Alla
questione del perché la psicoanalisi non abbia de facto
integrato l'ambito delle scienze cognitive nell'ultimo quarto del
XX secolo, una parte fondamentale della risposta potrebbe
venire da uno studio epistemologico, come complemento di uno
studio storico così come l'ha invocat Nicolas Georgieff,
professore di psichiatria, psicoanalista e membro dell'Istituto di
Scienze Cognitive di Lione. La questione di Georgieff è
eminentemente pertinente dato che i suoi lavori così come quelli
dei primi neuropsicoanalisti anglo-sassoni tenderebbero a mostrare
che il Freud pre-analitico sarebbe stato, in qualche modo, il
primo autentico cognitivista. Quel Freud è un Biologo dello
spirito, o ancora un Cristoforo Colombo delle neuroscienze
come ci viene presentato d'ora in avanti. In modo più
specifico, è nell'Entwurf, opuscolo confinato nella
corrispondenza con Wilhelm Fliess, che ci viene assicurato si
trovino gli embrioni della teoria olografica del cervello, dei
circuiti di retro-propagazione cibernetica, o ancora della
neuro-chimica delle emozioni.
Ho mostrato
in un lavoro sulla storia della neuropsichiatria che è allo scopo
di aprirsi un passaggio verso le scienze cognitive e di rompere un
isolamento mortifero - in particolare negli Stati Uniti - che un
gruppo di psicoanalisti ha deciso di prendere il toro per le
corna, negli anni '90, associandosi a dei neurobiologi
prestigiosi. Tali neurobiologi non erano in partenza tutti
favorevoli ad un tale avvicinamento. Tuttavia, alla fine giunsero
a confortare la credibilità scientifica della disciplina
seriamente compromessa dalle Freud Wars. Ho
soprattutto indicato che non si trattava unicamente di considerare
un avvicinamento alle neuroscienze, ma anche all'intelligenza
artificiale e, in una misura minore, alla filosofia dello
spirito. Il movimento neuropsicoanalitico mira in qualche modo ad
integrare la psicoanalisi in quanto a disciplina a pieno titolo
all'interno del campo delle scienze cognitive moderne.
La sua
intrinseca razionalità, messa in primo piano da Georgieff, non
sarebbe più sufficiente, ma sarebbe necessario, costi quel che
costi, che la psicoanalisi si riagganci al treno delle
neuroscienze cognitive pena la sua scomparsa.
Allora, dopo
quindici anni di neuropsicoanalisi, perché la psicoanalisi non ha
acquisito diritto di cittadinanza tra i cognitivisti?
La risposta
attraverso la spiegazione storica mi sembra parziale. C'è da
scommettere che uno studio filosofico faciliterà la messa in
evidenza dei problemi epistemici, ontologici e metodologici che
fanno sì che non sia assolutamente garantito che le spiegazioni
neuroscientifiche possano sovrapporsi o articolarsi con quelle
psicoanalitiche per accrescere l'intelligibilità del processo
esplicativo del funzionamento della psiche in generale e del suo
funzionamento patologico in particolare.
Il trauma è
uno dei temi fondamentali studiati da questa nuova disciplina. Se
non è sempre apparso appannaggio della clinica neuropsicoanalitica
propriamente detta, numerosi lavori teorici hanno potuto fornire
un resoconto di un tentativo di integrazione della teoria
psicoanalitica del trauma con gli ultimi progressi
neuroscientifici sul tema, in particolare sui disturbi legati alla
sindrome da stress post-traumatico (PTSD). Propongo di portare
avanti questo primo studio epistemologico della neuropsicoanalisi
sul trauma, e più in particolare sul lavoro fondamentale
effettuato da una quindicina d'anni da Allan N. Schore in questo
campo. Di tutti i neuropsicoanalisti, Schore è senza dubbio quello
che ha sviluppato la più riuscita teoria generale del
funzionamento psichico, e soprattutto di quello patologico. La sua
teoria del trauma psichico è considerevolmente sviluppata, anche
se, e questa considerazione ha la sua importanza, ci dovrà
trasportare in un universo che, sebbene originariamente radicato
in Freud, sarà piuttosto lo spazio immaginario che si potrà
tessere esaminando i lavori di Heinz Kohut, di John Bowlby e di
Antonio Damasio.
