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Il Commento
di Eugenio Ragni

da: Achille Incerti, "La Divina Commedia", (a cura del Comune di Reggio Emilia e delle Latterie Cooperative Riunite Giglio di Reggio Emilia), Modena (Industrie grafiche Coptip) 1984.

Tela n° 2: Inferno 1, 1-6  (vai all'immagine)
      I tronchi senza fronde della fittissima foresta incombente sul pellegrino posseggono l'inquietante fisionomia di enormi, inamovibili sbarre di prigione: la metafisica selva-prigione del peccato, buia, labirintica, impenetrabile alle sole forze dell'uomo, è concretizzata in una sorta di incubo fatto di oscurità e di costrizione, funzionalmente evocato ad esaltare la dimensione squisitamente psicologica dell'invenzione dantesca, esclusivamente tramata infatti su sensazioni di paura, pericolo, male, ostacolo.
      La selva oscura, il passo che non lasciò già mai persona viva è proiezione dello stato d'animo del peccatore, che all'improvviso si rende conto d'esser penetrato, senza accorgersene ma purtuttavia colpevolmente perché in preda al sonno del lumen recte rationis, in un luogo -condizione di devianza morale-religiosa, figurativamente materializzabile in una prigione, appunto: luogo di contenzione, luogo di castigo, ma anche luogo dal quale con tutte le proprie forze si aspira ad evadere.

Tela n° 6 : Inferno 3, 82-84 (vai all'immagine)
      Dalla figura demoniaco-scimmiesca di Caronte, dal viola cupo dei flutti, dal tagliente insolito profilo dell' imbarcazione, dall' esagitarsi delle anime prave, Incerti ricava espressionisticamente gli accordi di paura e di ineluttabilità del castigo che pertengono all'apparizione del dimonio da gli occhi di bragia. La prospettiva in alzata, scelta primariamente per consentire la lettura "panoramica" dell'episodio, promuove nel contempo un'efficace sottolineatura figurale: il nocchiero, strumento del castigo divino, si accampa sul perso colore del fiume infernale incombendo sulle anime, anzi precipitando su di esse con la violenza di un proiettile.
      E violenza significano d'altra parte anche gli scogli a forma di bocche da fuoco emergenti dalla livida superficie del Flegetonte: veicoli sulla terra della violenza dell'uomo sull'uomo, questi cannoni-sifone che, assieme ad altri strumenti di morte e tortura, Incerti ha disseminato nel suo oltretomba, appaiono come terrestri strumenti di morte riciclati dalla collera divina che è  incapace per sua natura di creazioni maligne  funzionali nell'impianto di un apparato punitivo inventato dall'uomo. L'adozione si riveste tra l'altro di un evidentissimo quanto significativo contrappasso.

Tela n° 8 : Inferno 5, 100-102 (vai all'immagine)
      Sbarre taglienti, enormi blocchi a incudine, obici d'ogni calibro spezzano in rivoli doloranti il turbinio delle anime che la bufera infernal incessantemente travaglia; e al riverbero di rossi bagliori di scoppio (necessità figurativa estranea al testo dantesco, ma ugualmente legittima sia per ragioni funzionali, sia perché piegata a simboleggiare l'accesa passionalità terrena cui troppo accondiscesero questi peccator carnali), il confuso accavallarsi di membra quasi indistinte sottolinea la violenza del vento punitore.        I duo cognati, fermi nell'aria, momentaneamente graziati del tormento eterno, non campiscono la scena, come quasi sempre accade in altre figurazioni dell'episodio, ma ne occupano solo una parte: restandone comunque i protagonisti, situati come sono al punto di convergenza cui affluiscono le fiumane di corpi. La suggestione e la novità di questa rappresentazione stanno proprio nell' aver rispettato il proposito dantesco di evidenziare un' esemplare vicenda singola nel quadro collettivo di più di mille ombre tutte macchiate del medesimo peccato.

