Indice

Fantascienza

Fantasy

Heroic fantasy

Horror

Fantastico

Oldies

 

-Fantascienza:

 

"I labirinti del terzo pianeta", a cura di Inìsero Cremaschi e Gilda Musa

"Futuro", a cura di Inìsero Cremaschi

"Pianeta Italia", a cura di Lino Aldani e Ugo Malaguti

"Futuraosta"

"Fantasia", a cura di Franco Forte

"Cyberpunk", a cura di Franco Forte

"A Lucca, mai!", a cura di Ugo Malaguti e Mario Tucci

"Universo privato, ed altre storie"

"Fantascienza 1993", a cura di Mario Leoncini

"Terzo millennio", a cura di Franco Forte

"Tutti i denti del mostro sono perfetti", a cura di Valerio Evangelisti

"Strani giorni", a cura di Franco Forte e Giuseppe Lippi

 

-Fantasy:

 

"Le ali della fantasia"

"Le ali della fantasia/2"

"Le ali della fantasia/3"

"Le ali della fantasia/4"

"Le ali della fantasia/5"

"Immaginaria/1"

"Le ali della fantasia/6"

"Le ali della fantasia/7"

"L’altro volto della luna", a cura di Gianfranco de Turris

 

-Heroic Fantasy:

 

"Spade e incantesimi", a cura di Gianni Pilo

"Magie e stregoni", a cura di Gianni Pilo

"Le armi e gli amori", a cura di Gianfranco de Turris

"Eroi e sortilegi", a cura di Gianni Pilo

"Daghe e malie", a cura di Gianni Pilo

"Fantasia eroica italia", a cura di Alberto Henriet

 

-Horror:

 

"Racconti di tenebra", a cura di Gabriele La Porta

"Immaginaria/2"

"Gli eredi di Cthulhu", a cura di Gianfranco de Turris

"Horror erotico", a cura di Franco Forte

 

-Fantastico:

 

"1° premio letterario "…per racconti fantastici""

"2° premio letterario "…per racconti fantastici""

"I racconti fantastici di Montepulciano", a cura di Ugo Malaguti e Mauro Scarpelli

"38 racconti italiani (e non) di genere fantastico"

"Antologia italiana"

"Oltre" n.10b/11/12/13

"Oltre" n.15/16/17/18/19/20

"Oltre" n. 23/24

"L’ultimo rito e altri racconti"

 

-Oldies:

 

"Notturno italiano", a cura di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo

"Il tesoro dei poveri", a cura di Lucio D’Arcangelo

"La rosa di Gèrico", a cura di Rita Verdirame

 

Fantascienza

 

I LABIRINTI DEL TERZO PIANETA, a cura di Inìsero Cremaschi e Gilda Musa

"I libri dell'orsa maggiore", ed. Nuova accademia, '64, 370 pagine, 0,93 €; prezzo remainders: 30 €; © by Nuova Accademia Editrice S.p.a.

Altri contributi critici

 

-"Presentazione", di Gilda Musa e Inìsero Cremaschi, pag. 7
-"Nuove frontiere dell'ignoto", in "Frontiere dell'ignoto", di Vittorio Curtoni, "Saggi" n. 2, pagg. 92-96, relativamente ai racc. nn. 8-10
-"Cronistoria della fantascienza italiana", di Inìsero Cremaschi, in "Universo e dintorni", pag. 21

 

Antologia storica della Sf italiana, una delle pochissime, di quegli anni, a cura di una coppia formata da due fra i più attivi, a quei tempi, nell’editoria del nostro genere.

Antologia che si proponeva di dimostrare che lo iato detto da un po’ tutti gli addetti ai lavori della letteratura italiana fra la Sf ed il mainstream non era, almeno, così abissale.

Nella "Presentazione" dei curatori, leggiamo, infatti: "…stabilire i termini di differenziazione fra science fiction straniera e science fiction italiana… Rispetto alle sorelle "maggiori" americana e sovietica, l’italiana ci appare meno evasiva, meno didascalica, meno consolatoria, meno retoriva, meno frustrata. Capovolgendo al positivo: è spesso ironica, scaltra, orgogliosa, scettica di fronte all’angoscia "di un’epoca che ha paura dei progressi della tecnica", e disincantata nei riguardi delle cosidette Tenebre dell’Abisso; allusiva, satirica, demistificatoria, portatrice di idee precise e di accuse non sterili; problematica." (pag. 7); "…la fantascienza italiana…si distingue da quella straniera perché ci conduce su altre Galassie…per poi riportarci alla stazione di partenza, la Terra. Dove, a causa dell’alterità subita, il "banale quotidiano" acquista spessore, ci può sorprendere, può apparirci sconvolgente, divertentemente labirintico." (pag. 10).

A parte ciò, che è il discorso principale, vi si dice anche di una precisa scelta, dei curatori, a riguardo del tipo di racconti inclusivici: "…nostra…convinzione…(è) che la fantascienza sia la massima operazione della fantasia entro le possibilità della scienza, in totale coerenza con i postulati dell’universo sensibile. Sono stati lasciati fuori dalla porta, dunque, le estenuazioni decadentistiche, i miti ormai collaudati, le science ghost-story, gli incantesimi e le féeries. Perché tutto ci pare osabile e progettabile, nella science fiction, tranne le "magie" della fantasia arbitraria e del capriccio estetico." (pag. 8, la sottolineatura è mia).

In appendice troviamo delle "Note biografiche" degli autori.

Ma andiamo a vedere i racconti.

 

-"Abitava altrove", di Libero Bigiaretti (9 pagine, pag. 15)-"…quasi un’introduzione…" (pag. 10), come dicono il Cremaschi e la Musa nell’introduzione, è, in effetti, un racconto maeinstream nel quale si dice della Sf.

Del suo essere sentita come un cumolo di "…stupidaggini…" (pagg. 18-19), come un qulcosa che allontani, o possa poterlo fare, le persone dall’attenzione alla loro vita reale.

Ma, penso, questo sia un sentire dell’epoca in cui fu pubblicata l’antologia, che, oggi come oggi, non rifletta più, assolutamente, il comune sentire.

Ma, anche, del suo essere un’ottimo modo di evadere dalla propria più o meno grigia quotidianità.

E, questo, penso, sia nel sentire, anche, di oggi.

Ci sono, poi, due racconti di cui trovate un commento nella trattazione dell’antologia "Futuro", "Onirofilm", di Lino Aldani,  col titolo "Buonanotte Sofia" e "La morte diviso due", di Inìsero Cremaschi, con quello di "Energia profonda".

-"L’ignoto intorno a noi", di Franco Enna (originariamente apparso in appendice a "Fuochi d'artificio", di P. Versins, "I romanzi di Urania" n. 151, ed. Mondadori, '57; 20 pagine, pag. 93)-buon racconto d’atmosfera nel quale, seguendo, in parte, degli stilemi propri del "giallo", una situazione inizialmente normale scivola, gradualmente, verso il fantastico, per concludersi con un finale quasi orrorifero che lascia, però, un po’ insoddisfatti.

Discreta la prosa.

-"Introdotto a Etone", di Ferruccio Foelkel (10 pagine, pag. 115)-ambientato in una Terra invasa da alieni privi di sentimenti, in cui, però, sopravvive una sorta di "resistenza", sembra avere una connotazione anticomunista, ma, onestamente, non mi sento di rimarcare troppo questo aspetta, che potrebbe benissimo essere lungi dalle intenzioni dell’autore.

Gli alieni sono, comunque, esseri che si contrappongono all’umanità degli uomini: "Gli etonidi mutano tutto, la loro intelligenza può alterare tutto. Fra breve potranno distruggere l’Universo, i vari sistemi solari, stelle pianeti pensieri desideri." (pag. 122), i quali verranno sconfitti proprio a causa di ciò: "Le reazioni neuro-sentimentali, la loro civiltà paranoica, i riflessi psichici in genere perderanno gli uomini…. (la) pietà" (pag. 117).

Ed Etone, il mondo che essi vogliono costruire, è freddo ed inumano: "…Etone, un mondo non umano, privo della logica e illogicità del terrestre, delle sue contraddizioni, dei suoi limiti." (pag. 124); evidente che è una metafora politica, ma non mi è del tutto chiara, ci sono anche elementi che sembrerebbero far pensare ad una diversa, possibile, interpretazione, addirittura opposta.

Troviamo, poi, due racconti di Teodoro Giùttari.

-"La terra produce solo uomini" (14 pagine, pag. 127)-racconto su una Terra futura sulla quale, accanto ai terrestri, ci sia una razza aliena che, quantomeno, si ritiene enormemente superiore agli uomini; ma che, in realtà, è solamente, ormai, priva di sentimenti, solo raziocinio: "…sentimenti…terrestri di cui noi siamo ormai immuni quali orgoglio e amore…" (pag. 134); se non, appunto, questa loro superbia: "…odio e disprezzo…noi umani…abbiamo la pietà; una cosa che voi non potete capire ma che credo pure serve più di quanto con il vostro sapere d’eletti potete spiegare." (pag. 138).

E che si risolve, però, con l’umanizzazione del protagonista alieno, che, alla fine, capirà che, ciò che realmente desidera, non è, più, l’elevazione degli umani inferiori, ma: "…le mie possibilità d’abbassarmi al livello degli uomini." (pag. 140).

E "La veliska" (17 pagine, pag. 143)-racconto poetico, come, d’altronde, poetico era anche il linguaggio del precedente, ma che, qui, copre davvero l’interezza dell’opera: "…non volesti comprendere che i miei occhi dopotutto esprimevano quasi soltanto l’emozione fonda insortami per aver scoperto la tua bellezza." (pag. 146); un uomo, un terrestre, su un mondo alieno sul quale le città sono chiamate Milano-Can-Tiùk, Savona-Can-Tiùk, ecc., e sul quale: "…tutti gli uomini…dobbiamo avere una veliska o…essere d’una valiska.

Veliska che pare essere una qualche sorta di essere alato, piccolo, che, indubbiamente, ricorda molto la figura delle fate: "…la trasfigurazione di tutto ciò che vorrei pensare e sentire." (pag. 150).

Uomo che vaga alla ricerca del’impossibile ripetersi di un’emozione, una vibrazione fugace che ha vissuto, rimuginando, intanto, fra sé, sempre il medesimo pensiero contorto e logoro: "…penso a tutte le cose che vorrei sentire e pensare e che non riesco né a sentire né a pensare e penso a tutte le cose che penso e sento e che invece non vorrei né sentire né pensare…" (pag. 155), ripetuta un’infinità di volte, con lievi variazioni.

Che, penso, voglia dire della vanità di voler ad ogni costo ritrovare, nella donna, vibrazioni che, in qualche modo, rischiano di rendere impossibile il trovare quella giusta; la necessarietà, cioè, di non affidarsi unicamente all’istinto, all’inconscio, nel quale, appunto, ci sono, o ci possono essere, clausole di questo tipo.

-"L'ultima finzione di Basilide", di Massimo Lo Jacono (originariamente apparso in "Futuro" n. 1, ed. Futuro, '63, con lo pseudonimo di Guido Altieri; 21 pagine, pag. 163)-racconto filosofico che, utilizzando lo stilema classico dell’Invasione Aliena, dice niente di meno che dell’: "…annosa questione del determinismo e del libero arbitrio." (pag. 170).

Una città (non l’intero pianeta), si ritrova a dover affrontare, infatti, un’invasione aliena…psichica; le loro azioni, insomma, non sembrano loro, più, loro, ma determinate dagli alieni; ma, il tutto, è detto per mezzo di una narrazione più surreale che realistica, nella quale: "Tutto sembrava ondeggiare nebuloso come un paesaggio di Thule" (pag. 166).

La cosa che si dice, prevalentemente, di quel problema, sono le possibili conseguenze di un punto di vista deterministico: "…se tutto era già previsto dagli Invasori…era del tutto inutile affannarsi… Ma se ogniuno di noi si rassegnerà a stare zitto e a non muoversi più per non commettere errori, finiremo per condannarci da noi stessi." (pag. 169): "Cosa significa più il bene e il male, il peccato e la virtù, se tutto ciò che facciamo è previsto o fors’anche causato?" (pag. 170).

Lo Jacono riesce abbastanza bene a rendere questo argomento, decisamente pesante, in un contesto nel quale predomina un’atmosfera goliardico/scherzosa, accessibile, fruibile e, forse, comprensibile a molti che, molto probabilmente, mai avrebbero letto un pesantissimo libro di filosofia; ancora una volta, quindi, la Sf mostra questo suo aspetto, uno dei suoi migliori.

-"Terrestrizzazione", di Gilda Musa (29 pagine, pag. 187)-ottimo, racconta di un genetista terrestre su un pianeta alieno, un pianeta i cui abitanti hanno una conformazione genetica differente dalla nostra: "…i geni che determinano le passioni non esistono nella costituzione molecolare dei libriani." (pag. 188); cosa che determina una loro diversità che rende la sua vita impossibile: "…qui tutto è niente, non esiste contrasto in alcun oggetto, in alcuna relazione privata o sociale, in alcun sentimento… Indifferenza, ecco che cosa è la vita dei libriani. Apatia. Vuoto. Nulla….tutto piace nella stessa misura, non esistono gradazioni, diversità di piacere…" (pagg. 190-1).

E, così, decide di tentare un esperimento, di terrestrizzare, appunto, la libriana che ama; e ciò nonostante sia contrario ai: "…condizionamenti totali…"; "…l’umanità ha commesso centinaia di azioni violente, di colonizzazioni che quando non erano sanguinose erano subdole operazioni coercitive." (pag. 200).

Esperimento che riesce, o, forse meglio, fallisce; in quanto la libriana acquisisce realmente l’animosità terrestre, e diventa violenta: "Voleva mutare una libriana in una terrestre felice, come se i termini "terrestre" e "felice" fossero conciliabili." (pag. 207).

La morale ci viene detta a chiare lettere dall’autrice stessa: "…ogni trasformazione dall’esterno si risolve in un atto di violenza." (pag. 213), ma, più sotto, vi si dice, anche, della negatività di un atteggiamento apatico, statico, nelle nostre vite: "…tutti siamo responsabili: di accettare una società sbagliata, di favorirla con il nostro lavoro, sottomettendoci, obbedendo, rendendoci simili a chi ci vuole simili…ci togliamo il cappello, ci inchiniamo, aduliamo, diciamo no soltanto dentro di noi, scontenti e incapaci di autentiche ribellioni." (pag. 191-2).

-"Piano recupero", di Giulio Raiola (anche in appendice a "I mondi del possibile", a cura di Mike Ashley, "Enciclopedia della fantascienza" n. 10, ed. Fanucci, '83; 47 pagine, pag. 219)-anche questo molto buono, racconta di un furto galattico niente di meno che di…Venezia.

In un futuro lontano nel quale la città è in decadenza avanzata, uno scienziato inventa una: "…sonda gravito-magnetica…" (pag. 231) grazie alla quale: "…sarà possibile prevedere i cataclismi della natura, i corrugamenti di quella dura pelle che è la scorza terrestre…" (pag. 234); ma, con essa, vede, sotto il suolo di Venezia: "…una caverna di proporzioni assurde, sette chilometri per cinque…(ricalcante) il perimetro della Città com’era un tempo, con tutti i suoi quartieri intatti ed emersi… È come se le piazze e le strade, i canali e gli edifici proiettassero la loro ombra gigantesca duemilanovecento metri più in basso."; "Nella buca la Città potrebbe essere contenuta tutta, agevolmente, come in una immane scatola d’imballaggio." (pagg. 236-7-8).

E, tramite una narrazione gialla ben costruita, veniamo a sapere che la commissione che dovrebbe sovrintendere al recupero della città è, in una qualche maniera che ricorda, divertentemente, il "Chissà perchè...capitano tutte a me" di Michele Lupo, ipnotizzata da un’entità aliena: "I "cinquanta" sedevano immobili e impettiti, tutti rivolti a un punto della sala dove era una cattedra… Sulla cattedra c’era una specie di globo luminoso che mandava raggi azzurrastri…. Vorticava mandando lampi azzurrastri, palpitando come una medusa. I vecchioni della Commissione…tenevano gli occhio chiusi, come se fossero in trance." (pag. 245).

Il finale conferma l’ottima trovata, decisamente originale, su cui si basa; ma meglio dire dello stile, anch’esso davvero buono, che fa, della trovata scientifica, ancora, un fattore marginale, per far prevalere, decisamente, la buona scrittura: "Aveva sempre pensato alla sua Città come ad una femmina, ricordava volti di donna intravisti durante gli anni felici, nelle cornici agili e ricurve delle antiche finestre come quadri appesi alle facciate delle case. E corpi di donna, scattanti e pieghevoli, gli erano sempre sembrati i ponti, perfetti fra una riva e l’altra, e seni di donna le cupole delle grandi chiese lontane nei tramonti d’estate. Una città femmina giaceva nella grande notte di settembre, il corpo riverso nell’acqua del mare." (pagg. 257-8).

La nostra Terra è vista, classicamente, come un mondo: "…ancora esclus(o) a norma di legge da ogni e qualsiasi contatto extra sistema." (pag. 220).

Una curiosità: il titolo dell’antologia viene proprio da un passaggio di questo, a pag. 233.

-"La falla temporale di Giacomo Leopardi", di Anna Rinonapoli (originariamente apparso, col titolo di "Eraldo o dell’estetica fantascientifica", in "Esperimenti con l’ignoto", a cura di Giulio Raiola, Inìsero Cremaschi e Lino Aldani, ed. Futuro, ’63, anche in "Dimensione cosmica" n. 8, ed. Solfanelli, ’86, tradotto in russo; 40 pagine, pag. 269)-di fantapedagogia, racconta di un futuro, il 2263, nel quale, ormai, l’insegnamento è diventato qualcosa di assolutamente asettico; robotizzato, privo di…umanesimo: "…nessun libro, nessun quaderno privato; la scuola forniva tutto: film, schede, registrazioni, diapositive, filmine." (pag. 276).

Ma la trovata sicuramente più divertente, del racconto, è quella di aver fatto della nostra letteratura addirittura il fulcro, degli studi letterari: "…nel secondo del Paradiso l’ipotesi delle macchie lunari appartiene a un reale possibile o impossibile, secondo l’indice fantascientifico?" (pag. 287); "…se si dovesse capire tutto quello che si studia…l’importante è conoscere l’indice fantascientifico…" (pag. 291).

Infatti, tutta la critica letteraria è asservita, se così si può dire, a materie quali la "fantapsicologia" e la "fantaparapedagogia".

La trama è basata su un concorso al quale il protagonista partecipa per passare di livello, e che, ricalcando le ansie, le paranoiche ipotesi di macchinazioni, i vutiperi contro i soliti raccomandati, che sono anche di oggi, dice di come, l’animo umano, sia, e sarà sempre, uguale a se stesso.

-"Il suggeritrone", di Sandro Sandrelli (anche in "Dimensione cosmica" n. 7, ed. Solfanelli, ’86; 24 pagine, pag. 311)-umoristico, è a racconto nel racconto; nel racconto raccontato, che, tipicamente, ne occupa la gran parte, si dice di questa macchina, il suggeritrone, appunto, che fa recitare da grandi star anche gli attori più scalcagnati: "…gusta profondamente, vive, tutti i più grandi drammi, le tragedie, le commedie di tutto l’universo….tutta la sapienza drammatica del mondo (vi) è registrata…giunge con le sue onde al vostro cervello, vi penetra dolcemente, ma imperiosamente…ed ogniuno di voi si trasforma in un interprete di eccezionale bravura, perché non recita, ma vive, non rappresenta, ma…" (pag. 320-1).

Ma ha un…guasto, e si mette ad emanare questo suo potere su tutti gli abitanti della città; il finale risulta, percui, una sorta di orgia di sfrenata violenza catartica: "La gente si sparava, si strangolava, si scannava recitando versi di tragedie antiche e moderne, con ampi gesti e toni declamatori, mentre i feriti cadevano, si rialzavano, stramazzavano di nuovo a terra interpretando fino all’ultimo respiro la parte di sconosciuti personaggi…" (pag. 328); "L’umanità, nuda e impazzita, riempiva le strade e le piazze…" (pag. 330).

La storia di contorno è, in un certo senso, a rovesciamento, anche se non certo nell’accezione che ciò normalmente ha, aggiungendo altro divertimento.

Vi si sostituiscono autori classici con autori fantascientifici, e, penso, non voglia significare altro che la voglia, appunto, di divertire dell’autore.

-"Un'inchiesta di Alfa Centauri", di Mario Soldati (anche in "Kent" n. 6, anno 1°, ed. Kent, '67; 13 pagine, pag. 337)-l’apporto decisamente più illustre all’antologia, è in forma di reportage, condotto da una giornalista di Alfa Centauri.

Alfiani che differiscono da noi, significativamente, come vedremo, solamente per una durata della vita molto più lunga.

Vi si dicono due cose; una la nostra, risaputa, capacità di essere distruttivi, e terrificantemente cinici, fino al punto da saperci arricchire anche a costo di enormi spese, in termini umani.

E l’altra il fatto che una società matriarcale potrebbe essere, contrariamente alla nostra, patriarcale, decisamente migliore; Soldati, qui, traspone ciò, facendo che la società alfiana sia tale: "…la rovinosa supremazia che in Terra il sesso maschile ha sempre avuto su quello femminile…al contrario del nostro pianeta…dove la guerra è un ricordo lontano quanto la lontanissima epoca in cui anche da noi comandavano gli uomini…(quando) la durata della vita…era tuttavia molto meno lunga di oggi." (pag. 340).

E che, le due, siano interconnesse, penso sia indubitabile.

-"Racconto a sei mani", di Inìsero Cremaschi, Gilda Musa e Anna Rinonapoli (14 pagine, pag. 353)-"…illeggibile…", si legge, ad un certo punto di questo racconto, e, in un certo senso lo è; ma nel senso che è di difficile, lettura; è, infatti, scritto tutto in uno stile lontanissimo dal parlato, ma non solo, anche dallo scrivere e, quindi, leggere normale.

Per gran parte racconta degli esperimenti che tre alieni fanno su un ignaro terrestre; ma che sono, più che alieni, dei simboli, stanti a significare le tre grandi direttive del pensiero; il misticismo ("…proponendogli in pochi secondi tutte le preghiere della chiesa copta…" (pag. 358)), il materialismo ("…il materialismo considerava la dialettica della storia sostanzialmente come dialettica economica…" (pag. 359)) ed il liberismo ("…lanciò la mente del soggetto nella formalità completa dell’equilibrio economico generale in base allo studio della stabilizzazione dei prezzi…" (pag. 357)).

Ma, così facendo, questi alieni gettano nel caos la mente del povero terrestre, che va in panne: "Un grande giocatore di calcio, interno destro, gli apparve dentro una nuvola di porpora, con scandagliamenti di carbonato sodico solidificati in una vasta implosione ellittica." (pag. 360).

Già in questa prima parte si usano una quantità spropositata di paroloni, messi solamente per essere recepiti come tali, ed il racconto stesso trascura in gran parte la normale costruzione del periodo, fino ad arrivare ad, addirittura, un bel cinque righe interamente in latino.

Ma nelle ultime tre pagine il racconto cambia completamente, e diventa qualcosa di molto serio; la tecnica usata è uno stream of consciousness certo personalizzato ma decisamente riconoscibile, nel quale: "Non ridete più, mi fate male con la vostra allegria artificiale…" (pag. 364) ci avverte, anche se lo si era già potuto intuire, che il tono è cambiato, e vi spicca, mi pare, questa frase, decisamente la più significante: "…la perfetta neutralità di un linguaggio senza struttura…" (pag. 365).

 

L’intento che abbiamo detto, dei curatori, riuscì, almeno in parte; il Cremaschi riferisce, infatti, nel suo "Universo e dintorni", che: "…la critica scoprì come valida e fruttuosa…", e che molti intellettuali se ne occuparono, quali Giuliano Gramigna, Walter Mauro, Vittorio Spinazzola, Giuliano Manacorda, Rodolfo Wilcock; e Gianfranco Vigorelli, dicendo una delle caratteristiche che indubbiamente più la caratterizzano: "Si riscattano forse tutti dall’imitazione supina dei modelli americani o sovietici"; e Giacinto Spagnoletti, dicendone un’altra, non meno importante: "Quanti mostrano curiosità per i temi consueti: invasioni di marziani o venusiani, giuochi con il tempo e con lo spazio ecc. farebbero bene a trascurare questa antologia. Altre sarebbero le risorse dei nostri autori in questo campo." (pag. 21); e, più tardi, Roberto Sanesi, confermando la riuscita dell’intento propostosi dai curatori: "Senza bisogno di scomodare la "grande letteratura", il tono medio dei racconti non è in alcun modo inferiore a quello riscontrabile in alcune raccolte di narrativa "normale": non vi mancano né le idee né l’impegno stilistico." (pag. 22).

 

FUTURO, a cura di Inìsero Cremaschi

"Sf narrativa d'anticipazione" n. 14, ed. Nord, '78, 346 pagine, 40.000 £; © by Editrice Nord

Altri contributi critici

 

-recensione di Virginio Marafante, "Sf...ere" n. 9, v.s., pag. 30

-"Le frontiere dell'ignoto", di Vittorio Curtoni, "Saggi" n. 2, ed. Nord, '77, pagg. 85-95-140-206-7

-"Il mercato della fantascienza in Italia", 2° cap. di "Le frontiere dell'ignoto", op. cit., pag. 61

-"Esperienza personale", di Gilda Musa, "La collina" n. 3, ed. Nord, '82, pagg. 92-94

-"Rileggendo "Futuro"", di Bruno Brunetti, "Future shock" nn. 1, v.s., 12, '86, '94, pag. 4

-recensione a "Parabole per domani", di Lino Aldani, di Gian Filippo Pizzo, "Future shock" n. 1, '88, pag. 9, relativamente a "Trentasette centigradi"

-"Cronistoria della fantascienza italiana", di Inìsero Cremaschi, in "Universo e dintorni", "I Garzanti" n. 716, ed. Garzanti, '78, pag. 19

-"Le strade dimenticate della fantascienza italiana", di Vittorio Catani e Eugenio Ragone, "L'eterno Adamo", vol. II°, n. 6, '92, pag. 141, relativamente a "Il quinto punto cardinale"

-"I mondi illusori della fantascienza", di Giuseppe e Antonio Monaco, "Future shock" n. 22, '97, pag. 24, relativamente a "Buonanotte, Sofia"

 

In questa nostra carrellata critica sui racconti contenuti nell'antologia curata da Cremaschi seguiremo l'ordine in cui appaiono nel testo; essi rappresentano il meglio, secondo il curatore, del materiale apparso sulla mitica rivista omonima, uscita in edicola dal maggio '63 al novembre '64; nella riedizione della Nord le opere vengono suddivise in sei sezioni, una per numero, tranne l'ultima, nella quale, sebbene racchiuda racconti del sesto numero, si accenna anche ai successivi numeri sette e otto. Il volume è ottimamente corredato criticamente. I racconti sono 18; ed andiamo a cominciare: 

Cremaschi ha scelto, come migliori del primo numero, tre racconti. Il primo è proprio suo, e per questa scelta così si giustifica: "chiedo scusa se apro la sezione antologica con un mio testo. Non dipende dalla mia sfrenata megalomania ma dal semplice rispetto della cronologia." (pag. 1) Il titolo è: "Il quinto punto cardinale" (30 pagine, pag. 2); si tratta di un racconto tenuto tutto su di un tono ironico, decisamente tendente al comico; ciò su cui si ironizza, in massima parte, è l'economia, il sistema monetario in particolare. Una spedizione diretta al pianeta Serapide, precipita; i componenti della stessa credono su di un mondo deserto, mentre, e questo solo alla fine, si verrà a sapere che è proprio Serapide. Il clou stà proprio nei modi in cui essi si organizzano, creando una sorta di mini società. In essa vengono riportati, in miniatura ed in grottesco, alcuni aspetti del sistema economico mondiale, mettendone così in luce talune sfumature decisamente assurde. All'inizio è la proprietà privata ad essere ridicolizzata; è chiaro che, a questo punto, lo sfondo fantascientifico è puramente strumentale, nel senso che la situazione andatasi a creare non è sviluppata in modo classico, è unicamente pretesto per le intenzioni satiriche dell'autore. Comunque è, come dicevamo, il sistema monetario quello maggiormente preso di mira. Uno dei personaggi è in possesso di foto pornografiche e le utilizza come mezzo di scambio nel rudimentale sistema creatosi. Lentamente esse divengono l'unica moneta corrente, diciamo così ufficiale, fino a quando arrivano due sarepidiani in vacanza, avvertendoli della loro reale ubicazione. Che lo scopo della missione sia, scusate il gioco di parole, di stampo missionario in senso morale, vista la fama gomorresca del pianeta, assieme all'accostamento denaro-pornografia, sono elementi che mettono in rilievo, ancora una volta, il tono derisorio dell'intera opera, sia verso l'economia che verso la morale. Dell'economia si mettono in rilievo alcuni punti, canzonandoli, della morale...direi che viene recuperato il tono giocoso e tutto umano del sesso, e messo alla berlina l'aspetto retrivo della moralità, la sua demonizzazione.

Troviamo poi "Troppo perfetto", di Pierfrancesco Prosperi (anche in "Europa", "Interplanet" n. 5, ed. dell'Albero, '64; 9 pagine, pag. 35), strutturato in quindici brevissimi capitoli preceduti da un succinto preambolo. È la storia di un automa, appunto, troppo perfetto, talmente perfetto da innamorarsi a tal punto da non seguire più i test e le prove a cui lo sottopone il proprio ideatore, ed entrare in una vera e propria crisi esistenziale. Un automa troppo umano contrariamente a quelli cui ci aveva abituati il buon vecchio Asimov, una storia che, al limite può ricordare gli automi dickiani, che, con la loro umanità, sono strumentali all'evidenziazione della poca umanità degli esseri umani stessi. Ciò che non avviene qui, il taglio è molto più tradizionale, al limite verte sull'archetipo di Frankenstein, della creatura costruita dall'uomo che poi sfugge al suo controllo, per caratterizzarsi in maniera più specifica, per acquistare caratteristiche umane sue personali. Decisamente accattivante, conferma le grandi capacità dell'autore.

Ultimo racconto tratto dal primo numero è "Buonanotte, Sofia", di Lino Aldani (anche in "Quarta dimensione", '64, "Telespazio", anno IV°, n. 2, '68, e, col titolo di "Onirofilm", in "I labirinti del terzo pianeta", ed. Nuova accademia, '64, "Fantasesso", ed. Feltrinelli, '67 e "Grande enciclopedia della fantascienza" n. 55, ed. Del Drago, '81; tradotto in francese, da Roland Stragliati, col titolo di "Bonne nuit, Sophie, in "La Sf italienne", "Fiction speciale" n. 6 (132 bis), ed. Opta, '64, e l'antologia omonima, '65, in russo, da L. Veršinin, col titolo "Onirofil'm, in "Biblioteka Sovremnoj Fantastika", vol. V°, ed. Molodaja Gvrdi ja, in spagnolo, col titolo di "Buenas noches, Sofia", in "Mis Universos", '68, in giapponese, nella traduzione di Ken Chigusa, col titolo di "Oyasumi, Sofuia", nell'edizione giapponese di "The Magazine of Fantasy and Science Fiction", '69, altra ed., '70, e ed. Hayakawa Shobo, '81, in inglese, nella traduzione di L.K. Conrad, col titolo di "Goofnight, Shopie", in "View from Another Shore", ed. The Seabury Press., Inc., '73, e Jove Publications,Inc., '81 (Usa), in olandese, nella traduzione (dall'inglese), di Co de Groot, col titolo di "Welterrusten, Sophie", in "Andere werelden, anderen kusten", ed. Uitgeverij Luitingh, in tedesco, nella traduzione di Wilfred Rumpf, col titolo di "Gute Nacht Sophie", in "Blick vom anderen Ufer", "Taschenbuch" n. 359, ed. Verlag, '77, e in "Alabastergarten", ed. Das Neue Berlin Verlag, DDR, in bulgaro, nella traduzione di Nikola Ivanov, col titolo di "Onirofilm", in "Biblioteka Galaktika", ed. Bakalov, '80, in rumeno, nella traduzione di Doina Opritã, col titolo di "Noapte bunã, Sofia", in "Almanach Converbiri Literature", '81, e nell'antologia omonima, '82, in svedese in "Jules Verne Magasinet" n. 411, rivista diretta da Sam Lundwall; un adattamento radiofonico di Serge Douay è stato trasmesso a "Paris inter" nella serie "Théâtre de l'etrange" il 13 febbraio 1966 e un atto unico dell'autore con il titolo "I figli del sogno", tratto dal racconto, è andato in scena al Teatro Erba di Torino nei giorni 12,13 e 14 maggio '78; 25 pagine, pag.47). Questo verte sostanzialmente sul mondo della celluloide che, nella società futura descritta, assume un'importanza preponderante. I produttori e in genere l'intero mondo del cinema sono divenuti classe dominante, mentre il resto della popolazione, completamente asservita, trova il suo unico divertimento proprio negli onirofilm, cassette che permettono un'esperienza sensoriale completa, ossia di vivere un film dall'interno, e che sono usufruibili dal singolo, in qualsiasi momento egli desideri. La vicenda in sè è incentrata su un abbozzo di ribellione da parte di una delle più quotate star che, ad un certo punto, sembra prendere coscienza degli aspetti negativi di tale sistema. Decisamente buono, soprattutto per il discorso sui mass-media, sull'utilizzazione di esse da parte del potere; gli onirofilm, ancora più efficaci del Grande Fratello, a soddisfare artificiosamente i bisogni di fuga fantastica della popolazione, ad assorbire tutte le energie inconsce che, completamente sublimate in essi, non sono più disponibili per la vita reale; per un moto di rivolta, per un sussulto di rabbia. Certo qui le cose sono portate agli estremi, fortemente ideologizzate. Che un qualche espediente del potere lasci completamente privi di voglia di fare all'amore mi sembra per lo meno inverosimile. Stilisticamente, per finire, c'è da dire che Aldani è uno dei migliori prosatori fantascientifici italiani, per cui, quasi sempre, nei suoi racconti, si possono trovare unite idee buonissime e prosa scorrevole, piacevole a leggersi.

