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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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  "TED, SYLVIA E IL MAL DI VIVERE".

Recensione di Laura Lepri (apparsa su "Il Sole 24 ore" del 2.08.2009) del libro di Diane Middlebrook "Suo marito. Ted Hughes & Sylvia Plath. Ritratto di un matrimonio"(trad. di Anna Ravano, Mondadori, pagg. 384, € 22,00).

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 Si può recensire un matrimonio finito male? E' in questa imbarazzante situazione che si potrebbe incappare leggendo l'originale "biografia di coppia", "Suo marito", di Diane Middlebrook. Prospettiva anche un filo noiosa, peraltro, data l'attualità del tema. Il lettore, dunque, spera di non essere chiamato allo schieramento. tanto più che quello fra Ted Hughes e Sylvia Plath è stato un sodalizio già ampiamente analizzato, diventando nel tempo una sorta di emblema della brutalità del maschio che sottomette e tradisce mentre una donna, soffrendo, combatte per la propria emancipazione e l'espressione libera della propria voce letteraria. Il finale è noto: nel febbraio del '63, la stanza tutta per sé di woolfiano imprinting si ridusse alle dimensioni di un forno nel quale la Plath infilò la testa, assurgendo in breve al ruolo di eroina del femminismo anni Sessanta, insieme a quello di acclamata poetessa che, per esempio, nei versi di "Daddy" aveva denunciato il potere di alcune figure autoritarie, come il padre, il professore, il militare. Molte donne si schierarono dalla sua parte, con rabbia e grida di colpevolezza verso un indistinto universo maschile, talvolta anche con postura erinnica. Ma questa è un'altra storia.

Uno dei non pochi pregi di questo libro, davvero molto ben documentato, è invece quello di non indicare né vittima né carnefice. Qui non si giudica nessuno. Non è più tempo. Qui si tratta, più laicamente, di ricostruire l'inestricabile groviglio che fu la loro unione sentimentale  e artistica, la terribile illusione, da entrambi equamente coltivata, di affermarsi nel mondo insieme, simbioticamente, come <<un'unica mente condivisa>>. La messa in guardia dai rischi della <<totalità>>, potrebbe essere, semmai, la soggiacente indicazione. Condivisibile, peraltro. Ma per la studiosa non è questa la priorità. Preferisce piuttosto segnalare le fragilità psichiche della Plath anteriori al matrimonio (un padre perduto troppo presto, un tentato suicidio di gioventù, ricoveri in clinica, elettroshock), l'intrecciarsi di modelli piccolo-borghesi americani (il desiderio di fare tanti figli) e forti ambizioni creative, il suo anticonformismo e il sogno di una "home sweet home" da condividere con un uomo che, a sua volta, un po' sembra il rude Heathcliff di "Cime tempestose", e un po' recita l'inquietudine romantica, nel suo unico vestito di velluto a coste scuro. Sullo sfondo di queste gioventù i cui modelli stanno scardinandosi, come i costumi dell'Inghilterra di Hughes e quelli dell'America della Plath, sfilano molte trasformazioni culturali, insieme al maturare delle poetiche individuali: si legge il proibito D.H. Lawrence ma si rivisitano anche i primigeni miti celtici; ci si trasferisce in campagna ma si sogna la trasgressiva vita londinese. Il suicidio è vissuto come un gesto di poetica.

Insomma, gli artisti stentano a trovare la propria identità, forse solo il mercato può dargliela; e l'<<altro>>, insieme al quale si sfida e si legge il mondo a colpi di poesia. Fino al momento in cui la realtà colpisce duro. La Plath, madre di due figli, da poco abbandonata dal <<cacciatore>> Ted per una donna sposata che finirà anche lei per uccidersi insieme alla piccola figlia avuta da Hughes, non regge alle recensioni tiepide del suo "The Bell Jar" e, anzi, negli stessi giorni prova una sincera invidia per i successi letterari del marito che lei ha aiutato ad affermarsi. Il conflitto interiore esplode. Così decide di trovare nella morte la liberazione dai suoi inaggredibili fantasmi. A Hughes toccherà l'eredità dei suoi scritti da amministrare, la fama di Poeta Laureato (riconoscimento della regina), quella di raffinato saggista. <<O me o lei>>, dicono che avesse sussurrato pochi giorni dopo la morte della moglie. Frase sibillina, ambivalente, come molti matrimoni dove la posta in gioco è l'arte di entrambi. Ma l'arte non salva dalla vita.

 

 

 

 

             

 

                    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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