Articoli tratti dal: Giornalino dei Colombani n°15

STORIA VERA

Il Reggipetto

“Oh ma, avrei caro anch’io come le mi amiche andà a imparà un popò a cugì”.
“Vacci bimba, che io un ho mai saputo fa nulla, altro che portà del concime”.
Così partitti da casa la matina dopo e andai dalla Santa giù nelle Piote. Mi prese subito a benvolè e qualcosa imparai a sapè fa.
“Pottiga”, mi disse la Santa un giorno, “bimba mi par che ti crescino già le pupporette, sarà meglio, che tu ti facci un bel reggipetto”.
“Qui c’è la stoffa, guardiemo un po’ che ci si tira fora”.
Tutta contenta cominciai l’avventura, e anco se cun popò d’aiuto me lo fei.
Lo portai a casa, ma un lo fei vedè a mi mà, otè, aveo vergogna, lo rimpiattai e la domenica matina me lo missi , “mosca, faceo la mì figura! Mi mà, un s’accorse di nulla”.
La sera, supito lo lavai, e ecco che qui mi vensino i problemi: ora due lo stendo?
Dopo avecci pensato un bel po’ decisi di stendilo sul tietto del metato li vicino, lassù un n’avrebbe visto nimo senz’altro, missi sulle cordelle un sasso per parte e me ne andai a letto.
Il diavole fa le pentole, ma si scorda di fa i cuperchi: la notte si levò un vento che dio, strappò il mi’ndumento personale dal tietto e lo porto nella via di sotto.
La matina dopo sentìo discute n’dela via dù donnette vecchie cun mi ma, vi conto quel che diceino.
“Oh Sabè, di chi d’è questo coso? Pottarina, pottarina, e a chi sarà nato un bimbetto cun dù teste?”
“Io ragà, un ne so na sporta, al seguro un n’ho mai visto un cencio come questo!”
Averanno avuto i sù difetti e i sù peccati le gente d’una volta, ma se quando moio e vado di là, un fussino in paradiso, me n’avrei per male anco del Padreterno”.
 
GiancarloVannucci
S. Colombano
 
L’iniziativa di riscoprire S. Colombano e di volergli ridare il suo giusto valore è senz’altro lodevole.
Nessuno pretende di dargli l’importanza che non ha, ma è giusto festeggiarlo come compatrono del paese, né più né meno di S. Clemente.
Terrinca ha la fortuna d’avere due santi Patroni al posto di uno solo, e invece di far festa due volte, si divide e fa la guerra a se stesso, non rendendosi conto che a rimetterci è solo e soltanto lui, e non i due Santi che ormai da tempo hanno ottenuto la gloria eterna.
E’ vero che San Clemente e San Colombano sono stati guerrieri, che hanno tanto lottato e tanto combattuto, ma sono stati soldati dell’esercito di Cristo, esercito della fede, della speranza, della carità.
Accanto a San Clemente e a San Colombano ci sono anche altri Santi a cui il paese di Terrinca è devoto, si raccomanda e chiede protezione. Sono devozioni sentite, profonde, sincere
e…. cieche. A San Rocco si chiede la protezione dalle malattie e non abbiamo tempo di andare a far visita ad un malato o di dire una preghiera per lui.
Alla SS. trinità si chiede l’amore per la famiglia e non siamo capaci di telefonare ad un fratello, ad una sorella, ad un figlio, ad un genitore con cui abbiamo conteso, neanche per Natale.
A San Giovanni si chiede la purezza del Battesimo e si va alla Messa guardando com’è vestito il nostro vicino di panca o dicendo male di quello e di quell’altro.
Alla Madonna del Carmine, poi, si chiedono le grazie più grosse e si fa scoprire durante la Messa, ma se qualche povero ci chiede la grazia di un’elemosina, ci giriamo di là dicendo: “ mi dispiace, non posso proprio ….”.
E allora perché tutti i nostri Santi protettori dovrebbero potere sempre e comunque, quando noi ci rivolgiamo a loro?
Con quale coraggio invochiamo la Misericordia di Dio senza avere un briciolo di misericordia verso il nostro prossimo?
La grandezza di Terrinca di avere tanti Santi cui rivolgersi e cui chiedere aiuto ha fatto del nostro paese un campo di battaglia, ha creato dei gruppi che invece di onorare il Santo al quale si sentono più vicini, lo festeggiano per fare dispetto a quelli che si fanno promotori di un altro Santo.
Cosi San Colombano ce l’ha con San Clemente perché l’ha messo nel dimenticatoio; la Madonna ce l’ha con San Rocco perché a ferragosto si porta lui e non lei; San Giovanni sposta le feste perché a San Colombano ci vada meno gente; San Antonio se la prende con San Francesco perché i ragazzi preferiscono il movimento dei “ Giovani in cammino verso Assisi “ alla sua associazione; San Clemente è arrabbiato perché quest’anno si è fatta troppa festa a San Colombano; la SS. Trinità invidia San Giovanni perché a lui hanno fatto più propaganda, più festa….erano in di più!
La Madonna di Lourdes si è offesa perché alla “ Madonna del 12 settembre “ gli hanno dedicato una piazza e un monumento!
Che bell’insegnamento ci danno i nostri Santi !!!
Un po’ di ritegno però l’abbiamo nei confronti dei nostri morti e delle opere che ci hanno lasciato, perché davanti a una marginetta a volte ci sorprendiamo a recitare una “ requiem aecterna “. Davanti a quelle dei vecchi però, perchè quelle di nuova costruzione o appena restaurate sono di chi “ beato lù , che ha dè soldi da spende …” , e non meritano una nostra preghiera .
C’è da dire che però queste rivalità hanno almeno il pregio di stimolare a prendere iniziative , a farsi venire idee , a cercare di realizzare qualcosa anche se , a parte qualche clamorosa eccezione , mi sembra di vedere sempre le stesse facce a portare i Santi in processione , a pulire le foglie del percorso , a mettere le bandierine , a sistemare i fiori e i drappi , a organizzare rinfreschi .
Sembra così che a Terrinca questi gruppi con a capo un Santo protettore ci siano , pronti però a fare solo polemiche , a dire parole e non fatti , critiche e non contributi .
E quel che è più triste e più desolante è che vengono fatte in nome di un santo , che ha lasciato ben altro messaggio !
Questo mette in risalto tutta la miseria umana di un paese che non vede al di là del proprio naso , che non ama se non dentro le mura della propria casa , che non aiuta altro che il proprio egoismo e il proprio orgoglio
Non sono da fare processioni a Santi per far scena se non si ha la forza di viverle con fede , non sono da far dir Messe ai morti per tradizione se non si ha la speranza della venuta del Regno di Cristo , non è da chiedere la misericordia di Dio se non si ha la carità di operarla verso tutti i fratelli.
 