Foto: Antonio Damasio
Cosa
caratterizza la specificità dell'approccio neuropsicoanalitico del
trauma in rapporto a quello freudiano?
In Freud, si
hanno le due tendenze, una molto neurologica (esso lascia tracce
nel cervello e queste vengono ripercorse dal sogno traumatico,
dagli agiti compulsivi e dai deliri), ed un'altra che diluisce
l'evento scatenante nella reviviscenza dei traumi infantili, essi
stessi un po' traumatici alla luce delle capacità dell'adulto, e
di natura <<sessuale>>, con tra i due un fattore interno
mediatore, il fantasma.
Dunque, si
possono tirare le cose da entrambi i sensi. La neuropsicoanalisi
cerca allora non di assumere questa tensione, ma piuttosto di
riassorbirla in una sintesi superiore?
Questo studio
dovrà permettere di avvicinare l'impegno epistemologico della
neuropsicoanalisi sotto più punti di vista. Molteplici piste di
riflessione si possono intravedere, ma le riassumerei in una sola
frase: la neuropsicoanalisi sfoggia un'autentica pretesa
scientifica oggettivante o invece non è altro che un tentativo
piuttosto normativo di sviluppare un linguaggio comune tra la
psicoanalisi e le neuroscienze?
E' in tre
parti distinte che intravedo questa prima esplorazione.
In un primo
tempo, fornirò un resoconto sintetico della teoria
psiconeurobiologica del trauma sviluppata da Schore. Ho ritenuto
che tre siano i punti essenziali della sua teoria e della sua
clinica:
1. gli
effetti del trauma relazionale sullo sviluppo del cervello destro;
2. le
conseguenze del trauma relazionale precoce sulla regolazione degli
affetti;
3. la nuova
psicologia schoriana del Sé e la psicoterapia psicoanalitica
evolutiva.
In una
seconda parte, esaminerò un bel po' di questioni epistemologiche
concernenti la teoria e la clinica del trauma, sviluppate da
Schore. Mi riferirò in particolare al trattamento degli affetti e
delle emozioni, quindi alle ragioni ed alle cause traumatiche, ed
infine mi chiederò quali prove metta a disposizione la "neuro-imaging"
funzionale nella sua teoria.
In un'ultima
parte, menzionerò rapidamente in che modo il programma
epistemologico della neuropsicoanalisi sembri, di fatto,
corrispondere al programma di sviluppo delle conoscenze elaborato
all'inizio del XX secolo da Moritz Schlick. Terminerò, allora, su
una proposizione formulata attorno alla necessità di introdurre
l'epistemologia psicoanalitica elaborata da Akeel Bilgrami in
questo dibattito sulla neuropsicoanalisi.
|
Prima di
prendere cognizione dei punti cardinali della teoria schoriana del
trauma, mi sembra necessario fermarci un istante sull'introduzione
al suo lavoro, consegnato alle sue due opere "Affect Regulation
and the Repair of the Self" e "Affect Dysregulation and Disorders
of the Self".
Vi si trova la sua teoria del
trauma, ma anche la sua concezione generale della
neuropsicoanalisi in quanto psiconeurobiologia delle funzioni e
disfunzioni umane. Attorno ai due concetti chiave che sono
l'attaccamento e la regolazione degli affetti nella sua teoria
generale del funzionamento psichico, e della psiche traumatizzata
in particolare, si troveranno esposte in maniera assai chiara le
sue posizioni sui suoi riferimenti (e preferenze) analitici
kohuttiani e bowlbyani, la sua sconfessione della metapsicologia
freudiana, la sua fede nelle neuroscienze dell'emozione per come
si sono sviluppate in ricercatori come Antonio Damasio, Jaak
Panksepp o Joseph LeDoux, il suo essere affascinato dalle tecniche
di "neuro-imaging" funzionale e, da un punto di vista più
concettuale, come e dove egli situi la psiche nel cervello dei
suoi pazienti traumatizzati.
