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Seconda puntata: occidente misterioso
Proprietà letteraria riservata 1989,1993 RCS Rizzoli Libri S.p.A., Milano ISBN 88-17-11602-5 prima edizione BUR Supersaggi: settembre 1993

Charmley parla di «ossessione antinazista», aggiunge che, se Hitler, il quale apprezzava l'Inghilterra «ariana», avesse vinto all'Est, non vi sarebbe stato lo sterminio degli ebrei (è una nota tesi «revisionista» che esso ebbe inizio dopo la sconfitta in Russia); e ricorda che il dossier sul caso Hess è sparito.

Il «Jerusalem Post» ha criticato Charmley e Clarck con un argomento che ci aiuta a capire la posizione del premier inglese: «Se Churchill non avesse combattuto, il sogno hitleriano di un mondo nuovo tutto nazista sarebbe stato davvero realizzabile».

Il fatto è che Churchill teneva moltissimo all'Impero inglese. Lo dimostrano tutta la sua vita e i suoi scritti, compresa la monumentale Storia dei popoli di lingua inglese. L'Inghilterra vittoriana della sua giovinezza di combattente per difendere l'impero (in India) e estenderlo (in Sudafrica), era per Churchill il culmine della civiltà occidentale; e tale rimase per lo statista. Perché dunque «non attribuiva all'Impero la stessa importanza che dava alla sconfitta di Hitler?».

Perché, — e questo è il punto che il dibattito non rileva, — il premier percepiva nel nazismo non un semitotalitarismo come quello comunista (che, Charmley osserva, è stato tranquillamente tollerato, diversamente da Hitler), ma una componente «occulta» con fini non negoziabili, «la costruzione di uno spazio eurasiatico che consentisse ai popoli ariani di ritrovare la loro antica saggezza e potenza», per usare le parole di Severino, nel contesto dianzi citato.

Il führer avrebbe voluto associare a questo progetto l'Inghilterra, «sorella ariana». Churchill lo riteneva pura follia, dettata da una cultura occulta la cui presenza egli avvertiva e temeva anche in settori influenti (aristocratici, intellettuali) della società inglese. Riteneva di salvare l'occidente da un pericolo «demoniaco» e sperava anche di salvare l'Impero con l'aiuto degli Stati Uniti (di fatto non lo salvò). Ma in Inghilterra vi erano persone disposte a trattare con Hitler, forse addirittura condividendone i fini ultimi, a un livello tale che, per tutelare l'immagine dell'Inghilterra, ai loro nomi non si sarebbe mai dovuti risalire: da qui le manipolazioni segnalate nel libro e la sparizione del dossier su Hess, citata da Charmley.

È una interpretazione corroborata dalle reticenze del biografo ufficiale di Churchill, Martin Gilbert, che lo difende dalle critiche di Charmley, ma il cui ultimo libro, pubblicato anche in italiano (Churchill, Mondadori), tace addirittura il nome di Hess e tace anche sul fatto che lo statista, come cancelliere dello scacchiere, era tanto reazionario da voler impiegare le autoblinde contro gli scioperanti nel 1927. Nel mio libro citavo l'episodio, come l'ammirazione del premier per Mussolini, a riprova del fatto che se Hitler fosse stato solo un anticomunista, Churchill l'avrebbe apprezzato. Ma egli vedeva altro nel nazismo: una entità tanto pericolosa da mettere a rischio l'adorato Impero, pur di sconfiggerlo.

Posso aggiungere ora qualche altro tassello del mosaico così ricostruito, in relazione al come si sia formata questa convinzione in Churchill e attorno al ruolo dei servizi segreti. Sul primo punto è di grande utilità Le tentazioni dell'occulto - Scienza ed esoterismo nell'età vittoriana, Bollati-Boringhieri, un bel saggio di Germana Pareti, del dipartimento di filosofia dell'Università di Torino.