Bonacchelli Daniela
AD UN AMICO
 
Italo Cocci era una prova della mia teoria, non formulata, sui Terrinchesi the si occupano dei problemi della collettività paesana.
 
Le nostre proprietà confinavano e lui approfittava della mia presenza saltuaria per conversare amabilmente, mentre la Marietta, sua moglie, lo sgridava perché mi faceva perdere tempo nel compimento delle pratiche agricole. Seduto su un poggio, chiedeva di andargli vicino a mi raccontava la storia del paese di Terrinca, la tradizione orale the gli aveva trasmesso la madre, Assunta Calviotti, la sua vita militare in Russia, le sue esperienze di "rastrellato" dai Tedeschi, la sua attività di cavatore. Era una narrazione pacata, ritmica, inframmezzata di pause, dall'andamento troppo lento per il mio carattere di "fracassino", ma puntigliosa nei dettagli quasi a voler rivivere gli avvenimenti del passato.
 
Io to ascoltavo con attenzione, gli chiedevo spiegazioni ed ammiravo la sua saggezza, il suo autocontrollo anche nelle situazioni tragiche, il coraggio di esporsi non solo per se o per la sua famiglia, ma anche per gli altri...Restavo in silenzio. Lui proseguiva il racconto a lungo, poi, ad un tratto si fermava a mi fissava negli occhi a con tono dolce mi rimproverava: "Ma tanto te non ci credi ai racconti, vuoi i documenti scritti, le prove, le foto, i progetti..."
 
Caro Italo, amico mio, scusa, se puoi, l’incredulità giovanile che leggevi sul mio viso. Oggi penso a te con tanta nostalgia a vorrei udire la tua voce narrare lentamente la storia a la preistoria di questo borgo, anche tu lo portavi nel cuore, mentre sul tetto di piastre del casello del Biondo, nella Costa, tambureggia la pioggia e la Nina pretende, insieme al Billy, di dormire sulle mie ginocchia di fronte al camino acceso.
 
Si! Era vero quello the ti aveva narrato la mamma sulla costruzione della chiesa parrocchiale di Terrinca; era vero che due colonne di marmo provenivano dalla cava del Giardino e furono donate dalla Ditta Henraux.
 
Io, per crederci veramente, ho dovuto trovare la lettera del Parroco Giuseppe Tarabella, inviata in ringraziamento alla Ditta Henraux, a te era bastato il racconto della mamma.
 
 
Marino Bazzichi

GRAZIE TERRINCA

Non si può certo dire che in Versilia ci sia un grande fermento culturale. Prova e riprova, siamo sempre con il sacco ai piedi: nessuno riesce, -culturalmente parlando- a portare quel sacco sulla vetta.
A Terrinca invece si muovono. Gente difficile, come tutti del resto, spesso diffidente, ma tenace, dura diremmo.
Da anni c'è un gruppo, i Colombani, che realizza cose importanti. Crediamo uniche in tutti e quattro i Comuni del Fiume: mostre retrospettive, conferenze, pubblicazioni. E’ di pochi mesi fa la ristampa de "Il paese di Terrinca" di Giulio Paiotti, uscito per la prima volta, ed a spese dell'autore, val la pena di sottolinearlo, nel 1936, ai tempi del Negus e della guerra d'Abissinia. Si tratta di uno dei capolavori del vecchio professore, uno dei classici storico-letterari della Versilia. Con il Santini, padre Gherardi, il Barbacciani Fedeli e pochi altri, il Paiotti è ancor oggi uno dei primi scrittori che hanno lasciato una traccia sicura e duratura non solo della nostra terra, ma della stessa loro vita.
Dire Paiotti è dire Carducci, Barsanti, Bettino Pilli. tanto per fare dei nomi. Il "Carducci e la Versilia sua terra natale" è un libro ancora presente in libreria nell'edizione originale del 1957 quando costava 800 lire.
E’ un atto di amore e di ricerca scrupolosa della vita del Poeta versiliese, premio Nobel 1906 per la letteratura, ed anche di suo padre, il dottor Michele, patriota e perseguitato politico.
Ricordiamo il professor Paiotti quando, allora giovane corrispondente de "La Nazione" al Forte, veniva a portarci i suoi scritti, accompagnato sempre dalla sua gentilissima mogliettina, una insegnante milanese che gli è stata al fianco tutta la vita con dedizione ed ammirazione.
Le sue pagine ci sono state preziose per la compilazione della voce "Carducci" nell'ormai prossimo Almanacco Versiliese.
Due opere del Paiotti sono dunque ancora ben presenti in libreria.
I nostri lettori non hanno che da verificare se l'esaltazione che abbiamo sempre fatto di questo studioso sia un fatto sentimentale, oppure la riscoperta di un figlio autentico della terra in cui viviamo, nella quale spesso, se non sempre, i valori autentici vengono ottenebrati.
I Colombani non si sono fermati solo onorando il loro conterraneo Paiotti, ma hanno poi dopo dato appuntamento a tutti, era il 3 settembre, al Passo Croce sulla strada dei Retro Corchia, quella che dalla via d'Arni, subito dopo Terrinca, arriva fino al passo di Fociomboli. Era una via che doveva continuare e che con l'avvento alla Regione dei comunisti, come è stato del resto fatto per la Stazzema-Gallicano, è rimasta incompiuta. Doveva (e dovrebbe) continuare fino a Mosceta.
Nell'invito c'era chiaramente scritto che la cerimonia si sarebbe svolta anche in caso di maltempo, ed infatti è piovuto come Dio voleva, anche se al momento giusto l'acqua l'ha finita di rompere. E si è potuta tenere, "lassù fra le montagne", come dice la canzone, la cerimonia di inaugurazione del cippo marmoreo posto a ricordo dei padri Cesare Coppedè e Gustavo Cocci, benemeriti apostoli e promotori della strada "Versiliana Carducci", quella appunto che, in un panorama da sogno, porta fino ai 1277 metri di Fociomboli. Il futuro della Versilia, cari fortemarmini, è lassù.
Bene. Siamo arrivati a Passo Croce in compagnia di Giovanni Pieraccini, prelevato a Viareggio dal comune di Stazzema, e finalmente ringraziato pubblicamente con una cerimonia che La Nazione e il Tirreno hanno regolarmente ignorato. E Pieraccini, ex ministro dei lavori pubblici, ha così potuto ricordare agli immemori che nel 1968 fu lui ad onorare il sogno dei padri Coppedè e Cocci, trovando finalmente i soldi dello Stato italiano per finanziare la VersiIiana Carducci, appunto.
Ambiente suggestivo, le nubi che si alzavano e scendevano, la pioggia che rompeva, qualche squarcio di luce ogni tanto, quel tanto che bastava per farci osservare, da lassù, dai nostri antenati liguri-apuani deportati in massa nel Sannio dai consoli romani, che guardavano con tenerezza i loro testardi discendenti alla ricerca tenace, -vedi i Colombani e, perché no? Versilia Oggi - delle proprie origini indiscusse.
Terminata la breve rievocazione di Pieraccini, ad un certo punto dal microfono si è udita la voce: "C'è Giorgio Giannelli?". Il nostro direttore che in quel momento si stava sorbettando un gelatino crema e limone che nelle grandi occasioni è possibile gustare anche lassù trasportato da un furgoncino, si è sentito battere il cuore dentro. “O che vogliono da me?” Volevano semplicemente dargli una bellissima targa per quanto fece, sempre in quel famoso 1968, per accontentare quei "furbacchioni" di Terrinchesi che gli affidarono l'incarico di rimuovere l'annoso silenzio con il quale la democristianeria romana di quel tempo aveva rinchiuso la Versiliana Carducci nel frigorifero. E Giorgio Giannelli è rimasto così commosso da quell'inaspettato riconoscimento da non avere neppure la forza di prendere il microfono in mano e dir la sua. Non c'è cosa più bella di un dono insperato.
 
