L'intervista di Anna Maria Simm

simm.gif (6670 byte)

Misticismo e Passione

Incontro con Patrizia Valduga

Milano, maggio 2000 ore 17

Passare da Corso Buenos Aires in via Melzo (che ne è una traversa) , vuol dire immergersi ancor più nel clima che colora quello stradone milanese di spessori odorosi, musicali, fisici sudamericani e islamici. In via Melzo (dove la scrittrice nata a Castelfranco Veneto abita) mi sono sentita straniera tra idiomi e sguardi di altri continenti tranne che per il carrettino della frutta e verdura che in toni prettamente italomediterranei chiamava dalla strada alle finestre le donne per apprezzare cipolle e pomidoro… Un carrettino che finì per far affacciare pure Patrizia e me dal balconcino della sua cucina…

A quel balconcino ero da poco approdata dopo che la poetessa nerovestita e biancabianca (tranne le labbra à rouge) appoggiata in attesa allo stipite della porta - i capelli scuri dai riflessi ramati raccolti dietro la nuca- mi aveva accolta. Tutte e due emozionate e timide.

Perché questo devo sottolineare:

Patrizia – e ciò coincide con la mia prima impressione di lettrice formatasi sulle indimenticabili pagine di "Donna di dolori" (1991, Einaudi) non è certo distratta o lontana né fredda e accomodante…né ama le domande difficili …

simm1.gif (33133 byte)

"Cosa pensa della sua poesia, signora, che altri hanno definito di amore, morte, tripudio, decomposizione, poesia il cui linguaggio pare personale riassunto fluidissimo di tutti gli stili"

"Questa è una domanda difficile; "I miei versi mi piacciono così.. potrei dire che prediligo la forma chiusa…Io stabilisco che una mia poesia è finita quando mi dà qualche piacere rileggerla…" io potrei valutare forse con più oggettività il mio lavoro di traduttrice che confronta altre traduzioni sulle quali mi faccio idee precise…

Non so mai di che cosa parlerò nei miei versi.. che vengono fuori da soli . Scrivere non è per me un mestiere: come quando si sta talmente male che bisogna prendere qualcosa…scrivere per me è dunque davvero una medicina: quel titolo "Medicamenta e altri medicamenta" (Einuadi, 1989, ma prima edizione nel 1982) che sembrava così esibizionistico come di chi ha lasciato la storica facoltà di medicina di Padova fondata nel 1222… invece era così vero.

Mi accorgo che sono sempre stata quello che sono… lo dico anche in una mia nuova quartina:"Io sono sempre stata come sono/ anche quando non ero come sono/ e non saprà nessuno come sono/ perché non sono solo come sono"

Ecco, mi riconosco così in quello che faccio, totalmente, e credo che proprio per questo, proprio perché non faccio finta .. scrivere mi serve a qualche cosa.. mi fa stare un po’ meglio; quando sto veramente male prendo la matita in mano…poi mi rileggo e dico:

‘Accidenti siam messi bene’…"

Le domando se questo malessere che porta un poeta a scrivere è uguale a quello di tutte le altre persone.

"Certamente -risponde- forse è un malessere che deriva dalla famiglia.. esistono delle persone che per la storia affettiva avuta nella primissima infanzia sono portate all’infelicità e si riconoscono solo in questa situazione di infelicità. E’ chiaro che poi si cerca nel lavoro, nell’amore, nel cibo, … di tamponare.. ma questa impronta primaria è quella a cui si deve ritornare. Chi è nato con qualche predisposizione al piacere dell’udito si sfogherà con una poesia (letta, scritta)… chi invece ha il piacere degli occhi.. andando al cinema oppure dipingendo…chi ha più sviluppato il piacere tattile adopererà la materia …farà scultura o qualcosa d’altro. Altri si daranno a qualche droga… però io mi accorgo che chi fa delle cose inutili o socialmente irrilevanti anche dal punto di vista economico possiede pure questa forma di infelicità…Io riesco a essere felice quando scrivo e leggo la poesia che imparo a memoria"

"Quindi scrivere -le dico- è una forma di terapia per un dolore, una malinconia e sofferenza che però sono evidentemente costanti compagni"