In esso si documenta quanto fossero diffuse tali «tentazioni», in un ambiente che il giovane Churchill frequentava, anche nelle sue componenti politiche, come il Primo ministro e poi ministro degli Esteri Balfour, che comunicava con una defunta fidanzata attraverso medium e scrittura automatica (si tratta dell'uomo che ha dato il suo nome al «piano» che ha insediato la «home» nazionale ebraica in Palestina, nella prima guerra mondiale).

Di questa atmosfera e dei sodalizi ai quali ha dato luogo vi è traccia dove non mi aspettavo di trovarne, nei diari e loro elaborazioni di Virginia Woolf, nei quali Churchill è segnalato tra i frequentatori dei salotti intellettuali e aristocratici da cui nacque il leggendario gruppo di Bloomsbury, con Keynes e lo storico dei vittoriani Lytton Strachey, intimo amico di Toby Stephen, l'adorato fratello di Virginia (Stephen, da nubile), morto giovanissimo.

Nella fioritura di gruppi neopagani e nudisti (con omologhi nella contemporanea Germania) spiccano la «Fratellanza Pre-raffaellita», la «Conversation Society», la «Midnight Society», le «Anime» (il sodalizio di Balfour). Spiccano, soprattutto, «Gli Apostoli di Cambridge», un gruppo dalla membership indefinita (come la Golden Dawn) con Toby Stephen, Lytton Strachey, Leonard Woolf (futuro marito di Virginia), costituito da studenti del Trinity College di Cambridge. Va aggiunto che il primo amore adolescenziale della grande scrittrice è Madge Symonds, figlia dello scrittore John Addington Symonds e forse legata da parentela con John Symonds, amico e biografo di Crowley.

Fili che si intrecciano. Ma è soprattutto il nome degli «Apostoli di Cambridge» che merita qualche riflessione. Nella nota (32) del primo capitolo ricordavo che il termine «Apostoli» ha una ovvia tradizione in Occidente. Può darsi quindi, che sia una semplice coincidenza il fatto che «club degli Apostoli» fosse quello al quale apparteneva, col duca di Clarence, possibile erede al trono, Druitt Montagne, ritenuto «Jack the Ripper»; e che «Apostoli» fosse la denominazione scelta dal gruppo di Philby che proprio nell'Università di Cambridge si mise al servizio di Stalin negli anni Trenta.

Ma sarebbe una coincidenza ancora più curiosa il fatto che, pochi anni dopo che Jack aveva creato una cattiva fama a un club che prendeva nome dagli Apostoli, la denominazione, così screditata, sarebbe stata fatta propria da un gruppo di giovani intellettuali che pure studiavano a Cambridge e che frequentavano salotti esoterizzanti. Possono essere questi, al principio del secolo, gli anni e gli ambienti nei quali Churchill, all'inizio della sua carriera politica dopo le imprese belliche, avvertì la presenza di una «dottrina segreta», che ritrovò poi, estremizzata, nel nazismo, ma che sapeva presente pure ai vertici della società inglese, ancora nel 1941. Vi è allora l'intreccio coi servizi. Sostengo la tesi che Roger Hollis fosse il «quinto uomo» degli Apostoli di Philby (capitolo nono). Ora una monumentale Storia segreta del Kgb, Rizzoli, scritta da un suo colonnello transfuga, Oleg Gordievskij e dallo storico (di Cambridge!) Chistopher Andrew, è stata lanciata come il testo che per la prima volta rivela il nome del «quinto uomo», che sarebbe John Craincross. Ma la rivelazione sembra fatta al solo scopo di stornare i sospetti da Roger Hollis. Leggiamo: «Se non fosse stato per le teorie cospiratorie che circondavano la carriera di Sir Roger Hollis, Craincross avrebbe potuto essere smascherato come Quinto Uomo prima ancora che Gordievskij ne fornisse le prove irrefutabili» (pag. 235).

