- LE MINIERE
- E I MINERALI
- DEL TERRITORIO DI TERRINCA
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- Il territorio di Terrinca, seguendo le indicazioni provenienti
dalla letteratura storica locale e da studi compiuti da vari
ricercatori, presenta diverse attrattive dal punto di vista dei siti
minerari e delle località dove possono ritrovarsi piccoli
giacimenti di ferro, piombo argentifero, mercurio, rame, che in
passato sono stati sfruttati o esplorati per una piccola industria
locale.
- Sullo spunto di una richiesta fattami dagli amici Colombani (che
ringrazio) , cerco con questo breve studio di sintetizzare una
descrizione delle varie località dove il ricercatore e il curioso
potrà avventurarsi.
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- MINIERE DELLA GROTTA ALL’ ORO ( Ponte Merletti)
- La Grotta e Miniera del Ponte dei Merletti , che visitai con altri
ricercatori dell’ ex Gruppo Mineralogico Versilia di Seravezza tra
il 1990 e 1995, ha la caratteristica comune ad altre cavità
artificiali di questa parte dell’Alta Versilia di essere in
coabitazione con l’ambiente Ipogeo.
- Si tratta di alcune brevi gallerie scavate nella prima parte di
grotte naturali , situate alla confluenza tra il canale di Campanice
e la parte alta della Turrite Secca, in calcari dolomitici (Grezzoni).
La lunghezza accertata di questi scavi varia dai 30 ai 100 m. in
profondità, e ricerche compiute successivamente da gruppi
speleologici hanno confermato la presenza anche di ambienti ipogei
di un certo livello, tali da essere prossimamente nominati nel
Congresso Nazionale di Speleologia.
- Le non molte notizie storiche su queste buche si possono ritrovare
su alcuni testi di storia locale e mineralogia del periodo
1850-1900.
- Sia Simi (1855) che D’Achiardi (1873) nominano una Grotta all’Oro
nell’Alpe di Terrinca dove entrambi gli autori vi segnalavano la
presenza di minerali di ferro (perlopiù Limonite e Pirite). E’
assai probabile che questa miniera sia riferibile alla Grotta
suddetta. Attrezzi ritrovati allora all’interno del tratto
percorribile delle gallerie nella parte artificiale, gradini scavati
a scalpello per le discenderie fanno ritenere una età dei lavori
perlopiù riferita ad una fase di numerose ricerche minerarie
operate da alcune società (De Laroche – Pouchain – Borrini,
1845-1860 ; Società Mineraria Lucchese per le Alpi Apuane
,1870-1875) nelle zone di Arni , Vagli, Monte Sumbra, per il
sondaggio e sfruttamento di filoncelli di minerali di Ferro (Pirite,
Limonite), Rame (Calcopirite) e Piombo (Galena argentifera).
- Nella zona di Ponte Merletti, nel luogo detto Il Crocicchio dell’Alpe
di Basati (leggenda molto nota nei paesi di Terrinca e Basati) già
Targioni Tozzetti (1773) su indicazioni dell’ingegnere svedese
K.Angerstein (1751) vi segnala alcune escavazioni per ricerche di
"Lapislazzuli" (in realtà di Calcopirite alterata in
Azzurrite e Malachite nei Cipollini ) che sarebbero state sfruttate
durante epoche incerte, ma riferibili comunque all’800. Queste
mineralizzazioni si ritrovano all’interno di piccole grotte nei
Cipollini sottostanti alla località del Ponte dei Merletti.
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- MINIERE DELL’AREA DI CAMPANICE
- E’ comunque da ritenere che nel periodo 1542-1545 i Medici,
ottenuto il pieno controllo del territorio versiliese con l’Acquisizione
delle Alpi di Basati e Terrinca, abbiano compiuto perlomeno ricerche
su questi filoncelli . In alcuni documenti dell’Archivio di Stato
di Firenze di quel periodo si nominano infatti le località di
CAMPA, SALTO DEL TEDESCO (appena al di sopra della nostra miniera si
ritrova una costa rocciosa chiamata Bucone dei Tedeschi , e il
toponimo è molto antico; alcuni abitanti del luogo mi
accompagnarono a vedere alcune piccole buche che erano
inequivocabilmente ricerche per minerali di Piombo come ho già
visto nelle vicine miniere del Bottino) per punti di ricerca Medicei
di minerali utili, subito abbandonati. Comunque sono tutte ipotesi
da verificare. Altri luoghi dove sarebbero avvenuti scavi di
minerali di Piombo si ritrovano alla nota fonte della Materrata
presso Passo Croce, a Lanzino, nel Canale di Lamponeta o Monte di
Lampo, come attestato anche da antiche carte del 1750 circa,
conservate all’Archivio di Stato di Firenze (Azzari, 1990).