Il lavoro effettuato da Schore
sul trauma può essere considerato, allo stesso tempo, come la base
di questa teoria generale della psiconeurobiologia delle funzioni
e disfunzioni umane e come la sua maggiore estensione.
In primo luogo, ricorderò come
Schore metta in evidenza una coincidenza interessante per la
psicoanalisi descrivendo come il trauma relazionale precoce
modelli il cervello del bambino molto piccolo. Proseguirò
rientrando nel meccanismo dell'attaccamento traumatico e della
psicopatogenesi dei disturbi legati alla sindrome post-traumatica
da stress. Affronterò quindi la regolazione degli affetti nelle
situazioni in cui essa è perturbata da un trauma relazionale
precoce. Concluderò questa recensione descrivendo come Schore sia
portato a sottoscrivere che il cervello destro sia certamente il
substrato neuronale dell'inconscio freudiano. Concluderò questa
parte considerando le implicazioni cliniche e terapeutiche
proposte da Schore che, seguendo Heinz Kohut, avanza verso una
nuova psicologia del Sé ed una psicoterapia evolutiva di
ispirazione psicoanalitica.
Occasionalmente, correderò la
mia recensione degli apporti e delle proposte di Louis Cozolino e
di John Gedo sulla teoria neuropsicoanalitica del trauma. Questi
due ricercatori si iscrivono volontariamente nella corrente del
pensiero di Schore.
Distinguerò questo gruppo dagli
altri neuropsicoanalisti che hanno pubblicato sulla questione del
trauma, sottolineando nei primi una coerenza ed una unità
concettuale che non si ritrova (ancora) nei loro colleghi. Esiste,
fuori da questo trio, una decina di lavori sufficientemente
importanti sul trauma per essere menzionati, ma il loro statuto
embrionario mi invita a pensare che sia giustificato dare priorità
immediata a Schore, Cozolino e Gedo.
Gli effetti del trauma
relazionale sullo sviluppo del cervello destro |
Schore trae
dall'insegnamento di Bowlby, all'incrocio tra la biologia e la
psicoanalisi dello sviluppo, due ipotesi fondamentali:
1. la relazione detta
d'attaccamento si gioca direttamente sulla <<capacità di gestire
lo stress>>.
2. l'esistenza di un <<sistema
di controllo>> situato nel cervello del bambino serve a regolare
le funzioni dell'attaccamento. Secondo Schore, <<l'attaccamento è
più di un comportamento manifesto, è interno, in costruzione nel
sistema nervoso, e deriva dall'esperienza del bambino nelle sue
transazioni con la madre>>1 .
Il prerequisito della sua
teoria del trauma, elaborata alla fine degli anni 90, era di
confermare che esistessero degli stati transazionali di
attaccamento in termini di sincronia affettiva. Tali stati -
positivi o negativi - sono regolati in modo interattivo dalla
persona che dispensa le cure materne al bambino.
CITAZIONE N.2: <<Ho affermato
che nelle transazioni di attaccamento con sincronia affettiva, il
"caregiver" sintonizzato psicobiologicamente regola in modo
interattivo gli stati positivi e negativi del bambino, così
co-costruendo un ambiente facilitante la crescita per la
maturazione dipendente dall'esperienza di un sistema di controllo
nel cervello destro del bambino. Il corretto funzionamento di
questo sistema di "coping" è centrale per la capacità in
espansione del bambino di auto-regolazione, per l'abilità di
regolare flessibilmente gli stati emotivi stressogeni attraverso
interazioni con gli altri esseri umani (regolazione interattiva in
contesti interconnessi) e senza gli altri (autoregolazione in
contesti autonomi). La capacità adattativa di passare tra queste
due modalità binarie di regolazione, in dipendenza del contesto
sociale, è un indicatore dello sviluppo emotivo sociale normale.
In questo modo una relazione di attaccamento sicuro facilita lo
sviluppo del cervello destro, promuove un'efficiente regolazione
affettiva e permette la salute mentale del bambino in senso
adattativo>>5 .
