IMAGINE…
L’Einaudi
aderisce al Progetto INTERCULTURA da ben 15 anni. Ciò ha consentito a
diversi nostri alunni di studiare all’estero e a molti ragazzi stranieri
di frequentare la nostra scuola. Quest’anno ospitiamo Ashley, ma con lei
ci sono anche Natalie, Nakorn, William, che si appoggiano a noi per le
lezioni d’Italiano. Il senso dell’esperienza? <<Imagine all the
people >> – recitano i versi di una canzone non ancora dimenticata
- << living life in peace >>.Le cronache delle ultime settimane,
continuando ad evocarci " i mostri“ prodotti dal “sonno della ragione”,
rendono pleonastica ogni sottolineatura. Non è difficile intendere quanto
sia necessario che le Culture s’incontrino e imparino a convivere. Quest’<<aiuola
che ci fa tanto feroci >> – così chiama la terra Dante - ha bisogno
che si parli di tolleranza, d’integrazione. Ne ha bisogno come dell’aria.
E quale mezzo migliore, allora, di una scuola “interculturale”? Se le
note di una canzone - per antonomasia “leggera”- possono aiutarci a sperare,
le testimonianze che abbiamo raccolto c’inducono ad avere fiducia
con tanta più fondatezza. <<You may say I’m a dreamer/but I’m not
the only one…>>
LE
TESTIMONIANZE
Gessica
Vescio
ex alunna del corso Mercurio a.s. 2001-02
Ha vissuto per tre mesi in Russia.
<<Ho
trascorso tre mesi in Russia attraverso Intercultura ed ho vissuto una
esperienza molto interessante. Non ero mai stata per così tanto tempo
all’estero e sono stupita di me stessa per esserci riuscita. Devo dire
grazie prima di tutto alla famiglia che mi ha ospitato - è stata molto
cordiale e mi ha fatto sentire subito come a casa mia. Poi anche alle
persone che ho incontrato sia a scuola sia fuori, tutte molto socievoli
e disponibili. Per questo non mi sono mai annoiata e ciò mi ha aiutato
ad alleviare la nostalgia per l’Italia. Prima di partire non avevo proprio
la più pallida idea di come poteva essere quel Paese non tanto lontano
dall’Italia ma così diverso per il clima, per la cultura, la lingua, l’economia.
E’ stato interessante vedere e cercare di capire per la prima volta il
famoso alfabeto “cirillico”, così strano per me ma dopo poco tempo così
familiare e comprensibile. Ho conosciuto cibi diversi dai nostri, ho visitato
un sacco di belle città e, frequentando la “mia” scuola russa e stando
insieme alla “mia” famiglia russa, ho vissuto proprio come una di loro.
Dal punto di vista linguistico l’esperienza, naturalmente,
mi è stata utile. Intanto perché ho potuto migliorare e perfezionare le
mie conoscenze d’Inglese seguendo le lezioni regolari insieme ai miei
compagni e poi perché ho potuto iniziare a conoscere una nuova lingua,
che mi ha subito affascinata e che vorrei continuare a studiare all’università.
Il programma prevedeva anche che, mentre io ero in Russia, i miei famigliari
ospitassero uno studente, così è arrivata in Ossola Natasha, un
membro della famiglia russa che mi ha accolto. Anche lei è rimasta in
Italia per tre mesi e ha frequentato la mia scuola nella mia stessa classe>>.
Stefania
Bianchi
ex alunna del corso Mercurio a.s. 2001-02
Intercultura l’ha portata molto lontano: in Nuova Zelanda
<<Ho
conosciuto Intercultura a scuola e l’idea di partire per misurarmi con
una nuova realtà mi ha subito interessata, così ho deciso di provare.
Dopo parecchi test attitudinali e un’attesa che mi sembrava infinita è
finalmente arrivata la risposta: potevo partire, aiutata da una borsa
di studio.La mia destinazione è stata la Nuova Zelanda, un paese di cui
si sente parlare poco, proprio dall’altra parte del mondo, e che facevo
fatica ad immaginarmi. Se prima di lasciare l’Italia mi era passata per
la testa l’idea che quello che andavo a fare fosse un corso di lingue
per stranieri dove potevo comunque contare sull’appoggio degli altri ragazzi
italiani partiti con me (11), quest’idea è stata cancellata nell’esatto
istante in cui sono scesa dall’aereo. L’obiettivo d’Intercultura è di
far integrare i ragazzi in una realtà diversa. Quando ho letto questo
sull’opuscolo mi sono subito venuti in mente un paio di signori di mezza
età dall’aria forzatamente comprensiva che mi facevano la predica sulla
pace nel mondo (AIUTOOO…). Fortunatamente la famosa “integrazione culturale”
si è rivelata essere questo: vivere in una famiglia neozelandese, andare
in una scuola neozelandese (una vera scuola, non una scuola per stranieri),
mangiare cibi neozelandesi (a poco a poco il mio stomaco è diventato invulnerabile…),
guardare il rugby come una neozelandese. Insomma, vivere in mezzo ad un
popolo sentendosi una di loro (anche se a volte arrivano le crisi d’astinenza
da pizza a ricordarti che sei italiana, ECCOME). L’esperienza comunque
non è finita qui. Poiché il mio è stato un “programma reciproco”, io e
la mia famiglia abbiamo ospitato una ragazza americana per sei mesi. Anche
questo mi è stato utile, perché da quel momento c’è stato un pezzettino
di mondo a casa mia, che non se n’è andato con la partenza di Amanda…>>
Marianna
Minervini
ex alunna del corso Mercurio a.s. 2001-02
Grazie ad Intercultura, durante l’estate ha soggiornato per due mesi in
Australia.
<<L’anno
scorso sono stata in Australia per due mesi, da fine giugno a fine agosto.
Ho abitato a Lesmurdie, un paesino sulla collina, vicino a Perth, presso
una famiglia australiana con quattro figlie, di cui due venivano a scuola
con me. Frequentavamo una scuola cattolica privata per sole ragazze, il
St. Brigid’s College. Le lezioni iniziavano alle 8.40, quando tutte le
ragazze, dopo aver lasciato i propri oggetti nel loro armadietto personale,
si recavano nell’aula della “casa” a cui appartenevano. Le studentesse,
infatti, erano divise in cinque gruppi chiamati “case”, ciascuna delle
quali era contrassegnata da un nome e da un colore diverso. Dopo la preghiera,
l’insegnante faceva l’appello e leggeva le comunicazioni riguardanti l’attività
scolastica del giorno; alle 8.55 le alunne si recavano nelle diverse aule,
che in Australia non sono collegate come da noi a un gruppo-classe fisso,
ma alle materie. Gli studenti hanno la possibilità di scegliere il loro
piano di studi, perciò le classi si compongono e scompongono continuamente.
La giornata–tipo dello studente australiano è pressappoco questa: la prima
lezione dura 40 minuti, la seconda 70, poi ci sono 20 minuti d’intervallo,
quindi una lezione da 40 e un’altra da 70; alle 12.55 c’è il pranzo, che
dura 40 minuti. Poi ancora due lezioni: una da 70 e una da 40. Si ritorna
a casa alle 15.25. In compenso, sabato e domenica sono “festivi”. Nel
college da me frequentato ogni giorno c’era un’ora di religione e un’ora
in cui tutte le studentesse si riunivano per fare un’assemblea o per svolgere
qualche attività comune.La mia impressione sulla scuola australiana? Rispetto
all’Italia è organizzata meglio; si fanno molte attività, sia sportive
sia culturali, che rendono lo studio più piacevole, più interessante,
e coinvolgono di più gli studenti >>
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