Passiamo ora al secondo numero di "Futuro"; anche qui Cremaschi ha scelto tre racconti. Il primo è "Ministero notturno", di Anna Rinonapoli (anche in "Tv serial nel cosmo", "Minas Tirith n. 2, ed. Solfaneli, '86; tradoto in russo, in ungherese, come "Az Ejszakàs Miniszter", "Galaktica" n. 8, '73, in francese, come "Ministre de nuit", "Le Livre d'Or de la Science-fiction Italienne", '81, in tedesco, come "Nacthliche Ministerium", "Sf Story-Reader" n. 20, '83 e in bulgaro; 16 pagine, pag. 80). Questo racconto non mi è proprio piaciuto, al contrario di altri della scomparsa Rinonapoli. Il fatto è che si impernia si di un tema che, per quanto non usuale nella Sf, è, direi, più da barzelletta che da racconto, più da proverbio che altro, ovvero la lentezza buricratica, per di più innestata sul tema trito e ritrito dell'invasione aliena, in chiave comica, con tipico colpo di scena finale.

Passerei direttamente a "L'aquilone", di Giulio Raiola (anche in "Interplanet" n. 4, ed. La tribuna, '64; tradotto in tedesco come "Der Papierdrachen," in "Die Stimme der Unendlichkeit", '81, tr. Hilde Linnert; 19 pagine, pag. 97). Le vacanze di un fisico e della propria famiglia vengono scombussolate dalla richiesta da parte del figlio di un aquilone. Il padre glielo costruisce e l'aquilone vola, talmente in alto che viene avvistato da un'astronave aliena con rispettivi padre e figlio. Il piccolo alieno se ne invaghisce e così il padre, scavalcando tutte le barriere culturali e di costume del suo popolo che lo impedirebbero, si mette in contatto col fisico, proponendo uno scambio; il segreto dell'antigravitazione contro l'aquilone quasi antigravitazionale; lo scambio avviene. Questa in breve la trama, dalla quale risulta chiaramente quale sia il tema portante che lo sorregge, ovvero il rapporto padre-figli: "I figli-pensavo-Tu prepari con le tue mani il loro futuro, quando sono piccioli li tiri su riscaldandoli con il tuo fiato, sono semi che si stanno aprendo. Alla fine, un brutto giorno, t'accorgi di non aver fatto per loro tutto quello che avresti potuto. Te ne accorgi da un niente, un'occhiata, un gesto, un momento di debolezza dal quale vien fuori un'accusa, un rimprovero. E ti sembra (o così è) d'aver sbagliato tutto, d'aver sciupato qualcosa di molto importante. E allora ti senti un fallito.". L'amore paterno, dunque, nel suo estrinsecarsi quando si sforza di esaudire i desideri filiali. Parallelamente a questo si notano alcune colorazioni secondarie, ad esempio: il suggerimento, da parte della moglie al marito, sul come esaudire il desiderio del figlio, che esplicita in breve la caratteristica tutta femminile di far notare cose ovvie, soluzioni semplici, al proprio uomo, che poi le realizzerà, magari non proprio facilmente. Infine il veloce sguardo dell'alieno al nostro pianeta, in cui, praticamente, ci si mostra in squarcio una visione-proiezione dello stesso da un punto di vista totalmente estraneo, e non di meno pienamente plausibile, in un verificarsi eccezionalmente nitido di ciò che si può tranquillamente definire relativismo culturale. "Mondo strano e terribile. Eppure, in quell'ammasso di gas velenosi, su quei continenti circondati dalla corrosiva acqua salata, vivevano degli esseri. Selvaggi, divisi in grandi tribù, oppressi da odi primordiali, da passioni vili, da desideri repellenti. Se gli archivi erano esatti (come lo erano stati) quei selvaggi avevano quasi sempre ucciso i loro dei.". Lo stile del Raiola è scorrevole e in svariati punti tocca vertici di lirismo veramente ottimi, come in questa frase, in cui si decrive l'atteso e sospirato primo volo del protagonista: "Intanto, mentre la gioia invadeva i nostri cuori, l'aquilone più bello del mondo volava, senza peso, nel cielo azzurro fra le colline e la pianura, fantastico signore degli spazi, scivolando fra le alte correnti come un grande vascello dalle vele d'arcobaleno."

Segue nella selezione "Energia profonda", ancora, di Inìsero Cremaschi

(tradotto in spagnolo, e pubblicato in Argentina dalle Ediciones de la Urraca; 17 pagine, pag. 118), pubblicato originariamente sotto lo pseudonimo di Erminio Casersich. Un'astronave, la "Cygnus", parte dalla Terra verso lo spazio profondo, "...verso un traguardo che non ci riguarda, la velocità della luce.". Infarcitissimo di termini scientifici lo si può definire come facente parte della così detta "Hard Sf", che a me, personalmente, raramente soddisfa. È sostanzialmente diviso in due parti, la prima riguarda un ipotetico film svizzero "Preparazione alle tenebre", che mostra un'ipotesi sulla sorte sconosciuta del Cygnus, con esplosione finale e morte dei due astronauti. La seconda è un altrettanto ipotetico articolo di uno scienziato sconosciuto che, sebbene ironizzi sugli scrittori di Sf, fa un'ipotesi decisamente fantascientifica. Tale ipotesi, c'è da dire, è alquanto cretina, e non è il caso di riferirla. L'unico elemento che risulta divertente è l'ironia, l'autoironia della Sf sulla Sf, e quella macchietta dello scienziato fiorentino decisamente pieno di sè, di hybris, col suo articolo pieno di castronerie. Se leggerete l'introduzione dello stesso autore troverete indicazioni assolutamente dissimili: "...cupo e pessimista...", "...difficoltà di lettura..."; "sarebbe stato meglio farne un romanzo". Considerazioni da cui non posso non dissentire; pessimismo non ce n'è: dove starebbe? Nella morte presunta dei due astronauti, neppure enfatizzata in tale senso? Nell'impossibilità di raggiungere la velocità della luce? Nei dialoghi fra i due, più che altro patetici? Difficile a leggersi non lo è, al limite sono i termini scientifici che si possono conoscere o non conoscere, ma non tutti sono funzionali alla trama che risulta, dopotutto, di difficile lettura, nel senso di scorrevolezza. In quanto al romanzo...chi può dirlo? Giusto l'autore; e chissà, magari i risultati avrebbero potuto, in effetti, essere migliori. Comunque un buon romanzo che ironizzi in modo intelligente la hard Sf, la Space Opera, è già stato scritto; è "Oltre Apollo", di Barry Malzberg, veramente ottimo.

Passando al terzo numero, troviamo una scelta di ben quattro racconti.

Il primo è: "La seminatrice", di Maurizio Viano (anche in "Futuro Europa" n. 21, ed. Perseo libri, '98; tradotto in tedesco come "Die Saeerin", da Hilde Linnert, nell'antologia "Venice 2", a cura di Wolfang Jaschke, ed. Heyne Verlag, '85; 12 pagine, pag. 138). Apocalittico, è narrato in: "Un linguaggio limaccioso eppure luminescente, a mezza strada fra il biblico e l'espressionista", come dice il curatore. La fine della razza umana causata da "Déi (che) vengono dallo spazio", seminando ed innaffiando "germi coscienziali", per i quali riaffiorano dall'inconscio sia collettivo che personale, tutte le magagne, portando al suicidio: "Il fatto è che ci ammazziamo.". I "semi coscienziali", da un altro punto di vista, risultano essere anche le informazioni sulla situazione testuale che man mano il Maurizio fornisce al fruitore, in rapida successione. Fattore che risulta rilevante, rappresentazione simbolica del senso di colpa ingiustificato, è il maggiolino che accompagna uno dei protagonisti, ingrandendosi sempre più, simbolo della sua unica colpa, l'uccisione, appunto, di un maggiolino.

Priseguendo il nostro cammino ci attende " Disreali", di Pierfrancesco Prosperi (tradotto in francese come "Le capitaine Disraeli", in "Fiction Spécial" # 6, '64, traduzione di Romain Denis; 8 pagine, pag. 151), secondo ed ultimo di questo autore ad essere qui compreso. Breve, scattente, è innanzitutto un buon racconto, come l'altro di cui abbiamo parlato prima. Scenario: una federazione galattica in cui: ...ogni razza ha i suoi compiti..." e dei fantasmagorici Nemici da cui difendersi; e il compito della difesa spetta proprio ai terrestri, i più combattivi dell'intera galassia. Evento: un capitano decide di lasciare l'esercito; gli viene detto che non può, che ogni singolo terrestre è militare, senza esclusione alcuna. Elemento rilevante è la rivelazione finale che i Nemici non esistono, scoperta preceduta da alcuni effetti di anticipazione: "Non creda di essere l'unico. Ce ne sono stati molti come lei, anche se non ne hai mai sentito parlare.". I nemici sono coloro che si ribellano al sistema, sottoposti ad un terribile trattamento che li trasforma in macchine da guerra micidiali. Dunque una guerra fantoccio, creata dal sistema per mantenere l'equilibrio interno, proprio come nel libro di Orwell, anche se là trovavamo una prospettiva decisamente diversa.

Per terzo troviamo "Ritorno", di Gustavo Gasparini (6 pagine, pag. 161); avvincente ed apocalittico, ha il pregio di dare una visione cosmogonica del nostro sistema solare assolutamente originale, anche se totalmente inesistente, se osservata, caparbiamente, da un punto di vista scientifico-razionale. Il feeling che regge il tutto consiste nella scoperta progressiva della realtà interna del testo da parte del lettore, e, conseguentemente, della concezione cosmogonica ivi descritta. Il finale, catartico, smantella istantaneamente quell'ipotesi assurda che non si regge in piedi e credo che sia uno stimolo adatto a far si che, più o meno automaticamente, avvenga, nel lettore il raffigurarsi del modello di realtà cosmogonica che l'essere ha raggiunto oggigiorno.

Quarto ed ultimo di questa terza sezione, troviamo "Memoria totale", di Gilda Musa (anche in "Delos" n. 45, '99: http://www.delos.fantascienza.com/delos45/memoria.html; 16 pagine, pag. 169). Resoconto di un crollo di nervi, potremmo dire, semplificando al massimo. E in effetti così è; non esiste azione nel senso tradizionale del termine, tutto o quasi avviene nello spazio interiore, nell'inconscio. Alcune pagine non possono che ricordare "L'Ulisse" di Joyce, i flussi e riflussi di coscienza, senza dubbio. Quanto ci sia, invece, di ballardiano, non saprei; Joyce, come somiglianza, è più affine. È tutto tenuto sul monologo interiore, i fatti esterni scarseggiano; soprattutto il fatto iniziale, minimale, che dà inizio allo scorrere dei ricordi profondi, il rumore di una pentola piena di prugne che bolle in cucina. La conversazione, poi, con il dottore di famiglia al telefono, direi che viene a confluire con la corrente dei ricordi archetipici della protagonista, Anna, in un giorno di ferie postlavorative. Di difficile lettura, questo sì, veramente necessita di un buon grado di attenzione, di concentrazione, forse, e, innanzitutto, di una flessibilità mentale notevole, per lo meno buona, se su vuole apprezzarne il feeling, il significato. Si può essere d'accordo più o meno o per nulla con i presupposti teorici che tale opera presuppone, prevalentemente junghiani, ma è indubitabile che sono questo tipo di novelle che hanno portato e portano un'aria nuova nella fantascienza, spostandone l'attenzione da astronavi e mostri dello spazio esterno, a mostri e fantasmi dello spazio interno, altrettanto e forse più sconosciuto di quello che normalmente fa da sfondo alle storie di Sf. Tornando al raffronto con Ballard, devo dire che mi trovo un pò indeciso, avendo, devo ammetterlo, letto moltissimo dell'inglese e poco della Musa, ma comunque mi sembra che questo racconto in particolare faccia meno uso di metafore, di allegorie, di simboli, per arrivare ad un discorso forse più diretto; più vicino a quello che si suol definire letteratura ufficiale. E la scomparsa Musa veniva proprio da un'esperienza poetica, scriveva anche opere non di fantascienza, come, d'altronde, anche suo marito, il curatore.

Quarta sezione, altri tre racconti.

Si inizia alla grande con "Trentasette centigradi", secondo ed ultimo racconto di Lino Aldani qui compreso (anche in "Interplanet" n. 6, ed. Dell'albero, '65, e  in "Parabole per domani", ed. Solfanelli, '887; tradoto in francese, nella traduzione di Roland Stragliati, col titolo di "37° centigrades", in "La Sf italienne", op. cit., e con quello di "Trent-sept degrees centigrades" in "Le livre de la Sf italienne", ed. Presses Pocket, '81, in spagnolo, col titolo di "Treinta y siete °C", in "Anticipation" n. 5, ed. Ferma, '68, in russo, nella traduzione di Lev Veršinin, col titolo di "Tridcat'n semì gradusovpo Celìsijo", ed. Mir, '70, in rumeno, nela traduzione di Ion Hobana, in "Fantascienza-Povestiri Italiene", ed. Albatros, '72, in tedesco, nella traduzione di Hilde Linnert, col titolo di "Siebenunddreibig Grad", in "Die Stimme der Undenlichkeit", ed. Heine Verlag, '81; 35 pagine, pag. 188). Veramente ottimo, narra di una società di un futuro prossimo, in cui gli enti di assistenza medica pubblica divengono molto potenti, preponderanti, assillano i cittadini con tasse, prescrizioni, azioni preventive di ogni genere, pubblicità, controlli quotidiani e simili. In questo quadro si svolge la storia di una ribellione individuale; un uomo, esasperato, decide di sottrarsi a tali pressioni, e, cosa consentita per legge, di non usufruire dei servigi delle mega-mutue. Ma la rivolta fallisce. Un buon esempio di utopia negativa, nella maggior parte delle quali, possiamo trovare rivolte individuali; Orwell, classicamente, ma anche Burgess col suo "1984-85", Bradbury col sue "Fahrenheit 451", anche se in quest'ultimo, nel finale, si lascia trasparire un'ombra di speranza, come d'altro canto anche qui, sebbene in toni molto scoraggianti; una speranza che va di là di ogni ragionevolezza, di ogni razionalizzazione. Lo stile, come ho già detto per l'altro racconto, è ottimo; scorrevolezza e buona capacità di attirare l'attenzione del lettore.

Troviamo poi "Tempo zero", di Riccardo Minuti (16 pagine, pag. 226). In un centro di ricerche segreto si effettua un esperimento sull'accelerazione degli elettroni, ma un sabotaggio fa esplodere l'apparecchio con conseguente dilagare del cervello di uno degli sperimentatori nello spazio-tempo e modifiche di fatti storici; si scivola poi ad una sorta di giallo, con ricerca, scoperta e punizione dei responsabili il sabotaggio. Piuttosto contorto, può risultare o poco piacevole o avvincente, difficilemente, credo, può lasciare indifferenti, e questo, credo, sia un pregio. Se avvince ne risulta un certo effetto di complicazione-scioglimento anche gradevole; secondo me, però, non è scritto in modo tale da attirare molto l'attenzione del lettore, che si trova a dover cambiare repentinamente e troppo spesso prospettiva. A parte la non veridicità scientifica, qui prevale la piattezza della soluzione finale, e la non originalità del tema delle modificazioni storiche, trattato in modi migliori da altri autori in numerosi romanzi e racconti che è inutile stia qui a citare visto che ne conosciamo tutti quanti.

Terzo ed ultimo racconto di questa quarta sezione, troviamo "Il contrordine", ancora dell'Anna Rinonapoli (tradotto in ungherese come "Az ellenparancs", "Galaktica" # 49, '83; 21 pagine, pag. 243). Innanzi tutto c'è da dire che è decisamente migliore dell'altro, in quanto tratta un argomento, l'utopia, decisamente più interessante che non la lentezza burocratica. Un gruppo di giovani ha inaugurato un progetto, programmando un megacomputer per realizzare il migliore dei mondi possibili e per far ciò si sono basati sulla statistica. In un mondo in crisi e soprattutto per i messaggi sublimali emanati dal calcolatore, tale progetto si realizza. I suoi ideatori si pongono in stato di ibernazione, e il racconto ha inizio con il risveglio di uno di loro, Walter; il resto lo apprendiamo per mezzo di flash back. Il progetto fallisce. Il mondo è divenuto statico, nessuna spinta al miglioramento, nessun progetto verso un qualcosa da realizzare. Praticamente il racconto è interamente incentrato sulla scoperta progressiva di come stiano in effetti le cose, di quali siano le divergenze, fra il mondo auspicato, quello che Walter voleva, sperava di trovare, e quello che invece è divenuto. Direi che il messaggio è l'impossibilità di realizzare il migliore dei mondi possibili, o meglio, più che altro, non è possibile che sia realizzato da pochi individui. Il fatto che è la statistica il punto in cui fallisce il progetto è indicativo che l'utopia, in quanto tale, è unicamente un modello ideale a cui tendere, sapendo però che il limite si sposterà sempre in avanti, o meglio, che cambierà, potrà cambiare direzione, e che il concetto di mondo ideale, in quanto concetto puramente metafisico, non è realizzabile concretamente se non in maniera, appunto, parziale e sempre in divenire.

Eccoci dunque giunti alla quinta e penultima sezione, nella quale troviamo altri tre racconti. Fino ad ora abbiamo trovato anche racconti non molto validi, anche se nella maggioranza, bisogna dirlo, le scelte si sono rivelate oculate; non essendo poi a conoscenza dei testi esclusi non mi posso pronunciare ulteriormente su questo punto.

Il primo racconto è "Trentasette colonne di zeri", della Gilda Musa (16 pagine, pag. 269), che, a conferma del suo buon livello di prosa, si pone come uno dei migliori dell'intera antologia. Qui l'azione si svolge totalmente nello spazio esterno, su di un'astronave, ma, al centro, troviamo l'uomo, con le sue paure e le sue pulsioni; lo stilema fantascientifico astronave è qui utilizzato per far risalire quelli che sono i sommovimenti dell'animo umano. Protagonista è un'astronauta che è divenuto tale per amore, poichè la donna che ama e da cui è amato ha idealizzato fortemente la figura dell'astronauta, e, praticamente, lo costringe a farsi tale, per averla. C'è poi il fatto che lui soffre di...mal d'astronave, di vertigini, di paura degli spazi siderali. La trama è improntata sugli stilemi del giallo di stampo moderno, in quanto Nikol, il protagonista, muore a metà racconto, come in Hitchock, sovente, scopriamo l'assassino all'inizio o comunque prima che l'azione abbia termine; una struttura, dunque, che non rispetta i canoni tradizionali e convenzioni della novel borghese; situazioni di normalità, elemento disturbante, indagine, ristabilizzazione della situazione di normalità, per mezzo della chiarificazione definitiva e del rientro nei canoni del fattore deviante. Comunque questo è un argomento che andrebbe sviluppato ulteriormente, in quanto credo sia piuttosto interessante. Tornando a bomba a quanto si stava dicendo, gran parte del racconto è costituito dalle successive indagini. Senza dire, chiaramente, di più sugli esiti di tali indagini, mi sembra interessante notare come la Musa ponga in primo piano la caritas, l'empatia; i colleghi di Nikol, chi più chi meno, erano a conoscenza della sua posizione e lo aiutavano in ogni modo, con parole consolanti o comprensive, o, più praticamente, dandogli una mano quando stava male, e coprendo con una specie di omertà il suo malessere che, se scoperto, avrebbe potuto provocare la sua estromissione dal viaggio, con conseguente perdita dell'amante. Non dico altro; è tutto da leggersi, avvincente e allo stesso tempo profondamente umano.

Segue, poi, "Il saggio", di Massimo Pandolfi (4 pagine, pag. 287); essenzialmente filosofico, questo, più che un racconto è, appunto, un saggio. Un uomo medita, e "continuava a meditare nella caverna" (un platonico, per caso?!), e, attraverso vari passaggi, o, con una terminologia più adatta sillogismi completamente assurdi, giunge a delle conclusioni altrettanto assurde; il fatto è, però, che tali conclusioni, nel racconto (e qui stà la fantasticheria specifica del brano) si realizzano concretamente attorno a lui, fino a vederlo diventare unicamente entità astratta, ed unirsi a Dio. Estremamente stimolante, risulta una lettura molto interessante, "anche in considerazione del fatto che l'ha scritto non ancora ventenne" (Cremaschi).

Terzo ed ultimo, eccoci dunque a "Le belle figlie di Madama Dorè", di Giuseppe Pederiali (anche, col titolo di "La fontana", in "Cacciatore torna a casa", "Gamma" n. 8, ed. dello Scorpione, '66; tradotto in tedesco come "Die schönen Töchter der Madame Doré", nell'antologia "Die Labyrinthe der Zukunft", a cura di Lino Aldani, ed. Wilhelm Heyne, '84; 12 pagine, pag. 292). Il nostro è autore, come saprete, di una serie di prestigiosi romanzi di fantasy che hanno raccolto notevole successo, come ad esempio "La compagnia della selva bella", edito da Bompiani. Il presente racconto è sul dopobomba, e si inserisce, però, in suddetta categoria in modo estremamente originale; tutto è normale, tutto tranne gli uomini, rimasti deturpati gravemente nel fisico, nel senso che hanno subito delle mutazioni genetiche. Il nucleo concettuale dell'opera stà nel fatto che Pederiali non indugia mai nelle descrizioni di tali deturpazioni, creando in questo modo quella necessaria sospensione dell'interesse che regge tutto il racconto. Non esiste l'avvenimento saliente, o, per lo meno, esso è stemperato, non assume la centralità che di solito assume in racconti di queste dimensioni; c'è il tentativo molto poco convinto di far nascere bambini normali, che, normalmente, fallirà; secondo me, alla fine, quello che emerge è, soprattutto, l'adattabilità degli esseri umani, e, conseguentemente al fallimento di quell'esperimento; a me sorge il pensiero che se, per disgrazia, l'umanità si dovesse trovare in una tale situazione, l'unica via che si aprirebbe all'essere inteso come l'insieme dei singoli, sarebbe quello di un lento ma inevitabile mutamento del concetto di bellezza, che è pur sempre relativo, e che, quindi, con gli anni, potrebbe trovare un suo nuovo equilibrio. Aggiungo a queste annotazioni ancora una considerazione: la prima parte del racconto è costruita con una struttura a detection, in cui l'autore elargisce con parsimonia elementi che finiscono per creare lentamente il fondale dell'azione della seconda parte.

Ultima sezione, comprende due racconti entrambi pubblicati originariamente sul numero 6 di "Futuro".

Dei numeri sette e otto Cremaschi non ne ha selezionati neppure uno; di questo fatto, riguardo al numero sette, dà questa spiegazione: "...racconti seri e problematici, ma privi di quel senso del peccato (voleva forse dire sense of wonder?, n.d.a.) che la migliore fantascienza, in Italia o all'estero, ha sempre portato con se."

Del numero otto dice: "Il fascicolo non ebbe nessuna eco. Perfino molti collezionisti non ne ebbero mai notizia. Riccardo Valla, quando nel 1973 traccerà una puntualissima trenodia della rivista, ignorava l'esistenza del numero otto."

Il primo dei racconti tratti dal sesto fascicolo è "Homini erecti", di Teodoro Giuttani (26 pagine, pag. 311). Più che altro ricorda un pò la scena iniziale di "2001 odissea nello spazio" di Kubrick; nella preistoria in un branco di homini erecti c'è un esemplare singolare, un "homo eccezionale"; mentre gli altri grugniscono e, in genere, si dedicano a passatempi piuttosto grossolani, più vicini all'animalità che all'umanità, il nostro è decisamente più intelligente: tutta la trama è rivolta a dimostrare ciò. Può essere letto come nascita dell'intellettuale, linea interpretativa suggerita da Cremaschi nell'introduzione; io direi piuttosto che è piacevole a leggersi ma che scarseggia in quanto a contenuti: un inno all'evoluzione, o, più semplicemente, un buon racconto sulla preistoria.

Secondo della sezione ed ultimo dell'antologia, ecco infine "Tempo d'elezioni", di Riccardo Leveghi (7 pagine, pag. 319). Italia, un futuro imprecisato (si parla di 1991 o di 2091 o che?), propaganda elettorale di strani partiti che in qualche modo, inevitabilmente, si tende a comparare a quelli attuali. Non si dice propaganda elettorale, ma pubblicizzare, il limite d'età è otto anni, cronistoria affrettata di successioni al potere; il protagonista va di porta in porta, di famiglia in famiglia a pubblicizzare il suo partito. Scialbo, privo di idee originali, innanzitutto, ma solo di pseudoidee per nulla interessanti. Sembra di intuire che potrebbe trattarsi di un'antiutopia, che Leveghi voglia dir male del futuro che prospetta, ma se questa era la sua intenzione l'ha fatto senza incisività; non la si rileva poi molto. Più che altro a me sembra un abbozzo di una possibile situazione politica futura, decisamente riuscito male. Peccato che questa antologia che, come abbiamo visto, contiene prevalentemente testi validi, debba finire proprio con questo brutto racconto.

 

"The Dark Side" n.1, anno 5°, '86

 

PIANETA ITALIA, a cura di Lino Aldani e Ugo Malaguti

"Narratori europei di science fiction" n. 1, ed. Perseo libri, '89, 429 pagine, 32.000 £; © by Perseo Libri srl

Altri contributi critici

 

-"La matrice indigena-Degradazioni", di Mirko Tavosanis, "Intercom", n. 113/114, '90, pag. 47, relativamente a " Vicolo delle lucciole"

 

È, questa, la prima antologia della World Sf Italia, e i curatori si augurano che l'esempio serva da stimolo alle altre associazioni nazionali. Vi sono rappresentati tutti gli autori facenti parte dell'associazione, curatori compresi. L'idea sarebbe quella di fare delle antologie annuali di questo tipo, ma per il momento questa rimane la prima e l'unica. Vi è compreso anche un estratto dello statuto dell'associazione.

 

-"Metamorfosi cosmica", di Anna Rinonapoli (anche in "Parsifal" n. 17/18, ed. "1984", ’85, e in "Tv-Serial nel cosmo", "Minas Tirith" n. 2, ed. Solfanelli, ’86; 9 pagine, pag. 150)-una specie di inno alla fratellanza universale, pieno di richiami ad un amore cosmico di, mi sembra, stampo buddista ("O Budda, sono felice." (pag. 24)); "Mi avete dato tanta musica, poesia, tanta gioia. Perchè non dovrei ricambiare il vostro affetto?" (pag. 21); "La vita è il miracolo. Ed è unica. La piccola vita degli insetti. La vostra, più grande, la nostra, più complessa. Le numerose voci dell'armonia universale." (pag. 22).

-"Notte di Natale", di Mauro Scarpelli (anche in "Rotta fuori controllo", "Babele" n. 1, '84; 7 pagine, pag. 27)-l'idea su cui si basa è del tutto originale, nell'ambito della Sf, ed è ormai cosa davvero rara. In un futuro l'umanità abita tutta nel sottosuolo, essendo: "...la superficie del pianeta...completamente destinata all'agricoltura." (pag. 31). Anche la trama è originale; il protagonista ha uno dei lavori più stimati in quella società, ovvero quello di Cannoniere; il suo compito è quello di individuare, attraverso complicate apparecchiature, i formicai, e distruggerli; le formiche sono, infatti, divenute la specie dominante, sulla superficie. Ciò che mi pare lo Scarpelli voglia comunicare è, invece, una delle cose che tutta la Sf sociologica ci ha sempre voluto comunicare: stiamo attenti a come trattiamo il nostro pianeta, pensiamo alle conseguenze delle nostre azioni nel presente: "Abbiamo creato un mare di spazzatura e i nostri figli ci affogheranno dentro." (pag. 32).

-"Alienità", Renato Pestriniero (anche in "Dimensione cosmica" n. 3, ed. Solfanelli, '85; 8 pagine, pag. 37)-buon racconto sul tema classico del contatto con l'alieno, e non è certo, ormai, cosa facile essere originali su di esso. Un alieno, trovato all'interno della sua astronave, ma protetto da una sfera di energia, viene contattato dal figlio di uno dei ricercatori che si occupano del caso; ed è proprio l'alieno ad aver chiamato il ragazzo, possedendo capacità telepatiche notevoli che gli hanno fatto sentire che in lui vi era quell'empatia necessaria al contatto.

-"Il giardino negato", di Vittorio Catani & Eugenio Ragone (anche in "Cronache dal futuro", a cura di Vittorio Catani, Daniele Giancane e Eugenio Ragone, "Narrativa per le scuole" n. 5, ed. Franco Milella, '95; 13 pagine, pag. 47)-all'interno del tema classico dell'uomo immortale, Catani e Ragone, qui, trovano uno spunto originale. In un futuro non lontano, il ventiduesimo secolo, in cui, sulla Terra, vi sono appena quarantatre milioni di esseri umani distribuiti in diecimila centri urbani, in cui sopravvivono unicamente alcuni piccoli animali, l'uomo ha raggiunto l'immortalità: "...l'équipe di Guy Benot (riuscì ad, n.d.a.) operare concretamente sul nostro patrimonio genetico quelle mutazioni che altri avrebbero poi perfezionato, riuscendo a prolungare indefinitivamente la vita umana." (pag. 54); "Da tempi immemorabili l'eventualità di morire per malattie o per cause accidentali era stata totalmente eliminata." (pag. 56); ma solo relativamente. Dopo oltre dieci secoli, infatti, avviene un accadimento, temuto ed aspettato, anche se notevolmente rimosso dall'inconscio collettivo: una donna stà per morire. Per queste evenienze vi è un Coordinatore per ogni zona, ed il racconto è proprio la narrazione dell'opera di uno di questi su quella donna morente. Notevoli i monologhi interiori di questi, vertenti sulla vita e sulla morte, resi più pregnanti dall'essere inseriti in un contesto come questo.Inevitabile pensare che l'hybris dell'uomo che ha voluto sfidare il Tempo lo abbia portato ad un destino di estinzione inevitabile, anche se molto procrastinato nel tempo. Così come, più prosaicamente, è da notare l'incongruenza interna tra il "...ventiduesimo secolo..." in cui si vuol far svolgere l'azione e gli "...oltre dieci secoli." da cui non sarebbe più morto nessuno. Lo spunto originale di cui dicevamo è che questo Coordinatore opera, con una speciale apparecchiatura, una specie di incantesimo sulla moribonda, creando un suo simulacro che vivrà per un breve periodo. E questo, su cui si basa la struttura superficiale del racconto, è ulteriore motivo di riflessione sull'hybris dell'Uomo.

-"La via dei re", di Silvio Canavese (17 pagine, pag. 63)-racconto tipicamente fantasy, con guerre, duelli e poteri magici. Di fantastico vi è poco; il popolo cattivo ha alleati e poteri magici ("...le leggende parlavano di mostruosi alleati e di strani poteri sugli animali, di oscure arti e di possenti incantesimi...in una parola di negromanzia." (pag. 68)); e vi è un lupo enorme, col quale uno dei protagonisti sembra riuscire a parlare.

-"Belladinotte", di Donato Altomare (14 pagine, pag. 83)-ottimo racconto di puro fantastico, col tipico disvelamento della reale identità di uno dei protagonisti. Qui, è una donna bellissima che si svela essere una immortale nata pochi anni prima di Cristo, e divenuta tale per errore: "...ero la figlia di uno dei guardiani del fuoco...(che) soleva bruciare un legno...aromatico che proveniva...dall'oriente (e che) Secerneva un liquido verde smeraldo." (pag. 96).Di lei si invaghisce un mortale, che scopre, ed è questo il perno della trama, il suo segreto. Dopo le loro interminabili ore d'amore, lei era solita, infatti, baciarlo con le sue magiche labbra: "In quelle labbra c'erano la dolcezza d'Afrodite e la forza di Morfeo." (pag. 94); ma lui, con uno stratagemma, riesce a rimanere sveglio, e scopre il suo nascondiglio: "C'erano alambicchi e ampolle e fumo e gorgoglii e strani odori pungenti. E torce tremolanti." (pag. 94), e si fa svelare il suo segreto.