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- MINIERE DI PUNTATO
- Un esempio simile alla Grotta Miniera di Ponte Merletti, lo si puo’
ritrovare nelle brevi gallerie artificiali per sfruttamento di
piccoli filoni di Ferro e Rame, che si ritrovano in corrispondenza
delle grotte della Buca della Miniera Bassa e Alta ( vedi Catasto
Grotte della Toscana ) sul versante Est del Monte Freddone; queste
gallerie hanno una precisa cronistoria come Miniere del Monte di
Lievora tra il 1720 e il 1755 (vedi Targioni Tozzetti, 1773 ; Pacchi
1785) e coltivate regolarmente in quel periodo da certi sigg.ri
Suardi e Santini per estrarvi rame (calcopirite) e grossi noduli di
pirite alterata nelle rocce calcaree (Grezzoni, Cipollini).
Probabilmente queste escavazioni sono contemporanee a quelle
compiute nella zona del non lontano paesino di Colle Panestra
(sottostante alla strada del Piglionico per il Rifugio Rossi alla
Pania), dove ancora oggi si ritrovano diversi scavi piuttosto
interessanti per la tecnica mineraria effettuata.
- Piccoli affioramenti di Mercurio (Simi, 1855) sarebbero segnalati
nelle località di Arcaja e Cansoli, appena sottostanti a Terrinca e
probabilmente proseguimento di piccoli livelli della
mineralizzazione a mercurio nativo e cinabro delle vicine miniere di
Levigliani.
- Presso Cansoli e sotto La Costa sono state segnalate anche alcune
ricerche di minerali di ferro compiute nel 1935-1936 per saggiare
piccoli filoni.
- La località senza dubbio più misteriosa perché finora mai
ritrovata in ricerche da me compiute (i Terrinchesi doc forse
potrebbero darci indicazioni utili) è il luogo detto la Conca di
Fondo dell’Alpe di Terrinca, dove nel 1863-65 l’avvocato
Giuseppe Santini (ex direttore delle Miniere di Ripa e Valdicastello)
fece compiere ricerche e analisi dei minerali in questa località
segnalando anche piccole quantità di oro (Lopes Pegna, 1953;
Federigi, 1981).
- In vari punti degli Alpeggi di Puntato e Col di Favilla si
segnalano altri luoghi dove furono ritrovate quantità di minerale
di ferro e rame, ma in ogni caso si tratta di piccolissimi
affioramenti di infima importanza.
- Il territorio di Terrinca, già ricco di attrattive come le
incisioni rupestri e le insegne religiose, possiede altre ricchezze
spesso nascoste che credo spetti soprattutto ai suoi abitanti e ai
volonterosi Colombani andare a scoprire e approfondire.
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- SERGIO MANCINI geologo
- E Mail sergio.mancini19@tin.it
- BIBLIOGRAFIA
- G.TARGIONI TOZZETTI (1773) – Relazioni di diversi viaggi fatti
nelle diverse parti della Toscana , vol.VI, Forni Editore Bologna.
- D. PACCHI (1785) – Descrizione Istorica della Garfagnana -
Firenze.
- V.SANTINI (1846-1862) – Commentarii storici sulla Versilia
Centrale - Edizioni Nistri, Pisa (ristampa anastatica a cura del
Comune di Pietrasanta, 3 voll., 1992.).
- E. SIMI (1855) – Cenni sulla ricchezza minerale della Versilia
– Nistri , Pisa.
- A. D’ACHIARDI (1873) – Mineralogia della Toscana – Ed.
Nistri, Pisa, 2 voll.
- L.MIGLIORINI (1914) – vagli di Sotto e la sua Storia –
Castelnuovo Garfagnana, 1914.
- M.LOPES PEGNA (1953) – Le antiche Miniere di Argento della
Versilia – L’Universo, rivista dell’IGM, fasc. XXXVI.
- M.FABRETTI , L.GUIDARELLI (1980) – Iniziative dei Medici nel
campo minerario – nel volume : Potere centrale e strutture
periferiche. Studi sulla Toscana Medicea – Olschki Editore,
Firenze.
- F.FEDERIGI (1981) – Meraviglie Versiliesi dell’ 800 – Ediz.
Versilia Oggi, Forte dei Marmi.
- M. AZZARI (1990) – Le Ferriere Preindustriali delle Apuane –
Edizioni all’Insegna del Giglio, Firenze. (contiene una
Cartografia 1:25.000 con segnalate altre piccole miniere delle Alpi
di Terrinca e di Basati).