Una volta acquisita questa
premessa, Schore si poggia su questa base per mettere in
prospettiva gli effetti che potrà generare una relazione
madre-bambino traumatica sulla crescita dell'emisfero destro del
bambino. Sarà in seguito a causa di questa crescita disfunzionale
che una moltitudine di disturbi psicopatologici - tra cui la
sindrome post-traumatica da stress - potranno, se così si può
dire, venire a situarsi nella testa del bambino, dell'adolescente
o del futuro adulto. Comprendo da Schore che se si sviluppa, suo
malgrado, una predisposizione alla malattia mentale, quest'ultima
vi ricadrà un giorno addosso provenendo dall'esterno attraverso la
mediazione di un evento estremo:
CITAZIONE N.3 <<Nel senso più
ampio, questo lavoro utilizza una prospettiva psiconeurobiologica
per tentare di spiegare in che modo gli eventi esterni possono
avere un impatto sulla struttura intrapsichica e sullo sviluppo
dei bambini già gravati da un alto rischio psico-sociale>>.
Ci si deve
concentrare in primo luogo su questo primo evento che è la
relazione traumatica imposta a suo figlio da parte della madre non
protettiva o maltrattante. Sono i danni causati da questa
relazione diadica problematica precoce sul substrato neuronale del
cervello destro del bambino che Schore tiene a spiegare in
apertura della sua teoria del trauma. Dal sesto mese di gravidanza
fino alla fine del secondo anno, il cervello destro del bambino
sarà anatomicamente predominante su quello sinistro.
La corteccia destra che arriva
alla maturità prima della sinistra diviene quindi il principale
attore (per non dire il ricettacolo) delle esperienze sociali
precoci. Di nuovo, viene usato un linguaggio cibernetico per
render conto di queste interazioni da cervello a cervello:
CITAZIONE 4: <<Il bambino sta
usando l'output della corteccia destra della madre come un modello
per l'imprinting - il complesso insieme di circuiti nella sua (del
bambino) corteccia destra che verrà a mediare le sue capacità
affettive in espansione. [...] In questi interscambi la madre sta
"scaricando dei programmi" dal proprio cervello in quello del
bambino>>6 .
Schore cita una moltitudine di
lavori di "imaging" anatomica cerebrale che confermano questo
fatto perturbante (cfr. F. Parot!). L'effetto è effettivamente
perturbante dato che l'evoluzione dell'accrescimento anatomico del
cervello del bambino coinciderà con svariate tappe essenziali
dello sviluppo psichico del bambino e dell'adolescente nel modo in
cui ha potuto essere concepito dalla psicoanalisi ed in
particolare da Freud. Psicoanalisti come Kohut e Bowlby,
d'altronde, non avrebbero fatto altro che rinforzare tale fermento
interessandosi in modo più particolare di quanto non l'avesse
fatto Freud alla vita psichica pre-edipica.
Schore considera come un
elemento essenziale l'aspetto fisiologico dei postulati di Kohut
che stabiliscono che il cruciale mantenimento del bambino
all'interno di un equilibrio omeostatico dipende direttamente
dalle sue interazioni diadiche reciproche coi suoi oggetti-sé.
Eppure, nulla può garantire che Kohut avrebbe lui stesso
considerato questi postulati come derivanti dalla fisiologia. Cosa
che, senza alcun dubbio, fa dire a Schore che gli oggetti-sé
agiscano come dei <<regolatori psicobiologici esterni>>, potendo
agire anche a dei livelli infra-semantici, al di sotto dei livelli
attentivi coscienti, per <<co-creare degli stati di coesione e di
vitalizzazione massimali>>. E' questo il punto di partenza
dell'incontro di Schore con Kohut. La concezione di Schore
del trauma deriva dalla disregolazione di questo <<momento>>
kohutiano. L'apporto principale di Schore è la sua messa in forma
neurobiologica.
Foto: John Bowlby
L'attaccamento su cui ha
lavorato Bowlby è concettualizzato da Schore come <<la
trasformazione di una regolazione esterna in una regolazione
interna>>. Egli intravede questa progressione come un
accrescimento di complessità dei sistemi cerebrali in maturazione
responsabili della regolazione adattativa delle interazioni tra
l'organismo che si sviluppa e l'ambiente sociale. E' la
regolazione delle emozioni nell'esperienza diadica madre-bambino
che fornisce il quadro di questa maturazione cerebrale.
