L'intervista di Anna Maria Simm

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La poesia che salva la vita

Milano, primavera 2000 ore 14.30

Incontro con Donatella Bisutti

La casa di Donatella assomiglia alla sua anima: grandi locali dai colori caldi nei quali oggetti e mobili differenti per provenienza e natura creano scenari di diverso ma armonioso aspetto.

Interagisco con i suoi grandi lisergici occhi azzurri che mi parlano con voce famigliare, continua, larga, tranquilla mentre mi racconta di sé.

Il suo incontro con la poesia e il giornalismo è avvenuto quando aveva otto anni alle elementari frequentate presso le suore.

Scrisse allora i primi ingenui versi in rima, allestendo il giornalino di classe,versi letti senza che lei lo venisse a sapere anche nelle altre aule.

Decisa a fare la scrittrice, un giorno, condotta dalle suore in chiesa per la solita preghiera, aveva chiesto a Dio l’aiuto per diventarlo promettendogli, in cambio, di scrivere tre libri per bambini, impegno questo che nella semplicità dell’infanzia le sembrava veramente di poco peso.

Questa intenzione coltivata sino all’università con tenacia e sofferenza ma senza esiti concreti, fu abbandonata per una strada che pareva più semplice, quella del giornalismo soprattutto in riviste femminili come "Grazia", e con successo. Allora le due strade, quella di giornalista e quella di scrittore erano di difficile coesistenza, quasi antitetiche.

Fu così che Donatella decise un giorno tra lo stupore generale di abbandonare la carriera di giornalista per inseguire la sua personale chimera di poetessa e prosatrice.

Cominciò dunque proprio con dei racconti e con un libro per bambini. "L’albero delle parole –grandi poeti di tutto il mondo per i bambini", Feltrinelli, 1979/1996.

Sorridendo Donatella mi dice però di non sapere ora se ha già scritto o no tutti e tre quei famosi libri della promessa … ma, continua : " …tenendo conto che Volevo gli occhi azzurri (Bompiani 1997) è stato adottato anche nelle scuole, addirittura potrei averne scritti di più!"

Le vennero poi proposte delle opere da tradurre, tra le quali un testo dal francese di Bernard Noel su cui doveva preparare un saggio pur non avendo nessun materiale se non i suoi libri.

Fu appunto lavorando attorno a Noel che Donatella cominciò all’improvviso a scrivere "furiosamente" (tanto da "stremarsi") ogni giorno per circa un’ora. Erano una serie di parole che a lei non parevano "poesia" ma "rivelazione di una verità", ricezione di "messaggi" …così fu per due mesi in uno stato e con modalità che poi non si riprodussero più.

Successivamente elaborate, queste prose poetiche uscirono sulla rivista L’almanacco dello specchio con il titolo di Poemetti in prosa, titolo scelto da Marco Forti che allora la dirigeva.

Per altri un punto d’arrivo, per Donatella l’esordio su quell’importante strumento di cultura avvenne grazie alla curiosità proprio di Marco Forti che la conosceva come traduttrice. Queste prose, con altre aggiunte, divennero poi il nucleo del primo libro "Inganno ottico",Società di poesia, Milano, 1985, che suscitò grande interesse.

Donatella che ora scrive quasi solo in poesia, modalità considerata una strada per arrivare all’essenza, alla conoscenza, alla verità, mi mostra un brano tratto proprio da "Inganno ottico": "La conoscenza avviene per semplificazione.

Non è un aggiungere ma un togliere sino alla perfetta trasparenza… Anche vivere non è aggiungere tempo al tempo accumulato, ma sottrarre l’eccedenza del tempo fino alla perfetta consumazione…". Concetto orientale e michelangiolesco, ma c’è ancora qualcosa di più: attraverso una continua domanda (come sostiene lo Jabès da lei prediletto), non si arriva comunque al raggiungimento di alcuna risposta; la verità è per definizione introvabile e non si deve trovare anche se esiste.

In un sogno fatto da bambina -saliva su una collina per afferrare la luna senza riuscirci, pur continuando la luna ad esserci e ad attirarla- Donatella ha scoperto l’allegoria del suo sentire non nihilistico e sempre più religioso.

L’essenza dunque coincide con Dio, ma si tratta di una religiosità "un po’ eretica" costruita collegando zen, yoga, cristianesimo e altre suggestioni che la portano a pensare all’esistenza di un principio di "energia creatrice". Tutto ciò che si rapporta ad essa ha a che fare con Dio. E la poesia è espressione di "energia creatrice" che ci affaccia sul caos della contraddizione e ce ne fa prendere coscienza e accettazione. Ogni testo poetico, che è come un colore cangiante, si può rovesciare al di là dell’apparenza immediata alimentando in noi la presenza accanto alla gioia o viceversa al dolore e alla disperazione del loro contrario.

