31 Dicembre 2000
Il
giorno dopo (31.12.2000, mio compleanno!!) andiamo ad incontrare gli
indios
Warao
nel loro villaggio. Sinceramente dopo tutto quello che ho ammirato il
giorno prima, non è che m’interessasse così tanto fare questo tipo di
escursioni, costruite ad hoc per i turisti. Magari anche disturbiamo…….
Per fortuna partiamo solo in 5 persone e già questa è una cosa che mi è gradita. Durante il percorso in barca, incontriamo altre capanne e tutti salutano.
Sono
costruite ai bordi del fiume, che offre loro, assieme alla flora e alla fauna,
tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere. Acqua potabile compresa: si, perché
ho visto con i miei occhi che loro la bevono! Chiedo a Rafael e me lo conferma.
Anche lui la beve! Oddio, penso, ma se all’USL mi hanno consigliato (con tanto
di visita) di fare il vaccino contro la Febbre gialla, l’antitifica,
l’antimalarica, l’antitetanica A, B ecc….???? Ebbene: non serve a nulla!
Anche al villaggio mi hanno confermato che li non esiste febbre gialla, tifo,
malaria e altre menate del genere!! E dire che il dottore che mi ha visitato,
aveva sottomano un libretto con tutte le zone del mondo a rischio infettivo!
Mah… sarà stata l’edizione del 1902!!!
Prima
di pranzo chiedo a Victor qualcosa sugli indios Warao: mi dice che il governo
Venezuelano ha istituito un programma di istruzione, per evitare che il futuro
contatto con la civiltà sia disastroso. Se hanno una cultura di base e
conoscono la lingua, possono riuscire a difendere i loro diritti. E mi indica un
cartello, di fianco al banco del bar-reception, con la richiesta di offerte per
attuare quest’idea, anche con penne e quaderni. Mah.. speriamo bene…..
In
cucina ho visto arrivare mezzo maiale già pulito e pronto da cucinare alla
brace, due tacchini e chissà cos’altro! Stanno preparando per la festa di
fine anno e…. ci piange il cuore! Saremmo stati molto volentieri qui a
festeggiare con tutta questa gente cordiale e disponibile, ma il programma non
ce lo permetteva.
Prima di partire restiamo a chiacchierare con la proprietaria, con Victor, e con l’avvocato della società che gestisce il Lodge: è un italiano stabilitosi ormai da tantissimo tempo in Venezuela. In quei giorni è venuto a trovarlo anche il figlio che abita in Florida. Insomma il clima è conviviale, nessuno si arrabbia, tutti i dipendenti fanno il loro lavoro senza fretta e sempre col sorriso sulle labbra. E questo ci crea ancor più malinconia.
Partiamo
con la barchetta e dopo un’ora e mezza circa arriviamo al porticciolo di
Boca
De Uracoa, dove ci aspetta il fratello di Beatriz per il trasferimento in auto
fino a Ciudad Bolìvar. Purtroppo siamo arrivati con più di mezz’ora di
ritardo e non vedo nessuno. Gli unici due “estranei” siamo io e la Gabri.
Nessun altro.
Il
porticciolo è costituito da un portico, un negozietto, una stazione della
polizia e qualche piccola casa. Tutt’intorno non c’è paese o villaggio
nell’arco di 50 chilometri! La proprietaria del Delta Lodge ha raccomandato al
ragazzo che ci ha accompagnato in barca, di non allontanarsi fino a quando
qualcuno non sia venuto a prenderci. Acquisto una tessera per il telefono
pubblico, situato all’interno della stazione (sono due piccoli locali!) della
polizia. Di fronte c’è un tipo chino sul motore della sua auto, chiedo dov’è
il telefono, ma dice che non funziona! Ci chiede a cosa ci serve, perché siamo
lì, fa qualche domanda anche al giovane che ci ha accompagnato.... Deduco che
è uno della polizia, e ci spiega che se qualcuno deve venirci a prendere di non
preoccuparci: ha una grossa responsabilità e per questo verrà senz’altro!
Beh, penso, io non ne sono tanto sicuro……
Torno sotto il portico: il sole scotta e non c’è un filo d’aria. Ad un certo punto arriva una signora con un telefono cellulare. Sta cercando di fare un numero, ma forse non riesce a prendere la linea. Le chiedo se mi fa fare una telefonata a Ciudad Bolìvar, e senza alcun problema mi porge il telefono.
Per
la notte dell’ultimo dell’anno non abbiamo prenotato nulla, anche perché,
sinceramente, non c’interessa tanto. Pensiamo ancora al Delta Lodge: li
sarebbe stata sicuramente una bella serata.
Usciamo
a piedi in cerca di un ristorante, nel quartiere vicino al nostro hotel. Sono
tutti chiusi. Chiediamo a qualcuno, ma sembra che nessuno tenga aperto
l’ultimo dell’anno!!! Prendiamo un taxi per andare in centro, ma anche qui
niente di niente. Nemmeno le discoteche o i locali pubblici sono aperti. Tutto
chiuso. I venezuelani trascorrono il veglione con i parenti a casa propria.
