|
Il Comitato di Redazione, come le
voci del coro nella tragedia greca, ha voluto introdurre il tema di
questo numero partendo dall'esperienza clinica di ciascuno intorno al
trauma. E' emerso un dialogo rappresentabile come una polifonia di
voci, ciascuna distinta dall'altra ma ben inserita nel coro che, a sua
volta, nel dispiegarsi della rappresentazione tocca vertici diversi e
profondi. Ognuno ha centrato l'attenzione su un aspetto piuttosto che
un altro: è stata chiara a tutti l'inesauribilità dell'argomento.
Proprio questa inesauribilità trascinava verso un gorgo profondissimo
di disperazione e dolore, tanto che l'esperienza clinica e teorica di
ciascuno riusciva appena a declinare le diverse "voci" teoriche. Voci,
che anche cronologicamente, hanno disegnato il percorso del trauma
nella storia della psicoanalisi. Edipo al Corifeo nell'Edipo re dice
<<Io, come sono straniero a ciò che si dice del fatto, così fui anche
al fatto straniero. E non andrei molto lontano nella mia ricerca da
solo, se non avessi qualche indizio>>. Apre, così, la strada al
proprio tragico destino, evidenziando come il trauma, ignaro a se
stesso, possa diventare tale in un disvelamento progressivo e
inesorabile.
Nelle pagine che seguono il trauma
apparirà sotto diversi aspetti pur mantenendo in sé il segreto di una
cicatrice profonda. L'inesauribilità dell'argomento è anche la radice
epistemologica delle psicologie del profondo.
Trauma dal greco trauma-tos,
ferita. Il concetto evoca nella letteratura psicoanalitica e
psicologica molteplici sfumature che rimandano a ferite profonde,
talvolta necessarie, come per il trauma della nascita, talaltra
insanabili come i traumi psichici responsabili delle dissociazioni più
drammatiche. La psicoanalisi ha tuttavia mutuato dalla medicina il
significato di "ferita con lacerazione" e, come affermano Laplanche e
Pontalis, <<ha ripreso questo termine trasponendo sul piano psichico i
suoi tre significati: quello di shock violento, quello di lacerazione,
quello di conseguenze sull'insieme dell'organismo>>(p.619).
Freud ne ha dato perlopiù una
connotazione economica nel senso di un eccesso di eccitazione non
adeguatamente tollerato dall'apparato psichico. Agli albori della
teoria psicoanalitica, Freud individuava l'etiologia delle nevrosi
nelle esperienze traumatiche pregresse, l'abreazione e l'elaborazione
psichica, ne rappresentavano la cura. Tuttavia, come sottolineato da
Laplanche e Pontalis, <<le condizioni psicologiche particolari in cui
si trova il soggetto al momento dell'evento vanno a costituire uno dei
fattori che incidono sul valore traumatico dell'esperienza>>. Essi
precisano ancora, in riferimento al Freud di Studi sull'isteria
che:<<E' anche possibile definire una serie che va dall'evento
la cui efficacia patogena deriva dalla sua violenza e dal suo
carattere improvviso fino all'evento che deve la sua efficacia al suo
inserimento in un'organizzazione psichica che ha già i suoi punti di
rottura ben precisi>>(Freud 1892-95, p. 620).
In seguito Freud attribuì un
carattere sessuale al concetto di trauma, connettendo il trauma alla
difesa, dove l'evento traumatico avrebbe avuto il compito di suscitare
difese patologiche nell'Io.
Successivamente l'evento traumatico
fu scomposto in due momenti temporali dove il primo era caratterizzato
dalla seduzione avvenuta in epoca infantile, riattivata in un secondo
momento durante la pubertà. Tale concezione, considerando che la
seconda parte della scena seduttiva si appoggiava su una precedente
seduzione e dunque un precedente eccesso eccitatorio, <<apre già la
via all'idea secondo cui gli eventi esterni traggono la loro efficacia
dai fantasmi da essi attivati e dall'afflusso di eccitazione
pulsionale che essi provocano>>(p. 621).
E' in Al di là del principio di
piacere (Freud, 1920) che l'idea di trauma va oltre la visione
strettamente economica e viene modificata considerando l'eccitazione
prodotta dall'evento traumatico responsabile dell'"annullamento del
principio del piacere" (la coazione a ripetere): il trauma minaccia
ora l'integrità del soggetto. Infine, con la seconda topica, la
minaccia dell'eccitazione non sarà più solo esterna ma soprattutto
interna dove il "segnale di angoscia" definisce la situazione in cui
l'Io è indifeso. Il cardine teorico freudiano era già presente nel
Progetto (1895), ove già in nuce si intravedeva che l'effetto
patogeno dell'evento traumatico sarebbe stato postumo: l'episodio
scatenante riattivava una traccia mnestica perlopiù infantile che
permaneva protetta dalla rimozione e quindi inaccessibile alla
coscienza.