-"I superstiti", di Fabio Calabrese (10 pagine, pag. 99)-buon racconto un pò ballardiano su degli ex astronauti il cui destino è simile a quello dei superstiti del Vietnam, non a caso citato nel testo. Uno di questi ha delle fantasticherie paranoidi di contatti con vecchi marziani ("Dan! Ma davvero non senti, non capisci?... I marziani, milioni di anime nel corso dei millenni...aggrappati all'ultimo simulacro del loro ultimo dio, perchè non hanno altro posto dove andare, le loro case, le loro città distrutte da decine di milioni di anni, non hanno altri punti di contatto con questo piano dimensionale...e mi parlano, piano, piano imparato a capirli... Oh Dan, che gente splendida erano!" (pag. 106)); l'altro tenta di condurre una vita normale, ma,alla fine finisce per meditare il suicidio. Dicevo che è un pò ballardiano perchè l'astronauta viene qui assimilato alla schiera di nuovi miti che l'immaginario collettivo ha creato all'interno della nostra società: "Semidei, eroi, santi, salvatori della patria, guerrieri; da ultimo gli astronauti." (pag. 102). Il tutto si svolge su di un fondale di un pianeta in grave crisi: "I problemi del pianeta diventavano ogni giorno più pressanti; la Terra era sovrappopolata e sottonutrita, i costi dell'energia aumentavano e le malattie da inquinamento mietevano vittime come le antiche epidemie, anche nei paesi ad alto sviluppo tecnologico; soprattutto per il sottoproletariato urbano, le condizioni peggioravano di giorno in giorno." (pag. 109).

-"Diaspora", di Lucia P. Elpi (13 pagine, pag. 111)-racconto tutto percorso da un'atmosfera magica, sognante, davvero accattivante. Un uomo scopre, un giorno, tornando a casa, che la statua a cui stava lavorando ha preso vita. E il tenero rapporto affettivo che si instaura fra i due è, mi pare di poter dire, una specie di metafora dell'affetto dell'artista per la sua opera. Altra cosa che mi è parsa di notare, è che la Elpi abbia trasfuso la propria femminilità nella caratterizzazione psicologica del protagonista, che ha, in vero, molte valenze femminili. Credo che questo potrebbe voler significare un suo più o meno celato desiderio di maternità.

-"La stanza in fondo al corridoio", di Gustavo Gasparini (6 pagine, pag. 127)-come chi ha letto altri racconti del Nostro è abituato a sapere, i racconti del Gasparini si muovono tutti in un'atmosfera che li fa essere, più che racconti fantastici nell'accezione più pura, dei racconti surrealistici. Questo si avvale di uno dei topoi più classici della letteratura horror, ovvero quello di entità sovrannaturali che vivono in una casa dalla quale non gli è possibile uscire: "Noi non possiamo vivere fuori di qui!" (pag. 130-1).

-"…e loro verranno", di Claudio Tinivella (14 pagine, pag.135)-tutto tenuto su di un tono piuttosto leggero, divertente, racconta di un alieno piuttosto spaventato, disorientato, che arriva sulla Terra, e riesce a comunicare poco coi terrestri. Questi sono indifferenti, nei suoi riguardi, e l'indole xenofoba dell'umanità si riversa su di lui, che vorrebbe mandare un messaggio al suo pianeta. Si ha paura che gli extraterrestri vengano ad invadere il nostro pianeta. Il tipico proiettare la paura del diverso sulla figura dell'alieno è qui sviluppato dal Tinivella molto bene, con toni leggeri, facilmente assimilabili, ma non per questo meno pregnanti: "...forse non sono loro, che ci fanno paura. Siamo noi stessi, la paura che proviamo è una paura riflessa, di ciò che siamo, di ciò che potremmo essere. Di ciò che potremmo fare..." (pagg. 146-7).

-"La casa femmina", di Lino Aldani (25 pagine, pag. 151)-scarsa detective-story ambientata in un pianeta alieno, in cui l'unico motivo d'interesse sono i rapporti zoofili di alcune dame dell'alta aristocrazia di quel pianeta. Il tutto è ambientato sullo sfondo di una situazione di lotta di classe.

-"Pianeta di morte", di Miriam Poloniato (6 pagine, pag. 179)-storia che affronta uno dei temi classici dell'hard Sf, quello dell'esplorazione del pianeta selvaggio, in modo abbastanza originale. La squadra d'esplorazione di turno si trova a dover affrontare degli alieni vegetali notevolmente ostili, che li eliminano ad uno ad uno.

-"Il Dio di sabbia", di Paolo Aresi (9 pagine, pag. 187)-decisamente eccessivamente misticheggiante, narra di un'epidemia marziana fermata con la sola forza delle preghiere. Il misticismo che dicevamo lo pervade tutto, e il messaggio d'amore cristiano che vorrebbe trasmettere risulta stucchevole, anche, e soprattutto, per il fatto di averlo voluto trasmettere attraverso un racconto di Sf, tralasciando totalmente ogni seppur minima parvenza di verosimiglianza.

-"Un giorno, quel giorno", di Paolo Lanzotti (5 pagine, pag. 199)-bellissimo, è la narrazione, serrata, di un combattimento tra gladiatori alieni per il divertimento dei padroni umani, fatta in prima persona da uno di questi.

-"Piccole alterazioni", di Giorgio Ferrari (16 pagine, pag. 207)-molto divertente, è tutto tenuto su di un tono decisamente comico, e racconta di un cliente di uno strizzacervelli con un problema alquanto particolare. Egli, infatti, quando va ad evaquare, si sente: "...come entrare in una capsula spaziale, ricevere 15 G di accelerazione, viaggiare alla velocità della luce, e ritrovarsi, nel giro di pochi secondi, su un altro pianeta." (pag. 213), e fa degli stronzi: "...a forma di piramide, o di tronco di piramide...di colore blu elettrico, variegato in diversi punti, come il marmo: in verde mela, porpora, e giallo cadmio...(che) puzzano di muschio, vecchio cuoio, trementina e fieno stagionato...(e che) sono fosforescenti." (pag. 214). La spiegazione a tutto ciò è che: "...le sistole rettali, i sommovimenti dello stomaco, le contrazioni e magari le neurosi del tuo cliente sono entrate in sintonia con quelle di un abitante di un'altra Galassia, o di un'altra Dimensione. "(pag. 222). Tipicamente, lo scienziato è sciettico, e non la crede reale.

-"Sommo per i posteri", di Franco Forte (15 pagine, pag. 225)-anche questo è tenuto su di un tono divertente, anche se non propriamente comico come il precedente. E anche qui, come siamo abituati a sapere in tutta quanto la Sf, si riprende un'idea già sfruttata e la si rielabora. Una civiltà extragalattica immensamente superiore, i Protettori, prevede che nella nostra galassia le due razze intelligenti evolutesi, la nostra ed un'altra, si scontreranno fino ad annientarsi vicendevolmente. E decidono di intervenire. Rapiscono: "...le...cinque...menti che più eccellono nei campi dell'arte, della scienza, dell'anatomia, della cultura e dell'ingegno." (pag. 235) delle due civiltà, e le sottopongono ad un confronto, per stabilire quale sia la più meritevole di essere lasciata progredire fino a poter esplorare la galassia. Il protagonista è niente di meno che Leonardo da Vinci. Interessante la trovata delle rispettive percezioni che i rappresentati delle due civiltà hanno gli uni degli altri: "...voi vedete loro con il vostro stesso aspetto perchè questa è la nostra volontà. E allo stesso modo voi apparite loro come forme congeniali alle loro menti." (pag. 234-la sottolineatura è mia).

-"Alice", di Nicoletta Vallorani (7 pagine, pag. 243)-cupo, racconta la storia di una bambina con un potere paranormale che le fa vedere attraverso le coscienze della gente, facendovi emergere le loro miserie, portandole alla disperazione e talvolta al suicidio: "Io posso portare le persone a sentire il dolore. Solo il dolore per quello che hanno fatto. E che hanno cercato di dimenticare. Tu sai che posso farlo, papà, anche se non vuoi ammetterlo." (pag. 250).

-"Viale delle lucciole", di Roberto Genovesi (17 pagine, pag. 253)-un horror-noir dalle tinte raffinate, in cui, con una delle tecniche narrative più utilizzate nel genere, si racconta dello strano destino di un uomo. La struttura che dicevamo è quella della lettera letta a posteriori, in cui si racconta la storia vera e propria, con un prologo ed un epilogo nel tempo del lettore della stessa: "...sappi che quanto stò per rivelarti non è affatto frutto della mia fantasia." (pag. 267). Qui, è uno strano negozzietto in un piccolo vicolo, anche questa cosa non certo nuova, in cui il fratello del lettore trova, e ruba, una strana rivista, che, durante un temporale, si trasforma magicamente: "Prima reali ed incolori, poi chiare e distinte le immagini ospitate fino a qualche momento prima nella carta stampata, iniziarono a prendere forma di fronte ai miei occhi." (pag. 267). Ma il vero brivido viene nell'epilogo, quando il fratello, rintracciato il negozietto, e la rivista, vi trova anche la foto di lui: "Quando i miei occhi incontrarono quelli smorti di Giorgio, provai la stessa sensazione di un uomo prigioniero di una automobile in volo da un precipizio in attesa di cozzare contro la roccia sottostante e consapevole di star vivendo gli ultimi palpiti di vita... Qualcuno o qualcosa di inumano, forse alieno, forse demoniaco lo stava strappando alla vita." (pagg. 270-1).

-"La rotaio e il signor Reed", di Dario Tonani (vedi, a proposito di questo racconto, "Degradazioni", di Mirko Tavosanis, "Intercom" n. 113/114, '90, pag. 47; 10 pagine, pag. 273)-fantastico in senso lato, narra di un paese e del suo scemo del villaggio, che passa la vita a lucidare le rotaie del treno. I veri protagonisti del racconto sono, però, una giovane coppia, lui teppista, che avranno a che fare col signor Reed, fino al tragico epilogo. Davvero buono lo stile, come già il Tonani ci ha abituati.

-"Una proposta risolutiva", di Luce d'Eramo (7 pagine, pag. 285)-nel 2134, quando nei paesi sovrasviluppati la vita media è di 87 anni, mentre nel Terzo Mondo è di 49, in un ambito presumibilmente tipo Onu, si avanza una proposta, che è il discorso di cui unicamente è composto il racconto. Dapprincipio si propone l'eutanasia volontaria, ma la proposta innovativa vera e propria è: "...esportiamo i nostri anziani nei paesi del Terzo Mondo." (pag. 290). Pura Sf sociologica.

-"L'ultima corsa degli emioni", di Gian Filippo Pizzo (del ciclo di questo racconto, fa parte anche "Fendar il falco", "Astralia" n. 4, '75, e in appendice a "Nella prigione del tempo", di Walter Ernsting, "Perry Rhodan" n. 62, ed. Solaris, '81, con lo pseudonimo di Ippolito Fangizzi-tradotto in finlandese come "Viimeineen juoksu", "Portti" n. 1, '91; 11 pagine, pag. 295)-finalmente troviamo, in questo racconto, un'idea decisamente originale. Su di un pianeta colonizzato dai terrestri, si svolge periodicamente una gara singolare; la corsa degli emioni: "...animali preistorici terrestri, antenati delle successive razze equine ma ora scomparse da millenni… Quando furono colonizzati gli altri pianeti...i cavalli importati subirono una sorta di regressione evolutiva che li rese simili ai loro ascendenti primordiali." (pag. 301); "Più o meno ogni generazione, cioè un tempo variabile dai dodici ai diciassette anni normali, gli emioni si riuniscono nel luogo che ora è stato recintato; dopo qualche giorno o qualche settimana, partono tutti insieme in un galoppo frenetico, fermandosi solo quando il loro cuore si schianta, a volte dopo giorni di corsa." (pag. 303). La narrazione è serrata, gradevole e coinvolgente, affiancata dall'inevitabile storia d'amore.

-"Per Elisa", di Adalberto Cesosimo (8 pagine, pag. 309)-stupendo, è tutto intriso di una sensualità fortissima, che viene dalla commistione tra purezza ingenua e sessualità estrema, bestiale. I protagonisti sono, infatti, una giovane romantica in cerca del mitico Principe Azzurro, e due fratelli, fratello e sorella, progenie di un'antica e famelica razza inumana. Il risultato è davvero ammirabile, reso in un'ottimo stile in una narrazione avvincente.

-"Simulazione", di Pietro Caracciolo (7 pagine, pag. 319)-si è qui nella più classica Sf spaziale, o space opera, con un astronauta che fa l'ultima simulazione di atterraggio ed esplorazione di un pianeta. Ma dopo un poco al protagonista viene il sospetto che quella non sia più una simulazione, ma di trovarsi realmente su quel pianeta, e gli viene quella tipica psicosi già più volte descritta in svariate opere di Sf; quello dello sradicamento dalla Terra Madre, come mito ancestrale: "Era su Terrapieno, a centinaia di anniluce dal Centro... Si sentiva come un bambino privo dell'aiuto della propria madre." (pag. 326).

-"Sabbia", di Virginio Marafante (9 pagine, pag. 329)-lo stile del Marafante non è tra i più brillanti, ma la trama che riesce a costruire dallo spunto iniziale di questo racconto non è male. Le piogge acide fanno avanzare ovunque, sul pianeta, la sabbia; una coppia, che abita in una casa in riva al mare, viene assalita dalla sabbia. Più del finale, davvero pessimo, buona la descrizione del menage familiare dei due.

-"La scelta di ruscello", di Patrizia Thiella e Mario Sumiraschi (18 pagine, pag. 341)-tutto tenuto su di un notevole tono di poeticità, racconta del viaggio simbolico di un vecchio e della sua orsa, attraverso un'Italia svuotata, essendo tutti gli italiani dovuti partire per l'Africa, per l'imminente arrivo di una nube tossica. Questi va dapprima a Firenze, dove, nel vagare tra musei e piazze deserte, incontra un vecchio ubriaco col quale intrattiene una notevole conversazione esistenziale. Si dirige poi verso San Giminiano, ma lungo il tragitto, trova una base militare, che vandalizza il più possibile, per risentimento verso i militari in genere, causa della nube.Vi incontra un vecchio militare farneticante. A San Giminiano si ferma presso una comunità utopica di sole donne, ma poi, dirigendosi verso Roma, si imbatte in un manipolo di marines ubriachi che lo picchiano e gli uccidono l'orsa. Il tutto è appunto molto simbolico, dalla disperazione dell'ubriaco alla follia dell'ubriaco, alla speranza tenera e piena d'amore per l'umanità delle donne, fino alla brutalità dei marines, reso molto bene dai Nostri, in uno stile scorrevole ed accattivante.

-"Una piccola dama cinese", di Daniela Piegai (anche, col titolo "La dama cinese", "l'Unità" del 7 agosto '86, e in "La bambina di ghiaccio", "Lo specchio di Galadriel" n. 7, ed. Solfanelli, '89; 8 pagine, pag. 361)-racconto fantastico nel senso più ampio del termine, racconta dell'apparire, ad una donna anziana, di una gheisha in miniatura, un piccolo esserino che le ricorda sua figlia morta giovane: "Alice era così giovane quando trovò la porta che conduceva nel paese delle meraviglie..." (pag. 370); è proprio sulla contrapposizione fra quell'elemento fantastico e l'ipotesi psicoanalitica che verte, qui, la sospensione dell'icredulità. Tenue.

-"Le porte del sole", di Giampiero Prassi (9 pagine, pag. 371)-ambientato in una Milano futura senza automobili, per poter rifornire brutali razzi colmi di bombe, in un mondo oppresso da mille malanni, evoca una sorta di desiderio di ritorno alla naturalità, per fuggire al folle ingranaggio del progresso a tutti i costi: "È importante recuperare questa terra, sentirla, odorarla, calcarla nel pieno della sua gioventù, gli odori e le altre sensazioni sono così piene e vitali..." (pag. 381).

-"Cinque favole immorali", di Ugo Malaguti (4 pagine, pag. 383)-cinque brevissime narrazioni tratte da altrettante fiabe o leggende della tradizione popolare. Di immorale non è che vi sia poi molto.

-"Mondo sconosciuto", di Silvano Barbesti (9 pagine, pag. 389)-in uno scenario tipico della più classica hard Sf, si inserisce un significato allegorico. Il tipico manipolo di naufraghi spaziali vaga su un pianeta sconosciuto, e si imbatte in un essere senziente: "...di sembianze umane, per quanto, le sue dimensioni fossero estremamente ridotte. Esilissimo, dai lineamenti fini, era sospeso nell'aria muovendo le ali trasparenti, iridescenti come quelli di una libellula." (pag. 394), a cui chiedono aiuto e consiglio sul sentiero, tra quelli che si presentano a loro, da imboccare. Questi risponde enigmaticamente, e, quando i naufraghi vengono annientati da un altro alieno ("Privo apparentemente di arti, un ammasso di carne gelatinosa stava avanzando lentamente con movimenti ameboidi. Nel mezzo della massa bianca, simile a un verme, si apriva a circa due metri di altezza un orribile bocca priva di labbra. Per contrasto con quel plasma molliccio trasudante umori, le fauci spalancate munite di zanne poderose assumevano una terrificante concretezza." (pag. 397)), l'essere alato rivelava all'ultimo uomo, prima che questo venga ucciso, il significato simbolico di quel pianeta, che diviene quindi non più unicamente un luogo, ma anche un luogo mentale: "...chi aveva tracciato quelle piste? E perchè si ricongiungevano tutte in quella radura? Che funzione potevano avere quei sette sentieri paralleli? (...)"Bel-Kah-Atanamura significa: libero arbitrio." (pagg. 398-9).

-"Probability point", di Mariangela Cerrino (10 pagine, pag. 401)-anche qui, come nel precedente, abbiamo un significato allegorico che si innesta su di uno sfondo di Sf classica. In una base semi abbandonata, un ispettore scopre che da anni è stata tenuta celata una verità forse troppo psicologicamente difficile per essere divulgata sulla Terra; è da quel pianeta che vennero gli uomini che colonizzarono il nostro pianeta. In un settore chiuso da anni della base vi sono affreschi magici che rivelano parecchie cose: "...i colori incredibilmente, stupendamente brillanti degli affreschi, l'aroma delle figure danzanti, la perfetta musicalità del tempo fissato nell'eternità. L'onda d'urto lo afferrò con l'ultima figura danzante dell'affresco. Una fanciulla. Occhi scuri. Oscuri. Come l'occhio del pozzo. Le macchie d'oro chiaro potevano essere i campanelli ai polsi della fanciulla. Suoni. Musica. Aria fredda e stranamente profumata con profumi vivi. Muschio. Terra umida, erbe mature. E stelle. All'improvviso le stelle erano chiare e pulite. La notte era piena di vento ma le braccia attorno al suo collo avevano il colore della carne viva e tenera e sapevano di voglia di vivere. La fanciulla ballava. La vedeva sottile contro la luce mutevole dei fuochi rotti dal vento e la sua danza sapeva di tradizioni, di magia, di potere. Gli sorrise." (pag. 408).

-"Le magie", di Giorgio Ginelli (11 pagine, pag. 413)-che il Ginelli sia un'insegnante lo si sente molto bene in questo racconto, tutto incentrato sulla magia dei bambini, sul loro essere ancora in stretto contatto con l'inconscio, ancora liberi da tutte le restrizioni che l'essere adulti comporta. Qui, degli alieni atterrano sul nostro pianeta perchè: "Era stato deciso non importa da chi, non importa dove, che la Terra andava salvata. O meglio: andava aiutata a salvarsi, perchè aveva tutte le premesse per poterlo fare da sola. Queste premesse erano i bambini. "Bene", disse qualcuno, "alieni e bambini sarebbero diventati una coppia formidabile. Gli uni avrebbero aiutato gli altri e insieme, col tempo, avrebbero deviato il corso insano e cieco che i terrestri avevano imboccato con il progresso." (pag. 424). Nel far ciò uccidono accidentalmente un uomo ("Loro che guardavano dalla grande vetrata del battello che li aveva portati sulla Terra e Franco là fuori, con gli occhi spalancati che guardava loro e il battello. E poi Franco che si avvicinava. In quel momento tutti avevano già capito quello che sarebbe successo, e iniziarono a gridare di dolore al solo pensiero. Mai avrebbero pensato di fare una vittima con il loro arrivo." (pag. 424)), e ciò per loro è talmente grave ("Per loro era un fatto che andava al di là dell'episodio criminale, al di là dell'incidente. Al di là del ricordo. Ognuno di loro avrebbe serbato nell'inconscio un'impronta viva e straziante, che non lo avrebbe mai abbandonato." (pag. 424)), che uno di essi prenderà le sue sembianze e vivrà la sua vita fino in fondo: "...la sua forma cambiò totalmente, divenendo l'essere originario che aveva preso il posto del povero Franco." (pag. 423). Ma il vero motivo del racconto non è certo questo, ma bensì, appunto, la magicità dei bambini: "...ad una domanda diretta...su quali fossero i giochi preferiti dei bambini, rispose: "Giocare alle magie... A chi di loro fa le magie più strabilianti... E sono tutti molto bravi." (pagg. 421-2); "Era importante che gli adulti non capissero niente." (pag. 423).

Abbiamo dunque visto che, e non poteva essere che così, visto che si tratta dei migliori scrittori che la nostra Sf abbia prodotto, il livello qualitativo dei racconti di questa antologia è davvero molto buono, con qualche punta di eccellenza e qualche inevitabile caduta di tono. E che non solamente la Sf vi è rappresentata, ma anche l'horror, il fantasy ed il fantastico inteso in senso più ampio. Un'annotazione ai curatori; nel rammaricarsi della scarsità di antologie dedicate alla Sf dei nostri autori, si sono scordati di menzionare "Futuro" la notevolissima antologia del meglio della mitica rivista. Credo che sarebbe senz'altro un'ottima cosa se la World Sf Italia facesse delle antologie come questa ogni anno.

 

FUTURAOSTA

ed. Gribaudo, '90, 205 pagine, 20.000 £; © by Gribaudo Editore

  Altri contributi critici

 

-recensione di Errico Passaro, "L'eternauta" n. 101, ed. Milano libri, '91, pag. 20

 

Antologia in cui vengono raccolti i migliori racconti del Premio Courmayeur della sezione "Miglior racconto ambientato in Valle d'Aosta".

 

-"Courmayeur 2013", di Angelo Sanguineti (4 pagine, pag.15)-miglior racconto ambientato in Valle d'Aosta nell'edizine del '88, è una divertente short story che ironizza sulla pretesa dell'uomo di arrivare alle stelle quando non riesce a fare funzionare i più semplici servizi urbani.

-"Di un'avventura toccata a Giacomo Casanova, veneziano", di Fabio D'Andrea (17 pagine, pag. 21)-miglior racconto della sezione nell'edizione '90, è una sorta di mescolanza fra il genere storico e il fantasy. Infatti si svolge verso la metà del XIII° secolo, e ha a protagonista, appunto, Giacomo Casanova, ma, ad un tratto, la narrazione scivola nel fantastico, quando un elfo, mentre il protagonista stà, tipicamente, attraversando un bosco, lo apostrofa ammonendolo, altrettanto tipicamente, che c'è un pericolo che incombe su quelle terre, e chiedendogli di porvi rimedio. Non che poi la narrazione si svolga secondo quanto imporrebbero i canoni del fantasy, dopo una tale apparizione, ma continua restando sulla falsariga del racconto storico.

-"Un giorno con la legione", di Silvio Canavese (20 pagine, pag. 39)-finalista al S.O.C. '86, non è ambientato in Valle D'Aosta, ed è, evidentemente, stato inserito per presentare l'autore, che è l'organizzatore del premio. È un racconto del dopo-disastro, che si svolge in un'Europa devastata da una terza guerra mondiale che la vede teatro di uno scontro, ormai, per fortuna, improbabile, fra le due superpotenze. La legione di cui al titolo è l'armata comune europea creatasi proprio a difendere, anche se, forse, solo simbolicamente, il vecchio continente. La narrazione si incanala non, come si potrebbe pensare, lungo la direttiva del racconto di guerra, ma, piuttosto, lungo quella del racconto di sentimenti, incentrato com'è sull'apparire, fra le truppe stremate, di una bambina, che darà loro un pò di sorrisi.

-"Gita alle Coppelle", di Sergio Tuccia (anche in "Vangelo elettronico", "I calicanti" n. 4, ed. Keltia, '94; 18 pagine, pag. 61)-buon racconto di Sf un pò alla Lovecraft, col suo mischiare elementi di space opera con altri di dark-horror. Nella presentazione all'autore si dice, fra l'altro, che è un'ammiratore di Asimov, e ciò si riscontra nel novum specifico di questo racconto, prettamente scentifico; il masso alieno al centro della trama produce effetti strani perchè, essendo di un altro sistema solare, si muove entro limiti di tempo totalmente differenti dai nostri, a causa della struttura della materia di cui è composto. Che, poi, ciò abbia delle attinenze con la realtà scientifica, ho dei serissimi dubbi, ma poco importa; il racconto è divertente, e si legge bene.

-"L'ultima cordata", di Domenico Gallo (17 pagine, pag. 81)-In cui si racconta di una Valle D'Aosta futura abbandonata a causa delle discariche radioattive cosparse per le sue belle montagne. Un'utopia negativa, quindi, che viene resa, poeticamente, attraverso il racconto di due nostalgici dell'alpinismo che tentano, pagandola caramente, di scalarle ugualmente.

-"Compagno di viaggio", di Miriam Poloniato (20 pagine, pag. 99)-un fantasy in cui un bambino percorre un percorso iniziatico, avendo come spirito guida un uccello, l'incontro col quale molto ricorda quello che avviene in "Il segreto del bosco vecchio" di Buzzati: ""Ti sorprende che io parli? E perchè non dovrei farlo? Tu parli sempre con me o da solo, dunque perchè non dovrei farlo io?"-il tono era di rimprovero", proprio perchè si contrappone nettamente all'assoluta non sorpresa di Sebastiano Procolo là.

-"Il gran Pan non è morto", di Claudio Asciuti (33 pagine, pag. 121)-Il più lungo dell'antologia, è ambientato in una Valle D'Aosta futura inquinatissima, ed è incentrato su di una ipotetica organizzazione terroristica autonomista. A parte la parte di azione, stucchevole, regala buoni sprazzi poetici, soprattutto all'inizio.

-"Occhi di pietra", di Tina Bernardini Mantelli (11 pagine, pag. 157)-racconto piuttosto complesso, dalla struttura ad incastro, partendo dalla tipica narrazione di una storia di un personaggio ad un altro, che poi si complica, fa sbandare il lettore, per poi riportarlo, dapprima col sovrapporsi della narrazione primaria con quella secondaria, e, proprio con le ultime parole, riportando il tutto ad un parificazione catartica.

-"Massimiliano D'Aosta", di Alberto Henriet (6 pagine, pag. 169)-è un racconto un pò dickiano, in quanto incentrato sulla scoperta, da parte del protagonista, della vera realtà dietro quella fittizia propinata dal potere. Il finale, però, è profondamente diverso, in quanto positivo, ottimista.

-"L'orto di Jean", di Emanuela Guarnerio (9 pagine, pag. 177)-un fantasy puro, che racconta di un pastore che ha come hobby quello dell'orto; solamente che il suo l'ha costruito al limitare di un bosco magico: "...ad un passo da un luogo che, da tempo immemorabile, era stato considerato il mondo di ogni sorta di fate; s'erano visti gnomi, mostriciattoli di ogni forma e dimensione, folletti verdi e folletti rossi, e addirittura fate delle piante." (pag. 179). La storia è molto semplice, come deve essere quella di una fiaba, ma condotta sapientemente, tanto che, penso, possa catturare l'attenzione di qualunque adulto.

-"Una gita in montagna", di Guido Ottolenghi (19 pagine, pag. 187)-classico racconto sul primo contatto, affronta l'argomento in maniera decisamente ingenua, ipotizzando possibile, addirittura, un immediato aiuto ad un alieno naufragato sulle alpi valdostane da un gitante. Divertenti, invece, le idee di un apparecchio leggi-pensiero, quale ringraziamento dell'alieno, anche se non certo originale, e quella del motivo per cui l'alieno è precipitato; la nebbia, fenomeno atmosferico assente sul suo pianeta.

 

Le considerazioni che si possono fare su questa antologia non sono poi molte; sarebbe stata forse più rappresentativa se avesse contenuto i racconti vincitori della sezione dei vari anni, che, fin'ora, non sono stati pubblicati, tranne, appunto, i primi due di questa antologia, e, si sarebbero potute segnalare le edizioni in cui i vari racconti hanno partecipato. La qualità dei testi non è eccelsa, anche se qualche cosa di buono, tipo quello della Poloniato, c'è. Il prezzo non è inaccessibile, l'edizione ottima e anche ben illustrata dalla bravissima Eta Musciad, ma il fatto di essere edito da questo piccolo editore la rende difficilmente reperibile; se riusciste a trovarla, comunque, acquistatela senz'altro.

 

FANTASIA, a cura di Franco Forte

"Raccolta Millelire" n. 5, ed. Stampa alternativa, '95; © by Stampa Alternativa/Nuovi equilibri; 566 pagine, 10.000 £

Altri contributi critici

 

-recensione di Enrico Rulli, "Cosmo Sf" n. 1/'95, ed. Nord, in "Fandominformazioni"

-recensione di Sergio Brancato, "Isaac Asimov Sf Magazine" n. 16, ed. Phoenix, '95, pag. 143

-recensione di Franco Ricciardiello, "Future shock" n. 16, ’95: http://digilander.iol.it/carruggio/fsk16/fantasia.htm

 

 

Seconda bella antologia che la Stampa alternativa dedica, nello stesso anno, al nostro genere, sempre curata dal quel Franco Forte che già tanto ha fatto per la sua promozione. Dopo "Horror erotico", ecco questa, ottima, in cui sono rappresentati tutti i vari sottogeneri che la nostra letteratura fantastica ha saputo generare, dalla Sf classica, al fantasy, all'horror, al thrilling psicologico, senza trascurare, lacuna colmata dal curatore stesso, il cyberpunk.

Ma, prima di dire altro, andiamo ad esaminare i racconti ad uno ad uno.

 

-"Sulle ali di Stinger", di Franco Forte (15 pagine, pag. 7 1° volume)-ottimo racconto cyberpunk del curatore, inserito, come dice lui stesso, : "Al momento di chiudere questa raccolta ho scoperto con sorpresa che mancava un tassello importante per delineare il maggior numero possibile di componenti in cui si suddivide la letteratura del fantastico: il cyberpunk.... Ho deciso quindi di provvedere io stesso..." (pag. 5). Vi si racconta della navigazione nei gangli della Rete di un giovane alla ricerca dell'anima della sua ragazza, che era andata a sfidare i sistemi difensivi delle Multinazionali, che nessuno mai osava sfidare: "Davanti a lei c'erano gli uomini che l'avevano violentata, la società crudele e indifferente che si era sempre disinteressata del suo caso, i ricchi e i potenti che avevano dimenticato con disprezzo le esigenze di gran parte della popolazione per dedicarsi unicamente allo scopo di accrescere il loro potere." (pag. 18).

-"L'invasione degli ultracorti (invasion of the body squeezers)", di Enzo Verrengia (anche in "La gazzetta del mezzogiorno" del 7 agosto '93; 24 pagine, pag. 25 1° volume)-racconto umoristico intriso di riferimenti alla recente vita politica italiana.

-"Hercules graffiti", di Paolo Aresi (12 pagine, pag. 51 1° volume)-bel racconto d'atmosfera, in cui, ballardianamente, si esplora lo spazio interiore di...un'esploratore spaziale, alla disperata ricerca di una qualche forma di vita aliena, puntualmente disattesa, di ammasso stellare in ammasso stellare.

-"Mexican radio", di Marco Pensante (31 pagine, pag. 5 2° volume)-racconto psichedelico in cui si racconta dell'agonia delirante di un musicista malato di cancro, in cui si sentono chiarissimi gli echi de "Il pasto nudo" di Burroughs, come anche si dice nell'introduzione.

-"Buio", di Paolo Lanzotti (22 pagine, pag. 39 2° volume)-bel racconto robotico in cui si immagina un robot addetto alle esplolorazioni sottomarine e dotato di una mente ricavata da una matrice umana, che, mentre è proprio in azione nei fondali marini, impazzisce; la sua parte umana si scinde da quella meccanica, creando un conflitto, per così dire, interno, ma che la parte umana recepisce come un attacco dall'esterno; particolarmente interessante un passaggio in cui, tipicamente, il robot si interroga sul suo essere più o meno umano: "E poi, il pensiero, IL PENSIERO. Sarà quella, la morte? Come la liquida, greve notte di giaccio che incombe su di lui da ogni parte? È un pensiero insolito quello che stà saettando, frenetico, nella rete neurale.(...)...è arrivato a comprendere che il concetto di cessazione delle funzioni vitali non avrebbe potuto far parte della sua matrice mentale originaria." (pag. 49).

-"I giorni del vento", di Giuseppe O. Longo (22 pagine, pag. 5 3° volume)-ottimo racconto d'atmosfera, direi quasi surreale, in cui si immagina una città sulla quale è scesa una tremenda punizione: "La legge fu infranta, perciò fu mandato il castigo." (pag. 17). È una specie di castigo biblico, : "Le piaghe del castigo sono tre. La prima è la siccità, i campi inaridiranno e le bestie moriranno di sete. La seconda è il vento, e le costruzioni degli uomini saranno consumate nei secoli. Ma la terza è il fuoco e nessuno potrà scampare." (Idem), della quale, nel racconto, si è arrivati alla seconda: "...il vento fu portato dai tre giganti di pietra che poi si trasformarono in mulini." (pag. 18), ed essa aumenta coll'accumularsene di altre:"...ad ogni ulteriore infrazione dei cittadini la sua gravità aumenta." (Idem). Questo suo essere in stile biblico fà pensare che debba avere una qualche morale, ma esso, l'autore lo fà rimanere opportunamente celato, lo cripta, per così dire, dietro il comportamento di quella che si può dire essere la protagonista, una componente del gruppo di turisti che vi si muove, che, alla fine, direi, si fà prendere da delle forze misteriose, aumentando la punibilità di quella cittadina.