Tela n° 9 : Inferno 6, 22-27  (vai all'immagine)
      Gli occhi vermigli e le tre bramose canne del mostro-custode, centro della composizione, sono incorniciati da una sorta di criniera stilizzata, la barba unta e atra che dona a questa figura un aspetto di creazione artificiale, di mostro di cartapesta: effetto certamente voluto, in quanto Cerbero fa parte del macchinario diciamo scenotecnico dell'invenzione dantesca, e come tale viene qui sentito; e che sia questa l'intenzione specifica del pittore confermano, ad esempio, le rappresentazioni di Gerione e di Lucifero, per i quali viene infatti adottato un modulo figurativo del tutto analogo.
      L'evidente dismisura delle mani di Virgilio e il gesto quasi scomposto di Dante impaurito, anch'egli con le mani amplificate quasi a costituire il riparo che in quel momento desidera, aggiungono una sopranota al timbro decisamente espressionistico che vibra in tutta l'immagine, cromaticamente una delle più felici e originali della serie.

Tela n° 15 : Inferno 12, 52-57 (vai all'immagine)
       All'orizzonte, minacciose bocche di cannone e acute, taglientissime dentature di enormi seghe; sul basso del primo piano, alimentato ai lati da immissari obiciformi che dispensano a fontana sangue e sangue, il macabro lago del bollor vermiglio dove boccheggiano semiaffogati i violenti contro il prossimo. Ministri e custodi dell' ampia fossa i centauri, simbolo, per la loro doppia natura, della bestialità umana, e allegoricamente, secondo chiose antiche, dei servitori armati, dei complici assoldati, delle longae manus dei tiranni:  poichè «Violenze far non si possono senza la forza di certi ministri, sì come sono i masnadieri e soldati e i seguaci de' potenti uomini», osserva il Boccaccio. Pertanto di violenze e di ingiurie «a' subditi... essi soldati le più delle volte sono ministri e facitori», strumenti primari dunque di ingiustizie e di violenze terrene, per contrappasso vengono ora riciclati per tiranneggiare saettando qual anima si svelle /  del sangue, coloro che della violenza nei confronti dei propri simili, sottoposti e non, hanno fatto quasi la sola ragione di vita, e ora si trovano ad annegare addirittura nel sangue che hanno fatto versare.
      L'immagine, fittamente trapunta di simboli di violenza, colpisce per una sua particolare intensità drammatica, cui fa da ottimale supporto l'articolazione cromatica giocata su due sole tinte, il blu oltremare e il rosso cupo.

Tela n° 22 : Inferno 19, 13-24 (vai all'immagine)     
      La terza bolgia è significativamente immaginata, come un'altissima navata di chiesa, in fondo alla quale si erge una parete-colata d'oro (O Simon mago, o miseri seguaci / che lo cose di Dio... / per oro e per argento avolterate), che, dividendosi in due rivii, scorre ai lati di questo tragico tempio della simonia, percorrendolo tutto e separando due zone di colore diverso, quella centrale riservata ai pontefici - vi biancheggiano infatti sinistramente due grandi sarcofaghi papali - e i loculi sulle quinte verticali, evidentemente zone riservate agli alti prelati, come sembra simbolicamente indicare il viola porpora dei corridoi d'accesso.
      L'alto ponte, un motivo che torna in molti dei quadri dedicati all' Inferno, rappresenta naturalmente uno dei tanti passaggi da una bolgia all'altra citati da Dante, ma la sua qualità spiccatamente geometrica suggerisce intenzioni simboliche: la continuità narrativa dell'invenzione dantesca o anche, su un piano figurale più accentuato, la diritta via che permette di non invischiarsi nel peccato.

Tela n° 26 : Inferno 23, 100-103 (vai all'immagine)
      Da un inquietante pianeta-sole dal nucleo d'oro lordato di sangue e circondato da una raggera di bocche da fuoco emana una schiera di larve ammantate di cappe rance, arancione acceso, che, percorrendo una sorta di corridoio dal pavimento color sanguigno, attraversano zigzagando una macabra, infinita distesa di teschi. Avidità e violenza generano questo come quasi tutti gli altri vizi, ma l'ipocrisia è forse il più calcolatamente crudele: l'inganno delle apparenze e gli abili tornanti del comportamento infido catturano e uccidono più vilmente.
      La lentezza con la quale procede la gente dipinta è suggerita dall' angolosità e angustia del camminamento, della via stretta, ma anche dal rigoroso incolonnamento dei peccatori, che sembrano procedere addirittura con la medesima cadenza: la suggestione è quella di una sorta di esercito che ha seminato morte dovunque è passato.