Giorgio Giannelli
Direttore di Versilia Oggi
Dal giornale “Versilia Oggi”
n° 410 Ottobre 2000
STORIELLINA
 
Il nome un me lo disse la mì nonna,
e duve andasse gnanco lo sapèa...
"Veniva di marina chianna chianna
guardando giro giro che accadea.."
 
La giubba su le spalle ed il cappello
un po` di sghembo su le ventitre'
un filo di catena nel'occhiello
e nela tasca fonda del gile`,
 
venìa di per in su col sol ch'ardea
ed era guasi guasi "da Bugia".
La gente che 'ncontrava gli chiedea
se c'erin dele nove per la via.
 
Sara` stato 'l su` spirito folletto
o 'l vino assaporato su la riva,
a lu' gli vense 'n mente 'no scherzetto
da fassi con chi 'ncontro gli veniva.
 
"Sapessite che bestia, mamma mia,"
lu' li` comincia a di' con questo e quella,
"ho visto 'n piagge quando vengo via!
Laggiu` c'e` 'na balena da vedella !!"
 
"Sara` 'n ora che 'l mare la rimpalla,
e quant'e` lunga un ve lo posso di'.
C'en tutti i marinelli a misuralla!
Ce n'han da misura` per qualche di'..."
 
La gente lo guardava e 'n po` ridéa
e 'n po` pensava ch'era la giornata;
di novo c'era pogo che accadéa,
sara 'l caso d'un perde la cacciata.
 
E fu 'n Mignano, cole mane 'n tasca,
quell'omo da la giubba sul cotrione,
ma s'era fermo 'n po` sotto la frasca...
e s'era scordo 'l mare e quel bestione.
 
Cosi' che quando vide la via piéna
di popolo ch'andava per la via
curioso di vede' quela balena,
'n mente un gli torno' ch'era la sua.
 
"Ohe'!.."si disse, "questa e` propio bella
godessi 'na balena su la rena!
A me mi par millanni di vedella."
E 'n giu` riandette 'n mezzo a quela piéna.
 
Mario Salvatori
FESTA IN 2 PUNTATE
SULL'ALPE DI "PUNTATO"
 