-"Torino", di Franco Ricciardiello (anche in "Intercom" n. 146/147, '97, pag. 8, e in "Delos" n. 42, ‘98-‘99: http://www.delos.fantascienza.com/delos42/torino.html-finalista (2), premi "Italia" ’96, (2), "Courmayeur" '96; 32 pagine, pag.29 3° volume)-racconto ucronico che immagina un passato (il '66), in cui non ci sia mai stata una 2° guerra mondiale, ci sia un: "...Oriente ricco e democratico..." e un'Italia a regime fascista invada la Svizzera, e conseguenze susseguenti. L'edizione poi apparsa sulla nostra fanzine, è quella completa, che Ricciardielo dovette tagliare per esigenze di spazio; vi è un lungo paragrafo, su un'attentato a Damasco, in più, piuttosto chiarificatore, come dice l'autore stesso, oltre a varie altre spiegazioni, nell'introduzione, "Torino: un metodo (narrativo) per veicolare informazione complessa" pag. 7. Risulta, infatti, così, una lettura alquanto difficile da supportare, troppi pochi agganci cognitivi; dispersivo.

-"Il vampiro della Versilia", di Carlo Bordoni (38 pagine, pag. 5 4° volume)-thrilling psicologico con serial killer, senza alcun elemento che lo possa connotare come fantastico.

-"La città morta", di Franco Clun (19 pagine, pag. 45 4° volume)-unico racconto fantasy dell'antologia, ne segue pedissequamente gli stilemi; ne risulta, comunque, un divertissment piacevole, senza alcuna pretesa, appunto, di voler comunicare qualcosa.

-"Re'em", di Massimo Pandolfi (12 pagine, pag. 5 5° volume)-il Pandolfi ci ha già regalato altri bellissimi racconti di zoologia parallela, e, questo, non fà certo eccezione; vi riesce a creare un'atmosfera irreale, soffusa, sospesa fra realtà e fantasia, che lo rende, come gli altri (pochi) suoi racconti che ho potuto leggere, veramente inimitabile. Il ciclo della zoologia fantastica annovera diversi racconti apparsi su fanzines e sul "Gazzettino di Venezia", fra i quali "Zoologia parallela" (in "Le ali della fantasia", del quale, la prima parte è "Fragilaria incantus", apparso in "La collina" n. 2, ed. Nord, '81).

-"Domino", di Gloria Bàrberi (29 pagine, pag. 19 5° volume)-buon racconto d'atmosfera in cui si fà una sorta di discorso sulla letteratura fantastica, su quanto essa possa entusiasmare, su quanto, attraverso di essa, si possa dire, attraverso una narrazione che, prendendo dalla biografia di William Beckford, e dal suo "Vathek" ("Oscar babele" n. 18, ed. Mondadori, "Tascabili" n. 547, ed. Bompiani, e in "I grandi romanzi dell'orrore", ed. Newton Compton), ci porta in un mondo magico nel quale si mescolano letteratura e incantesimi, passione e, appunto, magia.

-"Tarentula", di Daniele Brolli (41 pagine, pag. 5 6° volume)-è, come dice il Forte nell'introduzione, una "tragica favola kafkiana", un pò perversa e un pò aracnofobica.

-"La donna che veglia", di Roberto Genovesi e Errico Passaro (13 pagine, pag. 49 6° volume)-in cui si riprende un pò l'atmosfera tipica del romanzo gotico, facendola rivivere ai giorni nostri; buona atmosfera, avvincente.

-"Prima del buio", di Vittorio Curtoni (18 pagine, pag. 5 7° volume)-ottimo racconto, come la maggior parte dell'opera del Vittorio, in cui, un pò come in "I figli della paura", di Dan Simmons ((Childern of the Night, '92), "I blues", ed. Mondadori, '95), si mischiano il tema classico del vampiro e quello, attualissimo e drammatico, dell'AIDS.

-"Giulio del grano", di Dario Tonani (37 pagine, pag. 25 7° volume)-ottimo racconto in cui, tipicamente, la quasi totalità della narrazione si rivela, nel finale, essere null'altro che le fantasticherie, ancestrali e pagane, di un bambino che, dalla finestra, vede una sorta di uomo nero.

-"Tempo di salpare", di Renato Pestriniero (12 pagine, pag. 5 8° volume)-racconto onirico, direi simbilico, di un simbolismo, però, alquanto criptico, ma, comunque, di buon effetto.

-"Lasciate che i coniglietti vengano a me", di Mauro Scarpelli (26 pagine, pag. 19 8° volume)-tutto tenuto su di un tono, direi, farsesco, è l'intricatissima storia di un bambino dotato di poteri speciali che non vuole mai smettere di esserlo, dalla sua infanzia di trentasette anni al suo paese, con la nonna che gli racconta le fiabe (?), alla sua missione su di un'astronave ad esplorare nuovi pianeti per la Marina Spaziale, guadagnata vincendo... In sintesi, la storia del normale arrovellarsi della mente di un'adolescente, combattuto fra il rimanere bambino e il diventare adulto, risolta, forse, nel migliore dei modi: "Sono cresciuto nel frattempo, sono maturato, ma non ho smesso di sognare..." (pag. 44). Notevoli le scene di sesso, nelle quali si evidenzia l'incapacità, tutta adolescenziale, di rapportarsi, direi, pariteticamente, con una donna.

-"Pazza", di Mauro Antonio Miglieruolo (48 pagine, pag. 15 9° volume)-il più lungo dell'intera antologia, ha, come novum denotentelo quale racconto fantastico, quello del tema classico del robot, qui del tipo collaboratore familiare, ma, in effetti, è incentrato sulla condizione di frustrazione nella quale la stragrande maggioranza delle casalinghe vive.

-"L'appuntamento mancato", di Gianfranco de Turris (8 pagine, pag. 5 9° volume)-il più breve dell'antologia, è un ottimo esempio di quello che dovrebbe essere una short story; un rapido crescere della tensione, a sfociare in un finale a sorpresa. Vi si racconta, semplicemente, di un incontro fra un appassionato di letteratura fantastica e niente di meno che H.P.Lovecraft...nella metropolitana di Parigi.

-"Delitto in Paraguay", di Daniele Ganapini (20 pagine, pag. 5 10° volume)-racconto sulla letteratura, in cui, cioè, lo scrittore conduce per mano il lettore passo per passo, segnalandogli di volta in volta i trabocchetti che egli stesso dissemina. Il più eclatante è quello dell'indicazione dell'essere una pista falsa quella di Giuda, per poi introdurre il leit motive della coppia che giunge "...in una notte buia e tempestosa..." nella dimora tenebrosa: "Una bufera incredibile allora incarognì sul mondo. Chiaramente si trattava di un nubifragio che nulla aveva a che vedere...la locanda che si trovarono di fronte assumeva, al di là del triste aspetto di bettola... Quello era l'unico posto dove avrebbero trovato da dormire." (pag. 14-la sottolineatura è mia). Veramente notevole.

-"La battaglia degli alberi", di Silvio Canavese (20 pagine, pag. 27 10° volume)-altro racconto fantasy, ma, questa volta, decisamente buono; vi si racconta di una battaglia vinta dai celti, inferiori, in quanto ad armamenti e a strategie militari, sui romani invasori delle loro terre, per mezzo di uno strattagemma...musicale.

 

Come abbiamo visto, il livello qualitativo medio è davvero notevole; veramente pochi i racconti sottotono, e, più che altro, per il solo fatto di non essere del tutto inscrivibili all'interno del nostro genere, non tanto per la loro qualità. Nell'introduzione, il Forte ci dice che aveva sottomano molti altri buoni racconti, che se l'editore l': "...avesse messo a disposizione un cofanetto da venti Millelire, o meglio ancora da trenta, allora forse avrei avuto qualche speranza in più di completare l'affresco, e questo per affermare che la letteratura dell'immaginario italiana è in grande fermento, ha veri talenti da esprimere e può avere la capacità di trovare spazio anche al di fuori delle anguste praterie dell'editoria specializzata." (pag. 4). Ed è davvero un buonissimo aiuto, questo che dà alla nostra letteratura. Per finire, anche questo volume è confezionato, come "Horror erotico", in maniera decisamente intrigante; i dieci fascicoletti di cui è composto, 10,5 x 15, sono racchiusi in un...pacchetto di sigarette gigante!! Franco Forte ha curato anche un'altra antologia, per questa casa editrice, "Cyberpunk". Una gran bella cosa sarebbe se, prossimamente, la Stampa alternativa ci fornisse altre, di queste divertenti antologie.

 

CYBERPUNK, a cura di Franco Forte

"Raccolta speciale Millelire", ed. Stampa alternativa, '95, 9 volumi, 399 pagine, 20.000 £ 

 

Dopo "Fantasia" e "Horror erotico", Stampa alternativa ci ha offerto, nello stesso anno, a novembre, quest’altra antologia di letteratura fantastica italiana, sempre a cura di Franco Forte. Che, questa volta, si presenta come una grossa confezione di "Kinder", quello del "più latte e meno cacao", con, in copertina, un bambino che, in mano, invece della confezione della merendina, regge un floppy disk; e, infatti, la confezione contiene anche un dischetto per l’attivazione di Internet, per il vecchio Windows 3.1. Uno dei primi lavori organici nel nostro paese su questo fenomeno, è composto, come le precedenti, da volumetti separati, racconti, appunto, in queste confezioni creative. Qui, sono nove.

 

Nel primo troviamo, dopo una breve e non molto significante (forse oggi), presentazione del curatore, due suoi racconti:

(Franco Forte) "Quinta dimensione" (12 pagine, pag. 5), in cui si racconta di un viaggio in questa quinta dimensione, nella quale si intersecano gli infiniti universi, dal quale tornerà uno solo dei viaggiatori, gli altri considerati sacrificabili. Di realmente cyberpunk vi è solamente l’atmosfera, più che altro della prima parte, per così dire introduttiva.

E "Acciaio" (14 pagine, pag. 17), che racconta di un sicario armato con un coltello...a ricerca automatica!!

Gli altri contengono racconti, o saggi, singoli.

Nel secondo troviamo "Il mistero del sashimi a orologeria", di Marco Pensante (75 pagine), buono, in cui si racconta di un investigatore privato alla caccia di una ragazzina che gioca a fare l’hacker; vi è una lunga scena davvero molto buona di viaggio all’interno del cyberspazio.

Nel terzo "La corsa di Jimmy Boot", di Giampaolo Proni (43 pagine), che racconta di un hacker, e della sua fuga dopo aver rubato una montagna di dati scottanti.

Il quarto contiene "We live in a list", di Pina D'Aria (27 pagine), storia di hacker, con la sua buona dose di sesso e violenza.

Il quinto "Virtual killer", di Stefano Di Marino (43 pagine), che racconta di un creatore di videogiochi a cui viene proposto di uccidere per soldi; e che, al momento buono, non lo farà. Pare che sia tratto da una serie di fumetti dell’autore.

Nel sesto c'è "Carcinoma tango", di Domenico Gallo (43 pagine), splendida storia, molto bladerunneriana, di un "cercapersone" che, in un futuro in cui: "...scompaiono migliaia di persone al giorno, calpestate dalla folla, ammazzate dai teppisti, catturate dalle squadre delle cliniche dei trapianti, divorate dalle bande cannibali." (pag. 32), ne deve cercare una che, per lui, viene ad avere un’enorme significato; ha, infatti, il cancro, e, se la trova, gli hanno promesso la cura; costosissima, ma già possibile. Si svolge, tutta, in un’atmosfera, appunto, molto simile a quella che si respirava di "Blade runner", e nei suoi epigoni sia filmici che letterari (cos’è, in fin dei conti, poi, il cyberpunk?), di droghe, degrado e sesso sporco.

Nel settimo "Saluti dal lago di Mandelbrot", di Franco Ricciardiello (43 pagine), in cui gli elementi ballardiani che contraddistinguono l’autore si mescolano abbastanza bene a quelli del cyberpunk; la mappatura frattale del corpo di una donna diventa strumento di scoperta di una malefatta di stato.

Gli ultimi due volumetti contengono saggistica; nell’ottavo troviamo "Cyberpunk: istruzioni per l'uso", di Antonio Caronia, ottimo per un inquadramento storico del fenomeno, e l'ultimo "La nuova fantascienza: dal cyberpunk allo slipstream", di Piergiorgio Nicolazzini, comprendente un breve saggio e una bibliografia molto particolareggiata sul fenomeno.

 

Già nello speciale "Cyberpunk": http://www.intercom.publinet.it/Cyberpunk1.htm.

 

A LUCCA, MAI!, a cura di Ugo Malaguti e Mario Tucci

"Narratori europei di science fiction" n. 3, ed. Perseo Libri, '96; © by Perseo Libri s.r.l.; 540 pagine, 50.000 £

 

 

Ancora una buona antologia di fantascienza italiana della Perseo, dopo "Pianeta Italia" e "I racconti fantastici di Montepulciano", nei primi due numeri di questa collana.

Lo strano titolo è dovuto al fatto che l'idea di essa nacque, nei curatori, dai veri fan che li conosciamo essere, dall'istintivo moto di rabbia che li colse nel sentire la famosa frase di Carlo Fruttero, pronunciata ad un programma radiofonico agli inizi degli anni '60: "...un disco volante poteva atterrare in qualunque parte del mondo: a New York, a Londra, a Pechino, a Mosca, e questo sarebbe stato ragionevole e plausibile. Ma che lo stesso disco volante, a Lucca, non avrebbe potuto posarsi mai." (pag. 11, "Nota introduttiva" dei curatori), per darvi: "...una risposta che non fosse parziale, o polemica, o meramente dialettica." (pag. 12).

È un'antologia che vuole dare degli esempi significativi delle varie epoche della Sf nostrana, e, mi pare, vi riesce abbastanza bene.

Ma andiamo ad esaminare i singoli racconti.

 

Si comincia con "I giorni della cometa", di Giorgio Monicelli (11 pagine, pag. 17). È una struggente storia dell'amore di un padre per la prematura scomparsa del figlio, incorniciata nella narrazione di una gita familiare a vedere il passaggio di una cometa: ""Com'è bella" disse Maria "Chissà da dove viene.". "Dallo spazio infinito, " le rispose Carlo, sommesso. "E all'infinito ritornerà. "Un silenzio quasi sospeso."...come il nostro Paolo, " aggiunse" (pag. 29).

C'è poi "Tre terrestri e un marziano", di Luigi Rapuzzi (anche in appendice a "I coloni dello spazio", di Charles Carr, "I romanzi del cosmo" n. 11, ed. Ponzoni, '58, con lo pseudonimo di Louis R. Steyner; 16 pagine, pag. 31), della fine degli anni '50, che è firmato con uno dei suoi tanti pseudonimi, L.R. Johannis, in cui si racconta, piuttosto banalmente, di un ubriacone a cui si manifesta un marziano, con le evidenti conseguenze ironico-umoristiche. Mi pare significativo questo passaggio: "E finalmente la "cosa" venne. Dico la "cosa" per non dire il "disco volante" perchè si trattava proprio di un disco volante, vogliate crederlo o meno. Ma la faccenda dei dischi volanti ha scocciato l'umanità intera durante gli ultimi dodici anni in modo tale che solo a sentirli nominare mi viene la nausea. Perciò dico: la "cosa"." (pag. 47).

Altro racconto a rappresentare questi anni pionieristici della Sf nostrana, troviamo "Il bastone del regicida", di Franco Enna (anche, in 2 puntate, 1° in appendice a "I pionieri di Marte", di E.C. Tubb, "Urania" n. 157, 2° in appendice a "La città e le stelle", di Arthur C. Clarke, "Urania" n. 158, ed. Mondadori, '57, nella serie "I racconti impossibili"; 10 pagine, pag. 51), un racconto, dalle buone atmosfere, decisamente fantasy in cui si narra di Fuyon, uno spirito del male, e della sua uccisione.

Ed ecco un racconto del terzo componente della pionieristica redazione de "I romanzi di Urania", Patrizia Dalloro; si intitola "L'isola del mostro" (14 pagine, pag. 63) dei primissimi anni '50, ed è, prevalentemente, psicoanalitico, incentrato sul tipico evento traumatico infantile. Qui, l'autrice riveste, per così dire, il superamento di esso, di concretezza; in altre parole, lo pone di fuori, gli dà sostanza; qui, ovviamente, lo fà, come spesso, ad esempio, nelle fiabe, dando una personificazione fantastica all'elemento scatenante. Veramente molto buono, è tutto quanto sospeso in un'atmosfera soffusa, in cui si dà un'immenso spazio ai sentimenti; non per nulla, credo, l'autrice era, prevalentemente, una scrittrice di romanzi rosa.

Proseguendo con questi racconti degli anni '50, ecco "Crono, il signore del tempo", di Leonia Celli (9 pagine, pag. 79; inedito, facente parte di una serie in cui, appunto, riprendeva temi mitologici classici, e li rielaborava), una rivisitazione in chiave moderna del mito di Prometeo, partendo dai miti di creazione, cosa che, pare, fosse particolarmente in voga in quegli anni. Con quello che segue è un racconto di un vero e proprio scrittore di Sf, ovvero, non di professionisti dello scrivere che si siano dedicati anche alla nostra letteratura.

"Omicidio extragalattico", di Giovanna Cecchini (17 pagine, pag. 91) fà parte di una serie che apparve sulla mitica "Oltre il cielo", ma, questo, scritto agli inizi degli anni '80, quando l'autrice riprese a scrivere, per "Nova Sf*". È un giallo ambientato in una cornice fantascientifica, un pò sulla falsariga dei molti racconti simili del buon dottore Asimov, davvero di pessima fattura, come molti dei racconti che apparvero su quella rivista.

"Dies illa", di Marco Paini (anche in "Tutte le trappole della Terra", di Clifford D. Simak, "Gamma" n. 10, anno 2°, ed. Dello Scorpione, '66; 5 pagine, pag. 111) è la narrazione di un episodio della vita di un giovane scienziato pazzo contemporaneo; davvero brutto.

Altro racconto degli anni '60, ecco "Congedo di maggio", di Sandro Sandrelli (5 pagine, pag. 119), del '64, che ha avuto come fatto ispiratore quel decreto del '63 per il quale il presidente della Repubblica non può presentarsi alle elezioni allo scadere del mandato. Mi pare di capire che il Sandrelli non sia stato molto daccordo; a parte ciò, è un buon racconto, con un bel pò di poesia che si mescola alla prosa, cosa che caratterizza tutta quanta la sua produzione.

C'è poi "Silenzio su Terra", di Anna Rinonapoli (anche in "Europa", "Interplanet" n. 5, ed. La tribuna, ’64, "Fenarete" n. 127-128, ’71, "Dimensione cosmica" n. 11, ed. Solfanelli, '87, e "Stelle dell'orsa minore", "Minas Tirith" n. 7, ed. Solfanelli, '89; 3 pagine, pag. 127), in cui si dice della disperazione profonda dei terrestri, conquistati e asserviti agli extraterrestri. Lo stile di scrittura è un pò tipo lo stream of consciousness di Joyciana memoria.

Si prosegue con "Il mercenario", di Antonio Bellomi (8 pagine, pag. 133), storia di guerra interplanetaria, in cui si fà particolare attenzione a quelli che sono i rapporti interpersonali, i sentimenti, più che altro, di scoramento che colgono i soldati dopo aver partecipato ad azioni di guerra particolarmente cruente.

Di Roberta Rambelli, c'è "Dialogo con il Dio" (anche in appendice a "Le nevi di Ganimede", di Poul Anderson, "Galassia" n. 19, ed. La tribuna, '62; 14 pagine, pag. 143), in cui c'è il tipico approccio all'invasione di un pianeta pre-civilizzato tramite degli inviati fatti credere divini. Qui, in aggiunta, questi sono automi, monitorati dalle astronavi degli invasori. Il racconto è costruito in modo tale che si viene a creare una buona atmosfera, attorno a questi dèi, che viene, nel finale, soddisfatta, nell'altrettanto tipica catarsi.

Il successivo è "La luna non è mai stata così bella", di Massimo Lo Jacono (10 pagine, pag. 159); sfacciatamente dickiano, si ispira platealmente al bellissimo "Do Androids Dream of Electrich Sheep?". Ci sono, infatti, il cacciatore di androidi, l'androide femmina, e il programmatore di androidi, anche se non hanno le stesse connotazioni psicologiche che là. Il racconto avrebbe dovuto apparire su "Futuro", che poi chiuse.

Ed eccoci a "Compagno di viaggio", di Renato Pestriniero (anche in "Antologia di fantascienza", "Interplanet" n. 4, ed. La tribuna, '64, "Grande enciclopedia della fantascienza" n. 4, ed. Del drago, '80 e in "THX 1138" n. 4, '86; 8 pagine, pag. 171); molto buono, tratta del tema classico del primo contatto con gli alieni, ma lo fà badando, prevalentemente, agli aspetti umani, di esso, ai contraccolpi psicologici, soprattutto. Qui sono dei due astronauti che si imbattono, improvvisamente, in un'astronave aliena; uno impazzisce subito, ed il racconto è la narrazione proprio del lento scivolare dell'altro nella pazzia, fino a vedervelo completamente sprofondato nel finale: "Io amo questa casa, ...mi difende dagli orrori che ci sono fuori.Io lo so che fuori ci sono cose orribili che girano e girano in cerca di una fessura, di un'apertura qualsiasi per entrare." (pag. 180), in cui la casa è ciò che l'astronave è diventata, nella mente impazzita dell'astronauta, e gli "orrori" gli alieni.

Quello che segue è forse uno dei più bei racconti della fantascienza nostrana, "Trentasette centigradi", di Lino Aldani (originariamente apparso nel n. 4 di "Futuro", dicembre '63; 27 pagine, pag. 183), di cui abbiamo trattato commentando i racconti in "Futuro".

C'è, poi, un racconto di quello che ritengo essere uno fra i nostri migliori autori, Vittorio Catani, "Storia di Omero" (anche in "Oltre..." n. 1, anno 1°, ed. Sanesi, '91, e in "Terzo millennio", a cura di F.Forte; 5 pagine, pag. 213), ambientato in un medioevo prossimo venturo in cui l'Italia si è frantumata in infiniti mille staterelli, ducati, eccetera, racconta di un ritorno, in cui a prevalere sono, senz'altro, la tenerezza e l'amore, anche se l'Omero del titolo è un Sintetico, che, quale supremo atto d'amore, viene disattivato.

Altro racconto di un autore a me particolarmente caro, ecco "L'uomo, l'ombrello e altre cose", di Vittorio Curtoni (17 pagine, pag. 221), ambientato in uno degli scenari tipici delle sue opere, un futuro prossimo molto cupo, gravato da un notevole degrado ambientale, ed intriso di una paranoia altrettanto cupa. Ma la storia che racconta è, per così dire, allietata da un personaggio molto divertente, niente di meno che un ombrello parlante. Veramente molto buono, così come chi ne ha letta un pò, tutta quanta l'opera del Curtoni.

C'è poi un breve racconto in forma di sceneggiatura, "Preludio all'incubo di domattina", di Pierfrancesco Prosperi (6 pagine, pag. 241), in cui si racconta del capodanno del 2000, sotto forma di novella nella novella, col tipico finale a rovesciamento delle short story. Divertente, anche, l'idea del doppio finale del racconto fittizio.

Segue "Fuori dal tempo", di Luigi Naviglio (anche in "I romanzi del cosmo" n. 181, ed. Ponzoni, '65, col titolo "Pensionati del 2.000", "Don Archer" n. 9, con il titolo di "Eleanor Rigby", in "Extra" n. 11, "Gemini" n. 5 e "Folla"; 12 pagine, pag. 249), in cui tratta del tema degli anziani, del loro possibile domani, in una società come la nostra, in cui chi non produce è sempre più messo ai margini. E lo fà davvero bene, con toni lievi, non potendo non suscitare, credo, dei sentimenti di sentita commozione; in un futuro antiutopico un pò alla Orwell, gli anziani sono, così come, d'altronde, ogni cittadino, solamente dei numeri, ossessivamente accuditi da fredde macchine; possono protestare, se vogliono ma: "...una cittadina pensionata, la OS 763 se ricordava bene il numero, ...l'ha fatto. Poi nessuno l'ha più vista." (pag. 255).

"L'arte del finale ovvero racconto infinito", di Mauro Antonio Miglieruolo (15 pagine, pag. 263), è un racconto dalla struttura decisamente insolita; vi sono, infatti, un breve antefatto, un breve inizio di finale, e poi otto finali differenti. Ciò lo rende, indubbiamente, piuttosto divertente, ma il tema di cui tratta non lo è affatto; vi si racconta, infatti, di una fabbrica che licenzia tutti i suoi dipendenti umani per sostituirli con robot. Per chi non avesse letto alcuna opera, prima di questa, del Miglieruolo, dico che il trasparente marxismo che vi si riscontra, è caratteristica costante di tutte le sue opere. Divertente l'insolita forma di protesta che prende piede fra gli operai.

Si prosegue con "Il generale", di Luigi Cozzi (anche in "Solaris" n. 11, ed. Garden, '88; 9 pagine, pag. 281), un tipico racconto ucronico, in cui si racconta di come l'Eroe dei Due Mondi, in questo passato alternativo, lo sia stato realmente: "...lui invece l'ha accettato (l'invito ad andare a combattere nella guerra di secessione americana, n.d.a.) e che poi...con lui e con gli altri volontari anch'io sono partito e...l'oceano ho attraversato e in America ho combattuto, agli ordini del generale Garibaldi contro l'Esercito Confederato a Gettysburg..." (pag. 290).

Troviamo, poi, "Il cavaliere gelido", di Francesco Tamagni (20 pagine, pag. 293), divertente racconto fantasy scritto interamente in una specie di simil italiano arcaico, che, superato il primo momento di smarrimento, può risultare anche piacevole, anche perchè infarcito di neologismi decisamente odierni.

C'è, poi, "…e restammo a guardare le stelle", di Mauro Scarpelli (anche in "38 racconti italiani (e non) di genere fantastico", ed. Donchisciotte, '91, col titolo di "...vedere...", e in "Futuro Europa" n. 3, ed. Perseo libri, '89, con quello di "Betto, pittore maledetto"; 3 pagine, pag. 315); vedi il commento in "38 racconti…".

Eccoci a "L'abbaglio", di Maurizio Antonetti (originariamente apparso in "Naturalmente"; 3 pagine, pag. 321), short story sui limiti a cui potrà arrivare la pubblicità in un futuro.

Quello che segue è un racconto di Paolo Brera, ispirato da un'idea del padre Gianni, "Teresa torna da Eradomaflort" (anche in "Millemondinverno 1993", "Millemondi" n. 44, ed. Mondadori, '93, col titolo di "Maria..."; 5 pagine, pag. 327); vi si racconta del rapimento di due gerarchi fascisti da parte di un disco volante, e del loro essere riportati sulla Terra negli anni '50; abbastanza divertente, ma, a dire il vero, un pò fiacco.

Buon racconto, poi, di Stefano Tuvo, "Fratelli d'arme" (anche, col titolo di "Compagni d'arme", in "Ucronia" n. 2, ed. Ucronia, '87; 16 pagine, pag. 335), rielaborazione di uno suo degli anni '80, di cui non vi so dire; strutturato a brevi capitoletti scattanti, è composto in uno stile, direi, computeristico, tendente ad esemplificare l'ambiente in cui si svolge l'azione, un futuro, direi, opulento, ma in cui le persone non stanno un gran che bene con se stesse.

Si prosegue con "Via dei fiori chiari", di Daniele Vecchi (3 pagine, pag. 355), in cui si fà un uso molto particolare del tema classico delle porte fra i mondi; infatti, si racconta di una via di Milano che al narratore ha sempre destato una certa emozione non ben definibile: "...uno dei pochi punti in cui Milano getta la maschera prosaica ed efficentistica sotto cui di solito si nasconde e si concede un angolo che potrebbe appartenere a qualsiasi luogo e a qualsiasi tempo. Se vi sono luoghi con porti fra i mondi, ho sempre pensato che questo potesse essere uno di quelli..." (pag. 358). E del verificarvisi, proprio, di uno di quegli eventi eccezionali, l'incontro con un uomo di un altro tempo. Vi si evidenzia la classica sospensione dell'incredulità, poi, del protagonista: "Forse, probabilmente, è solo la suggestione." (pag. 359).

C'è, poi, un racconto della coppia Guido Giampietro e Josémarie Bougan, "Dono di un dio minore" (8 pagine, pag. 361), un vero e proprio mito di creazione, anche se, ovviamente, in tono di divertissement.

Ed ecco "Principessa", di Carmine Villani (15 pagine, pag. 371), scritto molto bene, ma in cui non vi è alcun elemento fantastico; si tratta, infatti, del racconto dell'esplorazione di un relitto marino, in cui, più che altro, si punta sul pathos dell'entusismo del protagonista.

Quello successivo, "Dischi volanti a Lucca", di Alessandro Fambrini (10 pagine, pag. 289), è, evidentemente, stato scritto col pensiero al titolo dell'antologia; ma, in verità, non vi si racconta del mitico arrivo degli Ufo in quella città, ma di una storia che mira ad, appunto, controbattere a quell'affermazione di Fruttero: "Quelle cose non accadevano a Lucca. C'era, nella città toscana...un'apatia neghittosa, una ritrosia aristocratica di fronte a ciò che era eccentrico o comunque troppo vivido." (pag. 398).

"Conto alla rovescia", di Bruno Vitiello (15 pagine, pag. 401), è, invece, un racconto in cui, miracolosamente, si ha un'idea originale; era veramente moltissimo che non mi accadeva, leggendo un racconto di Sf!! È ambientato in un futuro post-disastro (e fin qui, ok, niente di nuovo), in cui, avendo: "Nell'immaginario collettivo la fede religiosa, il materialismo, tutte le dottrine politiche e le ideologie...ceduto il posto ad un profondo senso del destino." (pag. 412),la società è retta, unicamente, seguendo i consigli degli oroscopi!! Ogni individuo agisce unicamente seguendo ciò che gli dice Astrologo: "I nostri progenitori capirono che la Catastrofere era stata causata dalla rottura della Grande Armonia Universale, dovuta alla loro parziale ignoranza delle leggi astrali. Capirono che solo vivendo in completa armonia con i moti celesti, avevano qualche possibilità di sopravvivere. Per questo nacque Astrologo." (pag. 411). Ci sono anche i Decisionisti, che credono ancora nel libero arbitrio. Decisamente divertente, anche se vi si trovano degli svarioni grammaticali.

Quello che segue è forse il racconto più serio dell'antologia, "Uno di mille", di Paolo Lanzotti (23 pagine, pag. 419), in cui si affronta un problema attualisimo, quello dell'informazione informatica. Lo si fà da un punto di vista, direi, spiccatamente umanista, di persona che ama profondamente la parola scritta, ma aperto alle prospettive future; in una narrazione in cui si seguono scrupolosamente i dettami di quella che è una narrazione corretta, direi, si fanno presenti quelli che potrebbero essere i rischi dell'informazione informatica: "Essendo costantemente collegato alle agenzie stampa di tutto il mondo in tempo reale, un videonews mette a disposizione dell'utenza una massa di informazioni senza fine e in evoluzione continua. Assediato da orde di notizie arrembanti, continuamente sul punto di annegare nel mare delle novità, il lettore si stacca sempre meno dagli argomenti che conosce e che si sente in grado di padroneggiare.... Ma così si reprime la curiosità. Si chiudono le porte al nuovo. Si va velocemente verso quella omologazione culturale che prelude alla sclerotizzazione del pensiero." (pag. 439). Il tutto in uno scenario futuro di disastro ecologico avanzato.

Si prosegue con "Arborea", di Grazia Lipos (20 pagine, pag. 445), veramente molto bello, in cui si racconta di dei terrestri che, venuti a contatto con una pianta aliena, divengono dei mutanti telepatici.Prosa avvincente, e in più punti davvero suggestiva.

Il penultimo è "Probabilità zero", di Ugo Malaguti (27 pagine, pag. 467), una specie di esortazione, apocalittica, alla ripresa della conquista dello spazio, tramite un racconto imperniato su un'ipotesi a dir poco azzardata su cosa sia dovuta la fase di nova delle stelle: "Uno di queste stelle diventerà una nova, prima o poi....miliardi di uomini e donne che aspettano la morte, una morte che si faceva più vicina ogni giorno che passava.... Ci sono milioni di stelle, qui attorno.... Abbiamo tutto il tempo che vogliamo." (pagg. 495-4).

L'ultimo racconto dell'antologia è "Cronaca di un'invasione extraterrestre", di Roberto Quaglia (23 pagine, pag. 497), divertentissimo, praticamente un susseguirsi di battute dalla prima all'ultima riga; mi pare che, forse, ce l'abbia un pò con lo sfruttamento, da parte della pubblicità, dell'immagine dell'extraterrestre, ma, forse, e più probabilmente, vuole solamente divertire.

