- Quant'è che te la conto
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- Prendo spunto dall’articolo “Quando i
terrinchesi andavano in grotta”, apparso sul precedente numero del
giornalino ad opera dell’amico Domenico, per raccontare un fatto
accaduto in quel tempo.
- Erano gli anni 83/84 ed il gruppo Speleologico
Terrinchese era in piena attività. Una sera stavano parlando di una
buca vicino al “Pezzichino” dove, nell’immediato dopoguerra,
venivano gettati ordigni inesplosi col preciso intento di renderli
inoffensivi, nessuno però conosceva l’esatta ubicazione dell’anfratto
né quali fossero le sue dimensioni.
- Io e Paolo Cocci decidemmo di andarne alla
scoperta. Il sabato successivo ci caricammo sulle spalle l’attrezzatura
e, lasciata l’automobile in Campiglia, salimmo velocemente sul
crinale del “Monte Alto” iniziando la ricerca della misteriosa
grotta.
- Il tempo passava ma non riuscivamo a rintracciarla,
semmai saremmo tornati con tutto il gruppo.
- Stavamo quasi per mollare l’impresa quando una
fossa lunga circa un metro e mezzo e larga 50 centimetri si aprì
davanti a noi: prendiamo alcune pietre e gettandole al suo interno
ci accorgiamo che è molto profonda.
- “E’ questa” dice Paolo iniziando a preparare
la corda. La srotola e la lega saldamente ad una radice con un
rimando ad un albero lì vicino. Io intanto preparo l’acetilene, i
discensori, i bloccanti e quant’altro serve in queste occasioni.
Siamo pronti e decidiamo che per primo scenderò io. Non senza
emozione mi infilo nella fessura ed inizio a calarmi, lentamente.
- Dopo pochi metri la cavità diventa più ampia,
guardo in basso ma il fondo non si vede. La parete davanti a me è
verticale e mi consente un buon appoggio con i piedi, la corda
scorre lentamente nel discensore e l’ingresso, pieno della luce di
una giornata di sole, si allontana fino a diventare un punto immerso
nel nero più totale.
- La voce di Paolo mi chiede notizie, arriva da
lontano, rimbomba ma è chiara. “Sono sceso circa 20 metri, il
fondo non si vede, speriamo che la corda sia abbastanza lunga”.
Poi, ad un tratto, la parete di fronte cambia inclinazione e,
gradatamente, diventa orizzontale fino a formare un grosso scalino
sul quale posso sostare.
- Avviso Paolo che può scendere, sono a circa 30
metri di profondità, avremmo poi deciso sul da farsi.
- La sua sagoma affacciata sull’ingresso è piccola
come un bottone che sta per affacciarsi all’asola. Il gradino è
ampio, sgancio il discensore guardando intorno, il compagno è ormai
pronto a raggiungermi quando una forma sospetta che sporge dal
terreno attira la mia attenzione, è li, tra i miei piedi.
- Sento l’adrenalina scuotermi violentemente
mentre, il formicolio sul palmo delle mani ed i battiti del cuore
aumentano improvvisi. Paralizzato dalla paura trovo solo la forza
per gridare a Paolo di non scendere.
- Lui, ormai pronto a raggiungermi, si affaccia di
nuovo e stupito mi chiede cosa succede.
- “Devo uscire subito! C’è una bomba di mortaio
qui, il terreno è franoso e ogni volta che sposto i piedi si muove”.
- Con molta cautela, cercando di limitare al massimo
i movimenti dei piedi, attacco il bloccante e la staffa alla corda.
Finalmente lascio quella posizione infelice e mi avvio verso l’esterno
ormai tranquillizzato anche se la violenta emozione mi ha
indebolito.
- Appena fuori, seduto sull’erba, prendo fiato e
rispondo agli interrogativi di Paolo che mi ascolta incredulo.
- “Sono sicuro, è una bomba di mortaio! Stava lì,
tra i miei piedi con le alette in alto ed il percussore conficcato
nel terreno. E’ vera la storia che buttavano qui dentro gli
ordigni, chissà quante ce ne sono.
- La grotta continua oltre lo scalino ma… chi se la
sente di andare al fondo?”
- Con questi discorsi cominciamo a riporre gli
attrezzi, delusi per non aver terminato l’escursione e timorosi
che qualche altro speleologo potesse imbattersi nella nostra stessa
situazione: decidemmo che comunque era meglio avvisare le autorità.
- Il mattino seguente mi recai al comando dei
Carabinieri di Seravezza dove l’appuntato Russo, ripresosi dalla
sorpresa iniziale, mi chiese se fossi disponibile ad accompagnare
sul posto gli artificieri.
- Accettai volentieri e raccomandai più volte di far
venire gente in grado di calarsi in una grotta e di usare
attrezzature speleologiche.
- La sera stessa mi chiamarono gli artificieri di
Cecina con i quali concordammo di intervenire il sabato successivo;
anche a loro ricordai quali fossero le difficoltà dell’operazione.
- “Quant’è che te la conto” arrivò il sabato
e con esso la camionetta degli artificieri sul “Colletto” .
- Mi aspettavo di veder scendere atletici militari,
ma quando la porta della jeep si aprì, lasciò uscire invece un
tizio sui settant’anni in borghese, uno in divisa che sarà stato
almeno 130 chili ed infine l’unico che sembrava in forma, sui 40
anni con un fisico da ginnasta.
