L'intervista di Anna Maria Simm

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Una mattina di luglio a casa di
Maurizio Cucchi

Milano, 3 luglio 2001 ore 11

Partiamo dall’oggi con una domanda forse atipica suggeritami dalla rubrica di consigli ai giovani poeti che tieni sulla Stampa: che consiglio daresti a un giovane Maurizio Cucchi se sottoponesse a te le sue poesie?

Quando ho cominciato a leggere libri di autori contemporanei a me congeniali (Sereni, Raboni, Giudici, Zanzotto, ecc) ho anche trovato subito il modo di esprimermi in un linguaggio mio. Attraverso la lettura delle loro opere avrei magari corso il rischio di cadere in effetti mimetici (cosa che succede anche ai grandi) ma ho capito che si poteva usare come linguaggio della poesia anche quello quotidiano e della realtà. Quindi il consiglio che darei a quel giovane e che do ancora sempre più spesso è quello di frequentare il più possibile la poesia contemporanea. Meglio copiare che rimanere nella non/consapevolezza di ciò che si sta facendo. Quando dietro lo scrivere non ci sono letture di poesia contemporanea il testo generalmente è debole; la lettura serve ad aiutarci a esplicitare ciò che teniamo dentro.

Mi pare che ci siano in Italia più aspiranti poeti che attori e cantanti

Sì la quantità è davvero impressionante ma come dicevo, i più scrivono senza leggere e si vede. Ma trovo interessante il fatto che moltissimi di costoro hanno meno di trent’anni e che in tempi come questi che attraversiamo affidino il meglio di sé alla poesia. A mio parere questo accade perché prima di tutto la realtà tecnologica che li ha prodotti viene vissuta come qualcosa di normale, non ne sono né emozionati né scandalizzati.

Nel contempo però questo tipo di società privilegia l’immediato e il superficiale, ciò che non ha durata. Poiché questo è poco remunerativo sul piano dell’interiorità i ragazzi rispondono reagendo con una forma di resistenza dell’autenticità contro la banalità, l’effimero e il vuoto che ci circonda.

Quindi non bisogna essere scorati nei confronti delle ultime generazioni

No. Mi sembra che ci sia in questi ragazzi un’energia superiore complessivamente rispetto a quella delle generazioni precedenti. Ad esempio tra quelli nati negli anni sessanta ci sono dei bravi poeti come Riccardi, Dal Bianco, Donati e oltre loro generalmente gli altri sono garbati, compiti, grammaticalmente ineccepibili ma piuttosto freddi; oggi i giovani poeti mi sembrano più vivaci, nervosi, molto più portati a dire la loro esperienza indipendentemente da ragioni letterarie. Dalla cultura, dal temperamento e dall’esperienza forte possono uscire cose interessanti.

Domanda forse impertinente: trovi spunti di riflessione dalla lettura delle loro poesie?

Certo. A me interessa capire dove vanno, cosa fanno e cosa loro interessa. Tempo fa dicevo che quando sarò molto anziano vorrò avere un maestro di vent’anni perché sarà lui che potrà spiegarmi quello che starà succedendo nel mondo perché io ne avrò sicuramente una percezione molto difficoltosa. La cosa che mi sembra più evidente e che dice anche Mario Santagostini nella sua introduzione al volumetto "Poeti di vent’anni" è questa: per loro prima di tutto la tradizione del novecento da Gozzano a Magrelli è contemporanea e costituisce un grandissimo magazzino nel quale entrare e camminare senza problemi né storici né di genere. In secondo luogo non hanno alcuna intenzione di fare un’operazione letteraria. Io e quelli che mi hanno preceduto scrivevamo non solo per noi ma anche "rispetto a qualche modello"…oggi i giovani vogliono esprimere la loro tensione nell’esistenza con i mezzi che hanno a disposizione. Questo mi piace pur se comporta un rischio: occorre avere anche un progetto formale forte che veicoli questo tipo di emozione. E forse proprio questo non è esplicitato né molto chiaro.Ma vedremo.
Ho la conferma che ci sarà un futuro per la poesia .

Ricercano il tuo parere più uomini o più donne e esiste secondo te un verso poetico femminile diverso da quello maschile?

Più donne sicuramente.