- S.MANCINI (1998) – Miniere in Versilia. Storia e Itinerari –
Petrarte Edizio, Pietrasanta, 120 pagg.
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Sergio Mancini
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- Per le opere restaurate
- nella Chiesa dei Santi
- Clemente e Colombano
- di Terrinca
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Quando m’è stato gentilmente richiesto di presentare il restauro
del quadro di Ranieri Leonetti, dedicato alla Croce, a Santa
Lucia, a San Lorenzo Diacono, come l’Adorazione
dei Magi alla Grotta di Betlemme e la Benedizione dei fanciulli
e le restanti figure eseguite da Aristodemo Cecchi collocate nella
parte alta della ‘nostra’ Chiesa di Terrinca intitolata ai Santi Clemente
e Colombano, confesso d’essermi sentito molto onorato, e, al
contempo, un poco turbato per un impegno che altri – più di me –
avrebbero meritato d’assolvere.
Viene spontaneo, mi si consenta, il nome dell’amico Marino
Bazzichi, il quale ha dedicato molto del suo prezioso tempo, a
dettagliate ricerche ed approfondimenti a livello storico-artistico,
di Terrinca, un paese che da sempre s’è impegnato per la cultura
... ma i nomi si accavallerebbero ai nomi, giacché la generosità
del paese tutto, e dei suoi abitanti, può essere apprezzata pure
sotto tale profilo.
Mi sento tuttavia d’esprimere una seconda motivazione, al mio
sconcerto emozionale, vale a dire la difficoltà di scollegare, di
distogliere cioè, il fatto specifico - del restauro, appunto -, allo
stile di vita, al ‘senso d’aggregazione’ in definitiva, connesso
alla devozione di cui questo territorio è intriso.
Questi luoghi che il tempo saggio mi ha insegnato ad amare e a
rispettare, hanno infatti la peculiarità di evidenziare, o almeno di
dare il massimo, per tramandare le proprie tradizioni, di cui gran
traccia è insita nei suoi edifici di riunione comune.
Il dover affermare oggi quest’ennesima essenziale, importante tappa
legata alla Chiesa, secondo il mio parere ha il simbolico significato
di ringraziamento sia per chi, singolarmente o in gruppo, ha
materializzato l’idea iniziale, sia per quel modo di pensare e d’agire
comunemente, per un fine unico e collettivo già espresso più e più
volte.
La riedificazione della Chiesa del 1897, o l’aver messo in essere
il Parco della Rimembranza dopo quel primo conflitto mondiale definito
dal Papa Benedetto XV una “inutile strage”, sono due tra i tanti
esempi di tenacia, di abnegazione, di quella volontà ‘terrinchese’
mai doma, nonostante le difficoltà di vario ordine che un tempo o l’altro
hanno portato in questa vallata.
Pensando alla prima guerra mondiale, parafrasando il titolo del
libro di Fritz Weber “Tappe della disfatta”, Terrinca ha invece
continuamente creato “tappe della costruzione”, e ‘tappe’ di
ricostruzione, con i recenti esempi della Chiesa di San Rocco, o del
Circolo ‘Le Tanacce’ ...
Il sentiero della saldezza caratteriale interpretata del resto nei
vari sensi ed angolature, è stato fissato con immagini e scritti, da
tanti esaustivi libri, come “I Frati di Terrinca”, “Terrinca
Museo d’arte sacra popolare all’aperto”, o la recente
riedizione, per merito dei Colombani, del libro di Paiotti del 1936,
ora titolato ‘Il paese di Terrinca’.
Veniamo tuttavia alla vicenda d’oggi, e vorrei parlare di quelli
che qualcuno ha chiamato ‘murali ritrovati’.
I motivi di questa denominazione, credo s’innestino chiaramente
nelle tante vicende paesane, in cui la gente – pur nelle mutazioni
facenti parte dell’ordine delle cose – consolida e fa rivivere
quell’antico e profondo e rispettoso rapporto che ha nei confronti
della sacralità.
La vita e gli eventi, infatti, continuano, e quella sorta di ‘messaggio
della spiritualità’ che era stata nascosto dalla calce, in mesi di
lavoro assiduo, ecco che – grazie ad una concatenazione d’idee e
di sforzi e d’applicazioni operative della Parrocchia retta da Don
Antonio Ratti, dei Colombani coordinati da Giuseppe Rossi, di Daniela
Frati e di Sonia Balderi prima, e di Katia Andreini e Michela Potestà
(restauratrici) poi – gran parte del lavoro già evidenziato nella
memoria libraria dallo stesso Giulio Paiotti, ha rivisto la luce
piena.