È stata una festa quasi per scommessa quella che ha portato alcune centinaia di persone in Puntato i giorni 22 e 23 luglio scorsi.
Niente volantinaggio o annunci sul giornale, solo un passaparola che ha però ottenuto esiti imprevisti.
Le cause della riuscita sono molte: sicuramente la novità della serata accanto al fuoco allietata dalla musica del maestro Sergio Maggi e la nottata in tenda, che ha trovato il consenso di una sessantina di persone, costituiva un incentivo alla partecipazione.
Il fascino della vallata, uno dei posti più belli delle Apuane, la chiesa ristrutturata, hanno giocato un ruolo importante.
L’occasione per rendere omaggio alla cara Marfisa per quanto ha donato al nostro sacro patrimonio, è stata infine la molla che ha dato l’abbrivio a tutto il meccanismo; giusto epilogo nell’anno giubilare
Erano presenti il Sindaco, il Presidente della Comunità Montana e due assessori.
La messa, celebrata da due sacerdoti e seguita da un nutrito numero di fedeli, (molti dall’esterno della chiesa ascoltavano mediante l’impianto di amplificazione), è stata resa solenne e a tratti commovente dal coro di Capezzano. L’impeccabile cerimoniere Francesco ha donato all’Oratorio una icona con la S.S. Trinità che i parroci hanno personalmente recato in processione.
Dopo la messa un frugale pasto offerto gratuitamente fidando nel buon cuore di chi si avvicinava al desco.
Il raduno è stato movimentato nel pomeriggio dall’arrivo in elicottero del giornalista Paolo Brosio e la “su” mamma.
Decine i viandanti di passaggio che hanno sostato all’Oratorio, tanti bambini sui campi, anche in tenera età, una nuvola passeggera non ha ingrigito i toni di una festa indimenticabile, sicuramente la più imponente organizzata sui nostri alpeggi.
Era quasi palpabile un senso di serenità diffuso che ha reso unico l’evento, un clima di festosa unione, voglia di stare insieme in allegria, e possono ben essere soddisfatti gli organizzatori (i soliti noti).
Tutto nasce dall’idea di Bruno Tovani che vuole dar risalto all’immane impegno che da decine di anni pone la Marfisa a simbolo di uno sforzo corale per il recupero delle chiese e marginette terrinchesi.
Dovevamo dirle grazie, è vero, ma dovevamo farlo lì, nel posto dove il suo sentimento, il suo entusiasmo, la sua determinazione hanno tenuto incatenato il pensiero di quella donna che ha saputo lottare con la forza di chi è prescelto a realizzare un sogno.
C’erano tutti coloro che sentono di doverle riconoscenza e l’applauso in chiesa ci ha unito in un ringraziamento globale alla “Signora degli Alpeggi” ed a Dio che, come ricordava Francesco, chiama alcuni di noi a missioni insondabili ed elargisce loro doni superiori.
Il paragone col Santo di Assisi che ebbe in sogno il comando da Cristo “ripara la mia chiesa” può apparire fuori misura ma a noi piace pensare che ci sia qualche analogia.
Al coro plaudente unisco il mio ossequio, orgoglioso di sapere che porti il cognome dei miei avi e dico grazie dunque, donna Marfisa, non solo per i risultati ottenuti, per la lezione di tenacia e di fede profonda,ma anche perché sei stata la causa di un così bel giorno, uno di quelli, che, senza sgomitare, trovano un posto nei ricordi… piccolino, ma ci restano per sempre.
 
Baldino Stagi
TRA LA MORTE E LA PAURA :
GLI ANGELI DELLA SPERANZA
 
19/06/1996
ore 14,00
 
Qui sta avvenendo il finimondo. Fuori l'acqua cade come da un rubinetto aperto.
Non so cosa succede, ondate sporche di fango e di dolore stanno travolgendo case, alberi, strade e mietono vittime.
Pian piano l’acqua si alza: 1mt, 2mt, fino e coprire intere case.
Io sono seduta sul divano, ogni tanto mi affaccio alla finestra.
Non sappiamo se vivremo, se rivedremo la luce del sole, forse domani saremo già angeli che solcano le nuvole per arrivare e quel mondo pieno di pace. Un rumore assordante ci spaventa a morte: una frana è caduta a pochi metri da noi. Uomini e donne piangono, il loro cuore è spezzato vedendo il paese da noi tanto amato, pieno di dolore e morte.
Io sono in lacrime, la mia testa è piena di pensieri.
Ore 19,30
Stiamo piangendo, siamo terrorizzati, sono le 19,30 e un elicottero sta portando via da questo posto pieno di paura, le persone rimaste vive che abitavano nella parte più alta del paese. Noi accendiamo un fuoco, agitiamo una maglia, ma i soccorsi non si fermano da noi, volano in alto, sempre più in alto.
Sono per i sopravvissuti gli angeli della speranza.
 
20/06/1996
 
Sono le 6,00 del mattino, i primi soccorsi sono arrivati. Noi ci prepariamo per raggiungere l'elicottero. Dopo aver superato acqua, fango, detriti... siamo pronti a partire, lasciando con dolore le nostre case.
I bambini chiedono alle madri perché stanno piangendo. Uomini, donne e vecchi piangono. I volontari, pur nel loro pallore, cercano con gesti e parole di alleviare il nostro dolore: a volte momentaneamente ci riescono: il pianto cessa per un attimo per poi nella perplessità, tornare a sgorgare.
Volti inespressivi si interrogano: è un sogno o realtà? Saliti sull'elicottero un orrore si presenta davanti ai nostri occhi. Il Cardoso ci ha lasciati. Ci ritroviamo al Campo “Buon Riposo” di Ripa. Siamo pronti a lasciare amici, parenti e compaesani, per avviarci ognuno in una strada sconosciuta. Volontari ci accolgono, ci offrono tè, cioccolato caldo.... Ma noi dopo tutte quelle immagini di terrore non ce la facciamo a mandare giù niente. Guardo per un ultima volta quelle montagne, una volta verdi e felici, ore ricoperte da una nube nera di morte.
Chissà se potremo vivere di nuovo come una volta nel nostro paese, con le nostre tradizioni, i nostri giochi, i nostri ricordi..…
 
 
Lara Dalle Luche e Veronica Viacava
IL PATRONO
 
ORA IL POPOLO GAGLIARDO,
RISVEGLIATOSI IN RITARDO,
VUOL SCALZARE DAL SUO TRONO
L’AMATISSIMO PATRONO
 
SAN CLEMENTE E’ SUPERATO.
ANTIQUATO E SORPASSATO,
ED E’ BENE CHE ESSO SIA
CONFINATO IN SACRESTIA
 
PER ADESSO, SOTTOMANO
HANNO GIA’ SAN COLOMBANO,
MA NEL TEMPO CHE VERRA’
TUTTO QUESTO CAMBIERA’
 
COME VUOL LA TRADIZIONE,
URGE FARE UN'ELEZIONE,
ED I BRAVI CANDIDATI
SONO GIA’ TUTTI SCHIERATI
 
SAN FRANCESCO, E PAOLO, E BRUNO,
POVERINI, SON “NESSUNO”
SAN MARINO E’ ASSAI ADEGUATO,
MA S’E’ TROPPO ALLONTANATO
 
COME SANTO NOVEMBRINO,
CI SAREBBE SAN BALDINO.
SAN DOMENICO O IL MONDIALE,
NON SAREBBERO POI MALE;
MA SE IL VESCOVO IO FOSSI,
PROPORREI GIUSEPPE ROSSI
 
ADCT

Associazione Devoti S.Clemente Terrinca

Il Gruppo Culturale dei Colombani ringrazia l’Associazione Devoti S.Clemente di Terrinca per la simpatica iniziativa e si dispiace per alcuni componenti del gruppo che sono stati dimenticati.