 

A lettura ultimata, forse, mi pare che la lacuna maggiore di questa antologia sia nel non aver rappresentato anche le ultime tendenze, della nostra letteratura, cioè tutta quella serie di buoni racconti che sono stati scritti e pubblicati sulla scia del fenomeno cyberpunk; ve n'è qualche traccia in alcuni, ma il filone è stato trascurato. A parte ciò, abbiamo visto che il livello medio dei racconti è abbastanza buono, e, soprattutto, sono interessanti, in questa prospettiva storica, i primi racconti, degli anni pionieristici, che, davvero, ci risultano già lontani anni-luce,nel gusto. Decisamente incoraggianti, per i nostri scrittori, queste iniziative della Perseo, che, con anche le antologie periodiche di "Futuro Europa", rappresentano forse una delle maggiori possibilità di poter avere uno spazio nel panorama editoriale del nostro paese.

 

UNIVERSO PRIVATO, ed altre storie

"I calicanti" n. 2, ed. Keltia, '92,© by Keltia Editrice; 273 pagine, 25.000 £

Altri contributi critici

 

-"L'universo privato dei narratori italiani di fantascienza", di Franco Forte, "Space opera-fancon '93", pag. 8

 

Antologia in cui si raccolgono vari racconti che hanno partecipato alle III° e IV° edizione del Premio Nazionale di Letteratura Fantastica Comune di Courmayeur, segnalati e finalisti.

-"Esilio", di Elena Agostini (segnalato alla IV° edizione; 15 pagine, pag. 13)-in cui, su di uno sfondo di Sf classica, si costruisce una storia piena d'atmosfera, incentrata sulle amorevoli cure portate da una donna di un'altra razza, una donna aliena, ad un guerriero gravemente ferito in una battaglia spaziale. Davvero molto bella la parte, preponderante, in cui si descrive ciò, il dolore dell'uomo e l'amore della donna, alieni.

-"Egli", di Nicola Verde (10° classificato alla III° edizione; 15 pagine, pag. 29)-racconta di un, presumibilente, alieno umanoide, ad un livello preistorico, che si imbatte in una squadra di ricognizione aliena che conosce l'uso del fuoco. Dico "presumibilmente" proprio perchè i contorni non sono assolutamente definiti, e lasciano lo spazio ad infinite interpretazioni. Ciò su cui è incentrato rimane l'ambientazione preistorica, di caccie animalesche e paure ancestrali; la trama in sè rimane irrilevante.

-"La consapevolezza di Ibrahim Abdullah", di Domenico Gallo (segnalato alla III° edizione; 15 pagine, pag. 45)-è una specie di apologo contro il potere dei mass media; in una futura società vi è un personaggio televisivo, Jesus Christ Mister Star, che, dopo il passaggio di alcune scene con sempre gli stessi personaggi, chiede agli ascoltatori di digitare quale dei due protagonisti: "...chi dei due è stato invasato da Gamma Roth, l'Alchemico, il nostro nemico comune, colui che si oppone all'organicità?" (pag. 46), quisito evidentemente privo di significato. Il protagonista del racconto comincia a farsi delle domande, un pò dickianamente, e a formulare un'ipotesi, appunto, si un pò paranoica ma non poi così tanto: "...tutto l'apparato legato a J.C.M.S., diffuso in ogni abitazione, doveva avere una ragione pratica, altrimenti non sarebbe esistito." (pag. 56), e, alla fine, decide si trasgredire: non digita la risposta richiesta, non digita proprio nulla.

-"Seconda giustificazione: la macchina", di Enrica Zunic (anche in "Delos" n. 42: http://www.delos.fantascienza.com/delos42/macchina.html, e in "I mondi di Delos", a cura di Franco Forte e Ubik, "Nuovo millennio" n. 1, ed. Garden, '99 segnalato alla IV° edizione, finalista (4°), Premio "Italia" ’99; 13 pagine, pag. 61)-è strutturato in quindici brevi capitoletti, ed è un racconto, per così dire, di fanta-medicina, in cui si narra dei tentativi di curare un malato del morbo di Gerecht, che lo ha immobilizzato da due anni, da parte del padre, medico rinomato.

-"Trisomia 21", di Giuseppe Marino (finalista alla III° edizione; 5 pagine, pag. 75)-è incentrato su di un ragazzo malato della malattia del titolo, che sogna di non essere malato, ma di essere un'alieno, e che presto quelli del suo pianeta lo verranno a prendere; racconta proprio dell'avverarsi di questo sogno.

-"L'occhio del silenzio", di Milena De Benedetti (finalista alla IV° edizione; 17 pagine, pag. 81)-è una bellissima favola, una specie di trasposizione mitica dell'attrazione fra i due sessi.

-"Viaggio al tropico, via foto", di Giorgio Ginelli (6° alla III° edizione; 15 pagine, pag. 99)-parte come un giallo, per poi diventare fantastico quando si scopre cosè che fa del commissario di turno un uomo capace: "...di risolvere casi che scoraggerebbero chiunque, per il loro intrico o anche perchè, a prima vista, sembravano banali." (pag. 102). Egli ha, infatti, la capacità di spostarsi in una dimensione atemporale, che lui chiama il Tropico, in cui trova suo padre, e in cui vivono anche degli alieni, e da quella dimensione è in grado di districare le matasse anche dei casi più intricati.

-"Il mio amico Belthen", di Mirna Juras Marchetti (segnalato alla IV° edizione; 13 pagine, pag. 115)-è il divertente racconto del processo al pilota di un caccia per aver distrutto due delle tre astronavi aliene che si stavano avvicinando alla Terra, perchè sapeva che erano venuti per conquistarla. Viene condannato a morte, ma il finale riserva una sorpresa.

-"Sangue di drago", di Enzo Conti (segnalato alla IV° edizione; 5 pagine, pag. 129)-è un racconto prettamente fantasy, in cui un fanciulla compie un viaggio iniziatico alla grotta di un drago piuttosto particolare: "Non sono creature terrestri... Il nostro Ordine nè evocò imprudentemente Uno, quasi quaranta anni fa, durante un esperimento di Ricerca Mistica tra i Mondi del Quizar... Uno dei più potenti e micidiali... Le sue capacità di controllo mentale a distanza erano devastanti, ce ne accorgemmo subito, ma ormai era troppo tardi per rimediare. Si asserragliò sulla Roccia Spina e obbligò il Consiglio della Valle alle offerte…" (pag. 131).

-"Universo privato", di Giuseppe Marino (8° alla IV° edizione; 9 pagine, pag. 135)-è un raccontino che non riesce assolutamente ad intrigare, incentrato sulla scoperta del fatidico campo antigravitazionale.

-"Phylla", di Danilo Brignoli (10° alla IV° edizione; 17 pagine, pag. 145)-è il divertente racconto del tipico scienziato pazzo che, alle prese con un'invenzione delle sue, crea per errore un blob, un ammasso di clorofilla ambulante che va in giro per la sua città ad uccidere la brava gente.

-"Apparenze", di Milena De Benedetti (6° alla IV° edizione; 13 pagine, pag. 163)-quest'altro racconto della De Benedetti è anch'esso abbastanza buono, e racconta dell'incontro di due diversi sessuali ai due opposti limiti, un ermafrodita dalle apparenze femminili, e un asessuato totale. Il loro amore risulta, chiaramente, impossibile, ed è proprio su ciò che il feeling del racconto si incentra.

-"Kroma", di Davide De Vita (finalista alla III° edizione; 13 pagine, pag. 177)-è un racconto prettamente di Sf, in cui si narra di una cupola all'interno della quale vengono condotti degli esperimenti su mutanti ed umani.

-"Dopo il grande fuoco", di Daniele Dafichi (segnalato alla IV° edizione; 11 pagine, pag. 191)-è un racconto decisamente anticlericale, ambientato in un medioevo che non si riesce bene a capire se più storico o più fantastico.

-"L'ultimo testimone", di Giuseppe Muscià (segnalato alla IV° edizione; 7 pagine, pag. 203)-è una tipica anti-utopia, in cui si descrive una società futura che dovrebbe esse il migliore dei mondi possibili, ma che è diventata un inferno per chi ci vive, con l'aggiunta, altrettanto tipica, del raggiungimento della vita eterna da parte del genere umano.

-"Labirinto", di Antonio Intra (segnalato alla IV° edizione; 13 pagine, pag. 211)-è un buon racconto d'azione, in cui si narra del tentativo di un'uomo di espiare una vecchia colpa, rischiando la vita in un gioco a premi teletrasmesso; vi è, quindi, anche la tematica dei giochi del futuro, immaginati cruenti ed addirittura mortali, spettacolarizzati.

-"Un buco nell'acqua", di Luciano Pini (segnalato alla IV° edizione; 7 pagine, pag. 225)-è un racconto umoristico, incentrato sulla figura di una vecchietta inventrice che inventa, appunto, una macchina che fa i buchi nell'acqua: "...un convogliatore eristemico..." che servirebbe per: "...recuperare quanto quei maledetti sporcaccioni...le potenti multinazionali...gettano da secoli a mare." (pagg. 225-6).

-"Pianeta di depressione", di Mauro Riccardo Mendolia (segnalato alla IV° edizione; 9 pagine, pag. 233)-è un racconto prettamente di Sf, in cui si racconta di uno dei forse più classici stilemi di essa, il contatto umani/alieni, con i soliti alieni ostili. È il modo in cui gli alieni si difendono dall'invasione terrestre quanto di originale ci riserva questo racconto, anche se, in altre forme, già utilizzato altrove.

-"La sirena", di Rudy Salvagnini (5° alla III° edizione; 13 pagine, pag. 243)-è decisamente il migliore di tutta l'antologia, sia per l'idea su cui si regge che per lo stile, davvero ottimo. Molto buone le descrizioni, ad un livello di liricità notevole: "Arcobaleni magici si aprivano in quel cielo rossastro dai riflessi dorati e sentiva di volare attraverso gli incantevoli diagrammi delle montagne ferocemente scolpite dall'infuriare perpetuo degli elementi." (pag. 247). Vi si racconta di un lontano pianeta in cui i lavoratori terrestri sentono, di tanto in tanto, il canto di una sirena lontana; uno nuovo si incuriosisce, fà domande, ma in risposta ha solamente leggende vaghe. Decide di andare a vedere, e scopre una realtà molto meno leggendaria, ma forse più realmente significativa: sono gli alieni di quel pianeta che si vendicano dei terrestri, attirando e poi uccidendoli, per la caccia fuorilegge delle loro pellicce.

-"Del blu profondo e delle stelle", di Bruno Codan (9° alla IV° edizione; 17 pagine, pag. 257)-è un racconto di space opera classica, con davvero poche emozioni; per di più la struttura è quella del giallo, a detection.

 

Se decisamente questa iniziativa della Keltia è lodevole, ci si domanda perchè non siano stati editi dei volumi con i racconti vincitori e tutti i piazzati, così come è stato per il "Città di Montepulciano" e per il "Tolkien", ai suoi tempi. Alcuni sono stati sì pubblicati in quei volumetti distribuiti alle Italcon, i "Space opera-fancon", ma sarebbe certo una buona cosa se la Keltia, od altri, si assumessero l'onere di pubblicare in volume quei racconti. Comunque, il livello di questi racconti, non è che sia poi eccelso, tranne il paio di eccezioni che abbiamo visto, ma non vi sono, e ci sarebbe mancato, racconti spregevoli. Il tutto è ottimamente introdotto dal Nicolazzini, che fà addirittura un'inquadramento del volume a partire dalla storia della Sf, il tutto in quattro pagine!! Rimane un documento interessante per chi volesse conoscere le potenzialità dei narratori nostrani del nostro settore.

 

FANTASCIENZA 1993, a cura di Mario Leoncini

"Diesel extra" n. 8, '93; 341 pagine, 7.000 £

 

Altra iniziativa editoriale di Alberto Henriet di "Diesel", che ne ha accumulate di estremamente importanti per la Sf italiana. Dopo lo speciale sulla "Fantasia Eroica Italiana", di cui tratto della sezione "Heroic fantasy", ed altre, sempre gradevoli, ecco questa splendida antologia, che era nata un pò in sordina, ma a cui hanno poi aderito molti autori, e per lo più tra i migliori nomi dei nostri narratori. La sua edizione è stata più volte rimandata per il sopraggiungere di nuovi materiali, fino ad arrivare alla notevole consistenza che la contraddistingue; ben poche sono le fanzines di più di trecento pagine!Il curatore , visto il successo avreva espresso l'intenzione di renderla annuale: "...per farne anche un vero e proprio strumento di consultazione per gli addetti ai lavori." (pag. 6), cosa che poi non si è mai fatta. Il corredo critico comprende un'introduzione, "A Barbara per il suo sorriso", dell'Henriet (pag. 5), un articolo, "Breve elogio della narrativa scientifica", di Roberto Magari (pag. 7), fisico e redattore di "Oltre...", dell'associazione culturale "Il borghetto" di Montepulciano, e una breve presentazione ad agni racconto, ed autore.

 

-"Terrore sotto la città", di Donato Altomare (16 pagine, pag. 12)-decisamemte mediocre, è il tipico racconto sui mostri generati da esperimenti, in questo caso chimici ("...un nuovo prodotto chimico sperimentale." (pag. 17)), che seminano il terrore.

-"Tecniche di sopravvivenza", di Gildo Bàrberi (10 pagine, pag. 29)-davvero divertente, non è strutturato a racconto, non ha una trama, ma è uno pseudo manuale in cui si descrivono, appunto, le tecniche di sopravvivenza in territorio alieno ostile. Evidente l'intento antimilitarista dell'autore.

-"Le viscere del diavolo", di Gloria Bàrberi (57 pagine, pag. 40)-molto intenso, tutto tenuto su di un tono onirico davvero notevole. Fino al nono dei dieci capitoli non vi è alcuna indicazione sulla natura del luogo in cui si svolge la scena; questa vede muoversi una moltitudine di artisti più o meno famosi, da Percy Shelly a Verlaine, da Merylin Monroe a Mozart, da Freddie Mercury a Byron, da Jimmy Hendrix a Leonardo da Vinci, da Jim Morrison a Michelangelo, personaggi di epoche diverse che conversono e vivono in un'unica linea temporale: "Io appartengo a un tempo che non è il tuo, e tu lo sai." (pag.  56). Nel nono capitolo si scopre la natura ontologica di quel mondo: "Voi fate parte di un progetto di realtà virtuale. Siete programmi inseriti nella memoria di un computer." (pag. 86). Ed è a quel punto che subentrano le crisi esistenziali dei protagonisti, di colpo trovatisi in bilico tra l'essere e l'essere semplici simulacri: "...siamo soltanto ombre, simulacri.(...) No, no, ...Io ricordo il sapore delle lacrime che ho pianto nel lasciarti, l'odore della laguna di Missolunghi sotto la pioggia, e l'argento della luna d'agosto sul Canal Grande. Queste non sono cose che puoi catalogare e trascrivere per i posteti." (pag. 87). Tra le altre notevoli cose che vi si trovano, anche un'enunciazione di uno dei capisaldi della favolistica e del fantasy: "Conoscere il nome di una cosa o di una persona in qualsiasi incantesimo, significa possederla." (pag.  61).

-"Il Dio in scatola", di Sergio Bissoli (3 pagine, pag. 99)-è la storia di un uomo che incontra il tipico scienziato pazzo, che gli dice di avere inventato: "...un Dio logico, un Dio razionale." (pag. 99). Questi lo segue, prova a sperimentale la macchina, ma si spaventa, e perde l'occasione di vedere esauditi i suoi desideri.

-"Giosafat", di Tullio Bologna (10 pagine, pag. 103)-racconto di Sf classica, del filone religioso. Non è che ci sia gran che, a livello contenutistico, e stilisticamente è una ricalcatura della Sf degli anni '50-'60.

-"Dec-17", di Silvio Canavese (9 pagine, pag. 114)-buon racconto sulle intelligenze artificiali, che ripropone il problema dell'umanità dei cyborg.

-"Megalopoli", di Cristiano Cascioli (9 pagine, pag. 124)-decisamente forte, racconta di una storia d'amore in una New York del secolo venturo in cui dilagano violenza e perversione.

-"Il dono", di Mariangela Cerrino (9 pagine, pag. 134)-più fantasy che Sf, è la storia di alcuni ragazzi che sfidano un'antico tabù del loro popolo, portando la distruzione e la morte.

-"Iperstimolazione", di Franco Clun (7 pagine, pag. 144)-veramente buono, racconta di una postazione militare umana su di un pianeta arido, o, meglio, dei soldati che vi vivono, con ottime caratterizzazioni psicologiche, soprattutto della protagonista.

-"La storia del suonatore di clarino che fece fermare l'universo", di Giuseppe De Rosa (7 pagine, pag. 152)-molto poetico, racconta una storia straziante di un bambino prodigio, in un futuro in cui: "...gli esseri umani e le Intelligenze si dividono lo stesso universo, da amici." (pag. 154). Le Intelligenze sono macchine: "...costruite da noi..." e "...diventate come noi..." (pag. 154).

-"Sciopero", di Valter Di Dio (2 pagine, pag. 160)-è una magistrale, tipica short story col finale a sorpresa, e non è semplice riuscire ancora a stupire con la tecnica del ribaltamento del significato nelle ultime righe. Qui il tema è quello, sociologico, del lavoro portato via dai robot agli uomini..., sembra..., ma.…Stimolante.

-"Una boccata d'aria", di Marco Fornari (5 pagine, pag. 163)-che il Fornari sia un attivista del WWF, come sin dice nella presentazione, risulta molto evidente dalla trama. Si ipotizza, infatti, un futuro in cui, addirittura, l'umanità viene costretta ad auto modificarsi geneticamente per riuscire a sopravvivere in una Terra ormai invivibile: "Esseri umani perfettamente adattati a vivere immersi in un'atmosfera composta essenzialmente di anidride carbonica e in clima desertico caratterizzato da temperature elevatissime.(...)...la mutazione genetica dell'uomo è diventata irreversibile..." (pagg. 164-5).

-"Gli orizzonti del cerchio", di Franco Forte (16 pagine, pag. 169)-ambientato in un tipico mondo post atomico, è caratterizzato da un'uso dei temi della realtà virtuale molto dickiano. In quel mondo ormai completamente privo di qualsiasi cosa bella e piacevole, gli uomini divengono schiavi della realtà virtuale come di una droga, poichè è l'unica cosa che possa dare loro ancora un pò di gioia: "...un altro universo in cui non c'erano i topi ma l'aria e l'acqua pulita..." (pag. 176). Dicevo che è dickiano perchè, in questo scenario di disperazione, la speranza viene dall'empatia, dall'amore, e la figura della donna è molto simile a quella di Dick, e cioè salvifica: ""Facemmo l'amore, io e la ragazza...il suo profumo m'inebriò a tal punto che credetti di essere entrato in una simulazione, non c'era altra spiegazione, soltanto le realtà virtuali possono concedere quegli spazzi di colore all'atona monotonia della distruzione." (pag. 181).

-"Prede", di Bruno Garavini (4 pagine, pag. 186)-decisamente sperimentale, racconta di un futuro impazzito alla "Ragazzi selvaggi" di Burroughs con un linguaggio che tenta di esprimere il malessere e la violenza assurda delle generazioni a vanire, con un uso molto particolare della punteggiatura, e un vocabolario molto forte.

-"Dimensione ignota", di Gustavo Gasparini (9 pagine, pag. 191)-chi ha già letto altro del Gasparini sa che sono tutte molte intrise di paranormale. Anche in questo racconto c'è uno dei topoi più classici del racconto dell'orrore e del paranormale, e cioè quello del ritrovamento, a distanza di anni, di un personaggio misterioso in un dipinto. Il racconto è abbastanza originale, anche se, e non è cosa facile, ha alla base il tema classico degli universi paralleli. Ha un grosso difetto, quello di essere decisamente troppo sdolcinato; anche se è, prevalentemente, una storia d'amore, poteva esserlo meno.

-"Lo scorpione d'oro", di Alberto Henriet (3 pagine, pag. 201)-meno cruento di quanto siamo soliti leggere dell'Henriet. Da notare, cosa anomala in un raccontino di due pagine e qualche riga, l'abbondanza delle descrizioni.

-"La spiegazione", di Mario Leoncini (2 pagine, pag. 206)-è tutto incentrato su di un futuro in cui viene proiettata quella teoria odierna della fine della Storia: "Tutti i traguardi erano stati raggiunti, tutte le vette erano stato scalate e non c'era nemmeno più il tempo sufficiente perchè un'altra vita venisse vissuta per intero.(...) Con la Spiegazione anche l'ultima domanda era soddisfatta e gli uomini ripresero le loro astronavi per andarsene, stavolta per sempre." (pagg. 206-7).

-"Vincitori e vinti", di Paolo Lombardi (3 pagine, pag. 209)-un non ben riuscito racconto antimilitarista. Troppo demagogico.

-"Natale al Diorama", di Giuseppe O. Longo (3 pagine, pag. 213)-un pò uno science-fantasy, avendo elementi fantasy inseriti in un fondale Sf. Buono, è la narrazione di una parodia del Natale su di un pianeta riarso.

-"La sonda", di Fabio Losacco (2 pagine, pag. 217)-è, come "Sciopero", la tipica short story con ribaltone finale. Quell'altro era meglio strutturato.

-"Il segno di Proteo", di Giuseppe Magnarapa (13 pagine, pag. 220)-la struttura dei racconti del Magnarapa risente sempre troppo di influenze giallistiche, ma questo è tuttavia apprezzabile per l'idea che vuole comunicare. È infatti basato su quell'interpretazione del tema degli alieni che a me più è congeniale, e cioè usato per affrontare quello del diverso in senso lato. Qui, il protagonista, un serial killer psicopatico, incontra un'alieno ("...tentacolo...una specie di speudopodo traslucido...testa deforme di una impossibile tartaruga e almeno cento volte più grande... La testa della tartaruga si allungava ai due lati, con altrettante appendici mobile alle cui estremità ruotavano freneticamente bulbi oculari grossi come palle da tennis. No, non una tartaruga, piuttosto, una...lumaca, gigantesca...le antenne occhiute della lumaca si volsero nella sua direzione rivelarono sclere gialle a tutto tondo interrotte solo da oblique pupille di rettile." (pag. 223)), e lo uccide perchè terrorizzato dalla sua diversità. Ma gli alieni lo indivuano e lo processano, ed è qui che viene in ballo la tematica del diverso: "Tu credevi in pericolo, perchè Drak (l'alieno) era diverso da te. Voi vi sentirete sempre in pericolo in casi del genere? Dunque Drak è morto per errore, mentre l'altro (un gay) è stato ucciso a ragion veduta; eppure essi sono stati privati della vita per lo stesso motivo: erano diversi da te. Voi terrestri agite tutti così? Uccidete quello che non rientra in uno schema mentale precostituito? (pag. 229). Una pecca che mi sembra di individuare in questo racconto è, però, l'aver reso del tutto esplicito il messaggio, non permettendo un'elaborazione personale dello stesso da parte del lettore.

-"Antiwegener", di Antonio e Giuseppe Monaco (7 pagine, pag.  235)-divertente racconto che, tramite un'assurda trovata, i continenti che si avvicinano in un tempo incredibilmente breve, vuole parlare dell'avvicinamento fra i popoli, dell'amore universale.

-"Situazione di massima emergenza", di Renato Pestriniero (2 pagine, pag. 243)-racconta una storia di Sf classica, spaziale, a cui vengono associati un forte sentimento d'amore, e un'altrettanto forte sensazione di adrenalinica paura.

-"Lhangri", di Miriam Poloniato (11 pagine, pag. 246)-buon racconto sulla colonizzazione di pianeti alieni, il sentimento che sembra prevalere, a fine lettura, è quello della rassegnazione, di un popolo saggio e colto, alla violenza e alla sopraffazione di uno forte e violento.

-"Tutta colpa di Einstein", di Francesco Pomponio (2 pagine, pag. 258)-sull'effetto della velocità della luce, della relatività, nei viaggi nel tempo.

-"In vita come in morte", di Pierfrancesco Prosperi (3 pagine, pag. 261)-sull'eticità della pena di morte.

-"Assenza", di Franco Ricciardiello (anche in "Follow my dream" n. 4, '89, qui completamente riscritto; 11 pagine, pag. 265)-bellissimo, è tutto tenuto su di un tono di melanconico esistenzialismo, cosa che, chi ha letto altre opere del Nostro, non si stupirà di notare.

-"Sciolte e scomparse sono ormai le nevi", di Enrico Rulli (8 pagine, pag. 277)-questo racconto, dal mitico titolo di uno della Tiptree, è, come il precedente, praticamente del tutto privo di spunti fantascientifici, se non per particolari di nessuna rilevanza, ma è ugualmente un buon racconto sul '68, sulla nostagia per quei meravigliosi anni di voglia di cambiare i mondo.

-"Il lettore", di Giorgio Sangiorgi (6 pagine, pag. 286)-buon racconto sul rapporto uomo-computer, contenente un divertente spunto sulle possibili pazzie dei computer: "Solar I...dopo essersi stabilito su Europa, il satellite di Giove, non ha ancora permesso a nessuno di atterrare. Dato che adesso considera il pianeta, forse legittimamente, come territorio di sua proprietà." (pag. 288). E un ammonimento a quello che potrebbe accadere se si affidassero troppe responsabilità a dei sistemi computerizzati, anche questo in chiave umoristica: "...fu deciso di affidare ai computers della settima generazione, la cura delle relazioni diplomatiche fra le federazioni mondiali.(...) Vac 300D, lo stimato console elettronico…ha dichiarato...: "L'umanità non sa ancora che cosa fare di se stessa. In assenza di direttive precise in questo senso la nostra programmazione non ci consente di rilevare l'incarico." (pagg. 286-7). Del tutto scentrata, mi sembra, la breve introduzione del curatore.

-"Tu non scriverai", di Mauro Scarpelli (34 pagine, pag. 294)-una strana storia paranoica, con protagonista lo stesso Scarpelli, e Pestriniero e Aldani personaggi secondari. Una misteriosa organizzazione offre agli scrittori di Sf cinquanta milioni all'anno per smettere di scrivere, subendo un'operazione: "Esiste una società segreta, molto segreta, i cui componenti sono tutti dotati di poteri Psi, di veri poteri Psi, non di buffoni televisivi, che detiene il potere su questo pianeta...(una) società segreta che manovra cinque miliardi di persone come burattini." (pag. 312); "Esiste una società segreta, vorrei dire segretissima, che detiene il potere sul pianeta. Quando dico potere intendo dire tutto il potere reale, anche quando non è palesemente manifesto. Questa società segreta non interferisce sul quotidiano: piccole guerre, spaccio di droga, delinquenza comune, politica spicciola. No, questa società cura l'evoluzione della società in termini di secoli e millenni." (pag. 324). Il racconto è tutto il travaglio esistenziale di questo Scarpelli, scrittore in crisi di coscienza. Praticamente, qui, il tipico diverso della Sf è lo scrittore di Sf stesso: "Una forma di razzismo certamente che andava oltre il colore della pelle, un razzismo atavico verso colui che è diverso, straniero, alieno. La paura del lupo mannaro, la paura del vampiro, la paura di chi è talmente diverso da poter apparire uguale." (pag. 315).

-"Isolazione", di Claudio Tinivella (2 pagine, pag. 328)-un divertente apologo su quello che potrebbe succedere se si esasperassero eccessivamente le prerogative degli uomini del mondo dello spettacolo. Mi viene da pensare a "Rollerball", bel film sul tema dello spettacolo come valvola di sfogo per gli istinti violenti in una società senza più guerre ne crimini, in cui, lateralmente, si dice anche di questo tema.

-"Il juke-box di Borumbo", di Paolo Viglione (5° al V° premio "Comune di Courmayeur", '92, anche in "Space opera-Fancon" n. 5 , '93; 11 pagine, pag. 331)-spassoso racconto umoristico molto ben riuscito.

 

La qualità dei testi è, in media, davvero buona, e le cadute di tono sono pur sempre nei limiti di racconti più che accettabili. Non pochi i racconti decisamente buoni. Una pecca che mi sembra di poter rilevare è la scarsità delle illustrazioni; se ne potevano commissionare di più, al buon Gordini; la copertina non è un gran che.

 

TERZO MILLENNIO, a cura di Franco Forte

"I libri di "Avvenimenti", ed. di "Avvenimenti, '96; 127 pagine, 3.900 £

  Altri contributi critici

 

-recensione di Eleonora del Poggio, "Il paradiso degli orchi" n. 16, ’96, pag. 64

-recensione di Franco Ricciardiello, "Intercom" n. 146/147, ’97, pag. 53

 

Ottima antologia, questa, curata da quel buon intenditore che è Franco Forte, che è riuscito ad amalgamare davvero un insieme di buone storie, poche, ma buone. Molti gli autori già noti a noi del fandom, ma anche alcune novità interessanti, Perillo e Salinitro. L'antologia è suddivisa in tre sezioni, "Fantascienza", "Fantastico" e "Cyberedintorni".

 

La prima comprende:

-"Il traguardo del nuvolario", di Salvatore Perillo (Premio "Alien" '96, anche in "Shining" n. 4, '97; 10 pagine, pag. 9)-classicissima storia di Sf, con la Confederazione terrestre di turno che si espande nella galassia. Forse era meglio cominciare con qualche racconto che non seguisse così pedissequamente i cliché della Sf americana.

-"Datemi la mia dolce geisha", di Giandomenico Antonioli (anche in "Delos" n. 21, ‘96: http://www.delos.fantascienza.com/delos21/geisha.html, 8 pagine, pag. 21)-divertente raccontino umoristico sulla fantascienza, in cui si immagina un mondo futuro in cui la gente può scegliere di diventare uno scrittore, uno di quelli famosi, in cui ci sono 2.353 Philip K. Dick.

-"Sindrome Gabrielli", di Franco Clun (14 pagine, pag. 29)-buono, sfrutta il tema classico dell'astronave pilotata da un computer/androide, cioè in parte in silicio, ma con, anche, un cervello umano innestato, e lo fà in maniera, direi, decisamente ben riuscita, inserendo una storia d'amore e morte collaterale che, a ben vedere, non lo è affatto.

-"Eglefino di tritone in brodetto", di Francesco Salinitro (3° Premio "Alien" '96, anche in "Shining" n. 4, '97; 4 pagine, pag. 45)-raccontino umoristico davvero divertente, in cui viene data, appunto, la ricetta per cucinare questo pesce extraterrestre.

 

La seconda,"Fantastico",comprende:

-"Viaggiatori nella tempesta", di Giampaolo Simi (9 pagine, pag. 51)-in cui si prendono un pò in giro alcuni stilemi classici del racconto horror; è, infatti, la narrazione della una tipica coppia che si trova per avventura, in una notte buia e tempestosa, in un luogo infestato da una qualche presenza maligna...solamente che, qui, i due sono due malviventi che stanno trasportando un'ostaggio dell''ndrangheta, o simili.

-"Come una sinfonia", di Marcello Vicchio (8 pagine, pag. 61)-in cui un disoccupato incappa nella trappola tesagli da un monaco del XVI° secolo...e va a far parte di una schiera illustre di personaggi che, attraverso i secoli, sono stati catturati dalla sua bellissima musica.

-"Secondo avvento", di Paolo Ceccarelli (anche in "Delos" n. 12, ‘95-‘96: http://www.delos.fantascienza.com/delos12/script.html; 2 pagine, pag. 69)-è lo sfogo di un commissario di polizia per i tre assassinii capitatigli poco prima della pensione, tre assassinii che, appunto, nel tipico finale a sorpresa, ricordano quello di Cristo e dei ladroni.

L'ultima,"Cyberedintorni",comprende:

-"Status judicandi", di Antonio Piras (9 pagine, pag. 73)-in cui si riprende in chiave, appunto, cyberpunk, il tema del robot/giudice, sviluppato soprattutto da Asimov. Qui è un giudice, per così dire, completamente deprivato di ogni suo aspetto umano, sia chirurgicamente che attraverso tecniche orientali .

-"Ketema", di Silvio Sosio (premio 9° "Courmayeur", '96, sezione ""Racconti ambientati in Valle d'Aosta"-Sf"; 17 pagine, pag. 83)-in cui si ricalca direi fin troppo "Blade runner", con un cacciatore di androidi, qui, investigatore in cerca di sintetici scomparsi.

-"Ai no Fuan"-Inquietudine d'amore", di Emiliano Farinella (14 pagine, pag. 101)-racconto un pò alla Sterling, sul degrado di un futuro prossimo venturo, fra sesso e cibernetica.

-"Storia di Omero", di Vittorio Catani (2° Premio "Alien" '96, anche in "Shining" n. 4, '97; 7 pagine, pag. 115)-ambientato in un medioevo prossimo venturo in cui l'Italia si è frantumata in infiniti staterelli, ducati, eccetera, racconta di un ritorno, in cui a prevalere sono, senz'altro, la tenerezza e l'amore, anche se l'Omero del titolo è un Sintetico, che, quale supremo atto d'amore, viene disattivato.

 

Dunque, come avevamo premesso, davvero un'ottima raccolta; forse la sezione "Fantascienza" è la più scarsa, per l'evidentissima incapacità degli autori di distaccarsi dal modello statunitense, ma per il resto ne va senz'altro consigliato l'acquisto, visto, anche, l'ottimo prezzo. Chissà se Avvenimenti ci riserverà altre ottime sorprese come questa. In appendice vi sono alcune brevi note bio-bibliografiche sugli autori.