Tela n° 38 : Inferno 34, 16-21 (vai all'immagine)
      La mostruosità di Lucifero è qui totalmente trasferita nella dimensione simbologica a mezzo di una figurazione neo-arcimboldiana tutta giocata sui moderni strumenti di guerra: cannoni, missili, testate nucleari. La terra e gli uomini - qui sinteticamente presenti come larve spermatoformi - è attanagliata nella terribile morsa del Male, stretta da ogni parte e piagata sanguinosamente dall'immenso, insaziabile moloch della guerra, mostruoso automa meccanico installato su un piedistallo d'oro insanguinato.
      Prescindendo da alcuni particolari del testo dantesco, Incerti ha preferito cogliere l'allegoria sostanziale, il "totale" simbologico di personificazione del male, in una felice attualizzazione dei referenti - armi, denaro, sangue - che risulta certamente significativa ed eloquentissima per noi, uomini di un oggi tanto intriso di guerra.

Tela n° 49 : Purg 7, 82-90 (vai all'immagine)
      Dall'alto di un balzo scosceso Sordello mostra a Dante e Virgilio l'amena valletta in cui attendono il tempo d'essere ammesse in Purgatorio le anime dei principi negli agenti. Gli alberi dalle fronde d'oro, il verde turchese del piano circolare, le macchie di colore nel sottobosco in cui soggiornano i sovrani e i fiori variegati sui lati della valletta sono impressioni stilizzate attinte alla descrizione dantesca, di cui ancora una volta viene però privilegiata in felice sintesi la sostanza figurale.
      La scelta prospettica che accoppia arditamente la visione frontale del balzo e quella zenit aIe della valletta, accentua la fisionomia di hortus conclusus che è propria del luogo (Dante parla infatti di lacca, di lama, di seno, termini tutti che designano una bassura circondata da terreno più rilevato), creando un effetto compositivo di alta suggestione metafisica.

Tela n° 64 : Purgatorio 20, 10-12 (vai all'immagine)
      Lo scenario immaginato per la quinta cornice, quella in cui gli avari giacciono a terra in uno spazio molto ristretto (pur lungo la roccia, / come si va per muro stretto ai merli, dice efficacemente Dante), è fortemente improntato ai moduli della pittura metafisica, sì da suggerire, oltre naturalmente alla più ovvia dimensione ultraterrena del paesaggio, il richiamo alla vita terrena: richiamo sempre pressante nel Purgatorio dantesco. Ne risulta una specie di città di facciate senza finestre e di ciminiere senza fumo, una città che simbolizza la chiusura dell'uomo avaro alla comunicazione, all' attività collettiva, all' altruismo.
      L'apparizione poi della lupa, sinistro nume tutelare di questa cornice, è una felice concretizzazione dell'invettiva dantesca nel corpo della realizzazione figurativa dell'episodio: e ne costituisce nel contempo il suggello emblematico.

Tela n° 70 : Purgatorio 28, 37-41 (vai all'immagine)
      La fisionomia formale e cromatica con cui è qui e in altri quadri dedicati al Paradiso terrestre rappresentata la divina foresta spessa e viva è tale da evidenziarne la caratteristica fondamentale, vale a dire il suo non essere una stupenda foresta terrena, bensì il luogo di delizie originariamente creato per Adamo ed Eva, il paradiso perduto cui gli uomini, exules filii Evae anelano di tornare.
      Forme geometrizzate e disposizione altrettanto geometrica degli alberi, timbro e tonalità dei colori delle fronde, mantenuti rigorosamente su tinte pastello, concorrono solidarmente a costruire l'irrealità reale di questo locus amoenus posto sulla sommità della montagna sacra. La danza di Matelda, forse eccessivamente scomposta in rapporto alla lettera del testo dantesco, vuoI esprimere visivamente la gioia di godere di un luogo che è già paradiso.