Schore si basa, oltre alle
proprie ricerche, sui lavori di parecchi neurobiologi per
affermare che solo dei legami di attaccamento stabili possono
fornire il quadro di uno sviluppo neurobiologico soddisfacente.
Questa crescita neurobiologica sana permette al bambino di
sviluppare delle capacità di coping (gestione adattativa
delle situazioni) che influenzano direttamente la salute mentale
del bambino, e poi dell'adulto.
All'opposto di questo scenario,
la madre, o la nutrice, abusante non solo si impegna di meno nel
gioco, ma soprattutto rinforza gli stati affettivi negativi che
Schore designa come traumatici.
CITAZIONE 5 <<Poiché
l'attaccamento della madre è debole, essa fornisce poca protezione
nei confronti di altre persone potenzialmente abusanti nei
confronti del bambino, come ad esempio il padre. Questa
dispensatrice di cure è inaccessibile e reagisce alle espressioni
di emotività e di stress da parte del bambino in modo
inappropriato e/o respingendolo, e mostra una minima o
imprevedibile partecipazione nei vari tipi di processi di
regolazione dell'"arousal". Invece di modulare, la madre induce
dei livelli estremi di stimolazione e di attivazione ("arousal"),
o troppo alti nell'abuso o troppo bassi nella negligenza, e poiché
non fornisce alcuna riparazione gli stati emotivi intensamente
negativi del bambino durano a lungo. Tali stati sono accompagnati
da gravi alterazioni nella biochimica del cervello immaturo,
specialmente nelle aree associate allo sviluppo delle capacità di
coping del bambino>>7 .
Stimolazioni emotive
particolarmente intense, e fuori luogo, hanno dunque per
conseguenza una ben nota perturbazione delle reazioni
biochimiche del giovane cervello. Questo disordine biochimico
scatenerebbe la modificazione patologica del funzionamento di un
sotto-organo, o di una sotto-parte del cervello, quello necessario
allo sviluppo delle capacità di coping del bambino.
Tocchiamo qui il cuore della teoria di Schore del trauma: l'abuso
emotivo prolungato è il cardine del trauma infantile. A tale
scopo, Schore precisa che tale abuso, in generale, è stato subito
prima dei due anni d'età, quindi circa due anni prima
dell'apparizione dell'Edipo freudiano. Schore insiste:
CITAZIONE 6 <<Il trauma indotto
dalla persona che dispensa le cure è qualitativamente e
quantitativamente potenzialmente più patogenetico di ogni altro
fattore stressogeno sociale o fisico>>8 .
Schore ritiene che oggi è
possibile comprendere Kohut grazie alla neurobiologia delle
emozioni e dello sviluppo. Ad esempio, egli riconosce nelle
descrizioni e nelle spiegazioni di ricercatori come Panksepp o
Damasio un parallelo con il meccanismo kohutiano di <<mirroring>>:
CITAZIONE 7 <<Ora possiamo
capire il meccanismo del <<mirroring>> di Kohut. Il volto umano è
uno stimolo unico per l'espressione di informazioni significative
da un punto di vista biologico. Gli studi psicobiologici
sull'attaccamento mostrano che nello sguardo reciproco il volto
materno scatena alti livelli di oppioidi endogeni nel cervello in
crescita del bambino. Queste endorfine, prodotte nella parte
anteriore dell'ipofisi, sono biochimicamente responsabili delle
qualità piacevoli dell'interazione sociale e dell'attaccamento
dato che agiscono direttamente sui neuroni dopaminergici nei
centri sottocorticali per la ricompensa del cervello del bambino
che sono responsabili dell'innalzamento dell'"arousal".
Promuovendo un appaiamento simbiotico tra il sistema
neuro-endocrino maturo della madre e quello immaturo del bambino,
vengono elicitate delle risposte ormonali che stimolano il
bambino ad entrare in un analogo stato di innalzato "arousal" del
sistema nervoso centrale, di attività del sistema nervoso
simpatico, di conseguente eccitamento e di emozioni positive>>9
.