"Certo, è anche una specie di infelicità che confina un poco con una forma di infantilismo, di adolescenza cronica e prolungata …è non riuscire a raggiungere una maturità, un equilibrio affettivo… è una ferita iniziale… I poeti che ho conosciuto, le persone che hanno lavorato nel campo dell’arte hanno sempre una qualche loro ossessione in riferimento al loro passato a cui tornano sempre inevitabilmente e quando cambiano strada e cercano di dimenticare perché magari il successo ha alleggerito -sembra- qualche dolore, si perdono, diventano irriconoscibili. Per me è così, anche se non voglio esagerare …il poeta diversamente da altre persone cerca nel piacere dell’udito un conforto. Già Leonardo diceva secoli fa che i poeti sono ciechi, vedono con le orecchie... e i pittori e gli scultori sono sordi, linguisticamente son come delle ‘bestie’… non si riesce a parlare con loro … a parte geni versatili in tutte queste discipline, come Leonardo stesso." " Tutti abbiamo difficoltà nel realizzare un nostro sogno d’amore o di vita . Io cerco di risolvermi così e non credo di soffrire più di altri"

" Nella scelta degli autori che lei traduce -le chiedo- c’è una predilezione per chi sente più affine in questa infelicità?"

"Le traduzioni a volte vengono richieste e commissionate. Il primo poeta che ho tradotto per mettermi a fare un lavoro che non fosse solo quello della scrittura e della lettura che mi sembrava una vita in fondo forse un po’ troppo agiata, è stato John Donne. L’ho scelto perché l’ho amato e lo conoscevo. Ma ad es. Mallarmé mi è stato chiesto, Molière pure, perché il suo verso in alessandrini non mi piace affatto…Beckett l’ha definito un banale praticante dell’alessandrino. Shakespeare mi è stato commissionato ma ‘Riccardo III’ l’ho fatto per me, nessuno me lo aveva proposto: si trattava di una mia passione da quando a tredici anni mi innamorai di quell’opera. Io mi sentivo un poco come il protagonista ….così imperfetta fisicamente. Subito mi sono detta che se non inventavo qualche arma di seduzione nessuno al mondo mi avrebbe guardata… allora ho imparato come Riccardo a sedurre con le parole."

"I suoi reading sono infatti seduttivi, signora. Le sue poesie vanno ascoltate recitate proprio da lei"

"Ma io -e sorride- so dire molto meglio le poesie dei poeti che amo, Pascoli, Rebora, D’Annunzio.."

"Lei ama Manzoni.. perché?"

"Moltissimo… perché ho fatto tutto un percorso nella mia vita: sono partita dai Barocchi … mi sembrava infatti che la poesia del novecento avesse perduto il piacere del suono, quell’incantamento che dà l’udito, (ad es. posso capire gli Ermetici posso capirli ed ammirare e imparare anche molto da loro, ma non amarli, non mi danno quel piacere). Il periodo invece in cui la figuralità è stata proprio al massimo dell’esperienza poetica è quello barocco. Poi ho scoperto Pascoli che mi avevano fatto odiare a scuola anche per colpa della definizione che Sanguineti ne dette ("un piagnone piccolo borghese) …mentre ora -grazie ai i lavori di Garboli e di altri- si è capito che è grandissimo.. e poi scoprii Manzoni .. ma non voglio fare dei proseliti su ciò… ho superato quel periodo in cui si vuole convincere gli altri… adesso i miei amori li tengo nascosti …gli italiani amano Leopardi? Se lo leggano e godano … io imparo a memoria Manzoni invece …Per i lettori della sua rivista però dico che Manzoni adopera una gabbia formale fatta dei versi più difficili della letteratura italiana. Il settenario è il verso delle canzonette del Metastasio, d i una leggerezza che non resta nella testa. Le proparossitone e le ossitone finali di Manzoni costituiscono invece una gabbia torturante … nella quale egli fa entrare il mistero più grande per eccellenza, quello di Dio e della vita umana e di Dio nella vita umana. Io voglio far notare ai lettori di Dialogo come tutte le parole nei versi di Manzoni siano assolutamente necessarie, perfette, infallibili, senza che se ne possa spostare una. C’è un punto della Pentecoste in cui dice:

‘…Noi T’imploriam! Ne’ languidi

pensier dell’infelice

scendi piacevol alito,

aura consolatrice:

scendi bufera ai tumidi

pensier del violento:

vi spira uno sgomento

che insegni la pietà….’

…è grandissima poesia oltre che grandissimo pensiero"

Patrizia ha le lacrime agli occhi mentre legge Manzoni e io stessa (che non l’ho mai amato) non posso non esserne scossa.

"Amalgamando la tradizione classica che è del Manzoni ma anche del Pascoli con le istanze della contemporaneità lei, signora, si dice abbia creato un nuovo stile espressivo " le torno a chiedere.