Qualche fuoco artificiale e nulla più.
Troviamo
delle persone gentili al Grand Hotel Bolìvar che, sebbene la sera ci sia solo
una festa per gente di un certo livello, pranzo escluso, ci preparano delle
pietanze squisite. Dopodiché entriamo nella sala della festa (mamma mia che
squallido!), attendiamo la mezzanotte e ce ne andiamo. Chiediamo alla reception
se ci chiama un taxi, ma… sorpresa: non rispondono!! Ci portiamo di fianco
alla strada per vedere di fermarne qualcuno: ne saranno passati una decina, ma
tutti con la macchina piena di parenti e amici. Dopo una mezz’ora circa,
vedendoci un po’ spaesati, si avvicina il proprietario dell’hotel Valentina,
anche lui a festeggiare con moglie e figlia, e ci chiede se vogliamo un
passaggio in auto! Cerrrrrto che si! Saliamo in una Lincoln nuova di zecca. Nei
posti dietro c’è spazio per 4 persone belle larghe!
In
pochi minuti arriviamo all’hotel. Lungo la strada non abbiamo visto tutta
quella confusione tipica delle nostre città all’ultimo dell’anno. Tutti
festeggiano in casa propria.
01 Gennaio 2001
Il
mattino dopo l’appuntamento è per le 8,00 con un’auto per
portarci a
Puerto La Cruz, città a nord-est del Paese. Aspettiamo mezz’ora,
un’ora, niente da fare. Ad un certo punto arriva un tipo dell’Energy Tours
e, vedendoci ancora lì, fa due-tre telefonate e si scusa una decina di volte
(secondo me se lo sentiva…). Dice che in Venezuela gli orari sono una
questione soggettiva e soprattutto il primo dell’anno è difficile trovare
qualcuno che lavori. Ok, non me ne importa. Non ho appuntamenti e men che meno
ho bisogno di rodermi il fegato. Il sole scalda un po', si sta bene. Nel giro di mezz’ora arriva la nostra auto.
Prendiamo l’autostrada, attraversiamo il bellissimo e moderno ponte Angostura sul fiume Orinoco.
|
La strada continua sempre diritta, alla nostra destra c’è un
oleodotto (tubo in acciaio) che ci “accompagnerà” per tutto il viaggio.
Ogni tanto c’è uno spiazzo con delle pompe, saracinesche, tubi ecc…
protetto da una recinzione. Abbiamo già fatto circa 150 chilometri. E’
strano, penso, non abbiamo ancora incontrato qualche campo coltivato.. ma se il
clima è ottimo…. e ancora avanti ettari ed ettari di terreno con un po’
d’erba verde, qualche albero e basta. Vorrei sapere. Prendo la L.Planet ed
ecco svelato il mistero:”…La possibilità di realizzare guadagni con il
petrolio portò ugualmente a un progressivo disinteresse per l’agricoltura, il
che ebbe come conseguenza un costante aumento delle importazioni di derrate
alimentari e una rapida crescita dei prezzi…. Il petrolio ha posto in secondo
piano altri settori dell’economia. L’agricoltura che non è mai stata forte,
è stata notevolmente trascurata e solo il 3% del territorio nazionale è
coltivato”. Infatti per tutti i circa 300 chilometri non abbiamo visto un
metro quadro che sia uno di territorio coltivato!! In compenso abbiamo
incontrato numerose pompe per l’estrazione del petrolio (da lontano sembrano
grossi uccelli neri che beccano il terreno).
Arriviamo
a
El Tigre, poi
Cantaura,
Anaco
e proseguiamo per la
statale n° 16
abbastanza
larga e senza alcun dissesto, verso
Barcelona
e infine
Puerto La Cruz. Sono
ormai le 14,00. Il nostro hotel (Cristal
Park) è in una laterale del lungomare
ed è sporchissima!!! Quintali (non esagero) di spazzatura, bottiglie, cartoni,
tutto per terra!! Mamma mia, non eravamo abituati a queste sorprese!
Dopo
una doccia ci corichiamo per un meritato riposino. Verso le 17 usciamo e notiamo
che la spazzatura è stata ammucchiata e più in la c’è un’escavatore (!!)
che la sta caricando sul camion. Meglio così.
C’è
una leggera brezza tiepida che soffia dal mar dei Caraibi. Camminiamo lungo il
Paseo Colòn, un viale pieno zeppo di alberghi, bar e ristoranti che si estende
per 10 isolati sul lungomare. L’atmosfera si anima in modo particolare e più
tardi aprono le bancarelle di oggetti artigianali: legno, cocco, vetro (lo
lavorano in quel momento), quadri, collane, conchiglie ecc..
Verso
ora di cena cerchiamo un ristorante, ma sono tutti chiusi. Ci allontaniamo dal
centro, ma è peggio ancora. Ritorniamo al Paseo Colòn e ne troviamo uno
aperto: è gestito da italiani e sono un po’ arrabbiati perché i camerieri e
gli aiutanti della cucina non si sono presentati e quel che è peggio senza
avvisare! Ci spiegano che per i venezuelani è normale. Se non hanno voglia di
lavorare stanno a casa. Punto e basta! Gustiamo un ottimo piatto di pasta e ce
ne torniamo all’hotel. Domattina, tanto per cambiare la sveglia è alle sette.
