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    "L'ARIA E' DECISAMENTE CAMBIATA"

 

Intervista allo scrittore sloveno triestino Boris Pahor alla vigilia della caduta del confine italo-sloveno

 

 Per gentile concessione della rivista "Vita Nuova" ( www.vitanuovatrieste.it ) riportiamo l'intervista rilasciata da Boris Pahor l'anno scorso alla vigilia della caduta di una frontiera che ha segnato la storia di Trieste, quella tra Italia e Slovenia. L'intervista era a cura di Giorgio Pilastro. Le foto a corredo di questa pagina web  sono state gentilmente messe a disposizione da Ambra Cusin, psicoanalista S.P.I. di Trieste.

 

 

 

da "Vita Nuova"
<<Già adesso quello italo-sloveno è un confine semiaperto: senza le sbarre, però, sarà un'altra cosa>>. Il professore Boris Pahor, scrittore sloveno triestino, ripone molte speranze nello smantellamento del confine fisico tra l'Italia e la Slovenia, oramai prossimo. E anche qualche timore. Convinto sostenitore del dialogo tra le culture, è da sempre anche un fermo difensore dell'identità dei popoli e della tutela delle lingue. E un testimone attento e sensibile della peculiarità del rapporto tra le etnie in queste terre di confine. Nel libro "Necropoli" Pahor racconta l'incontro nel campo di concentramento di Dachau con l politico triestino Gabriele Foschiatti. La sua considerazione è amara: era stato necessario incontrarsi in un luogo nel quale "ciò che è umano veniva rinnegato" perché, per la prima volta, un concittadino italiano gli parlasse con un tono d'umanità.

 

 

 

         
I: Ora, professore, ci auguriamo che molto sia cambiato. Come interpreta il prossimo abbattimento della frontiera in una terra ancora di confine, come Trieste o Gorizia?

P: Si tratta di un cambiamento importante e certamente positivo. Due comunità etniche e linguistiche meno divise avranno maggiori opportunità di unirsi e di dialogare. La definitiva caduta del confine dovrebbe, in teoria, essere utile soprattutto per gli sloveni che attualmente sono staccati dalla Slovenia e vivono in Italia. Migliorerà lo scambio commerciale, culturale ed anche quello personale. Purtroppo gli italiani in Istria dovranno attendere che la Croazia entri nell'Unione Europea.

 

I: Ci sarà una maggiore possibilità di travaso tra le culture?

P: Credo che più di travasi di culture si tratti di incontri di coscienze, di movimenti di persone. Una maggiore possibilità di confronto. Già adesso i licei di Lubiana e di Postumia vengono a far visita alle scuole italiane e viceversa. Il semplice fatto di non dover fare più i conti con il confine fisico rappresenta qualcosa di positivo. Inoltre il rapporto italo-sloveno qui a Trieste negli ultimi quattro o cinque anni è decisamente cambiato. Ha un altro tono, di vicendevole arricchimento. Siamo in una situazione senz'altro migliore.

E devo dire che un grande merito va attribuito, in primo luogo, alla Chiesa.

I: Veniamo al tema della cultura. Quella slovena è poco conosciuta a Trieste. Perché?

P: Della cultura slovena a Trieste non si conosce quasi nulla. Questo è vero. E non è certamente un fatto di oggi. Volevo, però, sottolineare - come già anticipato - che qualcosa sta cambiando. Gà l'ex sindaco di Trieste, Manlio Cecovini, si era accorto che le due culture dovevano conoscersi di più. Qualcuno gli ha anche rimproverato questo suo atteggiamento. Lui, ad esempio, ha parlato della mia "Necropoli" alla sala Minerva. In una bella antologia pubblicata a Trieste sugli autori italiani nel post scriptum aveva indicato che era necessario pubblicare pure una raccolta simile dedicata agli autori sloveni. Anche il giornale cittadino, "Il Piccolo", è cambiato in questo senso. Gli autori triestini sloveni hanno più spazio.

I: E gli autori sloveni "della Slovenia" sono conosciuti?