- Saluti e discorsi di circostanza, dopo di che
indicai il “Pezzichino” e spiegai quanto c’era da camminare.
- Partiti con la jeep che lasciammo in “Campiglia”
col vecchietto, proseguimmo in tre verso la meta.
- Il ciccione ansimava e imprecava; mi faceva sentire
in colpa. Io spiegai che avevo avvisato il loro comando di quelle
difficoltà: mi sembrò di intuire invece che le mie raccomandazioni
si fossero perse lungo il filo telefonico e questo mi dava qualche
preoccupazione.
- In “Vallimoni” ci riposammo e già qualche
tensione si notava nei nostri brevi discorsi. “Quandeddiovolze”
arrivommo in quel posto.
- Posai lo zaino ed estrassi l’attrezzatura sotto
gli occhi incuriositi dei due, presi dunque l’imbracatura e mi
avvicinai al tipo più magro per regolarla alla sua corporatura.
- Solo a quel punto lui capì che avrebbe dovuto
infilarsi nella buca. Indietreggiò infuriato sbraitando che li
dentro non ci sarebbe mai entrato e mille altre maledizioni.
- “E allora?” Chiesi io, “chi ci dovrebbe
andare?”.
- I loro occhi indicavano chiaramente il loro
pensiero e vi dico che cominciavo a perdere la pazienza, ritenevo
infatti di aver fatto ormai più del mio dovere, semmai loro
avrebbero dovuto mandare qualcuno capace di risolvere la situazione.
- Seguì una discussione animata che non portava a
niente, il tempo passava. Ogni tanto mi ripetevano che questi vecchi
ordigni non scoppiano e che potevo andare io a recuperarlo. Non sto
a raccontare quante ipotesi facemmo e disfacemmo, alla fine toccò a
me infilarmi l’imbragatura e ficcarmi la dentro.
- L’accordo era che mi sarei limitato a legare la
bomba alla corda, poi l’avrebbero recuperata quando fossi già
uscito.
- Scesi sotto i loro sguardi affascinati, non avevano
mai visto uno speleologo in azione. Andai velocemente posandomi
delicatamente sullo scalino. La bomba era lì, arrugginita e
spaventosa.
- Feci un cappio con un cordino sottile, lo passai
fino sotto le alette e lo restrinsi, lentamente; legai poi l’altra
estremità al capo della corda. Cosa si provi in compagnia di una
bomba sotto trenta metri di terra e roccia non è facile da
raccontare.
- Questa volta avevo il vantaggio di andare verso una
situazione nota e quindi ero preparato ad affrontarla ma pensavo lo
stesso a mille cose e tutte brutte.
- La calma è rimasta fuori, sai che non puoi
chiedere aiuto o consiglio a nessuno, il mondo intero è enormemente
lontano e se qualcosa va storto non troveranno mai nessuna traccia
dello Stagi.
- Velocemente guadagnai l’uscita e appena fuori mi
allontanai.
- Gli artificieri recuperarono la corda e con essa
quel maledetto oggetto che dopo decenni tornò ad illuminarsi al
sole.
- Ora, in mano a quegli uomini che la maneggiavano
con disinvoltura, appariva meno orrenda.
- Tornammo a Terrinca e chiesi se potevo avere almeno
una foto con la bomba: il grassone si offerse come fotografo, mi
inquadrò mentre mi accostavo il proiettile alla guancia e scattò.
- Salutai i 3 artificieri e tornai a casa contento:
avevo qualcosa in più da raccontare agli amici.
- Dopo alcuni giorni ritirai le foto, tutte perfette,
l’unica mossa era quella con la bomba!! Maledetto ciccione!
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- Stagi Baldino
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- Nota:
- Il Gruppo Speleologico Terrinchese era composto da:
- Michele Pili, Marco Cocci, Paolo Cocci, Baldino
Stagi, Domenico Coppedè, Ottavio Neri ai quali si univano
occasionalmente altre persone.
- La loro attività è stata limitata a pochi anni ma
fu molto intensa e tesa soprattutto alla documentazione fotografica
dell’Antro del Corchia seguendo ovviamente il fotografo Ottavio
che ebbe modo di mostrare tutte le sue capacità artistiche.
- Delle circa 1200 fotografie realizzate nell’Antro,
200 formano una raccolta che è stata proiettata non solo in varie
sedi della Versilia ma anche a Milano, Roma, Pistoia ecc. sempre con
enorme successo.
- Quel lavoro costato centinaia di ore passate nell’Antro
doveva poi sfociare in un libro che non è mai stato realizzato.
- Il Gruppo era un punto di riferimento per la
conoscenza acquisita dell’Antro, per l’attrezzatura disponibile.
In varie occasioni siamo stati accompagnatori privilegiati di
personaggi interessati ad accostarsi alla speleologia e molte volte
abbiamo accompagnato abitanti di Levigliani alla scoperta di quella
che oggi è la loro grotta ma che hanno sempre trascurato, anzi,
odiato per i fastidi che dava all’escavazione del marmo. Il nostro
gruppo rivendica di aver per primo in Versilia promulgato il grande
valore ed interesse dell’Antro del Corchia.
- G.S.T.
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