 

da "Tau ceti" n. 4, '97

 

TUTTI I DENTI DEL MOSTRO SONO PERFETTI, a cura di Valerio Evangelisti

"Urania" n. 1322, "Bestsellers Oscar" n. 865, ed. Mondadori, '97, '98 © by Arnoldo Mondadori Editore; 1°-335 pagine, 5.900 £

 

Antologia celebrativa del 45° anniversario della fondazione di "Urania", è stata voluta da Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi, come un volume contenente racconti di autori, per così dire, alti, proprio a testimoniare l'avvenuta consacrazione anche della Sf nell'Olimpo della letteratura degna di essere considerata tale, e non, come avveniva fino neanche tempo fà, come credo tutti noi si sappia, qualcosa per cui, addirittura, ci si dovesse vergognare di leggere, se non, poi, di scrivere. Vi sono, si, anche Franco Forte e Nicoletta Vallorani, che sappiamo essere nati, artisticamente, sulle gloriose pagine delle nostre fanzine, ma che sono ormai da tempo entrati a far parte di quello che si chiama il mercato editoriale, e, poi, nomi, che vedremo, tutti facenti parte di quell'elite che, appunto, fino a qualche tempo fà ci dava così contro; e fa piacere, molto, credo, a tutti noi.

 

-"Alba tragica", di Niccolò Ammaniti (17 pagine, pag. 15, della 1° edizione)-umoristico, nel quale si immagina un essere, non si sa se alieno o di origini sovrannaturali, che attira a sè le proprie prede, per mangiarsele, presentandosi loro nelle vesti di ciò che esse maggiormente desiderano...e, in ciò, può parervi non esserci nulla di umoristico, ma l'Ammaniti è riuscito a farlo diventare, e bene.

-"L'immortalità", di Daniele Brolli (premio "Fantascienza-Italia" '99; 33 pagine, pag. 32)-sui viaggi nel Tempo, ma tutto tenuto su di un tono direi sarcastico, quasi di presa in giro di tutti gli stilemi che circondano, nella Sf, questo tema. È anche un pò cyberpunk, alla Cammarota, cioè vi si descrive un futuro prossimo in fase di netta decadenza etico/morale.

-"Il buio", di Enzo Fileno Carabba (14 pagine, pag. 65)-buono, in cui si racconta di un mondo sul quale siano calate le tenebre: "Il sole e le stelle non esistono più. Ed è raro che gli strumenti umani per fare luce funzionino. Torce, lampioni, generatori, nulla funziona più. C'è rimasto solo il fuoco..." (pag. 68). È un mondo nel quale l'Uomo ha giocato molto, forse troppo, con la genetica, e vi gira una leggenda: "...il grande buio era la punizione per creature miste…,per gli innesti, gli ibridi che l'uomo aveva creato fondendosi ad altre creature, e che affinchè tornasse la luce bisognava far piazza pulita di tutta quella robaccia organica..." (pag. 76). E, tutto ciò, lo rende, più che un racconto di Sf, un racconto fantastico in senso lato; vi è anche un lungo brano di prosa poetica davvero molto bello.

-"La brigata Superciuk", di Sandrone Dazieri (11 pagine, pag. 79)-altro racconto umoristico, in cui si fà una sorta di parodia dello stilema classico dell'invasione degli alieni, in particolar modo di "La guerra dei mondi" di Wells.

-"Il nodo Kappa", di Valerio Evangelisti (31 pagine, pag. 90)-fantapolitico, in cui si immagina che un gruppo di terroristi penetri in un nodo di telecomunicazioni, per scoprire che vi vengono utilizzate delle scimmiette: "Per il grado di sicurezza che serve ad un sistema molto complesso, l'elettronica non basta: occorrono sinapsi vere, collegate ai circuiti." (pag. 118). Ancora una volta, quindi, sui problemi etici che la tecnologizzazione ci propone.

-"Sole giaguaro", di Franco Forte (29 pagine, pag. 121)-di hard Sf, in cui si tratta del viaggio nel tempo nella forse unica maniera in cui se ne possa trattare correttamente da un punto di vista scientifico, rifacendosi, cioè, ad alcune delle teorie più avanzate dell'astrofisica.

-"Prima della rivolta", di Barbara Garlaschelli (21 pagine, pag. 150)-antiutopico, racconta della tipica rivolta alla "1984", qui in un mondo in cui il Potere, dopo aver controllato l'esistenza dei cittadini, tenta di controllarne anche i sogni, attraverso una Riprogrammazione Totale: "...prendere i sovversivi, gli sbandati, quelli che creano problemi e riprogrammarli, farli diventare cittadini modello, elettori modello, sostenitori modello." (pag. 167).

-"Alle spalle", di Mario Giorgi (8 pagine, pag. 171)-sul mestiere di scrivere, tratta, con ironia, della difficile convivenza fra creatività e cibernetizzazione.

-"Le copertine di Urania", di Michele Mari (pag. 179)-saggio, anche se molto particolare, in cui questo grande della nostra letteratura ci dice del suo amore per la fantascienza e, in particolare, per Urania; fra una moltitudine di dati, ecco che il Mari ci dice ciò che, quando era bambino, lo colpiva delle, appunto, copertine di Urania.

-"La balena del cielo", di Luca Masali (60 pagine, pag. 191)-romanzo breve in cui, in una struttura di una storia di esplorazioni polari ai tempi del sorgere del nazifascismo, per altro narrata in maniera molto avvincente, vi è un ennesimo monito nei riguardi dei rischi che l'umanità corre a causa del buco dell'ozono.

-"Fabulaliena", di Silverio Novelli (18 pagine, pag. 251)-psicologico, in cui si immagina che le fantasticherie di un bambino irrompano, in qualche modo, nel reale dei proprio genitori.

-"Acqua", di Tiziano Scarpa (9 pagine, pag. 269)-criptico, è composto da tre parti, della terza delle quali non sono stato in grado, sinceramente, di trovare alcun aggancio con le altre; si inizia col raccontare di una versione futuristica del nuoto, per finire con una vendetta per amore che si voleva consumare per mezzo di una sorta di cloni, che, invece, finisce con la morte del vendicatore.

-"Snuff movie", di Nicoletta Vallorani (12 pagine, pag. 278)-cyberpunk, in cui si racconta di una zingara sognatrice, ed ingenua, alla quale viene offerto,da certi tipi incravattati, di vendere i propri sogni, per far sognare anche la: "...gente grigia, i Senzapensieri in tight tutti precisi e stirati..." (pag. 281), tramite dei "...olo tridimensional(i) interattiv(i)...un'allucinazione consensuale condivisa..." (pag. 283), metafora abbastanza trasparente dello scrivere. Molto poetico, esprime la rabbia di vivere in un mondo così impoverito come quello in cui viviamo.

-"Luci", di Dario Voltolini (11 pagine, pag. 290)-onirico, in cui si racconta, in parallelo, dei sogni di un medico che pare aver scoperto qualcosa, in uno stato coscienziale simile al coma, e dei suoi colleghi.

 

In appendice, molteplici interventi di una certa rilevanza, a cominciare da "E noi che "Urania" leggiamo…", di Giuseppe Lippi (pag. 301), in cui si fà un'analisi molto centrata dello stato attuale del fenomeno Sf in Italia, e non solo, parlando: "...della riduzione, del rimpicciolimento degli orizzonti futuri nell'immaginazione popolare..." (pag. 304), del fatto che: "...Un nuovo umanesimo, per ora balbettante, vedrà forse la luce; ma per quello vecchio, tradizionalmente inteso, siamo veramente alla liquidazione." (pag. 305), e che "Tutto questo ha portato molti lettori ad allontanarsi dalla fantascienza e a cercare altrove la propria immaginaria soddisfazione, magari nel mondo dei videogiochi o della rete informatica." (idem). Il concetto che vi si vuole esprimere è sintetizzato nelle righe finali, in cui si dice che leggere Sf è un pò: "...come attaccarsi al collo di una bottiglia piena di buon vino d'annata, per gustare un piacere privato e personale che ci connette con il mondo senza bisogno di spine, perchè si tratta di un mondo interiore. Auguriamoci tutti, giovani e meno giovani, almeno altri quarantacinque anni di tale libertà di scelta." (pag. 306).

"Ricordo di Giorgio Monicelli", del fratello Mario, raccolto da Lorenzo Codelli (pag. 307), a dir la verità non interessantissimo, se non per la preistoria della Mondadori, e "Quarantacinque anni di fantascienza in Italia", di Gianfranco de Turris (pag. 311), eccellente disanima della Sf nel nostro paese, dagli albori ai giorni nostri, in cui sono mirabilmente stipati tutti i dati essenziali sulle pubblicazioni del nostro genere, accompagnati dai commenti come ben sappiamo sempre centratissimi dell'autore.

 

Dunque veramente molto bella, quest'antologia, piena di significati emotivi forti per tutti noi appassionati del genere, in cui praticamente tutti i testi sono di indubitabile buon livello, ed in cui si annuncia il succulento "Millemondi" tutti italiano che sicuramente avrete già acquistato ("Strani giorni").

 

  STRANI GIORNI, a cura di Franco Forte e Giuseppe Lippi

"Millemondi primavera 1998", ed. Mondadori, '98, © by Arnoldo Mondadori Editore; 335 pagine, 9.000 £

 

Eccola, dunque, questa tanto annunciata antologia di Sf italiana. Dopo "Tutti i denti del mostro sono perfetti", è, questa, l’antologia decisamente più corposa dedicata alla nostra Sf. A curarla, due fra coloro che più hanno contribuito alla sua diffusione, di due generazioni; il buon Lippi, e Franco Forte, che, da qualche anno a questa parte, stà curando praticamente tutte le iniziative di una qualche rilevanza in questo ambito. E i risultati ci sono tutti. Ciò che, credo, colpisca maggiormente, è la presenza di tanti nomi della Cultura con la C maiuscola: "...Remo Guerrini, direttore di "Primo Piano" e in precedenza della rivista scientifica "Focus", Piero Bianucci, stretto collaboratore di Piero Angela per le trasmissioni televisive "Quark" e direttore del settimanale "Tuttoscienze" del quotidiano "La stampa", Diego Gabutti, scrittore Longanesi ed editorialista de "Il giorno", Silverio Novelli, responsabile delle pagine libri del settimanale "Avvenimenti", Roberto Barbolini, delle pagine culturali di "Panorama" e scrittore Mondadori, Carlo Formenti, del servizio culturale del "Corriere della sera"." (pag. 9), più Primo Levi. E, poi, i grandi vecchi, Curtoni, Pestriniero, Menarini, e i nuovi romanzieri, Evangelisti, Grasso, Longo; e poi, per così dire, i fanzinari Simi, Perillo, Piras (che ha però pubblicato un’antologia presso Il cerchio), Tonani, Bàrberi, Calabrese e Scialdone, più gli esordienti Cola, Burgio, Ratti. Insomma, è davvero rappresentativa di ciò che la Sf nostrana, oggi, è in grado di produrre.

Ma andiamo ad esaminare i racconti ad uno ad uno.

 

-"Corpus domini", di Remo Guerrini (15 pagine, pag. 11)-ottimo racconto d’atmosfera, in cui si dice dell’incontro/scontro fra cattolicesimo e paganesimo; in un antico borgo sul mare, dove ogni anno il prete fa un miracolo, il nuovo prete vuole sapere forse troppo, e...: "La Vedova compera i bambini...gli succhia la vita.... Gli strappa la pelle e se la mette addosso, e un medico amico suo, le riempie le vene decrepite di quel sangue in fiore, come il vino novello.La vedova non morirà mai, perché se la compera, la giovinezza." (pag. 22).

-"Tempora!Mores!", di Diego Gabutti (18 pagine, pag. 27)-non si riesce proprio a capire come una simile schifezza possa essere stata pubblicata; agenti temporali che arrivano dal futuro a cambiare il corso della storia del sequestro di Aldo Moro, che può essere uno spunto anche per un buon racconto, ma ciò è narrato in una maniera talmente demenziale che, veramente, è ben difficile arrivare alla fine se non, come me, lo si deve fare; l’umorismo che lo permea è davvero di pessimo livello, tutto tenuto su di un tono di esagerazione, di enormità, che finisce per non divertire assolutamente; peccato: chissà quanti altri buoni racconti si sarebbero potuti pubblicare, al posto di questo.

-"La dignità della volpe", di Vittorio Curtoni (anche in "E-Intercom" n.4, '99; 13 pagine, pag. 47)-ottimo, come ben ci ha abituato il buon Curtoni, racconta di un impiegato di una multinazionale davvero molto speciale; infatti, questi va a visitare futuri simulati, per scoprire quali cambiamenti arrechino varianti introdotte del modello di presente. E della sua, poi, ribellione; quando capisce di essere, così, al servizio del potere.

-"Arance precoci", di Giampaolo Simi (10 pagine, pag. 61)-storia di vampiri moderni, in cui si immagina che un’epidemia che colpisce l’emoglobina invada l’Europa (od il mondo intero?), ed i traffici clandestini di sangue pulito, fra mafia e malviventi di ogni sorta e provenienza.In mezzo a tutto ciò, un ministro, che tenta di patteggiare con un boss mafioso.

-"Sepoltura", di Valerio Evangelisti (19 pagine, pag. 73)-in cui, per mezzo di una trama alquanto improbabile di terrificanti metodi carcerari e di tortura e di evocazioni di intere tribù di defunti, si fa un discorso sul calpestamento dei diritti dell’uomo in certe democrazie, e sul loro non essere sufficientementemente tutelate dalla comunità internazionale.

-"Gli inappartenenti", di Salvatore Perillo (15 pagine, pag. 93)-una sorta di storia d’amore di fine millennio; ma il millennio è il secondo, e a muoversi sotto un’eterna pioggia acida vi sono anche: "...obbrobri genetici scaturiti dopo le grandi bombe..." (pag. 100). Sono consentiti accoppiamenti solamente fra persone compatibili a parere di una macchina, e, da ciò, scaturisce la trama.

-"Esagrammi", di Antonio Piras (13 pagine, pag. 109)-in cui un mutante fuggito da un laboratorio viene rintracciato."...le cause dei nuovi morbi genetici vadano ricercate nelle tecniche di fecondazione in vitro..." (pag. 112). Centralissimo, l’I Ching, il libro dei mutamenti.

-"Riciclaggio", di Carlo Formenti (13 pagine, pag. 123)-un incubo dickiano, ambientato in un 22° secolo di iperaffolamento e di conseguente scarsità alimentare, in cui viene trovato un modo sconvolgentemente mostruoso di risolverlo. Paranoico.

-"Mekong", di Alberto Cola (anche in "Terzo millennio" n .6, '99; 13 pagine, pag. 137)-vincitore di un premio "Alien", è il racconto del disperato tentativo di fuga di un italiano da una Terra impazzita a causa della scoperta di "Un ormone sintetico in grado di adattare l’organismo umano a qualsiasi fusione con DNA estranei, impedendo il naturale shock genetico da rigetto..." (pag. 142), che causa il riacutizzarsi di ogni sorta di diatribe: "Vecchi rancori mai soddisfatti e diatribe d’ogni genere tornarono a galla come cadaveri gonfi e putrefatti." (idem). Narrato veramente in modo magistrale, quasi soffuso di un’unica atmosfera di cupa disperazione, ma unita ad un, seppur tenue, filo di speranza: "L’umanità aveva fatto di tutto per preservare il peggio di sé, ora era venuto il momento di preservare quel poco di buono che c’era ancora in giro per il mondo. Mi consolava sapere di avervi contribuito in minima parte." (pag. 149).

-"Bestiario di fine millennio", di Gianni Menarini (12 pagine, pag. 151)-in cui, in sintesi, si dice di quanto, ormai, il così detto mondo dell’entertainment, per avere la sua brava audience, debba essere sempre più efferato. Qui, utilizzando quella che è forse l’arma più tagliante della narrativa fantastica, si estremizza il problema, lo si porta, per così dire, ai suoi limiti, per meglio evidenziarlo. Vi si racconta, infatti, di un circo del futuro, in cui vengono non fatti vedere, ma maltrattati ed uccisi, animali dei più riposti angoli della galassia. Ci si diverte, in fondo, nel leggerlo, ed è proprio ciò che, forse, può far realmente riflettere sul problema.

-"Fan da Cefeo", di Primo Levi e Piero Bianucci (originariamente apparso in "L’astronomia" n. 54, aprile ’86, poi in "L’uovo del futuro", ed. Simonelli, ’96, del Bianucci; 6 pagine, pag. 165)-un non-racconto nato da un carteggio decisamente anomalo, scaturito da una trasmissione televisiva. Vi si parla di un pianeta assolutamente diverso dal nostro, abitato da genti completamente diverse da noi. Decisamente più divertente la lettera di Levi, frizzante, più composta la risposta di Bianucci.

-"Garze", di Dario Tonani (11 pagine, pag. 173)-racconto horror davvero tenue, dai contorni poco delineati, soffusi, ma impatto decisamente buono. Una creatura completamente irreale, piombata lì, nel mezzo di uno scenario fra i più normali che ci possano essere, ed un bambino. Ecco, l’elemento veramente perturbante è il bambino, la sua, più che altro, incapacità di capire.

-"Il quiz di Valdemar", di Silverio Novelli (20 pagine, pag. 185)-davvero molto strano, racconta di morti utilizzati a fini bellici; vi è una sorta di al di là in cui si fanno quiz, e molto sesso, e poi paranoici maneggi di potere.

-"La strategia del branco", di Giovanni Burgio (22 pagine, pag. 207)-intrigante, racconta una storia di guerriglia in un futuro dai contorni assolutamente non definiti, in cui si aggirano: "...i regali della biochimica, degli innesti sintetici di DNA." (pag. 227). Ed è questa incertezza sui contorni ontologici del palcoscenico che lo rende, credo, così appetibile.

-"Lo spirito custode", di Giuseppe O. Longo (ha vinto il 1° concorso "Cristalli sognanti", indetto dall’associazione culturale "L’AltroQuando", della fanzine "7° inchiostro"; anche in "7° inchiostro" n. 9, '98 11 pagine, pag. 231)-ottimo, in cui si racconta delle visioni di un frate sui demoni e gli angeli; a me è piaciuto in particolar modo il primo dei brevi capitoletti che lo compongono.

-"Strange day", di Gloria Bàrberi (Premio "Lovecraft" '96, anche in "Mixed" n. 3, "The Dark Side" n. 6, '88, "Intercom" n. 138/139, '94, "La gazzetta del mezzogiorno" del 23 agosto '92, col titolo di "Nuotando attraverso il mattino", e in "Shining" n. 5, '97; 7 pagine, pag. 243)-flash su un futuro prossimo che potrebbe benissimo anche essere il nostro presente, in cui un fantasma appare ad un cantante rock.

-"2.797, croniche della guerra al tenore", di Roberto Barbolini (13 pagine, pag. 251)-divertente raccontino umaristico, tutto vergato in stile ampollosamente antico. La trama, al limite del letterariamente lecito, non conta.

-"Nel ventre di Napoli", di Francesco Grasso (31 pagine, pag. 265)-il più lungo dell’intera antologia, è un ritratto spietato della napolanità; vi si racconta di un ipotetico stato di emergenza, per il quale è necessario lo sfollamento di gran parte della città, e della maniera tutta, appunto, napoletana dell’amministrazione pubblica di risolverlo.

-"Relitti", di Renato Pestriniero (12 pagine, pag. 297)-space opera classica, ambientata in un futuro prossimo in cui mafia e compagnie si contendono il controllo dello smantellamento dei rifiuti spaziali.

-"L'archivio dello spazio", di Claudia Ratti (6 pagine, pag. 311)-in cui si immagina, un po’ alla "Contact", che, in un futuro, ci giunga, da una stella lontana, una trasmissione molto particolare; la creazione del nostro pianeta, ma che, per sapere in che modo noi si sia incominciato a calcarne il suolo: "Non basteranno...i pochi miliardi di anni di tempo che resta ancora al nostro Sole." (pag. 317).

-"Starlight", di Fabio Calabrese (11 pagine, pag. 319)-giallo fantascientifico, un omicidio che, oltre ai moventi normali, ne ha anche uno...astronomico/apocalittico.

-"Il treno ferma in galleria", di Gabriella Scialdone (5 pagine, pag. 331)-il più corto dell’intera antologia, è una buona variante del tema classico dei paradossi temporali, dall’atmosfera alquanto cupa.

 

A lettura ultimata, dunque, possiamo dire che, e non poteva che essere così, la nostra Sf è particolarmente sensibile alla svolta epocale che stiamo vivendo. Ne riflettte, cioè, e a me sembra anche molto bene, le ansie e le aspettative. Se, credo, a prevalere sono i toni cupi, non è altro, mi pare evidente, che per soddisfare quella che è, sicuramente, una delle caratteristiche fondamentali della nostra bella letteratura; quella di dover essere di monito, di far capire dove ci potrebbero condurre determinate scelte che abbiamo da fare, noi, qui e ora, per il nostro, e dei nostri pronipoti, futuro benessere. A parte quel bruttissimo "Tempora!Mores!" (chissà quali buoni sono stati scartati!!), il divertissment "2.797..." e cosette scialbe e risapute come "Relitti" e "Starlight", gli altri sono tutti racconti che fanno pensare, cosa che, in fondo, dovrebbe essere un po’ ciò che la nostra letteratura potrebbe fare, nel mondo in cui viviamo. Ora che, pare, anche la Sf nostrana ha sfondato, pare anche che, addirittura, il buon Lippi accarezzi l’idea di una rivista dedicata esclusivamente ad essa; "Il magazzino dei mondi", si dovrebbe chiamare; sarà solo un’altra utopia, o...

 

Fantasy

 

LE ALI DELLA FANTASIA

"Thule" n. 1, ed. Solfanelli, '81, 260 pagine, 6.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

Altri contributi critici

 

-Recensione di Adalberto Cersosimo, "Sf…ere" n. 21, ‘82 

 

Volume, introdotto da Gianfranco de Turris, contiene i racconti vincitori, e piazzati, dell' edizione dell''80 del premio Tolkien, la prima, premio riservato a racconti di fantasy: sessantadue partecipanti con settantadue opere. La giuria, composta da Gianfranco de Turris, Giuseppe Lippi, e Alex Voglino, coadiuvata da Michele Martino e Carlo Pagetti, riunitasi il 5 gennaio '80, ha giudicato che il migliore fosse "Per cercare Aurade", di Gianluigi Zuddas (tradotto in inglese come "In Search of Aurade", "Terra Sf II: The Year's Best European Sf", a cura di Richard D.Nolane (Daw, '83), tr. Joe F.Randolph; 30 pagine, pag. 17), con la seguente motivazione: "Per l'originalità delle idee, la vena umoristica e la vivacità di stile che lo ricollega con coerenza a tutta la produzione fantastica del suo autore." De Turris ne parla così: "Zuddas offre un esempio di fantasia eroica originale, brillante, ricca d'invenzione". Ma fantasy tout court a me non sembra proprio, privo com'è di duelli cappa e spada; oltretutto il protagonista, l'incantatore Berzelius, non è un eroe dei soliti; il racconto, scritto in una prosa accattivante, si divide in due parti ben distinte; nella prima si viene introdotti al mondo immaginario nel quale si svolgeranno gli avvenimenti della seconda parte, in cui una terra di un futuro molto lontano ci richiama alla mente "Il viaggio di Hiero" di Lanier ("Fantacollana" n. 15, "Tascabili fantasy" n. 2, ed. Nord, '76, '91, ed. Il cerchio), od il bellissimo film di Robert Altman "Quintet" ((Quintet), U.s.a., '79, con Paul Newman, Vittorio Gassman e Fernando Rey). Accanto all'incantatore va ricordato il personaggio di Cerise, la sua allieva e compagna di viaggio; il cui ruolo di apprendista è evidenziato dal fatto che Berzelius nella quasi totalità delle conversazioni descritte non fa altro che prodigarle insegnamenti, consigli. Durante la cerca, nata: "...rovistando in manoscritti polversi, dimenticati da secoli...", si respira una particolare atmosfera, resa molto bene nella storia che figurasi tratta da un racconto riportato al protagonista da un contadino. La storia in questione si riferisce alle "Montagne della Disperazione", dove si pensa si trovi Aurade (che è una "lamia", ovvero una strega). "Chi si addentrava fra quelle montagne veniva colto in breve da sensazioni di tristezza e di scoramento invincibili, oppresso dalla desolazione che permeava il luogo, ed invariabilmente soccombeva all'impulso di tornare indietro in gran fretta". Si può anche sorridere quando l'allieva di Berzelius, candidamente, dice: "Io credevo che le lamie fossero personaggi leggendari, Mastro Berzelius. Fiabeschi come gli gnomi e le streghe.". Ma poi si è ripresi dal tessuto fiabesco della storia, nella quale le Lamie esistono davvero. Ma la ciliegina sulla torta è il finale, difficilmente prevedibile durante le lettura. Di Zuddas che dire? In questi anni ha avuto modo di emergere come uno dei migliori autori fantastici italiani con la sua arguta narrativa.

Il secondo fu Luigi De Pascalis, con "Il parroco di Llerena" (21 pagine, pag. 49). La motivazione della giuria fu la seguente: "Per essere riuscito a trasfigurare un fatto veramente accaduto in una storia dell'orrore, vicino alla migliore tradizione lovecraftiana, attraverso la creazione di un abile meccanismo narrativa ed una crescente suspance.". Le tre parti della narrazione prendono le mosse da Llerena, un paesino della Castiglia. "Una manciata di case bianche e miserabili al centro di questa sorta di deserto". Due studenti, l'io narrante e l'amico Mathias vi giungono e prendono alloggio in una squallida locanda. L'incontro che qui fanno con l'ubriacone Copri Gutierrez, sarà determinante; l'oste dice, di costui: "...Lascio alla vostra saggezza...il crederci o meno.". Ed, in queste parole, si intuisce vagamente una specie di sfida dallo scrittore al lettore. Si viene così a creare una prospettiva strutturale, una delle più classiche, ma non di meno sempre accattivante perchè fa presa sulla nostra attenzione, catapultandoci nella storia; facendoci identificare, ad un qualche livello, col personaggio a cui viene narrato il fatto. Nella terza fase gli studenti cercheranno di verificarne il grado di veridicità, trovandosi invischiati in oscure vicende, culminanti nel ritrovamento del libro rivelatore nella biblioteca della chiesa.Un finale che ricorda un poco "Il nome della rosa" di Eco.

E noi intanto approdiamo al terzo classificato; si tratta de "Il giardino d'inverno", di Franco Cardini (27 pagine, pag. 73), con la seguente motivazione: "Per aver saputo dar vita ad un mondo mitico tra l'heroic fantasy e l'horror, in cui le conoscenze dell'autore nell'ambito della medievalistica trovano compiuta e piacevole espressione narrativa.". Certamente quelle conoscenze sul medioevo di cui si parla sopra sono state preziose al Cardini; il tema è quello del viaggio mitico per la salvezza del regno, e la struttura circolare, con la fine allo stesso punto della partenza. Il nostro eroe giunge da un piano di realtà diverso e si trova come protagonista, predestinato da un'antica leggenda, di una quest intrisa di simbolismi, di cui uno dei più significativi è questo: "...Eric avvertiva in sè due sentimenti opposti rispetto a quel pauroso dedalo sotterraneo: da un lato un indicibile orrore, quasi un senso di ribrezzo: dall'altro una sorta di filiale tenerezza, d'istintivo desiderio di nascondersi per sempre in quell'alveo accogliente e nonostante tutto protettore.". Troviamo, in questo passo, evidenti riferimenti freudiani; vedasi quel "filiali". Il nostro eroe deve affrontare innumerevoli prove ed il prezzo per il loro superamento è un invecchiamento rapidissimo. Ecco come si chiude il cerchio: "Un nuovo grido di stupore, più alto di quello di pochi istanti prima, lacerò l'aria meriadiana. Al centro, nel punto stesso dal quale il bel cavaliere novello era appena scomparso, ecco ora apparire un vecchio dalle spalle curve e dal volto rugoso, ma con la stessa luce gentile negli occhi... Al posto lasciato vuoto da Erec, il sorbetto viola e cannella stava continuando a squagliarsi.". Quell'"appena" è di una significanza massima, così, come lo sciogliersi del sorbetto; i mille pericoli affrontati, le sue stesse vicende umane, si sono svolte in un tempo che, per i suoi amici e parenti, non è esistito, benchè egli sia il salvatore per un intero mondo, colui che ha fatto tornare "la Primavera nel Giardino della Vita". Per concludere, c'è da dire che è molto ben congegnato e tutto tenuto su di un tono estremamente aulico. Dopo il trio dei primi, ci occupiamo degli altri finalisti segnalati dalla giuria.

Cominciamo da Tullio Bologna, con "Il mercenario" (32 pagine, pag. 103). Si tratta di un racconto che, basandosi sul "genere" del "Secondary World" alla Tolkien, ci farà diventare, assieme al protagonista Luca, mercenari del popolo dei nani. La storia è semplice: un disoccupato del nostro mondo firma un contratto di...lavoro e si trova improvvisamente, con un repentino slittamento della narrazione nel "Secondary World". Uno degli elementi potanti della vicenda è l'amicizia di Luca con Marco, uno degli altri mercenari assoldati dai nani; amicizia che finirà poi, a causa dell'avidità di quell'ultimo in un finale che sovverte repentinamente la linearità della narrazione, che a me sembra una scappatoia cercata dall'autore per risolvere la situazione narrativa; il racconto è il più lungo dell'intera antologia e l'autore doveva restare nei limiti imposti dal bando di concorso.

In "Oggi arriva Nanatte", di Giovanni Crimini (20 pagine, pag. 137), ci viene proposta "...una sensazione di attesa "alla Buzzati", ma con una verve umoristica personalissina." Così lo descrive De Turris. È la storia dell'attesa di Nanette; una persona, un ente metafisico? Non si sa, e non lo saprà nemmeno Ettore Benioni, l'impiegato protagonista del racconto. Un ufficio, una intera città (il mondo?), attende Nanette. Ma forse il nome chiave è Ada, non Nanette, Ada, la quindicenne ragazzetta del bar in cui Ettore si rifugia, Ada che susciterà in Ettore emozioni inusitate: "Quella ragazza! Quegli occhi che pare sappiano tutto!". E ancora: "...nei suoi dolci occhi nocciola non c'è riprovazione, ma piuttosto il rimprovero benevolo che si usa per un bambino che innocentemente violi un segreto tropo grande per lui.". Vedremo che l'enigma non ha soluzione, non può averne, tranne che Ada è anche il nome della figlia di Ettore e non vi sarà nessun evento straodinario, nessuna catarsi della tensione sapientemente creata. Finisce tutto con l'impressione che sia successo qualcosa, qualcosa che però scompare in una risata, ma che permane nell'aria. L'opera è una simbolizzazione, piuttosto ben riuscita, del vissuto quotidiano, dell'attesa di un "qualcosa" di straordinario che dovrebbe, si spera, accadere e che non accade mai, per finire col ricadere nella piattezza. Molti i richiami a Buzzati; la ragazzetta del bar ricorda la Laide de "Un amore" ("Oscar" n. 4, ed. Mondadori, '63; XV° ristampa, '78), ed il clima di attesa, ovviamente, "Il deserto dei tartari", forse la più genuina opera di narrativa fantastica che la letteratura del nostro paese abbia mai prodotto.

Una struttura iniziatica complessa ed i passaggi dalla realtà superficiale al grande segreto sono gli ingredianti de "Il guardiano della soglia", di Gustavo Gasparini (16 pagine, pag. 159). Racconto che sa un pò di lovecraftiane riminiscenze, è decisamente divertente. Mario Salvi, assunto come impiegato in un ministero inesistente, scopre di avere un capo solito a scomparire nel nulla: "È uno dei suoi soliti giochetti..."; "...per me si tratta di puro e semplice ipnotismo.", dice Doni, collega del nostro. Ma non basta, ecco i passi che lo portano a conoscenza della struttura in cui lui, il capo e tutti gli altri sembrano muoversi: "...fa parte del cerchio intermedio"; "...noi tre apparteniamo al cerchio esterno della Bussula, come la stragrande maggioranza degli impiegati e dei funzionari..."; "...Ma esiste anche il cosidetto cerchio intermedio, di cui solo pochissimi fanno parte, e sembra che il cavalier Artefio (il capo) sia uno di questi.". E la Malli, altra impiegata, completa il tutto con queste parole: "E poi c'e il misteriosissimo cerchio interno, del quale non sa niente nessuno.". La Malli sarà poi l'amante di Mario e lo condurrà verso la fine del viaggio iniziatico, e, quando la Malli stessa scomparirà, il nostro, alla sua ricerca, varcherà la soglia ed entrerà a contatto del mistero. La soglia da cui il titolo è quella oltre la quale ci può essere o l'ufficio del "capo" o il mondo fantastico prospettatogli. Oltre la soglia dapprima deve affrontare se stesso, il suo doppio, in magnifiche vesti regali, poi una ragazzina sensuale che lo alletterà con promesse di ricchezze favolose, lo inciterà all'assassinio del capo, e, infine, lo benificia delle grazie del suo giovane corpo. "Sesso, oro, violenza: questi ancestrali elementi propulsori dell'azione umana egli li avvertiva fondersi ed amalgamarsi dentro di lui e forgiare una forza irresistibile e tremenda che, lo sentiva intimamente, senz'ombra di dubbio, gli avrebbe assicurato il dominio della terra.". Il finale è doppio; uno a sorpresa ed orrorifico, l'altro cronacistico, tendente a dare una soluzione razionale, ossia che Mario si sia sognato tutto, e sia, conseguentemente morto d'infarto. Narrato con piglio sicuro, scattante, è di non difficile digeribilità; divertendo e, credo, divertendosi, Gasparini mette in ballo questioni non irrilevanti, principalmente quella della tensione psicologica che a volte si crea fra subalterni e capi, quell'alone quasi misterico che l'ignoranza dei primi e la volontà dei secondi troppo spesso crea.