Se non è certamente scorretto
passare da tali eventi alla scala neurobiologica del cervello del
bebé, questo processo non può, secondo me, dar conto di qualcosa
di più profondo, e di irraggiungibile che è il gioco del
linguaggio centrato sul bebé, ed i suoi effetti sugli
atteggiamenti proposizionali del lattante (i suoi desideri, le sue
credenze), come anche i suoi fantasmi in costruzione.
Il linguaggio propriamente detto
si trova rifiutato dalla neuropsicoanalisi? Non è così certo, ma è
giunto il tempo di sottolineare che un tratto essenziale di tutta
l'analisi di Schore è il suo mettere davanti la comunicazione ed
il transfert non verbale. Come lo si vedrà dopo, il <<bersaglio>>
del processo terapeutico che lui e Cozolino raccomandano si trova
ad essere l'insieme dei fasci di reti neuronali da attivare
anziché lo stesso contenuto di ciò che viene detto (o ascoltato)
per mettere in attivazione questi insiemi neuronali. Sembrerebbe
che ciò che accade a livello infra-semantico sia veramente più
importante di ciò che è propagato dalla parola.
Conseguenze del trauma
relazionale precoce sulla regolazione degli affetti |
Schore considera la relazione
d'attaccamento come il regolatore dell'eccitabilità, e ne fa
derivare il fatto che <<l'attaccamento è, essenzialmente, la
regolazione diadica dell'emozione>>. Le interazioni emozionali
precoci influenzano quindi direttamente l'organizzazione dei
sistemi cerebrali che regolano l'affetto (e la cognizione). Schore
presenta allora il suo modello neurobiologico evolutivo
dell'attaccamento:
CITAZIONE 9 <<Nel proporre un
modello della neurobiologia evolutiva dell'attaccamento ho
proposto che le esperienze di attaccamento dell'infanzia sono
immagazzinate nella memoria implicita nell'emisfero destro a
maturazione precoce. La memoria implicita è una memoria a funzione
di regolazione, e così i modelli di elaborazione ("working")
inconscia della relazione di attaccamento codificano le strategie
della regolazione affettiva per far fronte allo stress,
specialmente a quello interpersonale. Per il resto della vita
queste rappresentazioni interne sono rese accessibili come guide
per le future interazioni, ed il termine "working" si riferisce
all'uso inconscio da parte dell'individuo di esse per interpretare
ed agire sulla base di nuove esperienze>>.
Per Schore, la disregolazione
degli affetti ha una duplice origine: l'abuso e la negligenza.
Penso che non sia falso presumere che per lui il trauma possa
equivalere a questa disregolazione degli affetti. Tale
deregolazione si materializza in ciò che Schore chiama una
relazione sociale (cfr. A. Erhenberg). Quando quest'ultima è
cattiva o deteriorata e coinvolge il bambino, vi si vede il
<<fattore di stress>> più potente di tutta l'eziologia traumatica.
CITAZIONE 10 <<E' dimostrato che
i fattori di stress sociale sono di gran lunga più dannosi
rispetto agli stimoli avversativi non sociali (Sgoifo et al.,
1999), e perciò l'attaccamento caratterizzato dal "trauma
relazionale" proveniente dall'ambiente sociale ha un impatto più
negativo sul cervello del bambino rispetto agli attacchi
provenienti dall'ambiente fisico non umano o inanimato>>10
.
Questo punto di vista non è
privo di interesse poiché Schore situa chiaramente l'origine del
trauma all'esterno - nel sociale. Tuttavia, è necessario prendere
qualche precauzione poiché, molto velocemente, delle cause
<<sociali>> si trasformano in cause naturali interne. In qualche
modo, la cattiva relazione sociale della diade madre-bambino
sarebbe la causa ultima di un Disturbo post-traumatico da stress (PTSD),
dal momento che l'impronta neuronale dell'emisfero destro
diverrebbe una causa prossima del PTSD. L'evento estremo
scatenante come lo scoppio di una bomba o una violenza sessuale
(subita da parte di un adulto) non sarebbe che un'altra causa
prossima. Per riassumere, si avrebbe quindi una causa ultima
situata in una relazione madre-bambino abusante o di negligenza
che indurrebbe uno stato neurologico quasi permanente che si
rivelerebbe essere una causa prossima (interna) del trauma dopo
l'incontro del cervello destro danneggiato con una causa prossima
esterna. Curiosamente, l'incontro tra due cause prossime interne
non sembra essere considerato come si potrebbe tipicamente
verificare in un caso di isteria.