02 Gennaio 2001
Stamattina andiamo a visitare il
PARQUE NACIONAL MOCHIMA.
Partiamo dal molo dell’Hotel Esperia (ex Melìa) con una barca coperta. Siamo in 7-8 persone, per lo più venezuelani. Anche per loro è periodo di ferie e vanno nelle numerose spiagge delle isole del Parco Nazionale.
Ci avviamo verso “Isla Chimana Grande” e ci fermiamo alla “Playa El Saco” dove scendono alcuni venezuelani. Continuiamo verso nord-est e il paesaggio si presenta con un’acqua meravigliosa e terre spoglie, a tratti rocciose e abbastanza suggestive. Tuttavia alcune hanno belle spiagge e sono circondate da barriere coralline che offrono buone possibilità di praticare lo snorkelling.
Dopo circa mezz’ora arriviamo all’”Isla Chimana Segunda” alla Playa El Faro. E’ una spiaggia bianchissima, la sabbia è come il talco. C’è qualche albero e il paesaggio appare un po’ spoglio. Non ci stendiamo al sole poiché è praticamente impossibile: ci saranno 30 gradi all’ombra e il sole picchia verticale su di noi. Andiamo in ricognizione: dopo la spiaggia, camminando verso l’interno, il terreno assume una colorazione rossastra, il paesaggio diventa arido e roccioso. Qualche cactus (alti più di due metri) occupano vaste zone dell’isola. Camminiamo ancora ed arriviamo all’estremo nord dell’isola: ci sono solo rocce a strapiombo sul mare. Si può camminare con tranquillità anche sulle zone un po’ più ripide, poiché, stranamente, non sono assolutamente scivolose. Il paesaggio è bello, ma nulla di speciale. Il caldo è insopportabile. Torniamo alla spiaggia e ci sediamo qualche minuto all’unico bar-ristorante dell’isola. E’ una costruzione spartana, fatta di legno. L’unico inconveniente è che i venezuelani in genere non amano usare i cestini per i rifiuti: buttano tutto a terra. Ad un certo punto giro l’occhio e scorgo un Iguana. Camminano in tutta tranquillità, sulla sabbia o sull’erba, anche se sono avvicinati dalla gente, non ci fanno caso.
Ci fermiamo all'Isla Chimana Grande per far salire le persone che si sono fermate al mattino e quindi si prosegue. Arriviamo a Puerto La Cruz verso le 16,30. Sinceramente non siamo stati entusiasmati da questa escursione. Abbiamo chiesto un po’ in giro se ci sono dei posti un po’ particolari da visitare e ci hanno detto che alcuni tratti della strada che va da Puerto la Cruz a Cumanà, dove fanno servizio numerosi autobus, offrono splendidi scorci panoramici delle isole. Nei pressi si trovano dozzine di spiagge: le due più famose sono la Playa Arapito e la Playa Colorada, la prima posta a circa 23 Km da Puerto La Cruz e la seconda situata 4 Km più a est. Purtroppo non abbiamo più tempo e ci dobbiamo accontentare… Torniamo all’hotel, una doccia e subito fuori per una bella passeggiata sul Paseo Colon. Oggi la città è più animata e quasi tutti i negozi sono aperti. Abbiamo sentito parlare di una zona residenziale costruita da poco. Prendiamo un taxi e dopo aver accordato il compenso (praticamente non ha acceso il tassametro perché ha detto che verrebbe fuori la stessa cifra (!)), andiamo verso il complesso turistico “El Morro”, quattro Km a ovest della città.
Situato su un tratto di terra lungo la costa, il complesso ha più o meno la forma di un rettangolo di 2 x 2 Km. Già nei sobborghi ci accorgiamo della modernità del impianto: l’area è attraversata in tutte le direzioni da un dedalo di canali, sulle cui rive è edificata una città fatta di palazzine residenziali, villette a schiera e ville stupende, circondate da giardini meravigliosi. Gli abitanti hanno accesso diretto al lungomare con un molo e uno scivolo privati! Quasi tutti hanno un cabinato o grossi motoscafi e auto di lusso. Ci sono due alberghi in riva al mare: Hotel Doral Beach e Hotel Maremares. Sul lato meridionale si trova il Centro Comercial Plaza Mayor con negozi moderni, un cinema multisala e ristoranti per tutti i palati. Qui i prezzi sono completamente diversi: per un primo e secondo, con acqua e contorno, abbiamo speso circa 50mila lire a testa, a fronte dei 15-20 mila lire spesi in altri ristoranti sia a Ciudad Bolìvar che a Puerto La Cruz.
Verso mezzanotte torniamo all’hotel. Domattina, tanto x cambiare ci aspetta un lavataccia per andare all’aeroporto di Barcelona.