cerebrale.

Schore si basa, oltre alle proprie ricerche, sui lavori di parecchi neurobiologi per affermare che solo dei legami di attaccamento stabili possono fornire il quadro di uno sviluppo neurobiologico soddisfacente. Questa crescita neurobiologica sana permette al bambino di sviluppare delle capacità di coping (gestione adattativa delle situazioni) che influenzano direttamente la salute mentale del bambino, e poi dell'adulto.

All'opposto di questo scenario, la madre, o la nutrice, abusante non solo si impegna di meno nel gioco, ma soprattutto rinforza gli stati affettivi negativi che Schore designa come traumatici.

CITAZIONE 5 <<Poiché l'attaccamento della madre è debole, essa fornisce poca protezione nei confronti di altre persone potenzialmente abusanti nei confronti del bambino, come ad esempio il padre. Questa dispensatrice di cure è inaccessibile e reagisce alle espressioni di emotività e di stress da parte del bambino in modo inappropriato e/o respingendolo, e mostra una minima o imprevedibile partecipazione nei vari tipi di processi di regolazione dell'"arousal". Invece di modulare, la madre induce dei livelli estremi di stimolazione e di attivazione ("arousal"), o troppo alti nell'abuso o troppo bassi nella negligenza, e poiché non fornisce alcuna riparazione gli stati emotivi intensamente negativi del bambino durano a lungo. Tali stati sono accompagnati da gravi alterazioni nella biochimica del cervello immaturo, specialmente nelle aree associate allo sviluppo delle capacità di coping del bambino>>7   .

Stimolazioni emotive particolarmente intense, e fuori luogo, hanno dunque per conseguenza una ben nota perturbazione  delle reazioni biochimiche del giovane cervello. Questo disordine biochimico scatenerebbe la modificazione patologica del funzionamento di un sotto-organo, o di una sotto-parte del cervello, quello necessario allo sviluppo delle capacità di coping del bambino. Tocchiamo qui il cuore della teoria di Schore del trauma: l'abuso emotivo prolungato è il cardine del trauma infantile. A tale scopo, Schore precisa che tale abuso, in generale, è stato subito prima dei due anni d'età, quindi circa due anni prima dell'apparizione dell'Edipo freudiano. Schore insiste:

CITAZIONE 6 <<Il trauma indotto dalla persona che dispensa le cure è qualitativamente e quantitativamente potenzialmente più patogenetico di ogni altro fattore stressogeno sociale o fisico>>8   .

Schore ritiene che oggi è possibile comprendere Kohut grazie alla neurobiologia delle emozioni e dello sviluppo. Ad esempio, egli riconosce nelle descrizioni e nelle spiegazioni di ricercatori come Panksepp o Damasio un parallelo con il meccanismo kohutiano di <<mirroring>>:

CITAZIONE 7 <<Ora possiamo capire il meccanismo del <<mirroring>> di Kohut. Il volto umano è uno stimolo unico per l'espressione di informazioni significative da un punto di vista biologico. Gli studi psicobiologici sull'attaccamento mostrano che nello sguardo reciproco il volto materno scatena alti livelli di oppioidi endogeni nel cervello in crescita del bambino. Queste endorfine, prodotte nella parte anteriore dell'ipofisi, sono biochimicamente responsabili delle qualità piacevoli dell'interazione sociale e dell'attaccamento dato che agiscono direttamente sui neuroni dopaminergici  nei centri sottocorticali per la ricompensa del cervello del bambino che sono responsabili dell'innalzamento dell'"arousal".  Promuovendo un appaiamento simbiotico tra il sistema neuro-endocrino maturo della madre e quello immaturo del bambino, vengono elicitate delle risposte ormonali  che stimolano il bambino ad entrare in un analogo stato di innalzato "arousal" del sistema nervoso centrale, di attività del sistema nervoso simpatico, di conseguente eccitamento e di emozioni positive>>9    .

Se non è certamente scorretto passare da tali eventi alla scala neurobiologica del cervello del bebé, questo processo non può, secondo me, dar conto di qualcosa di più profondo, e di irraggiungibile che è il gioco del linguaggio centrato sul bebé, ed i suoi effetti sugli atteggiamenti proposizionali del lattante (i suoi desideri, le sue credenze), come anche i suoi fantasmi in costruzione.