Ma perché le spie di Cambridge del Kgb sarebbero dovute essere proprio cinque? La fonte è un altro transfuga del Kgb del 1962, Anatoly Golitzin, secondo il quale «come in ogni cellula comunista, anche i doppi agenti in funzione in Inghilterra erano cinque» (cfr. Their trade is trachery di Chapman Pincher, 1981). La fonte è dubbia. Che le cellule comuniste siano sempre di cinque persone è una convenzione, non sempre rispettata. Anche nella Storia segreta del Kgb si dice che «come alcuni dei Fünfergruppen a cui si ispirava, l'anello di cinque di Burgess aveva una composizione fluttuante, che non sempre arrivava a cinque membri» (pag. 231). E comunque perché un solo «gruppo di cinque» e non, in ipotesi, un paio? Dunque il fatto che gli uomini del Kgb a Cambridge fossero precisamente cinque e che, individuatine quattro solo il quinto fosse da identificare, è una mera supposizione. La «rivelazione» su Craincross sembra avere l'obiettivo di chiudere il caso e di porre fine ai sospetti su Hollis e sulle «teorie cospirative che circondavano la sua carriera».

E perché gli storici inglesi concorrono a chiudere il caso? È la stessa ragione del comportamento del maggiore tra essi, Trevor Roper (pure collaboratore dei servizi segreti): si vuol stendere a tutti i costi un velo di silenzio sul caso Hess, interrogato, tra gli altri, proprio da Hollis, in grado quindi di informare il Kgb della missione del luogotenente di Hitler e dei suoi risultati. Ne parlo nel capitolo nono, dove segnalo anche che Hollis indagava su Edoardo VIII e Wally Simpson. E a questo proposito vi è un altro tassello del mosaico concernente Churchill.

Anche in questo caso, si parte da un libro che, come la Storia segreta del Kgb, può avere anche una funzione distorcente su un singolo episodio, pur essendo un testo in generale rigorosamente documentato (come è certamente quello di Andrew e Gordievskij). Si tratta della biografia dei duchi di Windsor, scritta da Charles Higham e largamente pubblicizzata sui giornali italiani (settembre 1990). Vi si rivela che Wally Simpson sarebbe stata una spia nazista col nome di «Herr Doktor» e che, oltre che amante di Ciano, come già era stato detto, lo sarebbe stata anche di von Ribbentrop, quando era ambasciatore tedesco a Londra, che le avrebbe mandato 17 rose ogni mattina dopo le notti d'amore trascorse con lei. Dunque un re d'Inghilterra avrebbe sposato una donna che era non soltanto una dissoluta maga del sesso, ma anche una spia di Hitler.

Mi pongo la stessa domanda che mi sono posto per il caso di «Jack the Ripper»: se l'establishment tollera che vengano resi noti fatti gravemente lesivi del prestigio della famiglia reale inglese (ben prima delle recenti, grottesche vicende di Carlo e Diana e quando quel prestigio era ancora elevato), non è per dar prova di una sincerità che induca ad indagare su situazioni ancor più scabrose?

Nei due casi specifici: su una cultura occultista ai vertici della società inglese, con riti macabri e, nel secondo caso, con una propensione assai forte all'accordo con Hitler e i suoi progetti? Una traccia ci è fornita proprio dai rapporti tra Churchill e Edoardo VIII, ancora re d'Inghilterra (1936). Lo statista compromise la sua politica volta a mobilitare l'Inghilterra contro Hitler per tentar di mantenere al trono l'uomo che stava per sposare la dissoluta spia nazista. Perché?

Nel citato libro di Gilbert, l'episodio è registrato in tre paginette come un insuccesso per Churchill (che difese il re ai Comuni accolto «dalle grida di indignazione e di derisione. Da ogni parte si sentì urlare: "vattene", "imbroglione"») (pag. 257), convinto, come scrisse a Lyod George dopo l'abdicazione, che «sia stata tutto sommato prematura e probabilmente niente affatto necessaria» (pag. 258). Maggiori particolari fornisce William Manchester, in una biografia autorizzata in più volumi, di grande apprezzamento per lo statista. Nel terzo volume di Churchill, l'ultimo leone - La solitudine, 1932/1938, Frassinelli, si legge come la sua politica di resistenza a oltranza a Hitler sia stata compromessa dal sostegno a Edoardo VIII.