P: A Trieste gli autori della Slovenia avrebbero più possibilità di essere conosciuti rispetto a noi, "autori della minoranza". Noi siamo un territorio "pericoloso". Claudio Magris ha scritto recentemente un articolo molto interessante sul Corriere della Sera dedicato a Drago Jancar, autore sloveno molto conosciuto soprattutto in Germania. Da poco sono stati tradotti due suoi volumi in italiano. Ma di noi sloveni triestini non ha mai parlato. Siamo stati solo menzionati, Alojz Rebula ed io, nella seconda edizione di "Trieste un'identità di frontiera". Pare che adesso abbia accettato di scrivere la prefazione alla mia nuova edizione di "Necropoli", che sarà pubblicata a Roma agli inizi del prossimo anno. Lo ringrazio di cuore. Anche questo lo interpreto come un segno del cambiamento.

I: Come presenterebbe la cultura letteraria slovena ad un osservatore curioso?

P: Nel 2004 ho pubblicato un vademecum: "Letteratura slovena del Litorale". Si dovrebbe trovare ancora in libreria. Il testo era apparso a puntate sulla rivista "Trieste & oltre", diretta da Guido Botteri. Una storia da Primoz Trubar, nel 1550, ai giorni nostri. Ho inserito solo gli autori sloveni della nostra zona. C'è poi un bellissimo testo di Tatiana Rojc sulla letteratura slovena, "Le lettere slovene". Un libro che con la professoressa Cristina Benussi abbiamo presentato nella ex Narodni dom.  E' un testo snello che prende in esame le epoche e gli autori essenziali, spesso facendo riferimento anche alla letteratura italiana. Sarebbe un testo ideale da raccomandare nelle scuole italiane, qualora volessero introdurre lezioni di sloveno.

I: A proposito di lingue, esse rappresentano uno degli elementi qualificanti di un'etnia, ma non solo. Rappresentano il ponte per agevolare i rapporti tra popoli e nazioni. Quale significato dobbiamo dare al  fatto che lo sloveno è praticamente sconosciuto a Trieste, a dieci chilometri dal confine?

P: Noi siamo fortunati perché finalmente a Trieste ci chiamano sloveni. Fino a qualche anno fa non si parlava di sloveni, ma di slavi. Ancora oggi qualcuno dice: "voi slavi". Ma slavi non sono anche i croati? L'espressione qui da noi veniva poi modificata in "schiavo" e quindi "s'ciavo", che è entrato nell'uso corrente del dialetto. Ancora oggi non viene data importanza a questa distinzione. Racconto un episodio. Nel 1986 c'è stata una mostra a Parigi su Trieste al Centro Pompidou: "Trouver Trieste". In quella occasione il Comune di Trieste ci ha completamente rinnegati.  In una bacheca c'era scritto che a Trieste vivono molti popoli: serbi, cechi, dalmati e slavi. Ho fatto notare: <<Allora i serbi, i cechi ed i dalmati non sono slavi?>>. Quando il Presidente Napolitano ha affrontato la questione delle foibe, ha parlato dei "sanguinari slavi". Il presidente croato Stipe Mesic si è fatto subito sentire. Il Ministro D'Alema ha telefonato dicendo che nessuno aveva pensato ai croati. Chi resta allora? Questa è una interpretazione dei fatti che è partita da Trieste. L'idea di voler disconoscere il "popolino sloveno" viene, quindi, da lontano. Sarebbe un discorso lungo. La politica ha rinnegato gli sloveni e da questo ne consegue la negazione della lingua. Appena la politica comincia ad essere più "onesta", anche il resto cambia.

I: Il giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz, in occasione dell'ingresso della Slovenia in Europa, disse che si trattava di un evento che ripristinava in queste terre una situazione storica di cent'anni prima. Anche la fine del confine non è dunque una novità?