In certi casi il temperamento femminile si vede molto bene quando c’è stile e modo .. ma è difficile definirlo. Nelle donne forse c’è una maggiore aggressività nervosa nella scrittura. Una donna forse non sarebbe d’accordo.

Io concordo. Gina Lagorio mi diceva che nel verso e nella prosa la femminilità coincide con un senso materno "dal ventre" presente anche in scrittrici non madri, inteso anche come passionalità, fisicità.

Sì, la fisicità e l’aggressività dei modi si vedono nella poesia femminile, meno mediata.

Di solito quando scelgo la poesia da mettere in "Specchio" se qualcosa non mi convince cerco l’autore per invitarlo a modificare e in genere i consigli vengono accettati. Una volta però mi capitò di pubblicare una poesia con due lievi correzioni, senza aver potuto avvertire la giovanissima autrice poiché non mi era riuscito di trovarla.

Mi mandò una lettera di fuoco carica di quell’aggressività che avevo notato anche nella sua scrittura.

"Date una disciplina ai vostri versi, non ingabbiate il testo nelle rime, non trascurate la metrica, meglio un verso sciolto, la metrica è poesia non intrappolate le parole…" Questi sono alcuni dei consigli che si leggono nella tua rubrica… E’ una contraddittorietà apparente.

Il verso ha una parte espressiva, ed è un’unità di misura: deve avere la sua autonomia. E’ difficile leggere senza una forma. Molti vanno a capo un po’ casualmente…ma allora meglio scrivere in prosa. Molti credono di dover fare studi di metrica senza avere orecchio.

Vale a dire che il versolibero è strutturato ed ha natura precisa.

Certo, deve essere internamente ancora più motivato del verso tradizionale che ha delle regole stabilite alle quali appoggiarsi.

Una grande poeta donna Patrizia Valduga scrive utilizzando esclusivamente la "gabbia dei versi" mentre il suo compagno Raboni dopo un tentativo in metrica è tornato al versolibero.

Patrizia Valduga è un caso indiscutibile di notevole rilievo sin dalla raccolta "Medicamenta". Ciò non significa che si debba ritornare a una scrittura in forma chiusa. Patrizia Valduga ha voluto segnalare anche una crisi del versolibero. Ha compiuto un’opera propria ma sbaglia chi pensa che quella sia la strada del futuro. Raboni ha dimostrato una grande apertura mentale accostandosi all’esperienza di Patrizia Valduga ma fin da ragazzo aveva inventato un verso libero al contempo vicino alla prosa e lontano da essa davvero straordinario. Credo che da lui ci sia moltissimo ancora da imparare.

E’ più facile imitare il primo Raboni che non l’attuale Valduga. Ma questi sono tutti discorsi da bottega. E’ più facile parlare che scrivere.

In una ipotetica "scuola di poesia" tu come insegneresti la struttura del versolibero?

Io voglio insegnare a tirar fuori il massimo di consapevolezza utilizzando le proprie risorse al meglio. Posso insegnare cosa si può evitare piuttosto di ciò che si deve fare . Comunque bisogna mettere al bando gli stereotipi e le banalità, essere selettivi, avere un’ambizione molto alta e una esigenza nei propri confronti enorme senza mai autocompiacersi né essere mai soddisfatti della poesia che si è scritta per arrivare a produrre un oggetto che abbia compiutezza formale. Questi sono i modi da bottega che io intendo.

Certo esistono dei piccoli accorgimenti per scrivere poesie ma l’essere poeti per fortuna appartiene ai requisiti naturali: non basta l’esercizio.

Il rapporto tra poesia e canzone.

Io amo molto la canzone
come genere di intrattenimento che può arrivare a un livello artisitico.

Chi potrebbe dire che Cole Porter non è artista? Ma cosa c’ entra la poesia? A proposito di Fabrizio de Andrè Luzi ha detto che è un artista non che è un poeta. Una voce particolare e fascinosa, una musica semplice che accompagna una parola secondo me un po’ enfatica ma sempre costruita con un senso. Tutto ciò nell’insieme dà un oggetto artistico. Ma non poesia. Io ho stroncato Gaber ( ma anche Guccini) e vi invito a leggere i testi delle canzoni. Se sono poesia devono stare in piedi esteticamente ed espressivamente.

Eccoci spostati in ambito politico: Gaber nel suo ultimo disco chiacchierando più che cantando vuole insegnare quanto è sbagliato essere stati comunisti, come lui, da giovani.