Ferenczi negli anni '31-'32 amplia
la visione freudiana, proponendo una concezione del trauma, poi fatta
propria da Balint, Winnicott, Bowlby e altri autori moderni, in base
alla quale l'ambiente esterno con la propria reazione allo 'spavento
del bambino' determinerebbe la traumaticità dell'evento, spostando la
visione del trauma verso una psicoanalisi più relazionale. E'
interessante e attuale l'analisi di Ferenczi delle condizioni post
traumatiche, laddove la negazione dell'ambiente genererebbe nel
bambino una "scissione della personalità", come conseguenza
all'abbandono. E, ancora l'identificazione con l'aggressore, che per
l'Autore è conseguente alla scissione, porta la vittima a "pensare
come l'aggressore", ad interpretare e ad anticiparne i desideri. Dice
Ferenczi nel "Diario Clinico"(1932): <<Nessuna possibilità di sfogarsi
piangendo per l'ingiustizia subita o lamentandosi con una persona
comprensiva. Soltanto allora il mondo reale, quale esso è, diventa
così insopportabile, il sentimento di ingiustizia, lo stato di
impotenza e la mancanza di ogni prospettiva di miglioramento diventano
così assoluti che l'Io si ritira dalla realtà senza tuttavia
abbandonare se stesso>>.
La visione di Ferenczi, e di autori
come Winnicott che individuano alla radice del trauma la condizione di
dipendenza e, conseguentemente, la precoce separazione dall'oggetto o
un'inadeguata capacità di questo nel supportare il bambino anche nelle
fasi di passaggio e di crescita (che possono così diventare
potenzialmente traumatiche), avvicina ad un'immagine di trauma
plurideterminata e polifonica. Jung sembra inserirsi in tale cornice
sussumendo le precedenti versioni teoriche e cliniche intorno al
trauma nell'immagine unica di impatto col mondo. A partire da
un senso fondamentalmente metaforico, nella psicologia analitica il
trauma acquista anche le caratteristiche di un evento che, attraverso
la destabilizzazione, cerca di porre l'individuo nella necessità di
esprimere tutte le sue potenzialità, ritrovandole o trovandone
di nuove nell'incontro con se stesso. Pieri sottolinea che il termine
<<consiste nell'evidenziarsi, nel processo
immaginativo-rappresentativo, di un evento che, seppure accompagnato
dal sentimento di pericolo dell'Io, e forse proprio per questo, è da
intendere essenzialmente come l'accadere di una possibilità>>(Pieri
1998, p. 752).
Per Jung è la "predisposizione
interiore al trauma"(ibidem, p. 754), una sorta di "arretratezza dello
sviluppo affettivo", responsabile del prodursi di una nevrosi, non già
l'evento di carattere sessuale vissuto nell'infanzia, infatti
<<l'individuo deve avere nei confronti del trauma una ben determinata
predisposizione, perché questo acquisti efficacia>>(Jung 1913, p.120).
La maggior parte degli eventi traumatici sembrano importanti,
ma sono solo:<<l'occasione perché si manifesti uno stato già da tempo
abnorme. Lo stato abnorme è [...] un persistere anacronistico
d'uno stadio infantile dello sviluppo della libido. I pazienti
conservano ancora forme d'impiego della libido che avrebbero dovuto
abbandonare già da tempo[...]. La libido, invece di venire spesa per
un adattamento il più possibile preciso alle condizioni reali, rimane
bloccata in attività fantastiche>>(ibidem, p.156).
In diverse occasioni, nel corso
delle nove lezioni tenute alla Fordham University di New York nel
1912, Jung ha ripreso il discorso sulla morbosità di un evento e sul
ruolo che si deve attribuire alla disposizione personale nella
comprensione dell'effetto traumatico, e nel 1916, in "Psicologia
dell'inconscio", ricorda ancora che:<<[...] l'intensità di un trauma
ha evidentemente di per sé scarsa importanza patogena, ma deve avere
un'importanza per il paziente>>(Jung 1916, p.14). Queste osservazioni
ci conducono fino ai giorni nostri, in un territorio (apparentemente)
lontano qual è quello della psicosomatica o, meglio ancora, della più
recente Psicologia della Salute. In questo ambito di studio, infatti,
le scale che utilizzavano misure assolute per l'impatto degli eventi
(tra cui il trauma) sulla vita degli individui sono state da tempo
sostituite con misurazioni molto più articolate che prendono in
considerazione, per valutare il peso di un evento traumatico, alcune
caratteristiche di personalità, tra cui la hardiness (o
capacità di resistenza) o lo stile di coping (gestione) degli
eventi.