Nel prologo del poema "Colui che viene"(citazione dall’Apocalisse), pubblicato in Belgio, Grecia, Romania ma non ancora in Italia mentre sta per uscire in Francia con la traduzione di Bernard Noel, opera che la Bisutti considera il suo breviario di religiosità "blasfema", summa di saggezza, la poesia è indicata come "creazione della mente" che presuppone però prima una "passività di ricezione", mentre "Dio è la speranza dell’uomo ma l’uomo è la speranza di Dio" . La religiosità di Donatella intravede un Dio in formazione, è senso del sacro che recupera nella nascita di ogni uomo l’incarnazione di Cristo e nella crocifissione sua, la nostra vita. E proprio la poesia rende questo intreccio di gioia e dolore.

"Colui che viene" è scaturito dalla sofferta meditazione zen che per tre anni la scrittrice si impose in un contesto difficile, la stessa città di Milano. Anche questa esperienza, seguita ora da una fase di "svuotamento", si è rivelata irripetibile.

La poesia è saggezza? "Non è ragionevolezza" -risponde Donatella- "certo è andare verso la pazzia per quello che è il modo di ragionare comune. E’ un mettersi sull’orlo dell’abisso e guardare rischiosamente in giù".

Effettivamente "un grande salto nel vuoto", uno scardinamento (al quale cercò di sottrarsi), una "catastrofe" in senso manzoniano fu per la scrittrice l’incontro con la poesia anche nella sua vita reale (segnata inoltre dalla separazione da suo marito), un percorso apparentemente di provocazione che le rese difficili persino i rapporti con le persone di sempre ma che gliene fece acquistare di nuove nel suo rifiuto per la "misura" formale e solo apparentemente rassicurante. Lo stesso tempo passato a fare altro che non la scrittrice fu come forse l’espressione della paura dell’ignoto, che una volta scelto divenne però salvezza di vita.

Dunque la poesia salva la vita ("La poesia salva la vita", Mondadori, 1992, 1998) poiché pone un assoluto, un valore umano, un punto di riferimento alto che è in ciascuno di noi. Tutto ciò che viene dall’esterno tende a distruggere prima di tutto moralmente oltre che a volte fisicamente; la poesia ci pone in comunicazione invece con una energia creativa che ci sorpassa ("chiamiamola Dio se vogliamo").

La poesia salva la vita dalla divisione indotta dalla nostra civiltà tra le due parti di noi che sono Una, il corpo e la mente. La poesia ricostituisce l’essere umano come una totalità, riparando molti guasti, molte distorsioni ad esempio contro la parte fisica (storpiata) o che rendono contraddittorio il rapporto tra la parte emotiva e quella conoscitiva-intellettiva.

La poesia modifica la vita. "E’ un diritto che andrebbe aggiunto alla carta dei diritti dell’uomo". A un livello minimo, afferma Donatella, tutti inoltre possiamo provare a capire i meccanismi della poesia per tentare di riprodurli. A chi dice che i poeti spesso si suicidano, la Bisutti oppone la certezza che senza la poesia lo avrebbero fatto prima. La Rosselli ed esempio, mentre la Merini è stata da essa salvata completamente.

Così è successo per l’ex rapinatore Bruno Brancher, molto conosciuto Milano, riscattatosi con la poesia e pubblicato da Feltrinelli.

Chiedo a Donatella un giudizio sui cantatutori ai quali dedica un’appendice nel testo citato.

Se la musica è il ritmo della parola e serve a amplificarla (così come presso i provenzali e gli antichi greci) il testo non viene soffocato. In certi casi i testi dei cantautori potrebbero essere assimilati alla poesia, ma normalmente si tratta di canzoni cioè di testi che nascono già con la musica e dunque con un’impostazione particolare che li adatta alla sonorità del ritmo. Dunque la canzone è un genere a parte, più facilmente fruibile dai giovani e anche a livello di massa.

La Bisutti riconosce però che la canzone oggi affronta tematiche civili che la poesia italiana sembra fuggire, restando per tradizione accademica, ufficiale, petrarchista, arcadica, ermetica. Da noi è mancata la "beat generation" : anche per questo Donatella ha scritto "Violenza", Dialogolibri, 1999, raccolta poetica che stigmatizza gli orrori delle guerre contemporanee.

Così termina la mia lunga chiacchierata con la scrittrice milanese che nella sua formazione annovera anche un periodo di vita in Turchia. Ci salutiamo dopo che Donatella mi ha ricordato i nomi di due poeti a lei particolarmente cari, Bartolo Cattafi e Frenanda Romagnoli.

Il primo poco conosciuto nonostante la sua grandezza, la seconda (morta nel 1980) ancora da scoprire e che forse verrà pubblicata, a cura proprio della scrittrice, dalla Garzanti.

Anna M. Simm

interviste anche a Fernanda Pivano, Maurizio Cucchi, Lalla Romano, Gina Lagorio, e tanti altri

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