"Fosse vero … magari!… è quello che vorrei fare ma non spetta a me dirlo… io vorrei ogni volta che scrivo testimoniare il mio amore , la mia riconoscenza per tutti quelli che mi hanno preceduta. Sono convinta che la poesia non sia fatta da singole persone bensì sia veramente un sentire comune da cui poi emergono delle personalità di spicco che hanno portato a perfezione un processo cui concorrono tutti anche i parlanti, i giornali, le persone che leggono e quelle che parlano tra loro per la strada…quindi la poesia è l’espressione dell’anima di un popolo e non capisco perché in Italia sia così malintesa e si continui a parlare di poesia a proposito di canzonette e di traduzioni. Ad es. l’operazione dei Miti Mondadori era una cosa infamante per la poesia… non si può presentare Emily Dickinson o Dylan Thomas senza più forma. Quando qualcuno mi dice, in Italia, che i suoi poeti preferiti sono Neruda e Lorca mi giro e me ne vado. Ecco l’ignoranza e lo snobismo italiano dove arrivano."

"Fernanda Pivano sostiene però che Bob Dylan e Fabrizio De Andrè siano dei poeti…"

"Che Dylan fosse un poeta l’ho detto prima io in un elzeviro per il Corriere quando ha compiuto 55 anni …(ride) è un cantautore che amo enormemente, ho detto che è un poeta ma non lo so… perché io sono legata alla musica delle sue canzoni. Una volta comunque esistevano i parolieri e i poeti…e si andava d’accordo; adesso il voler dare del poeta a tutti (…Bartali è il poeta della bicicletta… ) è il solito stile iperbolico dei giornali. Io continuo a considerare la canzonetta tale, anche se stupenda e può essa confinare con la poesia. I testi di Dylan confinano con la poesia… è un genio. De Andrè no. Certo le sue opere sono imparagonabili a quelle di Jovanotti e Vecchioni o del ‘tenerello’ (come l’ho definito su Sette) De Gregori. De Andrè è sicuramente il migliore ma è più vicino a scrivere delle filastrocche. La poesia dice molto di più"

"Chi legge, signora?"

"Non i giovani contemporanei che non mi interessano e non mi piacciono. Leggo la prosa che mi insegna parole e figure retoriche e è quella dei tardo Barocchi di fine seicento. Soprattutto dei Gesuiti che sono i più colti e i quaresimali sono per me una lettura meravigliosa. Le mostrerò che posseggo tutte le opere di Daniello Bartoli. Poi conosco il quaresimale di Paolo Segneri, di Francesco Panigarola che non è un gesuita credo fosse un francescano pure degli inizi del seicento. Conosco Giacomo Lubrano ma lo possiedo solo in fotocopia. Adesso sto leggendo il ‘Trattato dell’acutezza’ di Matteo Pellegrini … ."

Patrizia ride e prosegue:" Ognuno ha le sue manie"

"Mi racconti qualcosa della sua vita pregressa"

"Ho fatto il liceo scientifico, frequentando per tre anni Medicina. Non ero brava in italiano: non sapevo mai cosa né come scrivere. Poi dopo essere stata costretta a cambiare facoltà mi sono iscritta a Lettere a Venezia e lì ho seguito per quattro anni i corsi di Francesco Orlando, incontro fondamentale nella mia vita. Un corso su Illuminismo e Barocco, uno su Mallarmè, uno su Proust e uno sugli oggetti non funzionali nella letteratura di tutti i tempi. Lì ho cominciato a scrivere e il primo sonetto scaturì dall’ innamoramento per un professore di un altro corso scoperto un giorno fuori dalla facoltà a fissare il canale come se volesse buttarvisi. Colpita gli scrissi per sedurlo ‘In nome di Dio aiutami..’ (1978). Mi ha dato un tale piacere sperimentare il sonetto in tutte le sue possibilità che ne ho scritti tanti fino a che ne composi due monorimi e poi smisi."

"Sembra così facile il suo scrivere"

"No, è una fatica… è bello perché poi c’è un momento di disattenzione in cui è come se la lingua agisse da sola e allora viene fuori qualcosa che mi sorprende , che mi dà piacere…ma quante volte non funziona. Sono momenti di attrazione di parole. Senza la forma chiusa, senza essere costretta dalla gabbia direi solo quello che voglio dire così invece sono costretta a dire per onestà. Per questo la forma chiusa costringe a dire anche ciò che non vorresti , per questo è una sorta di autoanalisi."

"C’è una poetessa che lei sente particolarmente vicina?"