COLUMBAS DAY
2 LUGLIO 2000
 
Sul numero precedente del giornalino mi rammaricavo di come I Terrinchesi hanno fin qui trascurato il Patrono S.Colombano.
Un Santo da sempre ritenuto di secondo ordine, neanche paragonabile agli altri grandi nomi che onorano le nostre chiese.
Niente sappiamo di questo uomo, nessuno a mai sentito un sacerdote parlarne dai nostri altari, mai una processione, una preghiera, un inno.
Credo che nessun terrinchese prima di addormentarsi abbia mai pregato S.Colombano, e credo che pochi sappiano quale giorno dell’anno gli sia stato dedicato, eppure i nostri avi lo scelsero come protettore, seppure compatrono con S.Clemente.
Anche i Colombani, che pure ne hanno assunto il nome e il simbolo (la colomba campeggia sulla spada nel logo del gruppo)hanno fatto poco per rivalutarne la figura.
Mentre però eravamo impegnati a dimenticare l’Abate, in giro per il mondo centinaia di persone studiavano, viaggiavano, si impegnavano per diffonderne la conoscenza.
Capita così, che un gruppo di giovani di S.Colombano al Lambro viene a trovarci in una piovosa domenica di giugno. Stanno organizzando un gemellaggio tra i paesi che hanno s.Colombano come Patrono. Il raduno, che giunge quest’anno alla terza edizione si terrà il giorno 2 luglio.
Ci mostrano le foto dei viaggi, fatte sulle orme del Santo, ci raccontano cose ed aspetti del personaggio che non conoscevamo e lo fanno con una foga che tradisce l’ansia di scoprirne di nuovi.
Mentre sgranavano notizie e dati, supportati da un entusiasmo prorompente, provavo un po’ di vergogna scoprendo quanto grande sia stata la figura di S.Colombano e quanto grande la mia ignoranza sul suo conto.
Di lui si parla come di un “Nuovo Mosé” come del Santo che “ha unito l’Europa nella Cristianità” la più grande figura spirituale d’Irlanda.
“Apostolo dall’anima infuocata, infaticabile camminatore sotto le stelle e salvatore della civiltà”.
E’ talmente grande la sua figura e diffusa la sua venerazione che potrebbe essere eletto Patrono d’Europa, quel continente che ha percorso disseminandolo di conventi, chiese, monasteri ecc.
Centinaia sono i paesi e i luoghi che portano il suo nome, milioni le anime che ricorrono a lui nella prova, nella difficoltà.
Sono migliaia i “Padri dell’Ordine di Colombano”e le “Sorelle missionarie di S.Colombano” che ancora oggi portano la parola di Cristo nel mondo.
I suoi scritti sono esaminati da studiosie specialisti e molto si è scritto su di lui.
Lucca stessa aveva una chiesa dedicata all’Abate, e uno dei suoi bastioni della cinta muraria si chiama “Baluardo S.Colombano”. A pochi chilometri dalla città sorge il paese di S.Colombano e ovviamente la sua chiesa gli è intitolata.
In quindici eravamo presenti al Columba’s Day, accolti con entusiasmo dai nostri amici e dal presidente dell’A.P.T.; ci hanno mostrato la loro sede ed accompagnati alla conoscenza del paese, poi di una bellissima cantina dove si produce il vino S.Colombano D.O.C. e un vino chiamato S.Rocco.
Abbiamo partecipato alla messa nel bellissimo Duomo a 5 navate con la reliquia del Santo.
Nella sede comunale c’è stata la presentazione dei libri “S.Colombano d’Irlanda Abate d’Europa” di Renata Zanuzzi e “S.Colombano attraverso le sue parole” del Cardinale Tomas o Fiaich, (traduzione a cura della parrocchia di S.Colombano di Riva – Suzzara MN) alla presenza del Primate emerito d’Irlanda, Arcivescovo emerito di Armagh, Cardinale Daly.
Mi ha fatto piacere constatare che la signora Zanuzzi ricordava perfettamente il nostro gruppo ed ha voluto dedicarci il suo libro scrivendo semplicemente << I Colombani>> con la firma .
Altra nota piacevole leggere nell’appendice del libro del Cardinale Fiaich tra i nomi delle parrocchie gemellate per il meeting giubilare, il nome di SS. Clemente e Colombano di Terrinca LU al N° 42 tra i 49 paesi presenti.
Peccato che alla stessa ora della Messa Solenne celebrata all’aperto, ci fosse la finale dei campionati Europei di calcio che ha rubato un po’ di folla alla celebrazione.
Al momento dell’uscita dei 65 sacerdoti che si avviavano all’altare, era il nostro Francesco Navarchi a guidare il corteo con tanto di turibolo.
La messa è stata presenziata dal primate alla presenza dei 49 sindaci dei paesi gemellati, per il Comune di Stazzema l’Assessore Giuseppe Rossi vestiva la fascia di primo cittadino.
La cerimonia trasmessa via satellite in tutto il mondo è stata significativa: letture in italiano, inglese e irlandese per dare un senso di internazionalità alla celebrazione. Tra la folla si notavano molti irlandesi presenti.
Daniela Bonacchelli ha fatto emozionata la preghiera dei fedeli. Alla fine grande rinfresco, fuochi artificiali e banda musicale.
Purtroppo per noi era ora di tornare e con un po’ di nostalgia abbiamo salutato gli amici di S.Colombano al Lambro e ripreso la via di casa, non prima di esserci complimentati per la perfetta organizzazione. Durante il viaggio i soliti commenti, resi col cuore di chi ha trascorso una giornata indimenticabile e con una nuova certezza: aver conosciuto meglio il nostro patrono e sapere di doverne rivalutare la grande figura presso i nostri paesani, compito questo che hanno assunto idealmente i Colombani di Terrinca.
Stagi Baldino

 

 