Churchill «voleva un ampio supporto e lo stava ottenendo» (pag. 254) quando fu indetto un grande raduno antinazista all'Albert Hall (3 dicembre 1936) soprattutto per convincere i laburisti, pacifisti per principio, a sostenere il riarmo per far fronte a Hitler. Aveva l'appoggio del leader delle Trade Unions, Walter Citrine, e «il grande raduno superò ogni aspettativa». Più tardi Winston ricordò: «Avevamo la sensazione di trovarci in procinto non solo di conquistare rispetto per i nostri punti di vista, ma anche di renderli dominanti. "Armi e alleanze" (l'associazione promossa da Churchill, N.d.R.) sembrava sul punto di fare storia. A quanto pare l'unico uomo in grado di farlo naufragare era il re d'Inghilterra. Si alzò il sipario sull'ultimo atto di uno degli episodi più tristi della carriera di Churchill» (pagg. 254/ 255), il quale «fece un drammatico discorso a favore del re. Così facendo uccise letteralmente la riunione» (pag. 256, su testimonianza di Lord Strauss, parlamentare e poi membro del gabinetto di guerra).

Manchester osserva che «una certa illogicità cominciò a rinsinuarsi nei ragionamenti di Winston» (pag. 263), il quale «trasse la singolare conclusione che la presenza della donna (Wally Simpson, N.d.R.) era una salvaguardia» (pag. 260) e conclude: «Churchill scrisse: È straordinario come Baldwin (il premier che non voleva il riarmo e sosteneva 1' "appsement" con Hitler, N.d.R.) diventi più forte ogni volta che mette a terra qualcuno o qualcosa di importante per il nostro paese». Ma se Edoardo VIII fosse stato importante per l'Inghilterra e per la causa di cui Churchill si faceva portatore, non avrebbe fatto la sua apparizione in Germania, in viaggio di nozze, marciando in mezzo a una strada fiancheggiata da nazisti con il braccio teso e rispondendo al loro saluto nello stesso modo. La fotografia ritoccata di questa scena, che mostrava Edoardo con la mano destra lungo il fianco, fu pubblicata in tutto il mondo. L'originale qui descritto è in possesso di uno dei pubblici ministeri americani di Norimberga» (pag. 273).

Siamo di fronte a un apparente mistero. Churchill vuole combattere Hitler, ma ritiene «importante per il nostro paese» che il filonazista Edoardo rimanga sul trono, giudica «una salvaguardia» che sposi una donna dal passato quanto meno ambiguo e uno storico come Manchester trova comprensibilmente «una certa illogicità» in Winston. Ma vi è una ipotesi che può spiegare il suo comportamento.

Egli sapeva o supponeva che il filo-nazismo del re non era un'isolata stravaganza. Il sovrano poteva essere il pùnto di riferimento di gruppi della tradizione esoterica, dei quali era a conoscenza attraverso i citati salotti, che frequentava all'inizio del secolo, forse continuatori degli «Apostoli» del duca di Clarence, gruppi aperti alla «dottrina segreta» che ispirava anche Hitler. Se Edoardo fosse rimasto sul trono, Churchill, che gli era amico, pensava di poterlo influenzare e controllare, sia per la sua personalità, sia per gli strumenti offertigli dal sistema politico inglese. E anche «la donna» era «una salvaguardia», nel senso che avrebbe potuto essere tenuta sotto controllo e magari sottratta al suo possibile ruolo di amica (o spia) dei nazisti (anche se mi pare da escludere che l'accorto von Ribbentrop potesse comprometterla mandandole rose ogni giorno).


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