Nella psicologia analitica, come
abbiamo detto, è la regressione della libido il fattore scatenante e
attivatore dei ricordi infantili necessari ad evocare il trauma, ma
l'attivazione della fantasia regressiva può avere anche una funzione
protettiva in situazioni che appaiono insopportabili o senza via
d'uscita. A questo proposito la Knox (2003) osserva come Jung abbia
anticipato l'idea di una funzione difensiva delle fantasie infantili,
laddove ha affermato:<<Per questi motivi io cerco la causa di una
nevrosi non più nel passato, ma nel presente. La domanda che mi pongo
è: qual è il compito necessario al quale il paziente non vuole
adempiere? La lunga lista delle sue fantasie infantili non mi dà
alcuna spiegazione soddisfacente delle cause della malattia, perché io
so che queste fantasie sono state portate all'esasperazione soltanto
dalla libido regressiva, che non ha trovato il suo sbocco naturale in
una nuova forma di adattamento alle esigenze della vita>>(1916, pp.266-267).
La funzione dissociativa e demonica
che, attraverso la fantasia inconscia, permette il perpetuarsi del
trauma, è per Kalsched di natura archetipica, infatti:<<L'originaria
situazione traumatica ha messo talmente in pericolo la sopravvivenza
della personalità, che non ne è stata conservata traccia in una forma
personale riconoscibile, ma soltanto in una forma archetipica
demonica>>(2001, p.93).
Il discrimine tra ciò che è umano e
ciò che è disumano o inumano è dato dalla soglia oltre la quale il
dolore non è sopportabile e, soprattutto, rappresentabile. Relegare
nella psiche inconscia ciò che la coscienza non è in grado di
accogliere, risponderebbe a una dinamica difensiva allo scopo di
trattenere i contenuti perturbanti in un teatro interiore
autosufficiente, onnicomprensivo. L'evitamento del contatto con la
realtà esterna preserverebbe dal perpetrarsi della realtà traumatica.
<<La mente può modificare se stessa di fronte agli eventi, soprattutto
di fronte ad eventi particolarmente traumatici e dissonanti con gli
schemi precedenti di sé, dell'altro, del mondo>>, ci ricorda Solano
(2001, pag. 44) e Fonagy (1991), dal canto suo, osserva che la
capacità di leggere la realtà può essere attivamente
danneggiata, per evitare un dolore intollerabile.
Nella relazione terapeutica la
realtà esterna assume tuttavia la sua funzione di mediatore, con il
suo corredo di immagini, sensazioni, affetti, permettendo così un
transito nella coscienza, e consentendo all'incorporeo demonico di
umanizzarsi e di prendere corpo dal mondo interno della fantasia
inconscia, abbandonando il carattere diabolico e perturbante.
A questo punto il coro rimanda allo
sciagurato Edipo l'idea di un trauma che si articola secondo delle
variabili storico-temporali e al contempo strutturali. Il bambino che
subisce il trauma e/o il trauma che si perpetra nella vita a causa di
un impatto con delle difese che, per proteggere l'individuo, ne
dissociano una parte psichica importante. Dice Kalsched (1996, p.44):<<Perché
si realizzi a pieno l'effetto patologico del trauma, è necessario un
evento esterno e un fattore psicologico. Il trauma esteriore non
scinde la psiche. E' un agente psichico interno suscitato dal trauma a
operare la scissione>>.
In riferimento all'Autore il coro
ipotizza una risposta immunitaria della "psiche" a sua volta dannosa e
tirannica. Ricordando ancora Kalsched:<<nella risposta traumatica
possiamo immaginare che qualcosa vada storto in queste risposte
immunitarie normalmente protettive. E' un dato quasi universale, nella
letteratura sul trauma, che i bambini che hanno subito abusi non
possono mobilizzare l'aggressività per espellere gli elementi nocivi,
cattivi, non-me, dell'esperienza>>(op.cit., p. 48).