Gli intoppi incontrati dal
sistema di regolazione degli affetti che conducono al PTSD del
bambino, quindi poi dell'adulto, sarebbero il marchio di ciò che
Schore chiama un fenomeno di de-evoluzione dei circuiti limbici
del cervello destro. L'effetto a lungo termine del trauma precoce
sarebbe così l'arresto dello sviluppo degli affetti. Questa
de-evoluzione potrebbe quindi condurre all'apparizione di un ampio
spettro di disturbi come gli stati limite, certe psicosi, e
predisporre l'individuo a comportamenti violenti.
Verso una spiegazione
dei disturbi di personalità borderline ed antisociale |
Secondo Cozolino, <<il
Disturbo Borderline di Personalità (BPD)2
si può concepire come una variante di un complesso PTSD>>.
I dati probanti che lo hanno spinto a pronunciarsi in tal
modo sono l'abuso precoce, il trauma e l'apparizione di
sintomi dissociativi frequentemente evidenziati in questi
individui. I pazienti con BPD si caratterizzano per:
un'ipersensibilità ad un abbandono reale o immaginario,
disturbi dell'identità personale, relazioni intense ed
instabili, un'alternanza tra idealizzazione e
svalorizzazione di se stessi e degli altri, comportamenti
compulsivi, rischiosi ed automutilanti.
E' il
sostegno della spiegazione neurobiologica che, da una
parte, permette a Cozolino di assimilare questo disturbo a
un trauma del tipo PTSD, quindi in seguito di pensare che
la spiegazione neurochimica della sua etiologia gli
conferisca una credibilità superiore, ossia vera. A
proposito del BPD, Cozolino - in quanto terapeuta - si
vede <<come una rete neuronale esterna che favorisce
l'integrazione delle reti sottratte allo sviluppo>>!
Ecco
un esempio tipico di spiegazione psiconeurobiologica come
la si può incontrare spesso in Schore o in Cozolino. Si
tratta, quindi, di descrivere, più o meno minuziosamente,
la catena di eventi che hanno condotto un soggetto ad
automutilarsi. Lo psichismo del paziente non è evocato e
la spiegazione fondamentale risiede in realtà negli scambi
interattivi tra substrato neuronale e neurotrasmettitori.
CITAZIONE 11
<<1.
I sistemi di memoria dell'amigdala sono traumaticamente
predisposti durante le prime esperienze di attaccamento
per reagire ad ogni possibile indicazione di abbandono per
mezzo dello scatenarsi, a livello del sistema simpatico,
di reazioni tipo attacco o fuga e dell'incremento dei
livelli basali di noradrenalina e degli ormoni dello
stress.
2. I
sistemi orbitofrontali si sono inadeguatamente sviluppati
durante l'attaccamento in modo da impegnarsi in attività
di auto-rassicurazione e di inibizione dell'attivazione
dei circuiti dell'amigdala per la paura.
3. I
sistemi orbitofrontali sviluppano tracce separate di
esperienze positive e negative che non sono mai integrate.
4. La
dissociazione orbitofrontale può dar luogo ad una
disconnessione tra emisfero destro e sinistro e nei
processi di elaborazione dal basso verso l'alto e
viceversa, in parte spiegando i rapidi e radicali
passaggi tra valutazioni positive e negative delle
relazioni interpersonali.
5. Le
reti del cervello sociale sono incapaci di interiorizzare
immagini provenienti dalle prime interazioni con il
caregiver allo scopo di dare auto-rassicurazione e
regolazione degli affetti.
