PARANOID PARK Regia di: Gus Van Sant Con una colonna sonora molto liquida e cantata in francese, vediamo un ragazzo sulla pista di skate-board, oppure che scrive un romanzetto su quello che gli era capitato l’estate prima a Paranoid Park. Si tratta di un Alex, un ragazzo imberbe, taciturno sedicenne, come spesso accade nei cinema di Gus Van Sant. Una sera bighellona con gli amici dalle parti di Paranoid Park, frutto proibito per chi pratica skate. Qui si ritrova ad aver assassinato involontariamente un guardiano notturno. Alla stazione di polizia viene interrogato dal detective Richard Lu su un agente morto vicino ai binari della ferrovia, che presto restringe le indagini al liceo di Alex. Diciamo che è stato un incidente, e che quella è stata solo una spinta per legittima difesa fatta da uno sbarbatello Decide di stare zitto e di far finta di niente, anche se si sente inseguito dal senso di colpa. I genitori saranno presto divorziati, ma lui apparentemente è tranquillo su tutta la linea. Come gli altri sei che a scuola frequentano il park. Brucia il diario o quello che aveva scritto per capire cosa gli era successo, compresa l’aver interrotto la relazione con la sua fidanzata dopo aver fatto sesso per la prima volta. |
Tutto il film, esperimento a basso costo di scene interrotte dialoghi sfuggenti, è pervaso da un atmosfera nichilista che sembra preparare ad un gesto folle, in una sorta di Delitto e castigo ambientato ai nostri giorni, secondo le parole di Van Sant. Questo film arriva dopo la trilogia di Gerry, Elephant e Last Days e segue la consolidata indagine del regista sul mondo giovanile e le sue pulsioni, arrivando qui a scegliere un cast totalmente di attori non professionisti, scelti tra gli skaters dell’Oregon che avevano letto volantini affissi nei parchi, trovati grazie all’annuncio sui fumetti o pescati su Myspace. Il montaggio non segue una forma lineare e si appoggia molto sulla slow motion per infondere energia al movimento della tavola e si avvale del contributo di Christopher Doyle, lo stesso direttore della fotografia di Wong Kar-wai, che qui gira sia in super 8 che 35 mm. Il regista nativo di Louisville nel Kentucky aveva esordito nel cinema da un romanziere di Portland come in questo caso, qui grazie a Blake Nelson. Il parco del titolo esiste veramente anche sotto il nome di Punk Park ed è stato centro dell’attenzione di barboni e ragazzi di strada di Portland tra gli anni ’80 e ’90. Maurizio Ferrari Questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche nell’archivio. |
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