L'intervista di Anna Maria Simm

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Lalla attraverso Antonio
Apparizioni e incontri: Lalla Romano e Antonio Ria

Milano, 21 novembre 1999 ore 9.30

Ho incontrato Lalla per la prima volta a Monza nei corridoi del Serrone di Palazzo reale. Per la verità lei non c’era bensì i suoi segni e i suoi disegni.Evocata nelle foto del padre Roberto da piccola (scattate a Demonte il paese in prov. Di Cuneo dove Lalla nacque nel 1906), negli autoritratti dipinti in epoche successive, in tutto il materiale raccolto dal suo "profeta" Antonio, Lalla mi viene incontro in un’alea di pesante fascino, di aspettativa intensa: Timore mi suggerisce il suo volto bello e silenzioso appeso alle pareti, gli occhi a volte chiusi: Mi chiedo il perché di quelle palpebre abbassate. Perché sapeva, mi rispondo, intuiva di sé che sarebbe diventata una grande donna.Scorgo Antonio Ria in giacca verde gentile delicato aereo nei suoi spostamenti quasi volto levantino indaffarato, disponibile.

Ma è nel giorno del suo novantatreesimo compleanno che vedo Lalla per la prima volta di persona nel Teatrino di Palazzo reale a Monza. Arriva dopo una certa attesa alta vestita in abito nero lungo con un berrettino africano da ragazzina freak, alternativo.Bianchissima è sorretta da Antonio e da un bastone. Durante lo spettacolo che rievoca, letti da una giovane attrice, poesie e brani suoi, a volte tiene la mano di Antonio con un aggrapparsi bambino e fragile ma anche possessivo.

Il terzo incontro è a casa sua in via Brera a Milano città nella quale si trasferì a vivere nel 1947 per insegnare nella scuola media Arconti. Vedrò Lalla alla fine dopo il caffè e il sonno, sorridente affettuosa i capelli bianchi esposti allo sguardo; in vestaglia verde acqua e uno scialle blu che sembra tenero come i suoi anni. Antonio attentissimo mi parla di lui, di loro, di lei.

Nato nel 1945 a Gallipoli, giunto a Milano nei primi anni ottanta, insegnante in un istituto professionale invitò Lalla (amica di amici) a parlare del suo romanzo "Tetto murato" con gli alunni. Da lì una conoscenza sempre più profonda sino a diventare suo collaboratore e poi, dopo la morte di Innocenzo marito di lei nel 1984 e la propria separazione, compagno di vita, legame questo reso pubblico nel romanzo della Romano "Le lune di Hvar".

Filosofo di formazione, etnofotografo e poi studioso e fotografo della "tribù dei poeti" gli artisti cioè che si radunavano leggendo le proprie opere nei festival di poesia (cfr. il suo lavoro "Poesia diretta" del 1992) e saggista, Ria ha scritto per varie case editrici tra cui Einaudi e Mazzotta dedicandosi però a partire dagli anni ottanta quasi esclusivamente a Lalla Romano con la quale pubblica già nel 1986 un libro, "Le trecce di Tatiana" ove le fotografie scattate da lui sono accompagnate da testi della Romano. Esce invece nel 1987 il primo libro battuto completamente da Antonio sotto dettatura di Lalla intitolato "Nei mari estremi".

Lasciata la scuola la accompagna nei vari viaggi e conferenze diventando il curatore in breve di tutta la produzione della scrittrice sino trasferirsi per viverle accanto nella sua casa (siamo nel 1992 e Lalla ha subito l’asportazione di un rene).

La mostra che si è tenuta al Palazzo reale di Monza tra l’ottobre e il novembre del 1999 è stata fortemente voluta e capillarmente preparata nel corso di due anni:arrivo e punto di partenza (i lavori aperti sono ancora tanti e rivolti al 2000) memoria e futuro della scrittrice in simbiosi e reciproca creazione. Ma merito di Antonio l’averla convinta a ridare anima e pubblicità a tutto il suo lavoro di pittrice (era stata alunna di Giovanni Guarlotti e poi di Felice Castrati nel capoluogo piemontese), attività che era stata abbandonata pur dolorosamente e definitivamente a partire dagli anni ’50, sia a causa del trasferimento a Milano sia perché Lalla non si riconosceva ormai più nella nuova pittura del secondo dopoguerra sia per un logico e naturale passaggio alla scrittura. Utilizzando anche i lavori "L.R. pittrice", "L.R. disegni" e "L.R. l’esercizio della pittura" usciti da Einaudi a cura di Antonio Ria, la mostra di Monza ha invece evidenziato grazie pure all’intervento dei critici Carlo Bo e Roberto Casanelli quell’unità di sguardo che corre tra la pittura e la scrittura di Lalla Romano e che è lo sguardo dell’interiorità con il quale tutto ella filtra. Quel guardare oltre o dentro la realtà oggettiva per cercare in "apparizioni e rivelazioni" improvvise il senso dell’esistere che secondo Lalla Romano solo l’artista può raggiungere e rendere.

L’arte è utile dunque solo per chi la sa contemplare il che è dono naturale. Un insegnante (e la scrittrice lo è stata con piacere e a lungo così come lo è stato Ria) non può allora insegnare a contemplare l’arte? Tante sono state in effetti le scolaresche che hanno chiesto di poter visitare la mostra di Monza: Inaspettatamente Lalla dice che la cultura è nemica dell’arte. L’arte è emozione e sorpresa personali e nessuna mediazione didattica può trasformare l’indifferenza in emozioni. La cultura può però preparare all’opera d’arte dando riferimenti storici formativi. E apprenderli, cioè essere colti, è dovere anche dell’artista pure se l’arte è un’altra cosa e il salto verso la sua contemplazione emotiva è sempre e solo qualcosa di personale. Lalla dice che si nasce artisti con una capacità diversa di guardare il mondo.