Un'altra voce del coro ricorda che
il concetto di resilienza, mutuato dalla fisica dei materiali,
indica la capacità di un materiale di resistere a un urto senza
spezzarsi. In ambito psicologico indica non solo la capacità di
difendersi ma anche quella di ricostruire positivamente un proprio
percorso nonostante siano state vissute o si vivano situazioni
difficili o estreme che farebbero presagire una risposta assolutamente
negativa. Tuttavia non sempre la capacità di resilienza è adeguata e
sufficiente e talvolta, specie con il perpetrarsi di situazioni
traumatiche più o meno silenti sin dall'età precoce, la psiche può
mettere in atto una risposta autodistruttiva. La psiche spesso
risponde al trauma con una dissociazione, un espediente che consente
il proseguimento della vita, spezzettando l'esperienza intollerabile e
distribuendola in diversi compartimenti tra la mente e il corpo. Nei
traumi precoci la psiche non può elaborare l'esperienza traumatica e
così questa viene depositata nella memoria del corpo (Solomon 2004, p.
649):<<[...] è come se la psiche non potesse tollerare l'impatto con
questa esperienza, o come se non riuscisse a darle un senso e tutto
ciò che può fare è tradurla in una forma organica, anche perché
l'esperienza traumatica ha effettivamente effetti tossici sui sistemi
fisiologici>>.
Tra i principali effetti a lungo
termine del trauma i ricercatori indicano un abbassamento cronico dei
livelli di cortisolo ematico che compromette il funzionamento del
sistema immunitario (Yehuda, 1998).
La forza negativa del Sé è forza
disumana, appunto, attivata dalla deviazione di energie distruttive e
aggressive. Energie altrimenti disponibili per l'adattamento alla
realtà e per una salutare difesa dagli agenti tossici, in una psiche
traumatizzata vengono rivolte all'interno e riportate nel mondo
interiore come se la tossicità provenisse da lì. Dando così luogo al
meccanismo altrimenti definito da Ferenczi "identificazione con
l'aggressore".
Il trauma nella sua componente
psichica interna fa da controcanto al trauma osservato sotto un
profilo relazionale, in cui si evidenzia come fin nella relazione
precoce il bambino possa sviluppare degli stili di attaccamento da una
parte adattativi alla situazione potenzialmente traumatica ambientale,
dall'altra in grado di esprimere, attraverso il potere della
trasmissione transgenerazionale, il senso ineluttabile e potente delle
situazioni traumatiche storiche, familiari. Il riferimento del coro va
subito all'abuso fisico e/o psicologico, spesso identificato nella
letteratura specifica con il trauma (si pensi alla nosografia
psichiatrica relativa al Disturbo da Stress Post Traumatico). Tuttavia
se l'abuso è per definizione traumatico o meglio viene definito tale
proprio in virtù di una dinamica traumatica tra un soggetto più debole
che è l'abusato e uno che prevarica, non necessariamente il trauma è
abuso e non sempre finisce sotto i riflettori o sulle pagine dei
quotidiani. Esistono i micro traumi quotidiani, quelli che si
consumano nelle relazioni precoci, esistono i traumi necessari alla
crescita ma altrettanto necessariamente tollerabili.
Il coro giunge infine ad indicare ad
Edipo, nell'incalzare della tragedia, il valore traumatico per
eccellenza: la perdita di una persona cara, ancorché dalla quale di è
dipendenti: la morte precoce, improvvisa, violenta di un genitore. Un
genitore suicida, un genitore che muore in età precoce..., il
carattere cicatriziale dell'esperienza traumatica sollecita il coro
sulla difficile elaborabilità di questi traumi che, sfuggendo al
lavoro del lutto, se ne differenziano e vanno a incistarsi in una
dimensione psichica scissa e al suo interno indifferenziabile al tempo
stesso.
Infine un accenno al coro medesimo
che fa della sua stessa cura un trauma, là dove talvolta, nella
delicata asimmetria della stanza di analisi il paziente si trova a
subire la confusione dei linguaggi, senza difese adeguate, costretto
ad identificarsi con le parti cieche del suo stesso analista. Chiude
questo breve canto introduttivo sul trauma, un coro un po' speciale,
quello che nell'Antigone di Sofocle dice:
Felici quelli che non hanno mai
conosciuto il dolore. Ma una volta che una casa investì l'urto di un
dio continua il compimento del flagello su l'intera progenie
inarrestabile. Così quando si scontrano feroci i venti della Tracia
l'onda scende in grembo al mare oscuro e ne solleva il nero fondo e ai
colpi trema il lido risonante all'intorno alto di gemiti.
In queste brevi battute è espressa
la forza dell'impatto traumatico e al contempo il senso del processo
necessario all'elaborazione, anche in una prospettiva
transgenerazionale. In altri termini il tema del trauma riteniamo che
rivesta un valore profondamente ontologico, inesauribile e declinabile
sia sotto il profilo ambientale che al contempo intrapsichico e
storico. I lavori che seguiranno affronteranno l'argomento da diversi
punti di vista, rinviando ad un ascolto analitico polifonico e
complesso.
|