Giuseppe Maxia, con "La pipa migliore" (15 pagine, pag. 177), "...ha ideato un intreccio fantastico "alla M.R.James" estremamente nuovo e godibile." (De Turris). Prendendo le mosse da una situazione fra le più comuni, ovvero, la spartizione di un'eredità, arriva gradualmente ad una in cui il fantastico, il mistero, hanno pieno campo. Fra gli oggetto ereditati si svolge, praticamente, l'intera storia; da un'iscrizione contenuta nel codice "Liber Tabagicus" e da rapide indagini si arriva all'oggetto del titolo; una pipa, trovata, tipicamente, dietro un pannello segreto e contenuta in un elegante cofanetto, è stata: "...fumata solo dieci volte dal 1932 come fosse quasi...un rito magico...".  Ad ogni fumata corrisponde una morte, la prime moglie inizia la sfilata e lui stesso la conclude. E come finisce questa vicenda ultraterrena? Il protagonista, alla fine, in mezzo ma tante pipe funeste si accenderà: "...un grosso sigaro cubano"! Questo racconto viene definito: "...in bilico fra una vicenda "alla Buzzati..." e uno stile alla James"; se non oso pronunciarmi su James (di cui ho letto pochissiomo), per quanto riguarda Buzzati l'unico aggancio è con il volume da lui scritto ed illustrato "Il libro delle pipe" (ed .Alda Martello, '66, in collaborazione con Eppe Ramazzotti).

Il prossimo racconto di cui ci occuperemo è "Ragnarokkr", di Adolfo Morganti (26 pagine, pag.195). Diverse vicende personali legate a morti per lo più gloriose in diversi tempi, convergono in una storia sola di grandiosità non comune. I personaggi, che sono molti, vanno dal barone Kartfried Von Ungern-Stemberg, comandande di uno divisione di cavalleria asiatica zarista durante la rivoluzione, a Costantino XI Paleologo, ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, ucciso nel saccheggio di Costantinopoli abbattuta dai turchi. Morganti narra quasi destini in una prosa a volte eccessivamente altisonante, raggiungendo però momenti di equilibrio lirico apprezzabili. Tutti questi  personaggi di cui sopra si riuniscono in un ultramondo immaginifico, in cui non si sprecano immagini che, nella loro pretesa di grandiosità, di alta significanza simbolica, finiscono per risultare alquanto dissonanti. Evidente il riferimento al Ragnarok, la battaglia finale tra gli dei, che, secondo l'antica mitologia germanica, avverrà alla fine dei tempi (vedasi a proposito, l'interessante saggio di Jan De Vries: "La religione dei germani", compreso nel volume: "Slavi, Baltici, Germani e Celti", da: "Storia delle religioni", a cura di Henry-Charles Puech, "Universale" n. 372, ed. La terza, '77 (Histoire del Religions-Libraire Gallimamard, '70)). e, più vicina noi, al ciclo del fiume di Farmer ("Cosmo Argento" n. 8-16-77/78-133/114/167, ed. Nord, e "I grandi cicli della S.f." n. 2, in cui però non è compreso l'ultimo).

Penultimo troviamo: "Zoologia parallela", un racconto di Massimo Pandolfi (13 pagine, pag. 223). Leggiamo insieme il commento di De Turris: "Pandolfi traccia ancora una volta i confini della sua "zoologia parallela" descrivendo esseri immaginari". In effetti risulta essere estremamente originale in quanto non è un vero e proprio racconto, ma un artefatto che riproduce un vero e proprio bestiario che figura essere un estratto da un'enciclopedia di biologia redatta in un "secondary world". Vogliamo riportare, come esempio, parte del testo riguardante i Feanor o Lapicrisio: "...più d'uno si azzarda affermare che le pietre che infestano il mondo sarebbero tutte monotonamente uguali se stuoli di Lapicrisio non le abitassero ed attraverso la loro presenza e le loro azioni non donassero alla pietra la diversità del tipo, la durezza ed il colore."; "...Il Viandate egualmente li ama... Di notte infatti, nel silenzio cupo e spesso opprimente delle terre straniere, se ti sei disteso a fianco della pietra che ospita i Lapicrisio... Essi sono un notturno compagno fedele e riempiono la solitudine di narrazioni eterogenee.". Le cratere sunnominate sarebbero dei minuscoli vegetali di cui Pandolfi descrive la nascita con notevole delicatezza. Diremmo un'opera complessivamente divertente, svolta sul filo di un tono delicato, infarcito di intriganti richiami a polverosi testi e serissimi tomi scientifici.

In ultimo eccoci a "Elfi", di Gian Pietro Rezoagli (13 pagine, pag. 239), che su un tema liso imbastisce una storia frizzante, spumeggiante e divertente. Vi si narra dell'incontro fra un uomo dei giorni nostri-un neolaureato che acquista una villa e si trova come vicini proprio i succitati esserini-con la realtà elfica. Notevole è l'approfondimento psicologico del protagonista che risulta una figura a tutto tondo, molto ben tratteggiata. La scelta che questo personaggio deve fare è fra il mondo del reale e la condizione elfica, uno stato dell'essere: "...dove la tirannia delle forme che domina il vostro pidocchioso e miserabile mondo nulla può per impedirci il libero, oh si, libero e stupefacente esercizio e sviluppo di tutte le possibilità dell'essere...". La qual cosa risulta però essere un inganno terribile, in quanto, per nulla interessati del benessere interiore del malcapitato, gli elfi vogliono unicamente realizzare un loro antico sogno: "...convincere un cristiano a farsi loro simile..." come ammonisce un vecchio eremita. Narrato in prima persona, con la tecnica del: "è già tutto accaduto, queste sono le conseguenze, e ora vi spiego il perchè"; ci parla del come e del perchè il protagonista non voglia più sentir parlare di elfi et similia. Il fatto che, poi, il nostro eroe fumasse hascich con gli amici, può anche far pensare che in effetti, l'autore si riferisca agli effetti di un brutto viaggio in ben altra "terra di mezzo"; quindi lasciando aperto il solito interrogativo del: "ma sarà poi stato vero che...".

 

E con questo abbiamo finito e possiamo ben dire che, già da questo primo volume, il "Premio Tolkien" arricchisca di molto il sempre più valido panorama della letteratura fantastica del nostro paese.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien": "Premio Tolkien e dintorni", di Giancarlo Pellegrin, "Dimensione cosmica" n. 5, ed. Solfanelli, '85, pag. 32, da "Il mercatino", Trieste, 29/6-12/7/'85

"I ragazzi di fine secolo scrivono fantastico", di Oreste Del Buono, "Corriere della sera" del 4/6/'86

 

"The Dark Side" n. 1, aprile '87

 

LE ALI DELLA FANTASIA/2

"Thule" n. 2, ed. Solfanelli, '82, 260 pagine, 6.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

Il secondo volume di questa serie dedicata ai finalisti del premio Tolkien comprende dieci racconti, così come il primo; a questa seconda edizione hanno partecipato 38 autori con 38 opere, molti meno che alla prima.

Il racconto vincitore è risultato essere "Mondo incompleto", di Lorenzo Iacobellis (anche in "La gazzetta del mezzogiorno" del 15 agosto ’91; 27 pagine, pag. 11). Motivazione: "Per aver creato un mondo del tutto originale e aver ideato una soluzione fuori dal comune per una fantasy a sfondo religioso.". Il luogo narrativo in cui si svolge l'azione è un mondo impossibile, un pianeta creato solo in parte, che è, per meglio dire, composto di due parti, una in cui regna l'organizzazione e l'altra in cui regna il caos, in cui gli elementi vagolano senza coesione, di modo che quest'ultima risulta inabitabile. Dunque fantasy religiosa in quanto basata sul mito di creazione, sulla divinità creatrice. Il fulcro del plot sta nel mutamento sostanziale della credenza del popolo di quel luogo, in seguito alla classica quest: da dio ritenuto buono, si passa ad un Dio saputo malvagio. Le figure centrali, emblematiche, sono un sacerdote, l'ultimo di quell'antica religione, e un lestofante che propizierà, casualmente, l'inizio della quest. Il dio è a pezzi, viene ricomposto, e, una volta completo, si rivelerà per quello che in effetti è. Gli uomini operano una scelta, preferiscono che il loro mondo resti incompleto, piuttosto che avere a che fare col dio malvagio, e operano nuovamente il suo smembramento. Nel far ciò lacerano il mito, secondo il quale tale smembramento era stato compiuto dal dio stesso per una fantasmatica colpa degli uomini, mentre in realtà intuiscono che tale atto doveva essere stato fatto, ai tempi, da altri uomini, per il loro stesso motivo.

Secondo classificato troviamo "Mitis degli alicorni", di Gianluigi Zuddas (30 pagine, pag. 39). Motivazione: "Per la perizia dello stile e per quel caratteristico humour fantastico che contraddistingue tutta la sua opera.". Favola magistrale, vi si possono individuare, direi, due elementi caratterizzanti; uno il protagonista, in questo caso la protagonista di cui al titolo, in età adolescienziale, che si trova ad avere a che fare con il mondo degli adulti. Il tutto, però, ed è questo il secondo elemento, è chiaramente trasposto in un'aura di favola che ne stempera le linee dure per farne risaltare maggiormente gli aspetti archetipici. Mitis è una naiade, con un potere magico molto debole, ad affrontare quello che nel mondo alternativo del racconto è considerato uno dei centri maggiori di potenza magica. Ma sarà proprio il suo amore il fattore determinante, quel quid per cui un immane scontro di forze poderose si annullerà. Dal mondo parallelo con cui è in contatto verrà, nel momento di maggior tensione, in cui si trova in maggior pericolo fisico, il deus ex machina che risolverà la situazione in modo alquanto originale e divertente, per cui solo lei avrà vissuto quegli avvenimenti, mettendola cioè in una posizione tale da renderla, in un certo senso, in possesso di un potere che pare preveggenza, lettura del pensiero, conoscenza di cose che non dovrebbe sapere, che, nel finale, crea una situazione decisamente esilarante.

Terzo classificato è Tullio Bologna con il racconto "La triade protettrice dell'Esarchia" (31 pagine, pag. 71). Motivazione: "Per aver scritto con abilità una delle rare narrazioni fantastiche ambientate in un Medio Evo italiano.". Questo racconto, come si dice nella breve presentazione dell'autore, fa parte di un "ciclo narrativo imperniato su di un mondo italico alternativo alla realtà storica conosciuta", venendo così ad inserirsi con pieno merito nei tentativi di radicare nella tradizione nostrana i più frequenti topoi del fantasy, un Medio Evo italiano alternativo, insomma, in cui il nostro paese si trova suddiviso in sei Esarcati, vede, in concreto, lo sfaldamento di tale tipo di organizzazione nazionale per cui il sopraggiungere di un'unità sotto il controllo di un solo monarca. Al di là, comunque, della trama, che lascio scoprire a chi lo volesse fare, ecco gli elementi fantastici che emergono, ad arricchire il quadro generale della storia. Dapprima l'esistenza di Omar, uno dei componenti di una nave naufragata, proveniente dall'oriente lontano, dai poteri particolari, come l'"hal", "uno stato mistico" che "dà la possibilità di vedere al di là del tempo e dello spazio."; "Omar dice che ognuno di noi ha attorno al proprio corpo un alone nebbioso dai vari colori e che, sapendolo leggere, se ne traggono parecchie informazioni.". Su quest'ultima questione, poi, c'è da dire che, effettivamente tale alone esiste realmente; scientificamente è denominato "Effetto Kirlian", nelle religioni animiste "mana", e, in termini psicologici, come energia vitale, eros, al limite. Che poi ci sia possibiltà di leggere nel pensiero, di indovinare l'essenza di un altro essere, secondo me, è tutta questione di sensibilità; in potenza tali facoltà le possediamo tutti, il più è individuarle in noi stessi, saperle sviluppare, e, infine, utilizzare in modo adeguato. Poi, in conclusione della quarta parte, troviamo, sovrapposti, un espediente letterario di notevole interesse e la descrizione di un'altra meraviglia. L'espediente letterario è il salto di scena repentino, assimilabile all'effetto filmico di oscuramento e ripresa in un luogo differente, la meraviglia è la "pozza d'acqua" attraverso la quale il Mago Montico, assieme a Pixie, un piccolo essere, simile ad un porcospino, fanno, per così dire, i guardoni della scena amorosa tra altri due personaggi. Il più sta nel finale, in cui compaiono due Coboldi, uno dei popoli tradizionali della letteratura fantasy, già apparsi, seppur fugacemente, nel racconto precedente, e in cui avviene una rivelazione, ovvero in cui uno dei personaggi si leva, per così dire, la maschera, e si rivela per quello che effettivamente è, un potente mago, Foteo. Il terzo mago della triade viene nominato nell'ultimissima riga; esso è Finvarra, meta del pellegrinaggio di Montico, e mandatario dei Coboldi; nonchè già nominato dallo stesso Montico nel suo dialogo con Pixie. Per concludere, un impianto narrativo dalla coerenza interna notevole, divertente, anche se a volte un pò troppo lento, soprattutto all'inizio. Unico particolare che non rientra affatto nella coerenza del testo, alcune battute scambiate tra Montico e Pixie: "Piuttosto vuoi dirmi quando la collina si solleverà sui pilastri? Ormai sta per finire il periodo di Lammas e deve verificarsi la processione tradizionale della Sidhe..."; "Può darsi che non sia questa la collina che vai cercando..." (...) "ma se siamo circondati dal biancospino!". Noto con piacere la scarsa presenza dei soliti duelli; ve n'è uno solo, rapido e assolutamente indispensabile all'economia dell'opera.

Passiamo ora a visionare gli altri sette racconti, in rigoroso ordine alfabetico degli autori.

-"Incidente in Val di Lacrime", di Giuseppe Aglialoro (16 pagine, pag. 105). La struttura di questo racconto è quella della discesa e della risalita. Si inizia in un reale molto tangibile, un viaggio in treno, poi, ecco che dalla valigia di uno dei viaggiatori escono lamenti che attirano l'attenzione degli altri. A questo punto si ha un primo slittamento, a dire il vero molto pacato, nel fantastico, con l'accettazione, da parte degli altri della realtà delle varie valli contenute nelle valige del viaggiatore. Il clou del racconto sta nel viaggio che uno dei viaggiatori intraprende nel mondo contenuto in una delle valigie, quella di Val di lacrime, appunto. Dapprima vi dà un'occhiata dall'alto, poi vi precipita e vi vive diverse esperienze che, comunque, lascio totalmente alla vostra immaginazione per giocarvi. Alla fine: "...ritirata finalmente la faccia...", l'atmosfera nello scompartimento si è mutata sensibilmente, è piena di allegria. Innanzi tutto mi pare chiaro, a livello simbolico, una visione dell'arte, da parte di Aglioloro, come consolatrice, come portatrice di contentezza. Inoltre mi sembra che il titolo, e il suo svolgersi, non possa far pensare che alla concezione cristiana del mondo come "valle di lacrime". Nella parte centrale due elementi mi sono parsi rilevanti: 1) Dapprima la valle sembra completamente isolata, e poi invece non si rivela tale, ma munita di svariati collegamenti, uno dei quali mi sembra si possa individuare nella rappresentazione simbolica della presa di coscienza individuale del proprio essere collettivo, del non isolamento. 2) Il colloquio del viaggiatore con una donna il cui marito è lontano e il successivo giungere di una missiva in cui l'uomo annuncia di essere ritornato ma di non potersi far vedere, nel quale il viaggiatore, se così si può dire, fa da consolatore, in cui non si deve assolutamente pretendere di capire le parole dette in modo logico, poichè esse prendono significati polivalenti ed ambigui, che si incasellano nel quadro d'insieme un pò come possono, assumendo, in sintesi ,una connotazione decisamente surreale.

-"L'Artiglio", di Donato Altomare (27 pagine, pag. 123), vede invece protagonista un immortale, e, come avvenimento saliente, un popolo di inumani che invade la terra fiabesca, costellata di maghi, belle principesse e compagnia bella. Risulta ingenuo presentando una figura di eroe decritto molto banalmente, dai connotati molto tipici. Le scene di cappa e spada sono molto frequenti, così come le descrizioni di atti di religiosità pagana. Comunque, quello che maggiormente fa scadere il racconto, è il tono, che risulta in molti passaggi addirittura irritante nella sua figura scontata, e che spesso fa si che la tensione emotiva necessaria a simili racconti si spezzi; in cadute stilistiche, in poche parole. Dunque un eroe descritto come semi-divino, con pensieri e preoccupazioni diversi da quelli dei comuni mortali; comunque qui non si tratta certo di una figura superomistica alla Nietzsche, per nulla, quanto piuttosto di un ricalcamento di modelli fiabeschi tradizionali. Ad un certo punto l'Artiglio si ritrova ad affrontare la battaglia nella sua posizione quasi divina, ed ha un pensiero che non può che ricordare la figura di Gesù Cristo, in cui dice a se stesso la propria umanità, e, quindi, la sua scarsa divinità. Oltre a ciò, naturalmente, l'eterna lotta fra bene e male, rappresentata qui molto rozzamente, con l'inevitabile vittoria, qui militare, del primo sul secondo. Non manca il finale melenso, in cui l'Artiglio non può accettare l'offerta d'amore che gli viene fatta da una dolce donna: "Tu invecchierai. Una, cinque, mille rughe disegneranno sul tuo bel viso la traccia del tempo. I tuoi lunghi capelli diverranno del colore della neve e il tuo corpo superbo sarà un ricordo lasciato in qualche pozza d'acqua cristallina. E allora mi odierai. Odierai il mio corpo sempre giovane, odierai i miei capelli sempre scuri, odierai la mia forza inalterata.". In cui si riassumono un pò i motivi di questo mio giudizio negativo, anche se per quella notte i due si accoppieranno, in un atto che è insieme umano e fiabesco, con la certezza che poi non si rivedranno mai più a creare un'atmosfera molto particolare in cui si uniscono i sentimenti degli addii, dei rimpianti, dell'impossibilità di fare e l'erotismo puro.

Continuando la rassegna troviamo un racconto a quattro mani, "Il mantello scarlatto", di Daniele Bonetti e Valerio Donati, pseudonimo di Michele Martino (30 pagine, pag. 153). Racconto complesso, ha il merito di avere una coerenza interna veramente notevole, come un puzzle i cui pezzi vanno man mano al loro posto, formando un affresco di notevole portata. Cinque soli i personaggi, e nessuno principale; niente eroe, niente protagonista, ma una narrazione corale in cui le diverse armonie delle cinque esistenze si intersecano a creare un reale. Non posso fare a meno, qui, di ricordare i romanzi dickiani, di cui la caratteristica principale è proprio questa. La struttura è molto semplice, e per di più una delle più utilizzate, ovvero un capitolo iniziale di cui non si riescono volutamente a distinguere i contorni testuali, ed uno conclusivo in cui si tirano le fila degli altri compresi nel mezzo, chiarificando e connotando contemporaneamente il prologo. Il tema utilizzato è quello classico della migliore fantasy, ovvero la quest, qui, del mantello scarlatto di cui al titolo, dai poteri eccezionali: "...esso avrebbe donato a chi lo indossava la conoscenza assoluta di sè stessi e la capacità di intuire il pensiero altrui."; "...il Mantello dona si la conoscenza assoluta di noi stessi, ma pochi sono coloro che possono reggerne il peso, poichè conoscere la nostra vera natura significa scoprire il segreto del pensiero umano. E tale segreto, per chi non sia preparato a possederlo, è così insostenible da provocare addirittura la morte.". Quest'ultimo passaggio mi ricorda il pensiero nietzschiano dell'Eterno Ritorno dell'Uguale unito a quello della Volontà di Potenza, il pensiero abissale, che solo alcuni uomini possono sopportare e vivere, l'oceano del divenire con le due immense distese d'acqua del passato e del futuro, e il Superuomo assiso sulla breccia, ma non a contemplare, come in Schopenauer, ma ad agire, a creare, in una pienezza euforica, dionisiaca, così come il pensiero della caduta del Superuomo come qualcosa di terribile, di nullificante. Se il superuomo cade, diviene nulla, in un certo senso muore. La quest viene rivelata dall'Insegnante Fhaxe ai suoi discepoli Lalia e Ràman, a sua volta affidatagli dal Presidente del Gran Consiglio. Anche qui vi è la lotta fra bene e male, i contorni sono più sfumati, lo scontro più convincente, e, in definitiva non ci sono buoni e cattivi, ma semplicemente il tutto è visto dal punto di vista degli eroi impegnati nella quest, e quindi che li ostacola diviene automaticamente un cattivo. Dunque magia bianca contro magia nera, e, quindi, la morale sarebbe ancora quella che uno stesso talento, uno stesso potere, possono essere utilizzati sia bene che male; è la motivazione della quest: "Per questo dobbiamo trovare il Mantello.". Le prime fasi del sesto capitoletto, poi, provocano nel lettore un flusso di coscienza che fa risalire i contenuti del prologo, ma lasciandolo ancora nella perplessità a riguardo del suo significato, così come l'ultima fase dell'ottavo, e una del nono. A cavallo tra pagina 181 e 182, poi, c'è una scena decisamente caotica, in cui vi è una serie di passaggi assolutamente non logici, nel senso di non visualizzabili da parte del lettore poco attento, credo che il fatto passi inosservato, visto che si tratta di una scena cruenta e molto rapida. Poche righe più sotto, poi, assistiamo al crollo della fortezza: "Fazhe...raggiunse la piazza centrale e fece scendere il ponte levatoio. Quindi, presi i cavalli, l'oltrepassò. Non appena l'ebbe fatto, la fortezza prese a tremare, e, poco a poco, iniziò a crollare su se  stessa.". Topos tradizionale della narrativa e della cinematografia sia favolistica che orrorifica; basti ricordare "Il crollo della casa degli Usher" di E.A.P oe e il finale del "Suspiria" di Dario Argento. Infine, appare una parola: "Tactysch", che viene pronunciata da Alikar ben tre volte: la prima a pagina 174, e li non se ne afferra assolutamente il senso, ed a quanto pare non lo afferra nemmeno Laha, che è là con lui; la seconda volta mentre scova il passaggio segreto che lo porterà a liberare Faxhe, il mago bianco, dalle galere di Zelihor, il mago nero; lì sembra una parola magica, un incantesimo; la terza, quasi in conclusione, e questa volta Laha esige delle spiegazioni coi fiocchi: "Tactysch è il nome di un fiore dal quale Zelihor ricava una particolare essenza dall'aroma semplice e molto delicato, ma inconfondibile. E per quanto ne so io, egli è l'unica persona che porti addosso questo tipo di profumo. Perciò quando giungemmo alla fortezza e lo sentii, capii che era tornato.". Altra spiegazione a ritroso dunque, ma credo che i due autori avrebbero anche potuto evitare quella seconda apparizione della parola, a meno che, in effetti, volessero così dare un aiuto in più all'interpretazione del racconto; la chiave di lettura di questo testo stà, infine, proprio nella magia della parola, nel suo potere.

Occupiamoci ora di "E da lontano giunse un cavallo", di Domenico Cerroni Cadoresi (16 pagine, pag. 185). Dall'atmosfera densissima, ha come caratteristica saliente quella della lentezza, degli accadimenti sporadici, che, a mente fredda e lucida, si potrebbero riassumere in pochissime parole. Un viandante giunge in paese, vede un bambino e una vecchia, poi un'altra vecchia, con cui fa un girotondo magico, ed infine, giunge un carrettiere che lo carica sul suo carro, allontanandosi dalla scena. Il tutto avviene senza una parola; non vi è conversazione, neppure minimale; tutta la comunicazione tra i personaggi è lasciata alla mimica, alla danza ed al canto. Vi si possono notare facilmente tre tempi, tre armonie differenti. Nella prima il sopraggiungere affaticato del protagonista, e l'incontro col bambino e la vecchia, una specie di presa di contatto, sebbene minimale, del viandante con l'atmosfera del paese, la presenza incombente di un personaggio-simbolo, la montagna creatura deforme che sopra, sulla sinistra, lì immobile, ma presente, certamente lo sta guardando, il suo allontanarsi per poi tornare indietro a bussare alle porte e a gettare sassi sulle finestre, vanamente; soprattutto un gran silenzio, solo dodici rintocchi del campanile. Nella seconda, la seconda vecchia, la strega, la maga, il suo aggirarsi attorno al viandante ormai addormentato, e poi il sabba, il fermarsi del tempo, le sagome inumane di sogni incompleti, un dionisismo sfrenato in cui si respira un'aria di ebrezza sfrenata, un emergere asaltante dell'es. Il sogno del viandante, la figura della prima vecchia che risale dal suo inconscio sotto forma della donna-maga. "Il tempo reale, che scorre via senza fermarsi, ritorna all'improvviso con un colpo enorme di campana.". E quindi, infine, il cavallo, e il suo carrettiere, nel lento riemergere della luce, del giorno, nello svanire graduale della notte e delle tenebre. "Gli uccelli del mattino ora cantano tutti c'è l'intreccio di toni, varietà di richiam; ."; "...nella luce che cresce in mezzo al canto degli uccelli sembra di momento in momento più inutile e assurdo quell'avanzo scialbo della notte.". Le movenze del carrettiere, nuovamente lente: "Il falco non gira più lassù in alto, chissà dove è sparito. Non c'è ancora nessuno per le strade, il campanile butta giù due colpi; sono le quattro e mezzo. Però nessuno, ancora nessuno.".Il viandante è nel cerchio di cenere, e il carrettiere: "...solleva un pò di fuliggine dai resti del fieno bruciato dalla vecchia...può sembrare incredibile, ma è che voleva andare dentro il cerchio senza saltarlo.".Dunque non sogno, i resti del sabba rimangono, ma i suoi fantasmi svaniscono nel riemergere lento della luce, per le presenza rischiaratrice di quell'uomo, del suo lavoro.

E siamo così arrivati al terzultimo racconto, "L'amico di Max", di Luigi De Pascalis (11 pagine, pag. 203). Racconto veramente scarso, improntato su antiche pergamene, tenuto in piedi da un pathos vecchio stile che può ricordare racconti alla Weird Tales, tipo Lovecraft, Bloch e simili, non finisce certo di convincere; rischia ad ogni piè sospinto di cadere nel ridicolo. L'inverosimilità assoluta dell'assunto iniziale, l'esagerazione dei sentimenti dei personaggi, lo rendono di difficile godimento proprio perchè non convince, rimane troppo distante dal reale, pur volendo rimanerne all'interno. Come già detto è più un racconto dell'orrore che vera e propria fantasy e per di più nemmeno molto originale; il tema del ritrovamento di un segreto seppellito da secoli in un luogo sacro dai connotati molto mistici è stato ampiamente sfruttato. In definitiva  forse il peggior racconto dell'intera raccolta.

Dopo questo buco troviamo "Canzone interrotta", di Benedetto Pizzorno (18 pagine, pag. 217). "Tutte le sue storie, compresa questa "Canzone interrotta" possono considerarsi parte di un vasto affresco di una Terra del futuro, crepuscolare e semideserta, in cui la magia ha preso il posto della scienza.". Così finisce la presentazione al racconto; in ogni modo ogni singolo racconto è assolutamente a se stante, personaggi e situazioni cambiano radicalmente e lo sfondo rimane uguale solo in parte. Questa storia è suddivisa in maniera molto netta in due parti. Una prima parte in cui il protagonista giunge, assieme ad una dolce fanciulla, ad un castello diroccato, con conseguenti avvenimenti magici, e una seconda in cui tale protagonista diviene narratore, ovvero in cui racconta alla ragazza i retroscena degli strani avvenimenti di cui sono stati protagonisti. Ciò che emerge è la rappresentazione simbolica di un amore materno molto possessivo e della conseguente ribellione-fuga del figlio, alla scoperta del mondo al di là della magica gabbia dorata. Nel racconto il protagonista narra anche di un suo precedente ritorno, ormai uomo fatto, e della sua vittoria nei confronti della madre, che, in definitiva, è la reale spiegazione dei fatti contenuti nella prima parte. Nella simbologia chiara del racconto, con la consueta trasposizione di situazioni psicologiche reali e, direi, tipiche, raffigurate in modo simbolico, qui, per mezzo di un mondo magico, come detto all'inizio; un bell'esempio di cosa sia la sua differenza sostanziale dalla fiaba tradizionale con morale finale.

Siamo infine giunti alla fine con "Pioggia d'estate: un'avventura", di Luciana Pugliese (18 pagine, pag. 237). Uno "...spirito universale, e completo, indivisibile, perfetto e bifronte", decide un giorno di "...vivere per qualche giorno tra gli uomini, provare la loro vita, sperimentare la loro esistenza", e tutto ciò gli balena nella mente dopo aver avvistato il corpo di un uomo morto. Ne prende possesso, si intrufola in esso, e scende fra gli uomini. Ma quale il vero nocciolo della questione, quale il vero tema del racconto? Lo spirito incarnato nel corpo incontra una donna, una donna che abita da sola in una casa in un paesino isolato. Offerta di vino e di cibo, conversazione, e poi un giaciglio comodo. Lei fa la civetta, e lo spirito avverte che il corpo da lui posseduto man mano risponde a quegli stimoli: "Le mie mani erano più svelte del mio pensiero.". Ma poi lei si ritrae, non vuole consumare fino in fondo quello che si era cominciato, e lui si risente: "E ora il mio corpo voleva qualcosa, qualcosa di preciso. Ed anch'io sentivo che c'era un modo per essere felicissimo con una donna.". Il motivo di questa ritrosia, a parer mio, non si deve, qui, valutarlo con i parametri con cui si giudicano tali reazioni nel loro svolgersi quotidiano e umano, ma, piuttosto, come l'eplicitarsi della sensibilità tutta femminile di lei, il suo avvertire, ad un qualche livello, non sicuramente conscio, la vera identità dell'essere con cui si trova. Lui, più che umanamente, se ne va, scappa, infuriato; lei lo insegue, ma lo ritroverà solo sotto forma di cadavere, quando cioè lo spirito sarà tornato a turbinare "in alto, ritrovando i panorami grandi, privo ormai di desideri e di pulsioni, perfetto nella (sua) completezza e nella (sua) essenza che comprendeva ogni maschile e ogni femminile.". In conclusione questo racconto racchiude, principalmente, una rappresentazione simbolica della condizione femminile: la donna è una donna matura, pienamente cosciente del proprio sesso, che ormai ha superato lo stadio dell'invidia del pene, ed è quindi giunta a quello del desiderio dello stesso; sa di non poter volare, e così cerca di irretire l'uomo-spirito. Ben più complesso, da questo punto di vista, lui; si potrebbe, in un certo senso, parlare dell'eterna incomprensione della donna da parte degli uomini, ma, come ho già detto, qui non mi sembra molto appropriato. Attenendosi più strettamente al testo, io lo vedrei più che altro come una rappresentazione simbolica dell'uomo come creatura eterna e ciclica, immersa nel divenire spazio-temporale, in pieno volo, che nell'imbattersi in una donna, rallenta la corsa, si perde nei suoi meandri, si tormenta, si interroga e si commuove, scoprendo verità nuove ed affascinanti, quanto, a volte, pericolose. La fuga e il nuovo volo alto, infine, vedono l'aprirsi di più porte, di più livelli; il protagonista ritorna spirito, e il lettore, l'interpretatore, si ritrova sbalzato nuovamente nel mondo reale, ove la donna è la Pugliese, e lo spirito...noi lettori.

 

Dunque, i testi sono quasi tutti di un livello discreto; prevalgono i nomi noti. Il tutto è introdotto da Gianfranco de Turris.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"The Dark Side n. 3-dicembre '87

 

LE ALI DELLA FANTASIA/3

"Thule" n. 4, ed. Solfanelli, '84, 252 pagine, 8.000 £; © by Marino Solfanelli Editrice

 

Eccoci dunque alla terza edizione del "Tolkien", che ha visto un'affluenza molto maggiore delle precedenti: 117 autori con 156 racconti.

Novità di questo '82 il fatto che, nella grande affluenza, siano arrivati alla giuria molti racconti di heroic fantasy, tanto da giustificare l'edizione di un'antologia a parte, "Le armi e gli amori", con ben diciassette racconti.

