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Nonostante il trauma sia uno dei
temi maggiormente dibattuti, non si è ancora arrivati a una sua
definizione univoca. Aspetto singolare questo, se si pensa, ad
esempio, che la stessa psicoanalisi freudiana nasce proprio a partire
dalle riflessioni sulla natura traumatica delle nevrosi isteriche.
Siamo, così, testimoni
dell'affermarsi di una divisione fra chi è più incline a considerare
il trauma in riferimento agli effetti di un evento oggettivamente
grave (come può essere un abuso sessuale, l'essere usciti indenni da
un incidente stradale o l'essere stati testimoni di un omicidio)
sull'integrità psicofisica del soggetto, e chi invece propone una
riformulazione del trauma in termini evolutivo-relazionali, come
espressione di un deficit delle capacità metacognitive di elaborazione
emotiva di un evento stressante, come conseguenza dell'attivarsi di
memorie traumatiche retaggio di relazioni primarie insicure.
Nel suo lavoro sul disturbo
borderline di personalità, Fonagy sostiene, in questo volume, che il
bambino maltrattato viene privato di quel sostegno sociale
sufficientemente valido perché possa sviluppare un'adeguata capacità
di comprendere lo stato psicologico dell'altro nelle più importanti
relazioni interpersonali: in questi casi a essere compromessa è la
costituzione di unità rappresentazionali Sé-altro indispensabili per
lo sviluppo di quel grado di autostima necessario perché il piccolo
possa esplorare con fiducia l'ambiente circostante. L'esperienza
traumatica non risolta (mantenuta da uno stile di attaccamento
insicuro), rende quindi meno probabile lo sviluppo di relazioni
significative, riducendo ulteriormente la possibilità di una
soddisfacente risoluzione dell'esperienza emotivamente disturbante
attraverso l'uso di processi riflessivi e autoriflessivi.
In casi come questi è probabile che
si stabilisca un modello di pensiero che comporta una generalizzazione
della sospettosità e della sfiducia, che spinge il bambino ad
allontanarsi dallo stato mentale degli oggetti più significativi,
rimanendo così privo di qualsiasi contatto umano essenziale per lo
sviluppo di una identità autonoma, capace di rispondere adeguatamente
alle sollecitazioni provenienti dalla realtà interna e dall'ambiente
esterno. In un contesto trascurante, quindi, il bambino può sviluppare
una paura della vita mentale tale da indurlo a rifiutare la conoscenza
degli stati mentali propri e altrui, che può determinare nel tempo un
impoverimento del Sé e di conseguenza il rischio che si possa
sviluppare un disturbo psicopatologico.
Non dissimile è la posizione di
Bessel van der Kolk, che propone una nuova diagnosi per il trauma
complesso: il disturbo traumatico dello sviluppo (Developmental Trauma
Disorder). Una diagnosi frutto di considerazioni secondo le quali
esperienze croniche di trascuratezza (neglect), vissute
nell'ambito di relazioni insicure, hanno effetti negativi sulle
seguenti sette aree del funzionamento del bambino: attaccamento
(difficoltà interpersonali e nella sintonizzazione emotiva con gli
altri), livello biologico (analgesia, somatizzazione, problematiche
mediche nell'arco della vita), regolazione affettiva (mancata
regolazione del Sé, scarsa comprensione degli stati interni del Sé e
dell'altro, incapacità di comunicare desideri e bisogni),
dissociazione (alterazioni dello stato di coscienza,
depersonalizzazione, amnesia), controllo del comportamento (scarsa
modulazione degli impulsi, aggressività auto- ed eterodiretta, abuso
di sostanze), funzionamento cognitivo (mancata regolazione
dell'attenzione, difficoltà nell'elaborazione degli stimoli,
difficoltà di apprendimento, difficoltà nel programmare e anticipare),
senso del Sé (senso del Sé carente, scarso senso di separatezza,
disturbi dell'immagine corporea, bassa autostima, senso di vergogna e
di colpa).
Per l'autore, quindi, la perdita di
una base sicura rappresenta la forma di trauma psicologico più precoce
e dannosa, capace di sconvolgere il cuore dell'identità soggettiva e
di predisporre il soggetto alla depressione, al tentato suicidio, all'addiction,
ai disturbi del comportamento alimentare, ai disturbi
dissociativi, eccetera.
Sottolineando la stretta relazione
fra trauma e dissociazione, Giovanni Liotti sostiene nel suo articolo
che la disorganizzazione dell'attaccamento è l'esempio più precoce e
conosciuto di dissociazione delle funzioni mentali. Essa è connessa a
esperienze traumatiche irrisolte dal genitore, le quali si riflettono
sullo stato dissociativo del bambino anche in assenza di
maltrattamenti espliciti.
Per cogliere l'aspetto dinamico,
processuale e intersoggettivo della molteplicità rappresentativa
tipica del modello operativo interno (MOI) disorganizzato, l'autore
utilizza la metafora del 'triangolo drammatico'. Questa metafora
suggerisce che il bambino disorganizzato tende a percepire se stesso e
la figura di accudimento (caregiver) secondo tre ruoli (quello
del persecutore, del salvatore e della vittima), la cui mancata
integrazione si accompagna a un impoverimento interiore delle
competenze autoriflessive, con notevoli ripercussioni sui processi di
integrazione del Sé e con la conseguente perdita dell'esperienza
soggettiva, tipica di quei disturbi psichiatrici in cui i meccanismi
dissociativi risultano predominanti.
Per Liotti, quindi, bisogna
"considerare i traumi e la dissociazione in stretta relazione con
stati affettivi e intersoggettivi che non sono stati integrati in
strutture di significato unitarie e coerenti riguardanti la relazione
con le figure di attaccamento. Gli stati affettivi non integrati
sopravvivono nella memoria implicita del modello operativo interno
disorganizzato. Essi possono permanere a un livello latente
dell'attività mentale fino a quando, innescati da un evento che attiva
potentemente il sistema di attaccamento (traumi, ma anche
modificazioni nell'equilibrio dei legami affettivi), intervengono a
disorganizzare le funzioni integrative della coscienza, della memoria
e dell'identità. Per rendere compiuto il modello di trauma e di
dissociazione basato sulla teoria dell'attaccamento, resta da
considerare in qual senso si ritiene che gli stati affettivi connessi
al modello operativo interno disorganizzato possono permanere, per
anni, a un livello implicito dell'attività mentale prima che un evento
(ad esempio, un evento doloroso) li rievochi".
Dalla lettura di tutti i lavori
raccolti in questo libro, emerge con chiarezza l'intento dei suoi
curatori di riconsiderare il concetto di trauma psichico in termini
evolutivo-relazionali, a partire dagli importanti suggerimenti
provenienti dalla teoria dell'attaccamento (Bowlby, 1969, 1974, 1980,
1988), dall'infant research (Beebe e Lachmann, 2002; Sander,
2007), oltre che dalle recenti scoperte neurobiologiche sulla natura
relazionale della mente (Siegel, 1999).
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