S.COLOMBANO D'IRLANDA
ABATE D'EUROPA
 
presentazione del libro di Renata Zanuzzi
 
Lodovico Gierut,
critico d’arte
 
Il ‘percorso letterario’ di Renata Zanuzzi, conosciuta anche su un territorio particolarmente attivo qual è quello versiliese - una striscia incantata, tra il Tirreno e le Alpi Apuane -, continua con “San Colombano d’Irlanda Abate d’Europa”, edito da Pontegobbo.
Non mi soffermerò tuttavia che ben poco sulla specifica letterario-documentaria di quest’interessante pubblicazione, dando ad altri l’onere, ma soprattutto l’onore, di presentarla adeguatamente.
E’ un libro ‘costruito’ con infinita pazienza, amore, capacità, che del resto sono le prerogative comuni ad ogni buon lavoro.
E’ un libro che colma, poi, per certi versi, molti vuoti del passato, offrendo al lettore un supporto utilissimo per conoscere e capire una delle personalità spiritualmente più interessanti dell’intero millennio, e cioè quella di Colum, Columbanus, San Colombano, o San Colombano Abate, come si vuol chiamare, nato in Irlanda nel 543, morto in Italia, a Bobbio, nel 615.
E’ un volume ‘di contenuto’, in cui le ricerche dell’autrice, stilate con rigore, confermano un iter in cui Colum, nel suo stile di vita, sparge i semi più appropriati, essendo “l’amico dell’anima”.
Renata Zanuzzi ha saputo abilmente miscelare lo ‘spaccato’ dei costumi irlandesi del tempo, con l’insieme d’accadimenti – fatti piccoli e grandi – d’un certo periodo, e non solo, accostando il tutto a descrizioni, ad annotazioni, a riflessioni, in un complesso sparso anch’esso ‘a raggio’, per perpetuare in un certo senso lo stile di vita d’un Uomo che “Primo fra tutti ha vissuto da Europeo nell’azione, negli intenti, nelle dichiarazioni”.
Essendo, almeno in parte, un addetto ai lavori, cioè un critico d’arte, per di più impegnato costantemente nell’ambiente bibliotecario, mi è agevole offrire un contributo sulla parte grafica ed illustrativa del volume.
L’opera si presenta intensa, ma ben leggibile, nella scelta dei caratteri e di ‘corpo’, e perciò – nelle parti, nei cosiddetti capitoli, nelle soste volute – è ben fruibile e direi lineare, rifuggendo fronzoli e orpelli così negativi per la lettura. Il merito va alla collaborazione di Daniela Gentili.
Per quanto attiene poi la parte illustrativa del libro, inserito nella collana denominata “itinerari narrativi” diretta da Stefano Aravecchia, la lode va a Gian Piero Baldazzi.
Le tavole “Antica Irlanda pagana – predicazione”; “Partenza”, “San Colombano – Europa”; “Loriche”, rappresentano una sorta di teatro, su cui Renata Zanuzzi, con linguaggio appropriato e ben fruibile, alterna le vicende e le vicissitudini di Colum.
‘Tavole’ eseguite dopo, si dirà, così penso, ma si tratta d’opere d’arte che interpretano momenti cruciali del libro, che possiede un’esaustiva copertina raffigurante il Santo, in connubio con una parte grafica della sua ‘Peregrinatio’.
Gli stessi cromatismi, appaiono quasi simboli, e tutti interessanti: il verde dell’Irlanda, si coniuga alla croce di Cristo, rappresentata con tale colorazione, quale “simbolo della speranza e della salvezza”.
C’è poi l’azzurro in quasi tutte le opere realizzate da Baldazzi, a rammentarci ciò che è spirituale, predisponendo l’animo alla meditazione.
E’ presente pure il tono rosa, delicato, che si coniuga a coloriture biancastre e perlacee.
Le figure nel tempo e fuori del tempo, portate in essere da quest’artista nativo di Conselice, nel ravennate, che ha studiato all’Istituto per la Ceramica di Faenza e all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, sono incisive.
Esse ne rivelano la maestria di sperimentazione, la cui vivacità permette di cogliere certi aspetti del quotidiano, per assurgerli a valore universale: il mondo unitario di Colum, s’apre ai nostri occhi anche grazie a lui, con ritmi e modulazioni vigorose, piene d’effetti e d’evocazioni.
La stagione figurale del Nostro, colloca Colum in un’atmosfera vibrante, in cui il colore si sposa ad un disegno robusto, anche se essenziale, in un insieme molto efficace.
Le illustrazioni, e qui termino, sono un percorso nel percorso, e contribuiscono – assieme al dato grafico – al giusto successo dell’opera di Renata Zanuzzi, la quale ha giustamente inserito Terrinca nell’ampio ‘percorso’ che perpetua la devozione per San Colombano.
 
Terrinca, 6 agosto 2000
Lodovico Gierut
PREGHIERA NELLA MARGINETTA
 
È dedicata alla Madonna la marginetta che “in Monti” fu costruita nel 1797 da Giovanni Antonio Stagi.
Nel 1993 i suoi discendenti vollero ristrutturarla accogliendo la proposta della solita Marfisa.
Ogni anno, la prima domenica di Settembre, Padre Lino Stagi celebrava la messa in quel luogo e preparava un libretto di racconti e poesie ispirate alla marginetta.
Il 30 Giugno scorso P.Lino è scomparso, aveva però già preparato una poesia che doveva far parte del libretto dell’anno giubilare. Ve la proponiamo a suo ricordo.
 