Da ragazzo mi dicevano che ero troppo poco di sinistra adesso che sono sempre quello che ero.Vedo che molti hanno cambiato colore. Il loro era un interesse puramente ideologico e astratto senza coinvolgimento reale. E le ideologie si possono cambiare come si cambia una camicia.Come è possibile che una persona che ha sostenuto delle idee trenta anni fa oggi con la massima tranquillità sostenga il contrario? A me questo fa impressione. Qui si tratta delle sorti dell’umanità e, quando si parla di politica, di idea di società civile. Come si può passare a un’idea di società "televisiva"?

Cito Maurizio Cucchi: "Anche il poeta ha i suoi doveri civili"

I poeti -ho riflettuto recentemente- non si rendono ben conto di ciò che sta succedendo; pensano di essere sempre delle "anime belle" … Ma per il solo fatto di essere poeti, non si dicono sempre cose opportune e civili! La poesia può essere anche profondamente incivile.

Il poeta ha il dovere di capire e di cercare attraverso i suoi mezzi (la profondità e la riflessione sulla complessità e la durata) di dare testimonianza di ciò che accade. Ci si ricorderà ad esempio di un poeta come Nelo Risi che io stimo molto perché permetterà alle future generazioni di intendere cosa sono stati gli anni sessanta, settanta e ottanta….A un mio amico poeta che rifiuta Internet io rispondo : "Quando il mattino scendi a comperare il giornale con cosa credi che l’abbiano fatto?" Sembra quasi che i poeti siano un po’ gli "idioti del villaggio" che si rifiutano di esprimere un parere critico sulle cose.

"La prosa è infida. Porta con sé confini traboccanti d’insignificanza" Questo è un tuo verso. Quindi la poesia è più rivelatrice della prosa.

Naturalmente. Ma posseggo anche una forma mia di idiosincrasia perché io sono anche un lettore di narrativa molto appassionato A volte sono contento di essere ancora vivo perché così posso leggere Balzac e Zola (ho tradotto anche Sthendal) provando un’immensa soddisfazione. Amo di più Balzac di Baudelaire che amo tantissimo.

La tua è stata definita una poesia espressionista.

Io non ho mai scritto in prosa però e quando ci ho provato come in "L’ultimo viaggio di Glenn" mi sono trovato di fronte a una quantità di materiali che mi sembravano espressivamente inerti. Così ho tagliato molto.

In certa prosa ci si accorge della non fungibilità delle parola, della sua non indispensabilità. Tutto ciò che viene scritto deve avere un senso e una necessità.

Io non potrei mai usare una parola che non mi sia passata attraverso il copro completamente, che io non abbia pronunciato fisicamente.

Le tue sono parole del quotidiano "scrostate" dalla loro quotidianità

Su un treno trenta anni fa ho sentito una signora dire :"La domenica sera/ Quando siamo lì in santa pace/ Mangiamo di fuori"

Questa frase è finita in una mia poesia. Nella banalità della nostra sfera quotidiana si annidano dei tesori di verità straordinari. In quella parole c’era una scena di serenità normale, di sospensione dallo svolgimento del tempo che è profondissima non banale.Non esistono "cose minori" e non sono "minori" i poeti che parlano d’esse.

Mi ha colpito questo verso tuo:
"Sono un’ampolla. Una vescica e trasudo me dal mio stesso essere"

C’è una sensazione di essere chiuso in sé, nello schifo e nella meraviglia, nella fisicità forte e sordida insieme…Io sono vitalissimo.

La religiosità di Cesare Viviani, di Giovanni Raboni e la tua.

Quella di Cesare è quasi mistica e al di là della mia grande amicizia e stima per lui, mi è completamente estranea. Quella di Raboni (dopo la sua opera teatrale "La rappresentazione della croce) mi è sembrata una sorta di vangelo apocrifo; la meraviglia della figura del Cristo sta proprio (anche per me ateo) nella possibilità di essere interpretata al di fuori di una schematizzazione dogmatica, è più interessante se lasciata libera. Il Figlio di Dio è un personaggio così potentemente pieno di sé e in tensione che mi ha suggerito dei versi.
Mentre invece il valore che viene dato al dolore nella storia della religione mi sembra una cosa importantissima perché ci fa capire che noi siamo quello: il dolore è il nostro eroismo, la nostra capacità di stare qui "nonostante."