Il linguaggio propriamente detto si trova rifiutato dalla neuropsicoanalisi? Non è così certo, ma è giunto il tempo di sottolineare che un tratto essenziale di tutta l'analisi di Schore è il suo mettere davanti la comunicazione ed il transfert non verbale. Come lo si vedrà dopo, il <<bersaglio>> del processo terapeutico che lui e Cozolino raccomandano si trova ad essere l'insieme dei fasci di reti neuronali da attivare anziché lo stesso contenuto di ciò che viene detto (o ascoltato) per mettere in attivazione questi insiemi neuronali. Sembrerebbe che ciò che accade a livello infra-semantico sia veramente più importante di ciò che è propagato dalla parola.

 
Conseguenze del trauma relazionale precoce sulla regolazione degli affetti

Schore considera la relazione d'attaccamento come il regolatore dell'eccitabilità, e ne fa derivare il fatto che <<l'attaccamento è, essenzialmente, la regolazione diadica dell'emozione>>. Le interazioni emozionali precoci influenzano quindi direttamente l'organizzazione dei sistemi cerebrali che regolano l'affetto (e la cognizione). Schore presenta allora il suo modello neurobiologico evolutivo dell'attaccamento:

CITAZIONE 9 <<Nel proporre un modello della neurobiologia evolutiva dell'attaccamento ho proposto che le esperienze di attaccamento dell'infanzia sono immagazzinate nella memoria implicita nell'emisfero destro a maturazione precoce. La memoria implicita è una memoria a funzione di regolazione, e così i modelli di elaborazione ("working") inconscia della relazione di attaccamento codificano le strategie della regolazione affettiva per far fronte allo stress, specialmente a quello interpersonale. Per il resto della vita queste rappresentazioni interne sono rese accessibili come guide per le future interazioni, ed il termine "working" si riferisce all'uso inconscio da parte dell'individuo di esse per interpretare ed agire sulla base di nuove esperienze>>.

Per Schore, la disregolazione degli affetti ha una duplice origine: l'abuso e la negligenza. Penso che non sia falso presumere che per lui il trauma possa equivalere a questa disregolazione degli affetti. Tale deregolazione si materializza in ciò che Schore chiama una relazione sociale (cfr. A. Erhenberg). Quando quest'ultima è cattiva o deteriorata e coinvolge il bambino, vi si vede il <<fattore di stress>> più potente di tutta l'eziologia traumatica.

CITAZIONE 10 <<E' dimostrato che i fattori di stress sociale sono di gran lunga più dannosi rispetto agli stimoli avversativi non sociali (Sgoifo et al., 1999), e perciò l'attaccamento caratterizzato dal "trauma relazionale" proveniente dall'ambiente sociale ha un impatto più negativo sul cervello del bambino rispetto agli attacchi provenienti dall'ambiente fisico non umano o inanimato>>10    .

Questo punto di vista non è privo di interesse poiché Schore situa chiaramente l'origine del trauma all'esterno - nel sociale. Tuttavia, è necessario prendere qualche precauzione poiché, molto velocemente, delle cause <<sociali>> si trasformano in cause naturali interne. In qualche modo, la cattiva relazione sociale della diade madre-bambino sarebbe la causa ultima di un Disturbo post-traumatico da stress (PTSD), dal momento che l'impronta neuronale dell'emisfero destro diverrebbe una causa prossima del PTSD. L'evento estremo scatenante come lo scoppio di una bomba o una violenza sessuale (subita da parte di un adulto) non sarebbe che un'altra causa prossima. Per riassumere, si avrebbe quindi una causa ultima situata in una relazione madre-bambino abusante o di negligenza che indurrebbe uno stato neurologico quasi permanente che si rivelerebbe essere una causa prossima (interna) del trauma dopo l'incontro del cervello destro danneggiato con una causa prossima esterna. Curiosamente, l'incontro tra due cause prossime interne non sembra essere considerato  come si potrebbe tipicamente verificare in un caso di isteria.