Ad intenderci, l’opera dedicata a Santa Lucia, collocata all’altare
amministrato dalla Congregazione della Dottrina Cristiana,
sapientemente restaurato, ci riconsegna una tela che il tempo,
sollecitato dalla magrezza della composizione, aveva ridotto in
pessime condizioni.
L’autore, come già accennato, si chiamava Ranieri Leonetti, il
quale - nato a Pruno di Stazzema -, si trasferì a Cardoso, per
stabilirsi quindi a Querceta. Nel 1842 lo troviamo allievo nella
scuola del marmo fondata da Vincenzo Santini (che ha scritto i famosi
‘Commentarii storici sulla Versilia centrale’). Fu amico dei ben
noti intagliatori Roberto e Dionisio di Farnocchia, e non va
certamente taciuta la copiosità della sua produzione artistica,
legata all’encausto, all’olio su tela, e ad opere fatte su
lavagna.
Dire delle sei figure, e della Croce, che insistono sul rettangolo,
col simbolo della caducità della vita posto nella parte bassa, non lo
credo strettamente necessario, tuttavia – in sintesi – come si
nota con estrema facilità, è apprezzabile la linearità, la
compostezza di un insieme ove, se guardiamo con attenzione, emerge la
centralità del tutto, raffigurata dalla Croce, che è fede e
sacrificio.
La Santa Lucia è resa in pieno secondo quanto tramandatoci
che la dice martire, la cui festa è celebrata il 13 dicembre. Nata a
Siracusa circa il 283 e di famiglia nobile, la tradizione vuole che la
madre Eutichia (guarita a Catania da una emorragia sulla tomba di S.
Agata), fosse stata invitata proprio da Lucia a distribuire le proprie
ricchezze ai poveri: tale gesto costò a Lucia la denuncia come
cristiana a Pascasio – governatore della Sicilia sotto Diocleziano
– che la condannò alla prostituzione. Rimasta incolume a tale
ignominia e dal rogo, sarebbe stata passata a fil di spada nel 303.
A parte la narrazione della vita di Lucia, o di quella degli altri
protagonisti, o l’esplicazione dei vari simboli che insistono sulla
tela, va detto che tale opera va rispettata soprattutto per la
semplicità che emana, ‘narrativa’ come si conviene a tale tipo d’opere,
e – in definitiva – aggiungerei che è il riflesso della
personalità artistica che l’ha prodotta. E’ una tela, come altre,
non collegabile certamente al proprio tempo, un poco statica.
Restò chiuso territorialmente, sì, ma seppe esprimersi con estrema
onestà intellettuale.
Il quadro si collega dunque al percorso degnissimo, ma non
grandiloquente, della tradizione, con una gamma cromatica di sapore
antico ed un realismo quieto ma corretto nell’esplicazione tematica.
Passando alle opere su muro, a parte certi connotati floreali, in
attesa del ripristino totale, va detto di quanto è stato recuperato.
Trattasi dei lavori di Aristodemo Cecchi, sul quale si possono
trovare varie notizie sul libro voluto dai ‘Colombani’ nel 1988
“Terrinca paese di antiche tradizioni”.
Essi sono attinenti la Benedizione dei fanciulli : Sinite
parvulos venire ad me; alla Adorazione dei Magi alla Grotta di
Betlemme, seguiti dalle lunette dedicate a San Colombano, a Santa
Caterina d’Alessandria, a S. Lucia, a S. Antonio Abate, a San Luigi
Gonzaga e a San Rocco.
Confesso che all’inizio ero un poco scettico sulla qualità del
tutto. Però, con la progressione operosa ed abile, man mano che i
murali venivano fuori, mi son dovuto ricredere.
Si tratta di un complesso efficace, come del resto sono altri lavori
che si trovano nella Chiesa dei Santi Clemente e Colombano: di
Giuseppe Viner, di Vincenzo Niccolini, di Iacopo Iacopi, di Giuseppe
Mancini, della scuola degli Stagi ...
Opere che prese una ad una ci raccontano della storia di Santa Lucia
(il cui nome deriva da ‘lux’, che significa luce, invocata contro
le malattie della vista); di quella di San Colombano, nato in Irlanda
nel
543 – che ben conosciamo – il cui corpo è a Bobbio, dove fu
collocato nel 1842.
Come non citare, poi, Santa Caterina d’Alessandria (di origine
regia, secondo al leggenda), sfuggita miracolosamente al supplizio
della ruota, che incontrò quindi il martirio per decapitazione?