Paradiso

Tela n° 78 : (vai all'immagine)
      L'occhio del pellegrino scorge al di là del cerchio di ovuli-nube - uno dei leitmotive del Paradiso di Incerti - un invitante aggregato di frutti, il cui pregnante portato simbologico è qui utilizzato con un referente ulteriore e più intensamente legabile all'opera dantesca: i doni spirituali del paradiso-grazia divina, beatitudine, appagamento -sono in un certo senso concretizzati in entità che del frutto suggeriscono il concetto ma non l'individualità botanica, e che perciò lasciano aperto all' immaginazione e al desiderio di chi li osserva il campo dell'identificazione: sicché ognuno può leggere in questa immagine promettente di felicità e di vita ciò che più lo attira e sentir sorgere dentro di sé il desiderio di possederlo; è insomma un paradiso rappresentato in termini accessibili a chi è ancora decisamente agganciato ad aneliti squisitamente terreni.
      Si tratta d'altra parte di un modulo di lettura che risulta perfettamente in linea con il testo dantesco: il pellegrino Dante non ha qui ancora raggiunto infatti il grado di perfezione sufficiente per fruire senza mediazioni della mirabile visione di Dio.

Tela n° 85 : (vai all'immagine)
      Nel trasferire su tela il Paradiso dantesco, Incerti non ha tanto puntato su passi specifici della cantica, quanto su idee via via sgorgate dalla propria fantasia sollecitata dalla lettura del testo. Per questo molte delle tele eseguite potrebbero essere accostate a diversi momenti narrativi, contemplativi o dottrinali del poema. Si tratta dunque, nella maggioranza dei casi di illuminazioni indotte, nelle quali gioca in gran parte la personalità dell'illustratore, il quale, umilmente ma caparbiamente, si sforza di rappresentare quel che è impresa quasi disperata rappresentare per figuras, e cioè il "sentimento" del Paradiso. Il pittore, insomma, si sostituisce, anzi si immedesima e si identifica con Dante, e cerca di esprimere con forme e colori quel che la visione celestiale raccontata gli suscita nell'intimo.

Tela n° 91 : (vai all'immagine)
      Compito arduo, certo, cui talora può fallire la possa, non già il coraggioso impegno e l'alta fantasia; non sarà inopportuno citare a questo punto lo stesso Dante:
   Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l' omero mortaI che se ne carca,
no'l biasmerebbe se sott'esso trema.
   Non è pareggio da picciola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
né da nocchier ch'a sé medesmo parca.
(Paradiso, XXIII 64-69)

Tela n° 82 : (vai all'immagine)
      Come già nell' Inferno i cannoni, le armi, il sangue, o anche le sbarre spinte ai lati del quadro, quasi venissero temporaneamente divaricate a beneficio dell'osservatore cui è concesso seguire dall'esterno il viaggio del personaggio Dante nel tetro carcere infernale; come nel Purgatorio le frequenti allusioni a profili di paesaggi terreni più o meno mimetizzati figurativamente; così nel Paradiso si ripetono alcuni elementi di accentuata carica simbolica, che permettono in definitiva un discorso figurativo non solo architettonicamente coerente, ma personalizzato, nuovo, altamente suggestivo.

Tela n° 92 : (vai all'immagine)
      Sfere vaganti o diversamente aggregate, ovuli disposti a grappoli o a corone concentriche, sagome fruttiformi, germogli, fiori-raggera d'ogni tinta, il più delle volte accostati tangenzialmente a formare un suggestivo sistema di ingranaggio; e poi ancora ampie campiture di colori irreali, cangianti o gradualmente sfumanti l'uno nell'altro, costituiscono i principali Leitmotive su cui è tramata la rappresentazione del Paradiso che Incerti realizza intrecciando questi con altri elementi più strettamente connessi alla contingenza di specifici riferimenti testuali.
      Continuum di luce, mistica salita al recupero dell'originaria purezza e ascensus alla visione suprema dell'Assoluto, il viaggio di Incerti non poteva accordarsi meglio all'intenzione dantesca di rappresentare l'irrapresentabile in termini tali da permettere a tutti coloro che «con le pecore hanno comune cibo» di partecipare al «generale convivio» della conoscenza sublime della scintilla divina che pur sempre arde nell'intimo di ogni essere umano.


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