 Gli intoppi incontrati dal sistema di regolazione degli affetti che conducono al PTSD del bambino, quindi poi dell'adulto, sarebbero il marchio di ciò che Schore chiama un fenomeno di de-evoluzione dei circuiti limbici del cervello destro. L'effetto a lungo termine del trauma precoce sarebbe così l'arresto dello sviluppo degli affetti. Questa de-evoluzione potrebbe quindi condurre all'apparizione di un ampio spettro di disturbi come gli stati limite, certe psicosi, e predisporre l'individuo a comportamenti violenti.
 

Verso una spiegazione dei disturbi di personalità borderline ed antisociale

 

Secondo Cozolino, <<il Disturbo Borderline di Personalità (BPD)2   si può concepire come una variante di un complesso PTSD>>. I dati probanti che lo hanno spinto a pronunciarsi in tal modo sono l'abuso precoce, il trauma e l'apparizione di sintomi dissociativi frequentemente evidenziati in questi individui. I pazienti con BPD si caratterizzano per: un'ipersensibilità ad un abbandono reale o immaginario, disturbi dell'identità personale, relazioni intense ed instabili, un'alternanza tra idealizzazione e svalorizzazione di se stessi e degli altri, comportamenti compulsivi, rischiosi ed automutilanti.

E' il sostegno della spiegazione neurobiologica che, da una parte, permette a Cozolino di assimilare questo disturbo a un trauma del tipo PTSD, quindi in seguito di pensare che la spiegazione neurochimica della sua etiologia gli conferisca una credibilità superiore, ossia vera. A proposito del BPD, Cozolino - in quanto terapeuta - si vede <<come una rete neuronale esterna che favorisce l'integrazione delle reti sottratte  allo sviluppo>>!

Ecco un esempio tipico di spiegazione psiconeurobiologica come la si può incontrare spesso in Schore o in Cozolino. Si tratta, quindi, di descrivere, più o meno minuziosamente, la catena di eventi che hanno condotto un soggetto ad automutilarsi. Lo psichismo del paziente non è evocato e la spiegazione fondamentale risiede in realtà negli scambi interattivi tra substrato neuronale e neurotrasmettitori.

CITAZIONE 11

<<1. I sistemi di memoria dell'amigdala sono traumaticamente predisposti durante le prime esperienze di attaccamento per reagire ad ogni possibile indicazione di abbandono per mezzo dello scatenarsi, a livello del sistema simpatico, di reazioni tipo attacco o fuga e dell'incremento dei livelli basali di noradrenalina e degli ormoni dello stress.

2. I sistemi orbitofrontali si sono inadeguatamente sviluppati durante l'attaccamento in modo da impegnarsi in attività di auto-rassicurazione e di inibizione dell'attivazione dei circuiti dell'amigdala per la paura.

3. I sistemi orbitofrontali sviluppano tracce separate di esperienze positive e negative che non sono mai integrate.

4. La dissociazione orbitofrontale può dar luogo ad una disconnessione tra emisfero destro e sinistro e nei processi di elaborazione dal basso verso l'alto e viceversa, in parte spiegando  i rapidi e radicali passaggi tra valutazioni positive e negative delle relazioni interpersonali.

5. Le reti del cervello sociale sono incapaci di interiorizzare immagini provenienti dalle prime interazioni con il caregiver allo scopo di dare auto-rassicurazione e regolazione degli affetti.

6. Le rapide fluttuazioni tra stati a dominanza del simpatico ed altri del parasimpatico conducono ad una irritabilità di base ed a risposte di sopravvivenza (mediate dal simpatico) di fronte ad un abbandono reale o immaginario.

7. Alti livelli cronici di ormoni dello stress compromettono il funzionamento dell'ippocampo, diminuendo la capacità del cervello di controllare il funzionamento dell'amigdala ed esacerbando il discontrollo emozionale.

8. Il discontrollo a livello dell'amigdala aumenta l'impatto dei ricordi precoci sul funzionamento dell'adulto, aumentando l'impatto contemporaneo dei fallimenti precoci del legame di attaccamento.

9.  La compromissione a livello ippocampale diminuisce l'esame di realtà ed il funzionamento della memoria, contribuendo all'incapacità di mantenere ricordi positivi o rassicuranti durante gli stati di alto "arousal".