Di Sant’Antonio Abate, di cui la biografia scritta da S. Atanasio,
si sa il luogo di nascita, ad Eraclepoli, nel Medio Egitto, come la
maestosità della figura coniugata all’ascetismo cristiano
primitivo, da cui proviene il sistema di vita semi-anacoretico, e
certi tipi di vita eremitica occidentale ancor oggi attivi.
Altre lunette sono quelle di San Rocco, noto per i prodigi di
carità durante le epidemie di peste (si parla della metà del 1300),
e di San Luigi Gonzaga, patrono principale della gioventù cattolica.
Gli altri due grandi murali di Aristodemo Cecchi, sono in sintonia
con questi già enunciati.
Parlerei, più che altro, di un complesso armonico unitario, in cui
c’è una omogeneità formale della storia sacra e popolare. Notiamo
pure che nell’insieme, non esiste la riproduzione del mondo esterno,
bensì la logica espressione di una sorta di esperienza interiore e,
in più – al di là della statura creativa – egli ha saputo
svelare la propria personalità.
Calzanti oggi, a tal proposito, le parole di Sua Santità Giovanni
Paolo II, il quale nella ‘Lettera agli artisti’, così s’esprime:
“Nell’arte egli trova una dimensione nuova e uno straordinario
canale d’espressione per una crescita spirituale. Attraverso le
opere realizzate, l’artista parla e comunica con gli altri. La
storia dell’arte, perciò, non è soltanto storia di opere, ma anche
di uomini”.
Il pittore, poi, a conoscenza senz’altro di quella locale
fecondità di vocazioni sacerdotali, indirizzate di preferenza ai
conventi – come bensì evince dal libro di Bazzichi ‘I frati di
Terrinca’ del 1993 – con questo insieme tematico (Santi, Gesù e i
bambini, l’Adorazione dei Magi ...), ha voluto e saputo esprimere
pittoricamente il sentimento devozionale che la gente terrinchese ha
in sé.
Quelli che a suo tempo definii ‘uomini del silenzio’, chiamati
da Dio, ma – in modo ampio – tutti coloro che ci hanno preceduto,
gente spontanea, “temprata dal sacrificio per sopravvivere”, con
il “lavoro durissimo per la ricerca e l’estrazione del marmo
buono, nelle bianche ferite della montagna, la coltivazione dei campi,
la raccolta delle castagne”, hanno dunque avuto, con tali murali e
anche con l’olio di Leonetti, di cui s’è già detto, un ‘ritratto’
vero e proprio.
C’è devozione in tutte le opere che veniamo oggi a ‘ritrovare’,
permettendoci di assicurare che esse sono in accordo sia con l’ambiente
dal quale sono circondate, sia con lo spirito stesso d’un pensiero
riflessivo, logico per precise scelte di vita.
Se si è a Terrinca e ci si abita, ma anche se ci si torna
periodicamente, e se si ama veramente questo paese, vuol dire che
siamo assoggettati ad un ‘pensiero comune’ non certo in sintonia o
dipendente dal clamore e dalle tensioni aritmiche che, altrove, tutto
inglobano e spersonalizzano.
‘Essere’ a Terrinca, venire in questa Casa di Dio per riflettere
e per pregare, ha il significato di una non casuale preferenza.
Tutto attorno, anche queste ‘rinnovate’ opere facenti parte di
una armonia dell’insieme, non ci distolgono, ma – anzi – ci
coinvolgono nella loro serenità e positivizzano il giusto clima
spirituale del luogo. Esse, con un concreto linguaggio figurale,
assolvono il compito loro affidato.
L’artista, il ‘creativo’, famoso o sconosciuto che sia, ha
dunque portato a termine il suo compito, come i cavatori, gli
elettricisti, gli agricoltori, i maestri ... i padri, le madri ..., a
garanzia (secondo concetti e parole del Nostro Pontefice) della
crescita della persona e “lo sviluppo della comunità attraverso
quell’altissima forma di arte che è l’”arte educativa”.
Nel vasto panorama culturale di ogni nazione, gli artisti hanno il
loro specifico posto. Proprio mentre obbediscono al loro estro, nella
realizzazione di opere veramente valide e belle, essi non solo
arricchiscono il patrimonio culturale di ciascuna nazione e dell’intera
umanità, ma rendono anche un servizio sociale qualificato a vantaggio
del bene comune”.
All’inizio ho utilizzato i termini “costruzione” e “ricostruzione”,
ai quali ora aggiungerei “insieme”.
Insieme, tutti insieme per la nostra piccola e importante comunità
terrinchese ... oggi come nel futuro….
Lodovico Gierut
Giornalista e critico d’arte
Terrinca, 3 giugno 2001
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