P: La novità è che la Slovenia ha finalmente un'identità che in Europa non si può più  negare. Poteva essere messa in discussione nella prima Jugoslavia, molto meno nella seconda, quando è diventata una repubblica, anche se la dipendenza da Belgrado era sentita. Adesso la Slovenia è un'entità europea, giuridicamente equivalente alle altre nazioni. Secondo me, il futuro di questa nazione dipenderà da come saprà essere attiva nel settore economico (cosa che mi interessa di meno) e soprattutto in quello culturale. In questo senso c'è una grande apertura nei confronti dell'Europa. Gli studenti sloveni sono presenti nelle Università di tutta l'Unione Europea.  E' importante, però, migliorare ancora i rapporti con il territorio di Trieste e Gorizia. E' un retaggio dell'impreparazione nata durante i vent'anni di fascismo e i quaranta del governo di Tito, quando la propaganda interna mirava esclusivamente a cercare legami con la sinistra comunista e socialista italiana, lasciando in disparte la questione culturale.

I: Ritorniamo alla questione della lingua. In nessuna scuola media o secondaria italiana si studia lo sloveno. Questo è un segnale inequivocabile di un rapporto ancora non normalizzato.

P: E' quello che ho ripetuto tantissime volte. Vogliamo l'apertura? Questa è una delle strade principali. Le scuole italiane dovrebbero prevedere un0ra settimanale di sloveno (almeno facoltativo). Purtroppo parte della politica triestina - quella di destra - sostiene che studierà prima un dialetto africano che lo sloveno.

I: E', quindi, solo una questione di volontà?

P: Le faccio un esempio. Io ho imparato il croato perché in seminario a Capodistria avevamo un'ora di lingua croata. Agli studenti italiani non interessava molto. Io invece ho imparato qualcosa. Poi in Africa, durante la guerra, nella mia batteria c'erano molti croati.  E così ho finito per conoscere anche il croato. Le lingue sono un punto di collegamento essenziale tra le culture. Se vivi a Trieste conoscere lo sloveno diventa importante. Come diceva Slataper, le due popolazioni, le due anime della città sono quella italiana e quella slovena. C'erano, e ci sono,certamente anche i serbi ed i croati, ma le due etnie storiche sono le nostre due, dall'epoca di Carlo Magno.

I: Nel suo libro di racconti "Il rogo nel golfo" lei descrive una situazione che fa risalire addirittura agli inizi del secolo il problema della lingua slovena a Trieste.

P: In quel libro racconto come durante il fascismo vennero chiuse tutte le scuole slovene e fu vietato a tutti di parlare la nostra lingua. Non si poteva nemmeno parlarla in strada. Io ero piccolo, andavo alle scuole elementari. Fu per me un avvenimento traumatico. Prima avevano anche incendiato la nostra Casa del Popolo (la Narodni dom). Ero lì presente, assieme alla mia sorellina. Sono stati avvenimenti sconvolgenti per la comunità slovena. Quando questo libro è stato tradotto in Francia, i francesi non riuscivano a comprendere come questi fatti fossero potuti succedere.

I: Come ritiene sarebbe stato l'esito di una ipotetica consultazione se, al posto dei vertici nazionali ed europei, fosse stata la cittadinanza triestina a dover decidere con un referendum l'ingresso della Slovenia in Europa e l'abbattimento dei confini?

P: Io credo che la maggioranza della popolazione sia favorevole all'eliminazione del confine. La destra, probabilmente, farebbe propaganda contraria, ma si troverebbe in minoranza.

I: E in Slovenia?

P: La stessa cosa.

I:  Quindi la caduta del confine sarà una cosa apprezzata da tutti?

P: Ritengo di sì. L'atmosfera che negli ultimi anni si respira a Trieste mi fa essere ottimista. L'Italia in fondo ha un interesse dal punto di vista commerciale e culturale che la frontiera non ci sia. L'unica cosa che può essere ancora sostenuta è la propaganda del pericolo che gli sloveni colonizzino Trieste. E' una vecchia teoria creata ad hoc dall'irredentismo, quella della paura degli sloveni. Ciò che è importante ora è che questa apertura possa svilupparsi e crescere. Non servono a nulla tutti i discorsi che si stanno facendo. E' l'opinione pubblica che cambia realmente i sentimenti e le posizioni. Io sono molto fiducioso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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