Certo poi le coordinate e le contingenze personali possono influire: ad esempio il padre di Lalla suonava il flauto a lei in culla; a tre anni la portava nella camera oscura ad assistere al miracolo dell’apparizione delle immagini; si mostrava a lei mentre dipingeva. Entrambi i genitori la lasciarono libera di andare a Parigi a diciotto anni, a Torino frequenta le ragazze colte con le quali si reca a teatro la sera, sue compagne nel collegio ove ha per maestro anche Lionello Venturi che la indirizza verso gli impressionisti e post-impressionisti francesi. Poi l’incontro con Felice Castrati. Queste coordinate storico ambientali certo influirono e aiutarono Lalla ad attivare la sua vocazione d’artista che rimane però staccata contemporaneamente da esse, così come succede per ogni altro artista. A volte la vocazione può venir addirittura sprecata e non seguita come nel caso del figlio di Lalla, Piero, interessante scultore e scrittore che non coltivò la sua ispirazione.

L’artista vive comunque "senza pelle", schermo che di solito nelle persone comuni fa da mediazione tra esterno e interno. L’artista vive esposto alle intemperie e soffre leopardianamente di più. L’artista ha un rapporto esasperato con il mondo e con la realtà. E’ più sensibile e coglie ciò che non si vede e non si sente. Così è Lalla. Fu lei a intravedere un senso più profondo nelle foto del padre e nei suoi disegni, fu lei a dare vitalità e profondità e a rivelare poeticamente l’opera dignitosa ma non propriamente artistica (se pur ricca in sé di tale potenzialità) di Roberto Romano che il critico fotografico Cassanelli in occasione di questa mostra ha definito "fotografo formato".Il padre di Lalla seguiva iniziative e movimenti di decine di società fotografiche che all’inizio del novecento erano fiorite in Piemonte e a Torino e certamente le sue foto erano costruite (cosa visibilissima in quelle scelte per la mostra) sulla base della sua formazione pittorica (un suo disegno è stato pure in esposizione a Monza). Ora Alinari di Firenze vuole acquisire tutto questo materiale (nei confronti del quale né Cuneo né Demonte mostrano eccessiva consapevolezza che costituisce invece un materiale curioso e di alto valore . In forse mille lastre è raccontata la vita di una piccola comunità come era Demonte tra il 1904 e il 1915 sotto ogni punto di vista, sociale e paesaggistico.

Una riflessione a più livelli ci ha proposto dunque questa mostra ampiamente stratificata e curata sa Ria.

E’ interessante sapere se Lalla, donna apparentemente fragile se pur imponente vestale di quasi un secolo di storia personale dalla quale emerge quella dell’Italia del xx secolo (aderì al Partito d’Azione, fu antifascista e attiva nelle problematiche legate alle donne, vicina al P.C.I anche se oggi guarda con distacco alla politic), conosce i nostri giovani scrittore e in particolare i "cannibali"(crudi e crudeli descrittori del nostro vivere). L’arte in fondo, sostiene Lalla Romano stessa, deve essere libera, non moralista e "essere spietata poiché la spietatezza è l’unica forma di pietà; la verità non è accomodante e non bisogna essere accomodanti nella vita come nell’arte". Inoltre il romanzo "Le lune di Hvar" scritto per accenni e che ha l’esasperazione dell’incompiuto presentato come opera, è di una modernità estrema (così come tutte le opere d’altra parte della Romano).

La scrittrice partendo da queste premesse è disposta a ascoltare e a leggere ciò che le viene proposto dai giovani evidenziando i meriti se ci sono. Ma non in tutti "I cannibali" ha trovato interesse artistico seguendo da vicino però Simona Vinci e la sua grande capacità di scrittura se pur non condividendo lo sfruttamento e l’esasperazione che della violenza e dell’erotico la Vinci ha attuato nel suo primo libro pubblicato da Einaudi e proposto a Lalla ancora a livello di manoscritto.

Tra l’altro la Vinci era allora alle prese con la sua tesi di laurea incentrata sulla vita e sulle opere della Romano ora abbandonata dalla giovane scrittrice per l’urgere della carriera letteraria.

I progetti di Lalla?

Al di là del libro aperto con i commenti alle foto del padre che sarà pubblicato dopo la chiusura della mostra, in altro libro uscirà per febbraio marzo intitolato "le mie letture"; inoltre la scrittrice sta rivedendo la traduzione fatta durante la guerra dei "Trois contes" di Flaubert che uscirà in maggio, infine a novembre uscirà una antologia di tutta la sua produzione poetica.

C’è poi il progetto di portare sulle scene teatrali "Le parole tra noi leggere": Infine quasi certamente la mostra di Monza approderà al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

E’ giunto il tempo di chiudere questo incontro. Nella fredda domenica novembrina, nel silenzio di una Milano un po’ addormentata e come al solito grigissima, Lalla sorride fragile e grande, qualche parola scandita in una voce fonda quasi ruvida e rapida.

Ma quando Lalla e Antonio ci salutano insieme il sorriso è dolce e la promessa è quella di portare la mostra di Monza anche a Olgiate Comasco.

Anna M. Simm

interviste anche a Fernanda Pivano, Carla Porta Musa, Patrizia Valduga, Kemeny e tanti altri

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