Nonostante la presenza della consapevolezza della morte:. Siamo come vittime di una truffa : capiamo che siamo qui per non esserci più il giorno dopo, ma non ne abbiamo la spiegazione del perché.

Sei considerato uno dei più grandi poeti italiani viventi.

Non credo di essere così importante Mi sembra che nei percorsi generazionali ci siano alcuni autori che per fortuna o altro possano essere non in seconda fila. Sì, so che mi trattano abbastanza bene. Spero come ognuno spera di non aver sprecato l’ esistenza.

Nel microcosmo dei poeti sono inorridito quando sento qualcuno dire "La mia poesia…" L’ambizione è elevata ma non è così semplice che si sia veramente poeti. Dunque anche io sono molto incerto su ciò che ho fatto. Tendenzialmente credo di essere un anticipatore ma…anche se non lo fossi stato? Oppure… avrei potuto esserlo di più….? Chissà. Io vorrei essere grande come Sereni ad esempio, poeta di formidabile statura morale. I grandi si rendono conto che più grande sei, più è evidente che la parte rispetto al tutto, all’infinito, è nulla. Quindi potrei essere anche grande ma per capire quanto niente sono.

Il poeta francese al quale ti senti più vicino è Rutebeuf

Sì è un poeta medioevale e mi piace la sua forma di lamentazione così come mi piace il lamento del Malchionn d’i gamb avert di Carlo Porta, lamento che è una metafora di quello che siamo, del nostro poter dare e di essere continuamente ingannati.

"Dai sempre meno di quel che ricevi"

dice una donna anziana in "Donna del gioco" a una giovane "Così sarai tutt’or donna del gioco"cioè sempre padrona.Concetto orribile…. Come dice Leopardi l’uomo ridotto in società vive sostanzialmente rispetto all’altro, stabilendo una sorta di rapporto di forza.

Invece è bello uscire da questa meccanica. L’uomo a mio parere costruisce, è disposto alla vita e costruisce e edifica senza lasciare traccia di sè sempre, pur sapendo di dover morire da un giorno all’altro. L’uomo mi pare in ciò un essere strano e meraviglioso che dà continuamente, ricevendo in cambio la perdizione definitiva e estrema.

Tu sei stato definito il poeta della "milanesità"

Effettivamente quando ho scritto "Il disperso" mi sono stupito di ciò. Certo io parlavo di un ambiente che mi era naturale senza rendermene conto. Dunque per l’ambientazione, per una serie di riferimenti continui, per l’amore per la mia città fortissimo.. . sono un poeta milanese. Mi commuove il dialetto anche se non lo parlo.Ognuno rende assoluto il proprio luogo natale, perché l’esistenza è nata lì ed è lì.

Da una parte c’è il ridicolo di pensare che tutto ruoti attorno a te che sei nato a Milano o a Vidigulfo, dalla piccola cosa all’universo intero, dall’altra il fatto che proprio questa è la realtà:.. Il nostro occhio di milanesi è l’unico per noi che ci permette di vedere e confrontarci con tutto il mondo. Lo stesso per chi è nato .. a Vidigulfo….

Ti ho spremuto?

No, mi sto divertendo!

Risponde Maurizio con la sua espressione di bambino dispettoso.
Allora gli chiedo della lettura dei "gialli" e dei "romanzi gotici"

Ho sempre fatto fatica a leggerli.

Preferisco la narrativa americana, e un autore come De Lillo, immenso. La narrativa straniera è più grande della nostra, noi siamo soprattutto poeti. Abbiamo avuto un solo grandissimo libro nell’ottocento: quello di Manzoni; basta spostarsi in Francia e nello stesso periodo ne troviamo altri cinquanta.

Giovani poeti che ti hanno recentemente colpito?

Mi piace molto Daniela Monreale.

 

Termina l’intervista a Maurizio ma proseguiamo a parlare amichevolmente nel suo salotto insieme a Roberto Crimeni.

Poi ci saluta con quella faccia da bambino buono.

Di Maurizio Cucchi Oscar Mondadori pubblica :

Poesie complete 1965 / 2000

Anna M. Simm

interviste anche a Fernanda Pivano, Donatella Bisutti, Lalla Romano, Gina Lagorio, e tanti altri

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