Oh ! quante cose ti vorremmo dire,
o Mamma, che ci guardi qui, ai tuoi piedi,
abbiam voluto ancor quassù venire,
ov'è il tuo trono e tu, Regina, siedi
Un avo nostro qui ti pose e volle
che la sua gente ognor fosse protetta
da Te: perciò salimmo questo colle,
per rivelarti ciò che il cor ci detta.
Prima di tutto ti vogliam cantare:
Ave Maria, del mar lucente stella,
aiuto dei cristiani; e nelle amare
vicende sei rifugio, Eva Novella!
Tu sei Colei che fé nostro fratello
il Dio della maestà che dalla gloria
discese nel tuo grembo, che fu ostello
dal qual comincia la novella storia.
Quando morì, innalzato sulla croce,
il Verbo eterno, eppur fatto tuo Figlio,
a Te affidò coll'ultima sua voce
color che ancor camminan nell'esilio.
E tu fosti la guida e la difesa
del popolo cristiano, che ti canta
Porta del cielo e Madre della Chiesa,
Figlia di Sion e Donna tutta Santa.
La nostra terra è posta sotto il manto
della tua protezione, e ancor proclama
che nei giorni terribili del pianto
Tu la salvasti: viva è ancor la fama.
Per questo tu ci vedi tutti gli anni
venir, pur da lontano a visitarti,
per dirti i nostri voti; e dagli affanni
sentirci ristorati nel pregarti.
Spesso, lungo il cammino faticoso
di nostra vita, a Te femmo ricorso,
o Immacolata, e '1 cuore tuo pietoso
non cí fece mancare '1 tuo soccorso.
Guardaci ancora, o Mamma, e ver noi piega,
pieno di affetto e di pietà lo sguardo,
così che il grande amore che ti lega
a Dio, noi pur ferisca col suo dardo
Fa' che in quest'anno che Gesù dal cielo
effonde più abbondante la sua grazia,
cada dagli occhi nostri il triste velo,
così che l'alma nostra resti sazia
di quell'amor che la fa divenire
la casa dove abita il Signore,
e noi lo loderemo a non finire,
e potrem superare ogni dolore.
Guarda la nostra patria, e benedici
a tutti i figli suoi, che fra di loro
non riescon ad intendersi, e felici
non sono, se non riescon a far coro.
E il mondo, Vergin Santa, che il Signore
volle affidare a Te, per altre strade,
vedi che corre; e pare con furore
cercar felicità, ma sempre cade.
Fa' che accenda in ogni cuor la speme
di ciò che il Figlio tuo volle annunziarci;
e questi incontri nostri siano seme
che lentamente porti a rinnovarci.
.Noi lo vogliam, Te lo gridiam col cuore,
oggi che ci hai raccolti qui davanti
a questa marginetta, che è l'onore
di tutti, e ognun vogliam che se ne vanti.
Sì, o Madre bella, ci vogliam vantare
Di Te, che sei la fonte della gioia,
Madre del buon consiglio, e poi cantare
A Te, senza provare mai la noia.
Con questi sentimenti ce ne andremo
Ciascuno al proprio impegno, ma lasciamo
Qui '1 nostro cuor, e sempre canteremo
Il canto nostro ch'ora noi T’offriamo.
 
Fr. Lino Stagi
Cappuccino
Presentazione delle poesie dialettali dei bimbi
 
La classe 3B dell’anno scolastico 99/2000 a tempo prolungato, della sezione Scuola Media, dell’Istituto “Martiri di Sant’Anna” di Pontestazzemese ha realizzato per tutto il corso del triennio un’attività linguistica che ha avuto come finalità la conservazione delle varie forme dialettali presenti in tutte le frazioni del Comune di Stazzema.
A scuola infatti si deve insegnare l’uso corretto della Lingua Italiana, ma tale finalità non è certo in contraddizione con la necessità di conoscere le proprie radici e mantenerle nel tempo come bene prezioso, e come testimonianza di tradizioni culturali ed emozionali che fanno di un territorio “quel territorio” e non altro.
Inoltre tale percorso si è ben inserito nel contesto del Progetto di educazione ambientale dal titolo “ Un ambiente…una storia, noi…” in cui l’Istituto si è impegnato da alcuni anni.
La lingua dialettale è infatti un mezzo per comunicare con il mondo circostante in tutte le sue forme: la storia, l’economia, le usanze di un paese sono tutte nel suo linguaggio, in quelle forme così primitive e genuine che ci riconducono per mano in un lontano passato.
Il passato è da preservare come bene inalienabile e momento di costruzione del futuro.
Andiamo avanti, parliamo un Italiano sempre più corretto, ma quando siamo “al lume di una lucerna” non dimentichiamo chi siamo.
In questo contesto possiamo presentare solo una delle tante poesie prodotte.
 
Patrizia Bianchini
 
La farina di ciaccio
 
Mi conta la mi’ nonna
Che tanti anni fa,
Al mi’ paese si vedevino
Un mucchio di metati fumà
Quand’erino secche le castagne venìa
Michè a pestalle
E gli omini empivino le balle
Se le mettevino, poi, sul cotrione
E le portavino al molino per poi
Piglià la farina e empicci il cascione.
E un’è miga come ora, che
C’eno un fottio di mangiari,
All’ora, polenta e pota
Cocea nella cazzarola.
Un mancava mai il ciaccio;
Se erin fortunati, lo mangiavino
Col latte cagliato, sennò scebro
O anco diaccio.
A quel tempo un c’erino quattrini
Ma erino più sani e contenti
I farnocchini.
 
Igor Bazzichi
 
Ai COLOMBANI, gente DOC di Terrinca.
 