"Chiara Matraini, di Lucca, vissuta nel 1500. Aveva un amante, ha tramato per assassinare il marito.. morì invece l’amante…non ne sono sicura. Ho anche usato un suo verso in ‘Donna di dolori’ ( ‘Oh luci del mio cuor fidate e care, come dagli occhi miei vi dipartiste tacite e nell’occaso vi copriste eternamente senza mai tornare’). L’ho scoperta in un’opera di Luigi Baldacci dedicata ai lirici nel cinquecento. Preferisco non nominare scrittori contemporanei per non fare preferenze. Posso dire che io per le elezioni ho organizzato al Pierlombardo un piccolo festival di poesia a favore di Martinazzoli al quale ho invitato tutti i poeti di Milano. Sono venuti e siamo stati benissimo in un clima di solidarietà e stima reciproca. Ognuno aveva una sua identità, un suo modo di leggere, è stata una serata bellissima che ripeterei."

"Il suo pensiero su Dio, su questa presenza da lei ogni tanto invocata"

"Io ho un’educazione cattolica, sono anche veneta, e amo tantissimo la letteratura italiana che è tutta cattolica da Dante fino a Manzoni e Rebora. Di là ho Sant’Ignazio, Santa Caterina e San Giovanni della Croce in un trittico appesi al muro. Poi c’è Hopkins poeta inglese gesuita, c’è anche il ritratto di Cèline, anche se con gli altri non c’entra niente, c’è Pascoli. Sono sicuramente una persona religiosa e sento di avvicinarmi al mio modo di sentire più vero quando affermo che in questo momento della mia vita l’inconscio è Dio., il tutto/niente da cui veniamo e a cui torniamo. ma mi fermo qui perché non voglio ‘giubilare’ anche io… in questo momento così triste in cui sembra prevalere l’ignoranza e l’incompetenza, il mercato, la pubblicità, internet, mediaset, i soldi, le lotterie….non posseggo un computer e nemmeno una segreteria telefonica"

"Ci sono più di cento siti che la riguardano, signora"

"Mio malgrado, chissà che "palle" raccontano.. Stamane 24 maggio il mio panettiere mi dice di aver visto recitare su Telemontecarlo una mia poesia, pare un sonetto, letta da una donna completamente nuda. Telefonerò al mio avvocato…Capisco che in internet io possa esserci… ma non lo sapevo… così come ho saputo dal mio panettiere -ride- ciò che le ho raccontato. Di solito sono catatonica.. oggi mi ha vista in po’ più su proprio per questo, sono furibonda."

"Le sue poesie erotiche…"

"Sono molto linguistiche. Le ho scritte con un intento educativo. Mi sembrava che dare un linguaggio all’amore per i giovani che non lo conoscono che sentono solo nei film maltradotti delle scemenze, fosse giusto. E’ stata anche una sorta di liberazione, di pura fantasia… magari fosse una testimonianza reale…magari…"

Così concludiamo il nostro incontro, con una corrente di simpatia tangibile. Ha quasi sempre avuto una sorta di sorriso accennato la poetessa durante il colloquio e i suoi grandi occhi sono stati prevalentemente fissi nei miei. Ma mai hanno abbandonato il mistero dello "strazio" che li attraversa; Luigi Baldacci, nella prefazione a "Medicamenta e altri medicamenta" scrive: "Questa capacità di canto e strazio è solo delle donne, o meglio della poesia femminile,… e… Patrizia Valduga possiede al massimo grado questa facoltà" .
Ma questo strazio "femminile" che si pone anche nelle quartine erotiche e soprattutto in "Donna di dolori" come un’insanabile barriera tra la poetessa e il protagonista maschile, forse è proprio ciò che ha condannato le donne a vivere anche nell’arte prevalentemente sommerse e dunque, mi domando, l’infelicità congenita della quale la poetessa parlava è da questo strazio femminile acuita ?

Purtroppo mi son dimenticata di chiederglielo, ma tant’è… meglio così .. forse è un mistero che deve restare tale al di là di ogni considerazione di tipo storico e culturale o forse non volevo sentire la risposta.
Patrizia, che mi aveva offerto un tè all’inizio, ora mi conduce nello studio libreria per mostrami le foto dei suoi scrittori prediletti… passando verso l’anticamera in penombra come un po’ tutta la sua abitazione, mi mostra una vetrina contenente parecchie paia di scarpe (non l’unica mi dice) tutte rigorosamente simili a quelle che indossa sotto il suo miniabito:fragili, delicate, dai tacchi sottili, sofisticate… che richiedono calze velate, e passi veloci quasi saltellanti..

Ci lasciamo con un sorriso dopo che mi ha presentato il suo compagno, Giovanni Raboni al quale strappo la promessa per una prossima intervista.

Anna M. Simm

interviste anche a Fernanda Pivano, Maurizio Cucchi, Lalla Romano, Gina Lagorio, e tanti altri

logo2.jpg (8987 byte)