10. I fallimenti precoci del legame di attaccamento portano a più bassi livelli di serotonina, con conseguente più alto rischio di depressione, di irritabilità e diminuzione del rinforzo positivo proveniente dalle interazioni interpersonali.

11. Comportamenti autolesivi durante gli stati di disregolazione portano al rilascio di endorfine e ad un senso di calma, mettendo questi individui a rischio di ripetere questi comportamenti auto-abusanti>>.

Non è fornita assolutamente alcuna indicazione riguardo alla maniera in cui il paziente si va ad automutilare; né con quale mezzo, né, tanto meno, sul luogo o la data dell'evento, e neppure vengono menzionate le parti del corpo che vengono mutilate. Non si sa assolutamente nulla se questo atto sia stato commesso in riferimento ad una persona particolare o in reazione ad una qualsiasi azione umana. Mi sembra che si possa, almeno per questo caso particolare, dire che le spiegazioni psicoanalitiche e neurobiologiche non siano per nulla conciliabili. Il fondo del meccanismo psiconeurobiologico non è certamente falso, ma non è situato ad un livello diverso di quello della spiegazione psicoanalitica clinica che potrebbe, più facilmente, dare un senso - nel transfert - a ciò che è accaduto.

 

Verso una nuova psicologia del Sé ed una psicoterapia psicoanalitica evolutiva

 

Una particolarità importante del trattamento terapeutico del trauma proposto dalla scuola di Schore è quella di considerare gli affetti come delle entità puramente biologiche.  Se come pensano John Gedo e Arnold Modell, <<la cura analitica deve fornire l'opportunità di ritrascrivere delle esperienze traumatiche del passato (cioè, dei ricordi carichi d'affetto) in modo che essi acquisiscano dei nuovi significati>>, allora il ri-apprendimento degli affetti diviene la riparazione di un deficit biologico. I fenomeni di ripetizione e di ricontestualizzazione che implicano un <<mosaico di categorie di affetti>> corrispondono allora all'operazione biologica - operata dallo neuropsicoanalista - di trasformazione dei ricordi puramente procedurali in ricordi semantici.  Tale trasformazione corrisponde a ciò che Modell chiama una ritrascrizione. Grosso modo, all'inizio dell'analisi, il paziente non può che rimembrare il trauma passato nell'azione in modo che l'analista divenga il ricettacolo dei suoi affetti che lo hanno condotto alla follia. Per Gedo, il momento della cura a partire dal quale il paziente codifica le sue interazioni infantili sotto forma verbale denota un cambiamento cruciale a livello dell'organizzazione biologica del cervello. Se è certamente auspicabile che un tale rimaneggiamento si effettui per il bene del paziente, mi sembra sorprendente che si possa ridurre questo evento psicologico nel processo della cura ad un'unica operazione biologica. Freud parlava di rimozione primaria per ciò che riguarda questi ricordi non formulabili verbalmente3   . Credo che non siamo più molto lontani da una posizione eliminativista alla Churchland. Si può essere soddisfatti in neuropsicoanalisi di vedere l'affetto solo come entità derivante unicamente dalla biologia?

 
 

       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note bibliografiche:

(1) SCHORE A.N., Affect Regulation and the Repair of the Self, W. W. Norton & Company, 2003, p. 12.

(2)  Borderline Personality Disorder

(3) In opposizione ai ricordi semantici più tardi inaccessibili alla coscienza. FREUD S. "Repression", SE XIV.

(5) SCHORE A.N., Affect Dysregulation and Disorders of the Self, W.W. Norton & Company, 2002, p 179.

(6) SCHORE A.N., Affect Regulation and the Repair of the Self, W. W. Norton & Company, 2003, p. 13.

(7) SCHORE A.N., Affect Dysregulation and Disorders of the Self, W.W. Norton & Company, 2002, p. 181.

(8) SCHORE A. N., Affect Dysregulation and Disorders of the Self, W.W. Norton & Company, 2002, p. 183.

(9) SCHORE A. N., Affect Regulation and the Repair of the Self, W. W. Norton & Company, 2003, p. 14.

(10) SCHORE A. N., Affect Dysregulation and Disorders of the Self, W.W. Norton & Company, 2002, p. 236.

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007-2008-2009