Sto tentando un approccio, ma non trovo ancora le parole giuste per iniziare a dire quanto vorrei. Finirò, lo so,per parlare di me.
Devo dire, infatti, che io sono uno di quegli omuncoli che si aggirano da molti anni nella pianura che avete ai vostri piedi, che va dai colli al mare.
Non soltanto l'occhio, ma l'animo mio si posa spesso sulla montagna, la quale da Nord a Est cinge ed incornicia riccamente la Versilia "che nel còr ci sta", per dirla spudoratamente con le belle parole di un genio nostrano.
Anch'io professo la fede, da tanti predicata, del mare-monti nel senso più esteso, cioè: consentire viabilità migliori dove occorrano, alberghi adattati a recepire ed offrire il meglio per invogliare il turismo, funivie se ritenuto che non danneggino i panorami o i luoghi, affinché sia possibile ad ognuno di accedere a cime aspre dalle quali spaziare la vista in lontananze sognate.
Eppure devo dire e confessare scusandomene che, essendo io sostanzialmente un pigro, poche volte ho salito le asperità che di fatto tengono lontani pianigiani e montagnini.
E' un progetto impensabile, dicono alcuni, proprio per la configurazioni della Versila la quale è, sì perfetta nel suo insieme che meglio non si potrebbe, ma se si guarda bene in qua o in là si vede che, dove offre mollezze, dove asprezze non facilmente raggiungibili.
Infine gli uffici predisposti a convogliare il movimento del turismo continuerebbero ugualmente ad accarezzare con l'occhio quella parte di Versilia che a loro fa comodo.
Il discorso si fa lungo e mi scapperebbe dalle mani, poco capace di riafferarlo e di continuare a reggerlo.
Devo ancora dire che, certo non soltanto per pigrizia che con questa parola ho inteso scherzare, so che poche occasioni avrò di venire almeno costassù a salutarvi tutti, che mi farebbe veramente piacere.
Le necessità della vita, ognuno ha le sue diverse, non mi lasciano che poco tempo.
Continuo però dentro di me ad auspicare una Versilia nella quale mare-monti siano uniti entro i confini canonici che per alcuni, anch'io fra questi, sono sacri e dovrebbero essere intoccabili. Dentro questi confini la gente ha uguale cultura maturata nei secoli, nonostante gli aspetti diversi coi quali la nostra terra si mostra e, per quello, i caratteri possono essersi forgiati diversi.
Ho detto di essere un pianigiano, è vero, ma ciascuno del piano che sia versiliese di nascita, che non sia capitato qui per caso o per pirateria da terre straniere ha nel nucleo delle cellule che compongono il proprio corpo, almeno qualche cromosoma trasmessogli dagli abitatori delle nostre montagne.
La pianura, un tempo, era da ritenersi invivibile. Piena d'insidie e di malaria come questa doveva essere, la gente che con mille difficoltà in fretta e furia la attraversava se ne fuggiva alla svelta, di gran fiato, senza nemmeno voltarsi indietro per ripensarci.
Dunque è dalla montagna, dove allora era la vita, che la gente del piano ha ereditato i caratteri e la cultura.
I miei cromosomi, ad esempio, da parte di madre mi sono stati dati dalla montagna. Da quella parte, mio nonno era di Sant'Anna e mia nonna dalla Porta di Farnocchia. Per l'altra supponibile metà da parte di padre, un pò dalla campagna quercetana, dove da tempo si erano stabiliti diversi ceppi di Salvatori, l'altra parte dalla marina, proprio da Forte dei Marmi. Infatti mia nonna era sorella del fondatore del bagno Montecristo, insieme con la moglie Isabella.
Proprio quando gli altri incominciavano a promuovere il turismo a Forte dei Marmi, a far soldi, mia nonna, la quale proveniva anche lei da una famiglia miserella come allora ce n'era, aveva altri pensieri, rivolta come pare che fosse alle attenzioni che mio nonno dimostrava verso di lei.
Dai miei tredici anni in su ho trascorso gran parte della mia giovinezza per la via del Borgo dei terrinchesi.
Abitavo nelle vicinanze e avevo li, qualcuno c'è ancora, i miei migliori amici, un bar, inoltre il riso argentino delle ragazze. Ora abito addirittura in Via del Borgo. Che pianigiano dunque sono?
Il Borgo dei terrinchesi..! In molte parti esso conserva la struttura tipica delle case della montagna. Se la vietta in mezzo non fosse diritta, qui essendo in pianura era possibile, l'agglomerato sarebbe simile proprio ad un angolo di Terrinca. Ora sono intervenute lievi modifiche a ringiovanire alquanto l'aspetto di alcune case, di costruzione presumibile intorno al 1450-1500. Ma penso che anche al bel paesotto di Terrinca avvenga questo.
I cognomi più comuni del Borgo, tutti di origine terrinchese, sono Giannelli (in maggioranza), Stagi, Cecconi, Costa, Bazzichi, Olobardi, Alessandrini ecc..
Non ci sono equivoci! Scrive il Paiotti sul suo libro su Terrinca: "Nel comune di Seravezza c'è un'intera tribù di terrinchesi e la località dov'essi abitano è detta Borgo dei terrinchesi."
Penso di essere giunto alla fine di questo lungo dialogare con voi, cara gente di Terrinca. Se non ho detto tutto è perchè non sono riuscito a farlo. Le parole buone che meritate non faccio altro che trascriverle pari pari da -Appunti per i miei compaesani di Terrinca-(di P.C. Coppedè) tratte dal libro di Marino Bazzichi
-Padre Cesare Coppedè: "Sono contento perchè da qualche tempo mi accorgo che i miei compaesani si sono svegliati e si occupano, in modo disinteressato ed appassionatamente, della valorizzazione del nostro paese."-
Erano forse diretti ad altri, ma potrebbero essere stati scritti proprio per voi del Gruppo Culturale dei Colombani.
Mario Salvatori

 

 

ERA 'L VENTO DEL '42
 
 
Brugiavino du' stecchi
d'una stenta fiamma,
sognavino du' bimbi,
accosto a la su' mamma.
 
Fora c'era la brina,
sul tetto c'era 'l vento
e li c'erin du' bimbi,
du' bimbi accanto accanto.
Su' mà smorzava 'l lume...
svanivino i su' sogni
dentro 'l fume.
 
"Se 'l babbo un fusse 'n Russia!...
"Ma 'n ci volèa mia anda`..!
sentìo che s'aggrappava!"
" Lu'la sapea guida`,
lu' la sapea la via."
"Speriam ch'un abbi freddo,
ovunque sia..."
 
Sentinno scalpiccià,
scotettin le canale..
Ma fora fischia 'l vento..
sgringollon le tegole.
"Sentite che buriana!"
"A noi parea che fusse
la Pefana.."
 
Friggéa l'ultimo tizzo
l'ultima fiammella,
struggéa vede' du` bimbi
stretti a 'na gonnella.
 
Mario Salvatori
 
 
 
C'ERA UNA VOLTA
 
Saltella sui legni
la fiamma scarlatta,
s'allunga, e s'avvolge,
si placa, risorge.
Sprizzi, faville, scintille ..
giochi di bimbi
seduti d'attorno.
“C’era una volta..."
La nonna racconta
di Fate, di Maghi...
Il resto non conta.
I bimbi che sanno di gioie
sbiadite nel tempo,
di fresche ferite nel cuore?
Pene, questioni, dolori
li porti via il vento
Nel fumo che sale.
Tinge la fiamma
le gote arrossate,
si fanno leggere,
le cose pensate.
Si spenge la sera, col fuoco
negli occhi. velati dal sonno,
da voci di Maghi, d'Amore,
da pianti nascosti nel fumo.
Mario Salvatori.
 
 
 

 
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