6. Le
rapide fluttuazioni tra stati a dominanza del simpatico ed
altri del parasimpatico conducono ad una irritabilità di
base ed a risposte di sopravvivenza (mediate dal
simpatico) di fronte ad un abbandono reale o immaginario.
7.
Alti livelli cronici di ormoni dello stress compromettono
il funzionamento dell'ippocampo, diminuendo la capacità
del cervello di controllare il funzionamento dell'amigdala
ed esacerbando il discontrollo emozionale.
8. Il
discontrollo a livello dell'amigdala aumenta l'impatto dei
ricordi precoci sul funzionamento dell'adulto, aumentando
l'impatto contemporaneo dei fallimenti precoci del legame
di attaccamento.
9.
La compromissione a livello ippocampale diminuisce l'esame
di realtà ed il funzionamento della memoria, contribuendo
all'incapacità di mantenere ricordi positivi o
rassicuranti durante gli stati di alto "arousal".
10. I
fallimenti precoci del legame di attaccamento portano a
più bassi livelli di serotonina, con conseguente più alto
rischio di depressione, di irritabilità e diminuzione del
rinforzo positivo proveniente dalle interazioni
interpersonali.
11.
Comportamenti autolesivi durante gli stati di
disregolazione portano al rilascio di endorfine e ad un
senso di calma, mettendo questi individui a rischio di
ripetere questi comportamenti auto-abusanti>>.
Non è
fornita assolutamente alcuna indicazione riguardo alla
maniera in cui il paziente si va ad automutilare; né con
quale mezzo, né, tanto meno, sul luogo o la data
dell'evento, e neppure vengono menzionate le parti del
corpo che vengono mutilate. Non si sa assolutamente nulla
se questo atto sia stato commesso in riferimento ad una
persona particolare o in reazione ad una qualsiasi azione
umana. Mi sembra che si possa, almeno per questo caso
particolare, dire che le spiegazioni psicoanalitiche e
neurobiologiche non siano per nulla conciliabili. Il fondo
del meccanismo psiconeurobiologico non è certamente falso,
ma non è situato ad un livello diverso di quello della
spiegazione psicoanalitica clinica che potrebbe, più
facilmente, dare un senso - nel transfert - a ciò che è
accaduto. |
Verso una nuova psicologia del Sé ed una psicoterapia
psicoanalitica evolutiva |
Una particolarità
importante del trattamento terapeutico del trauma proposto
dalla scuola di Schore è quella di considerare gli affetti
come delle entità puramente biologiche. Se come
pensano John Gedo e Arnold Modell, <<la cura analitica
deve fornire l'opportunità di ritrascrivere delle
esperienze traumatiche del passato (cioè, dei ricordi
carichi d'affetto) in modo che essi acquisiscano dei nuovi
significati>>, allora il ri-apprendimento degli affetti
diviene la riparazione di un deficit biologico. I fenomeni
di ripetizione e di ricontestualizzazione che implicano un
<<mosaico di categorie di affetti>> corrispondono allora
all'operazione biologica - operata dallo
neuropsicoanalista - di trasformazione dei ricordi
puramente procedurali in ricordi semantici. Tale
trasformazione corrisponde a ciò che Modell chiama una
ritrascrizione. Grosso modo, all'inizio dell'analisi, il
paziente non può che rimembrare il trauma passato
nell'azione in modo che l'analista divenga il ricettacolo
dei suoi affetti che lo hanno condotto alla follia. Per
Gedo, il momento della cura a partire dal quale il
paziente codifica le sue interazioni infantili sotto forma
verbale denota un cambiamento cruciale a livello
dell'organizzazione biologica del cervello. Se è
certamente auspicabile che un tale rimaneggiamento si
effettui per il bene del paziente, mi sembra sorprendente
che si possa ridurre questo evento psicologico nel
processo della cura ad un'unica operazione biologica.
Freud parlava di rimozione primaria per ciò che riguarda
questi ricordi non formulabili verbalmente3
. Credo che non siamo più molto lontani da una posizione
eliminativista alla Churchland. Si può essere soddisfatti
in neuropsicoanalisi di vedere l'affetto solo come entità
derivante unicamente dalla biologia? |
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