 

Vincitore di questa terza edizione è risultato Riccardo Leveghi, con il racconto "Le montagne della luna" (tradotto in francese, in "Antares", di Jean Pierre Moumon; 20 pagine, pag. 13). Un piccolo appunto: Riccardo è morto il 27 febbraio 1985, a 43 anni; con questa vittoria e il secondo posto all'edizione '83 riuscì a coronare un suo vecchio desiderio; già da tempo (dal '77) era affetto da una grave malattia che ne rallentò di molto la produzione. Ecco la motivazione della giuria, composta questa volta da Gianfranco de Turris, Franco Cardini, Giuseppe Lippi, Giuseppe Pederiali e Alex Voglino: "Per aver saputo creare una vicenda in cui si mescolano sapientemente ed in un crescendo di suspance storia e fantastoria, religione e fantareligione, mitologia e fantamitologia.". La struttura è piuttosto semplice; inizia in media res per proseguire con gli antefatti. Il logos è "Magdél ed-Kerum...nella Palestina ebraica", nella locanda "La verga di Aronne"; i personaggi sono solo quattro: George, "...programmatore e decifratore dell'EAEC...la commissione nord-europea per la vendita e la produzione di materiale fissionabile"; Margarethe, affascinante e misteriosa, che "si proclamava con tutti a prima vista ebrea e per rivalsa, naturalmente, antiaraba"; La Coyola "...ufficiale, laureato in ingegneria, in evidenti ma non chiari rapporti con il primo". Il Tempo metastorico è quello di un ipotetico scatenarsi di una apocalittica terza guerra mondiale: "La guerra nel mondo... Quella guerra che abbiamo prepato con i calcolatori in ogni fase, dalla mobilitazione generale alle città da colpire perchè il continente asiatico e quello americano siano sterilizzati in solo qualche giorno. La guerra è già in atto.". Del nemico storico-politico, non ci viene detto null'altro, contestualmente; questi pochi spunti restano gli unici semi da far germogliare nel nostro immaginario:uno sfondo che risulta comunque purtroppo fin troppo vivo. I primi personaggi nella locanda ascoltano George raccontare di antiche leggende; la ragazza affascinata La Coyola scettico. Poi arriva Robert con una valigetta, dove vi sono foto "...scattate da un satellite orbitante, due anni fa...a centocinquanta chilometri d'altezza."; "Li hanno abbattuti (...) due giorni dopo il cambiamento di rotta. Americani e sovietici si unirono in questo compito. Ma le fotografie più importanti erano già state trasmesse" a confermare, a ribadire le antiche leggende di chi sapeva, di chi cercava le Montagne della luna, il rifugio senza il quale "...la razza umana, le specie animali e vegetali, non sarebbero sopravvissuti...". Lo scenario continua ad allargarsi e a rimpicciolirsi, dagli spazi siderali all'unica realtà tangibile dell'hic et nonc del logos narrativo. Pochissimi e sbiaditi gli avvenimenti attorno ai personaggi, praticamente nulli, ma che riportano il lettore ad una dimensione accettabile in cui le elucubrazioni verso le quali era stato precedentemente incanalato trovano un compimento. Il Rifugio mitico è localizzato, e George è deciso ad andarci anche dopo il rifiuto, per timore, di La Coyola di portarvelo: "Ci andrò da solo e, dopo me, toccherà a Robert guadagnare le chiavi del Rifugio.". Giunti alla fine, si capiscono, finalmente, le ermetiche prime pagine con George agonizzante e Robert ad assisterlo: "Toccherà a me, questa volta.". Margarethe è uccisa dagli antichi déi, ma rimane oscuro chi ella fosse, e quel: ""Sono venuti", ansimava quel petto "Sono qui, sulle Montagne della luna noi vedemmo i Titani, i figli di Anak che discendono dai giganti e noi fummo avanti a loro come locuste e ai loro occhi siamo locuste"...". George muore, in un'atmosfera che può ricordare la fine di uno dei personaggi di "A Maze of Death" di P.K. Dick: "Le stelle nel cielo sono coperte da una coltre di ghiaccio. Scintillano più vivide e si spengono. La Luna è scomparsa. Una seconda più piccola brilla lontana e selvaggia". (Leveghi); "Vide due stelle scontrarsi l'una con l'altra e dare vita a una nova; la nova s'incendiò, mentre lui continuava a guardarla, cominciò a spegnersi... Sta morendo, comprese. L'universo... Com'è strano, e maledettamente spaventoso, pensò. Si levò in piedi, fece un passo in direzione della porta. Morì così, in piedi." (Dick). I riferimenti storici e mitologici appesantiscono eccessivamente questo racconto; comunque, se si riesce a coglierne i nodi essenziali, e a non soffermare l'attenzione sui troppi particolari non strettamente essenziali, se, cioè, si riesce a cogliere l'idea basilare, questa si rivela decisamente originale e anche gradevole.

Passando ora al secondo classificato troviamo un esordiente, Luigi De Anna, con il racconto "Al di là della porta" (tradotto in finlandese come "Oven tuolla puolen", "Portti" n. 1, '93; 26 pagine, pag. 35); ecco la motivazione della giuria: "Per l'efficace fusione dell'elemento fantastico-epico con una calibrata e sentita ricostruzione della cultura europea alla vigilia della prima guerra mondiale". Innanzi tutto c' è da dire che è estremamente piacevole, più che altro per la suo scorrevolezza; infatti la narrazione scorre molto fluida, specie nella prima parte, per incepparsi però alquanto nel finale. La defaillance incorre quando alla sospensione del dubbio si sostituisce la certezza del non credibile, ovvero quando l'inverosimile che prima generava il sense of wonder diviene l'unica realtà del testo. Proprio sul limitare di questa svolta sostanziale, troviamo quella che forse è una delle cose migliori dell'intera opera ovvero una similitudine descrittiva alquanto poetica del secondary world tolkeniano in rapporto al nostro mondo: "...sono come due fiumi che scorrono parallelamente senza che le loro acque si confondano.". Gli Elfi esistono e nell'Altro Regno in cui vivono con gnomi, draghi e folletti si sta svolgendo una guerra catastrofica fra le forze del Bene e quelle del Male; la storia narra degli ultimi disperati tentativi delle prime per impedire lo straripare delle seconde nel nostro mondo, a portare il germe della guerra mondiale.In un certo senso, quindi, si tratta di "fantasy storica"...non fantapolitica, certo! Non un'ipotesi plausibile per quanto non verificatasi, ma una totalmente fantasiosa e simbolica sulla causa della prima guerra mondiale. Il germe della guerra totale, sembra voler dire, deve essere venuto da un altro quando, un altro dove, non può essere dell'uomo stesso; inconscio collettivo, ecco che forse la questione del significato simbolico si chiarisce.

Terzo classificato è risultato "Il tempo di Knut", di Riccardo Scagnoli (anche in "Polvere di tempo", ed. Black Out, '82; 21 pagine, pag. 63), con la seguente motivazione: "Per aver portato elementi nuovi e suggestivi in un genere ormai sfruttato come quello della fantasia eroica". A mio parere migliore dei precedenti, narra in modo molto poetico di una soglia spazio-temporale che mette in collegamento due universi paralleli, come il precedente; ma questa soglia è oggetto di un rito mistico-magico d'iniziazione, una prova che tutti i figli maschi di un tranquillo villaggio devono superare per volere di oscuri déi. Il lettore è a conoscenza di come stiano le cose sia da una parte che dall'altra, e l'intersecarsi successivo delle scene nei due scenari rende alla fine il quadro completo; la vaghezza delle informazioni sul mondo dove si trovano gli iniziandi una volta valicata la soglia rende l'arcano e il remoto del racconto, mentre il calore, la partecipazione emotiva nel descrivere paesaggi, sensazioni e gesta lo rendono piacevole con, complessivamente, una forte possibilità d'identificazione dei due eroi protagonisti: un lui e una lei, stereotipi del femminino e del mascolino. Una storia d'amore fra pericoli e temporali, in un (due) mondi in cui regna incontrastata la magia. 

Come ormai sappiamo, oltre ai primi tre la giuria indica, ogni anno, sette racconti pubblicati seguendo l'ordine alfabetico degli autori.

Ecco quindi "Il mio nome è Legione", di Claudio Asciuti (27 pagine, pag. 87), rivisitazione della figura del vampiro in una chiave del tutto particolare. Un professore universitario di psicologia e una certa Doina Georghiu penetrano nottetempo nella necropoli cumana di Costanza, nella speranza di trovare una verifica per ricerche teoriche del primo si di una antica leggenda. Da questo accadimento iniziale si scatenano, nella cittadella, omicidi a catena, con cadaveri ritrovati con due buchi sul collo e completamente privi di sangue. La soluzione è originale, ma più che altro ci interessa analizzare il linguaggio, da cui traspare vivamente l'Asciuti saggista: "Se non investi tutta la tua realtà con l'immaginario (...) non vale neanche la pena di vivere."-"E la tua realtà?"-"Non esiste. È solo un nesso che si trova, casualmente, tra noi e tutte le strade che abbiamo di fronte e che ci permette di attraversarle." (...) "...Mi convinco...che il suo mondo sia un continuo tentativo di bilanciare il passato e il futuro, la tradizione e il marxismo, la fede nel Regno Segreto e l'ateismo, il razionale e l'irrazionale.". Oltre che, per una volta, e molto positivamente, essere ambientato in un presente metastorico che slitta lentamente da riconoscibile come nostro a un altro sempre più magico, si ammira l'infiltrarsi strisciante dell'irrazionale (vedasi la favola tra il ballardiano e lo Spielberg de "Lo squalo" nell'episodio del "Drac" canterino) per finire nell'onirico totalmente magico del finale, in cui si mescolano "...il canto antico di un drac e le sirene della polizia."

Segue un altro Riccardo, il giovanissimo De Los Rios jr., con "L'orso di pezza" (24 pagine, pag. 117); benchè lo stile tradisca vistosamente la sua poca esperienza, lo spunto risulta buono e sviluppato in un impianto strutturale accattivante. Un padre decide di regalare al figlio, in occasione del suo sesto compleanno, un orso di pezza che sarà la causa della distruzione totale della famiglia. Lo iato conosciuto/inconosciuto, rassicurante/terrorizzante si può facilmente identificare con il negozio dov'è avvenuto l'aquisto; infatti, se la solida strutturazione della psiche adulta dei genitori all'inizio viene scalfita solo parzialmente da alcune stranezze nel rapporto figlio/orso di pezza, è quando essi si trovano dinanzi a dati di fatto irrefutabili riguardanti i gestori del negozio che la loro sicurezza comincia a vacillare seriamente: dapprima si tratta solo di intuizioni, che trovano comunque strenua resistenza, ma infine il negozio non è più dov'era e nessuno ne sa nulla. Quasi un episodio in margine a "Le armi di Isher" di van Vogt, dunque; ed è proprio un'arma micidiale e totalmente estranea che, dopo un primo assassinio, porta distruzione e morte ai membri di quella sfortunata famiglia, uno per volta. Da notarsi come, una volta che l'incredulità cede totalmente, i protagonisti si trovano proiettati in un reale tangibilmente terrificante, ma assolutamente avulso dal contesto sociale cui appartengono; solo l'ultimissimo paragrafo, che ne fa un'opera aperta, permette d'ipotizzare un possibile ripetersi, a livello collettivo, di quel qualcosa che l'elemento estraneo aveva suscitato in un ambito ristretto. Quanto si diceva dello stile, a proposito di inesperienza, risalta soprattutto nei dialoghi.

Troviamo quindi "La carne e il sangue di Malaberra", di Lorenzo Iacobellis (17 pagine, pag. 143), che ricorderete quale vincitore della precedente edizione. Ci troviamo, qui, di fronte a un'anomalia; ovvero: cosa ci fa un racconto di Sf un un'antologia prettamente di fantasy, in un concorso riservato a racconti di fantasy? La domanda è evidentemente oziosa, ma più che legittima. La storia ha come fondale un altro pianeta abitato da umanoidi che in quanto ad alienità non scherzano. E cosa c'è di più alieno di una razza che ha un diverso sistema riproduttivo? Tutto il pathos, a dire il vero notevole, del racconto è incentrato sulla progressivo scoperta, da parte del lettore, del tipo di strutturazione del tutto particolare e decisamente originale del microcosmo sociale (la famiglia per intenderci) di tale civiltà. La cosa migliore, senza dubbio, è la capacità dell'autore di suscitare curiosità, piazzando nei punti giusti la parola giusta, e di dare la possibilità a una mente elastica di arrivare a intuire la rivelazione successiva prima che gli sia esplicitata. Dunque ottimo spunto sviluppato in modo magistrale, con il consueto sfondo religioso che siamo già abituati a trovare nelle opere di Iacobellis. Valga ad esempio la frase rituale che il protagonista pronuncia, dopo aver completato uno dei riti descritti, quello destinato al pater familias: "Tutti noi dobbiamo soffrire, o Dio, a causa della tua imprevidenza", in cui l'imprecazione evidente da un'idea del senso religioso di quella razza, per la quale il mito della creazione e quello della fertilità, intimamente legato a quello della nutrizione, sono dominati dall'ingenerosità del pianeta. Molto ci sarebbe da dire sull'accentuazione all'estremo dello iato femminilità/mascolinità, ma il discorso si farebbe senza dubbio eccessivamente complesso per essere analizzato in questa sede; è comunque un aspetto da tenere presente per una lettura non superficiale del testo.

E passiamo quindi a Grazia Lipos, con "Morvran" (20 pagine, pag. 163) che, come dice lei stessa, significa "corvo marino" sia in irlandese che in croato. Una favola di una linearirtà sconcertante; un mago cattivo, una strega buona e un comune mortale che si trova per puro caso tra i due. Lei lo salva da una morte quasi certa e lui se ne invaghisce. Lei gli chiede un favore, la tipica quest; lui accetta, ma non otterrà ciò che desidera, l'amore di lei. Alla fine Morvran tornerà libero di continuare il suo viaggio alla scoperta del mondo, prendendo le distanze da colei che non gli sembra più tanto buona, e conservando un'immagine del mago assai differente da quella datagli da lei: no prima di aver tentato, in ogni modo, di convincerla ad abbandonare quel modo di vivere per seguirlo.

Segue quello che si può tranquillamente definire uno dei maggiori scrittori italiani di Sf, ovvero Renato Pestriniero, con il racconto "De ludis in tempore" (anche in "Sette accadimenti in Venezia", "Biblioteca del cigno" n. 22, ed. Solfanelli, '85; 22 pagine, pag. 185). Entità incorporee che vivono in una dimensione dalla quale è loro impossibile scendere in qualsiasi coordinata spazio-temporale decidono di rendere i loro giochi nel tempo più emozionanti, consapevolizzando le loro pedine umane. La prima cavia di questo cambiamento, il protagonista, si chiama...Renato Pestriniero! Ma non è veneziano, bensì toscano... Comunque, dopo l'infuriare del Carnevale, questi rivive l'esperienza di un suo antenato, lui sì veneziano, nella Serenissima del 1576, per risvegliarsi a gioco concluso e non essere affatto d'accordo sul fatto di essere una pedina nelle mani di déi inconsapevolmente crudeli nella loro ignoranza della condizione umana, a causa della loro stessa lontananza. La novità del gioco, la consapevolezza, genera quel quid di stranezze, di "...fatti strani" che mettono in crisi l'ingenua coscienza del Pestrin senza che, comunque, come una delle entità aveva pensato, riesca a capire il perchè. La consapevolezza è tutta del Pestriniero...toscano. In più punti il testo è in un italiano ancora molto vicino al latino, e abbondano i termini dialettici, alcuni spiegati in nota. Stilisticamente si eleva al di sopra della media dei racconti esaminati fino ad ora, con situazioni ben rese, sia come paesaggi che come azione e sentimenti espressi, in un buon amalgama. L'idea, per quanto interessante, anche se non del tutto originale, resta nel complesso in secondo piano rispetto all'interesse che suscita la parte che si svolge in quell'antica Venezia avvolta nella peste.

Penultimo troviamo "Su un lied di Schubert", di Anna Rinonapoli (anche in "Lungo la trama", "Thule" n. 7, ed. Solfanelli, ’85; 11 pagine, pag. 209), altra grande della Sf italiana; da notarsi che, in questi primi tre volumi del Tolkien, figurano solo tre donne su trenta racconti; infatti, oltre alla Lipos e alla Rinonapoli di questa edizione abbiamo avuto solo la Pugliese dell'edizione '81. Comunque, tornando a noi, il presente racconto (molto più breve della media) è realistico a sfondo psicanalitico, cioè facente parte di quel tipo di racconto in cui, a lettura ultimata, appare molto ben distinto il piano del reale effettuale da quello fantastico, che si rivela essersi svolto unicamente nell'inner space del protagonista; chiaramente sussiste, tipicamente, in questo rapporto reale-immaginario, il fattore dell'irruzione dell'irrazionale nel reale, che si esemplifica qui nella scena altrettanto tipica del piano suonato da mani invisibili. Qui, in particolare, un'ottima drammatizzazione del complesso di Elettra in un'adolescente molto frustrata sessualmente, nella quale gli istinti potenziali vengono risvegliati dalla scoperta di una storia d'amore romantica di una sua antenata, omonima, in cui si identifica fino al punto di riviverla in sé per, alfine, prendere coscienza per mezzo di questa fantasia del difficilmente sopportabile fatto di essere gelosa dell'amore della madre per il padre: "Sua madre, sua madre che glielo sta rubando."

In ultimo troviamo un altro esordiente, Fausto Sartori, con "Sàlmarin" (19 pagine, pag. 223). Piuttosto ermetico, si apre e si chiude in una spiaggia reale con un uomo, un bambino e un pesciolino reali, su di un mare che lo è altrettanto. All'interno di questa lunga parentesi, nugoli di simpaticissimi animaletti fantastici, in un mondo immaginario vivono una storia surreale per l'appunto molto ermetica in cui sono ben distinti, senza possibilità di dubbio questa volta, i buoni e i cattivi. Unico tratto che unisce i due universi è il pesciolino, che morente sul bagnasciuga della spiaggia reale è infine ridonato al suo elemento naturale dall'uomo, e che invece nel mondo secondario dapprima è causa dell'insorgere del Male, per poi essere esso stesso a sconfiggerlo. Il simbolo più ermetico rimane comunque la Torre, presente nella spiaggia reale quale semplice torre di sabbia "che un bambino aveva costruito con le sue mani e i suoi secchielli" e che invece nel secondary world risulta essere la chiave di volta per mezzo della quale riuscirà la vittoria sulle forze del Male precedentemente scatenato. Decisamente originale e degno di nota, infine, il passo ove il pesciolino, trasformatosi in scimmietta, fa per la prima volta l'esperienza della propria ombra e dei suoni.

 

Finito ora di commentare i racconti, un'ultimissima osservazione: la copertina, anonima, è veramente brutta; peccato, un brutto involucro per, come abbiamo visto, un ottimo contenuto. Il tutto è, ancora una volta, introdotto da Gianfranco de Turris.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"The Dark Side" n. 35-maggio '91

 

LE ALI DELLA FANTASIA/4

"Thule" n. 6, ed. Solfanelli, '85, 243 pagine, 12.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

Eccoci dunque all'antologia che raccoglie i migliori dieci racconti del premio di narrativa fantastica "J.R.R. Tolkien" '83; 93 i partecipanti, con 117 racconti.

 

Vince "La piega di Anfortas", di Anna Rinonapoli (24 pagine, pag. 17), con la seguente motivazione data dalla giuria, composta, quell'anno, da Gianfranco de Turris, Franco Cardini, Giuseppe Lippi, Giuseppe Pederiali e Alex Voglino: "Per la partecipe rivisitazione di un Medio Evo italico, fantastico e reale, guerriero e mistico, con tutte le sue luci e le suo ombre.".

Vi si narra di un demone e di una vera identità svelata; tutto confluisce in un lieto fine, il demone sconfitto e una giusta dinastia reinsediata.

Secondo classificato: "L'oracolo delle colline", di Riccardo Leveghi (tradotto in francese, "Antares" n. 18, '85, tr. Jean-Pierre Moumon; 26 pagine, pag. 43), con la seguente motivazione: "Per aver saputo creare con potente immaginazione una vicenda lovecraftiana calata nei problemi politici, religiosi e militari della storia contemporanea."

Narra di semidei e mutazioni, di una Macchina-Dio che vaticina da una caverna su di una collina, lasciando intravedere la presenza, oltre al nostro livello di realtà, di altri, più potenti e più vicini alla divinità.

Terzo è giunto  "Quando la nube si chiuse", di Lorenzo Iacobellis (16 pagine, pag. 71), con la seguente motivazione: "Per la sfida alla logica e alla razionalità contenuta in una vicenda ai limiti del possibile."

Racconta di un mutamento che travolge l'intera vita della Terra: "...fenomeni anomali che avevano sconvolto il mondo della materia inanimata.... Poi, nel ribollire dei cambiamenti era stato toccato anche l'uomo.". Una enorme nube avvolge il pianeta, una nube che è: "...un'unica creatura dotata di una sua peculiare forma di vita, così immensa da avvolgere l'intero pianeta."

Le memorie e le vite di persone diverse cominciano ad intrecciarsi fino a che: "...ciascuno di noi...entrerà a far parte di un unico organismo collettivo, psichico e forse anche organico."

Seguono, in ordine alfabetico, i sette racconti segnalati.

Si inizia con "Vento nero", di Laura Agostini (24 pagine, pag. 89), una vera e propria fiaba con tanto di happy end.

ll Male è personificato dal vento nero, che si solleva a colpire tutto di polvere nera: "Quando la prepotenza e l'assurda crudeltà di re Sargum e dei suoi baroni raggiungessero il culmine..." mentre il Bene dai Lheslin, creature semidivine protettrice della natura che tentano di fare un controincantesimo contro quello del vento nero, e di riportare la natura al suo splendore.

Innumerevoli prove dovranno superare per averne ragione, e la frase che sconfigge il vento nero è pronunciata da un uomo: "So che stai per uccidermi...ma non esisti!", poi spiegata da lui stesso "...il male non esiste...a volte è davanti a noi, agisce, fa un sacco di guai ma...beh, in sè e per sè non esiste, è solo...una pazzia, ecco!"

Segue "Il miraggio di Anfortas", di Claudio Asciuti (18 pagine, pag. 115), che narra di una quest che si svolge ai nostri tempi, di un luogo mitico, che è un vero e proprio: "...viaggio iniziatico...il cui fine ultimo, Zalmoxis, era l'immortalità."

Cè poi "Una farfalla nel cassetto", di Massimo Ballabio (12 pagine, pag. 135), che narra di un tempo metastorico in cui un re ha due eredi, Assiar e Nambir, e in cui si scopre che: "...la vita è il sogno, il sogno è la vita. Il mondo onirico non è solo uno stato immaginativo ma un universo reale, fisico, raggiungibile."

Assiar e i suoi adepti: "...cominciano a sviluppare tecniche particolari. Le loro notti da otto ore passano a dieci, dodici. In breve qualcuno riuscì a dormire per lunghi periodi. Un'ora di veglia per venti di sonno. Un giorno Assiar stesso sparì senza che nessuno sapesse dire dove fosse andato. Alcuni discepoli fecero lo stesso. Si pensò avessero scoperto il segreto del sonno eterno."

Invece Nambir e i suoi discepoli pensarono: "Accetando il presupposto, si disse, perchè non tentare d'imporre i sogni della notte al mondo quotidiano?"

Da questa seconda corrente vennero disgrazie e distruzione, fino a che furono completi padroni della Terra.

"Amurak, Amurak", di Matteo Donato Gallucci (21 pagine, pag. 149), narra di un guerriero, Amurak, appunto, e di un dio, Adok; il primo uccide il figlio del secondo, e per questo lui viene esiliato e i suoi genitori uccisi; ma Amurak torna al villaggio, e dopo aver salvato la vita al dio invece di vendicarsi, mette su casa con una di una razza diversa, fino ad allora sempre in lotta con la sua.

Troviamo poi "Luna di marzo", di Grazia Lipos (13 pagine, pag. 173), che narra di un combattimento fra un guerriero addestrato appositamente per tre anni e un serpente marino.

"La cacciatrice", di Lucia P. Elpi (19 pagine, pag. 189), racconta, invece, di un rapimento operato dagli Albi, uno dei popoli della Terra di Mezzo, e del conseguente inseguimento da parte dell'innamorata del rapito.

In ultimo troviamo "La nave di pietra", di Renato Pestriniero (24 pagine, pag. 211), che narra di una antica moneta che ha il potere di mandare in altri piani di realtà.

 

Complessivamente, dunque, dieci racconti tutti di ottima fattura, sia stilisticamente che contenutisticamente; il tutto è ottimamente introdotto da una "Conversazione sul Fantastico italiano" fra Claudio De Nardi e Gianfranco de Turris.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

LE ALI DELLA FANTASIA/5

"Thule" n. 9, ed. Solfanelli, '86, 204 pagine, 14.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

Nell''84 il Premio Tolkien fu suddiviso nelle categorie "romanzi", nella quale risultò vincitore "Il nido al dì là dell'ombra", di Renato Pestriniero, e "racconti"; questa è l'antologia in cui sono raccolti i racconti vincitori, e finalisti, di quell'edizione, alla quale parteciparono cinquanta autori, con sessanta racconti.

 

Ha vinto "Intorno a lei, Magellano", di Claudio Asciuti (e in questo sito: http://www.intercom.publinet.it/1999/asciuti.html; 23 pagine, pag. 11), con la seguente motivazione, data dalla giuria, quell'anno composta da Gianfranco de Turris, Mario Bernardi Guardi, Giuseppe Lippi, Giuseppe Pederiali e Alex Vogliono: "Per aver con esso, l'autore, raggiunto-almeno per il momento-la conclusione di una quinquennale ricerca inventiva, stilistica e interiore, ed il cui risultato a motivo dei significati simbolico-fantastici espressi, sembra indicare una nuova via per la narrativa italiana non-realista."

Vi si narra dell'ascensione di due immortali ad una montagna piena di sortilegi.

Secondo si è classificato "La montagna d'acqua", di Lorenzo Iacobellis (20 pagine, pag. 37), con la seguente motivazione: "Per aver creato l'autore, come è sua costante caratteristica, un mondo altro, fantastico e terribile, in cui si scontrano i sentimenti più profondi dell'uomo, e averlo descritto in modo pieno ed efficace."

Ambientato in una Terra formata da un solo continente, narra della disperata ricerca dell'ultima Porta delle innumerevoli che prima costellavano il mondo e che davano accesso a mondi diversi ed alieni.

Terzo si è classificato "La città scarlatta", di Marco De Franchi (22 pagine, pag. 59), con la seguente motivazione: "Per aver ideato una interessante variazione italiana dei lovecraftiani Miti di Cthulhu, e averla sviluppata in maniera personale e autonoma, nonostante i riferimenti obbligati."

Ambientato ai tempi nostri, narra di un paesino fantasma, ai confini fra Italia e Jugoslavia, abititato solo da un certo dottor Zernich, un suo maggiordomo, e una puttana di nome Dona, ove giunge, su invito di Zernich, un professore milanese, che vivrà un'incredibile avventura.

Seguono, in ordine alfabetico, gli altri sette finalisti.

Si inizia con "Locanda di mezzocammino", di Giuseppe Aglialoro (15 pagine, pag. 83), che narra di due uomini identici, un emiro e un marabutto, che si scambiano le parti.

Si prosegue con "Per chiunque mi stia cercando", di Flavio Massimo Amadio (18 pagine, pag. 101), che narra di una casa maledetta.

C'è poi "Il mago, il pugnale, la ragazza", di Massimo Ballabio(7 pagine, pag. 121), che narra di una premonizione con sorpresa finale.

Segue "Nebbia di un ricordo", di Stefano Bon (13 pagine, pag. 131), storia tutta d'atmosfera, con fantasma.

Troviamo poi "La lega della pietra bianca", di Giuseppe Di Donna (6 pagine, pag. 147), brevissima narrazione di una quest odierna.

Penultimo, ecco "A Candia per morire", di Matteo Donato Gallucci (23 pagine, pag. 155), un episodio della guerra fra Venezia e i turchi.

Ultimo è "Dio gioca sempre da solo", di Mario Lucidi (17 pagine, pag. 181), strutturato a scatola cinese, che narra di uno scrittore in prigione e di una lucertola parlante.

 

Nel complesso dieci racconti abbastanza soddisfacenti, dalle tematiche fra le più svariate, anche apprezzabili da un punto di vista stilistico.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

IMMAGINARIA/1

"Thule" n. 11, ed. Solfanelli, '86, 258 pagine, 14.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

Nell''85 il Premio "Tolkien" fu suddiviso nelle categorie "racconti" (vedi "Le ali della fantasia/6") e "romanzi brevi"; questa antologia ne raccoglie i romanzi brevi; quell'anno la giuria fu composta da Gianfranco de Turris, Mario Bernardi Guardi, Claudio De Nardi, Giuseppe Lippi, Alex Voglino e Claudio Asciuti, e, a questa categoria, parteciparono 12 opere.

Vincitore è risultato "Viaggio per Lia", di Luigi De Pascalis (100 pagine, pag. 13), con la seguente motivazione: "Per la padronanza dei mezzi espressivi e stilistici, per la capacità di sviluppare un intreccio che sempre coinvolge, per l'abilità nel ricostruire scenari rinascimentali, per la sapienza nel tratteggiare personaggi altrimenti noti, in una struggente storia d'amore sospesa fra il presente e il passato, l'invenzione e la realtà, il gusto dell'arte e il fascino dell'alchimia, in un'opera di sapore meyrinkiano."

Vi si tratta, con grande maestria, di un viaggio nel tempo, di uno scambio di anime tra due uomini, l'uno vissuto nel 1478, e l'altro nel 1978, nella stessa Firenze, che si trovano, alla fine, prigionieri nel corpo dell'altro.

L'alchimia è il centro del racconto, è quella che rende possibili tutte le meraviglie ivi contenute.

Pieno di colpi di scena e molto ben congeniato, ha nelle descrizioni della Firenze di Lorenzo De Medicio la sua parte migliore.

Secondo classificato è stato "L'ora delle ombre", di Grazia Lipos (31 pagine, pag. 117), con la seguente motivazione: "Per essersi confermata la più interessante autrice italiana di heroic fantasy con un'opera di delicata poesia, dallo stile sobriamente lirico, un breve romanzo compatto e senza sbavature in cui, su spunti howardiani, i classici topoi della fantasy si compongono malincolicamente sul tema della nostalgia dell'eroe."

Vi si narra dell'innamoramento di un giovane per un dèmone a cui era stato inizialmente soggiogato, dei suoi tentativi, dapprima, per liberarsene.

Ambientato in un mondo al di fuori della Storia, ha come suoi punti di forza, le descrizioni del dèmone dalle sembianze splendide, un dèmone che, tolkenianamente, è un essere del mondo di mezzo.

Terzo classificato è risultato "Gli occhi nel bosco", di Marco De Franchi (68 pagine, pag. 187), con la seguente motivazione: "Per la spregiudicatezza e l'originalità con cui motivi lovecraftiani trovano splendida ambientazione italiana in un lavoro che-a differenza di tanti stanchi epigoni del "solitario di Providence"-rinnova la magica atmosfera dei Miti di Cthulhu, mediante un linguaggio di taglio secco e cinematografico, a tratti potentemente evocativo, di presa immediata sul lettore e dall'impatto irresistibile."

Ambientato in un paesino del Parco Nazionale d'Abruzzo, narra del Piccolo Popolo e di un giovane regista giunto in quei paraggi per cercare ispirazione per la sua nuova fatica.

Centralissime le figure dei bambini, amici del Piccolo Popolo.

Ottima l'introduzione di Gianfranco de Turris.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

LE ALI DELLA FANTASIA/6

"Thule" n. 12, ed. Solfanelli, '87, 190 pagine, 12.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

 

Antologia che raccoglie i racconti vincitori, e finalisti, al Premio "Tolkien" '85, nella sezione "racconti", alla quale parteciparono 86 autori, con 122 opere.

 

Vincitore è risultato "Quando il tempo è un pugno di polvere", di Renato Pestriniero (23 pagine, pag.11), con la seguente motivazione: "Per la grande professionalità e coerenza con cui l'autore ha dipinto un vasto affresco fantastico, di cui questa novella "ucronica" è tra le migliori espressioni: rivive nelle pagine terse ed agili di Pestriniero la dorata Venezia dei Dogi, suggestivo sfondo di una misteriosa quest che schiude al protagonista i labirintici sentieri di un altro spazio e di un altro tempo."

Il racconto è una specie di seguito a quel "La nave di pietra" finalista del Tolkien '83, e narra del tentativo di recuperare la stessa antica moneta di quell'altro racconto, che ha la stessa capacità di mandare in altri piani di realtà, proprio in uno di questi altri livelli di realtà.

Secondo si è classificato "I cacciatori nella neve", di Adriano Vignola (16 pagine, pag. 37), con la seguente motivazione: "Superba ghost-story, nel solco di una tradizione che ha illustri precedenti, specie anglosassoni, condotta all'imprevedibile conclusione sul filo di uno stile gelido ed elegante, ritmato dall'ambigua presenza di un celebre quadro di Brugel."

Vi si narra di uno squilibrato mentale e del suo patologico rapporto con un quadro di Brugel.

Terzo è risultato "Il pensatore di incubi", di Nicola Pasqualicchio (10 pagine, pag. 55), con la seguente motivazione: "Per il finissimo gusto dell'horror, in un vero e proprio conte cruel non indegno-a tratti-di Borges e di Poe, la cui prosa asciutta ed esatta non disgiunta da una logica implacabile, sfociano in un finale assolutamente inedito e originale."

Un uomo, dai cinque anni all'età adulta, è perseguitato da incubi notturni, ma scopre un antidoto: pensarli di giorno; solo che, alla fine, è sopraffatto proprio da quelli diurni.

Seguono, in ordine alfabetico, gli altri sette finalisti.

Si comincia con "La vigilia di san Giuseppe", di Tullio Bologna (23 pagine, pag. 67), ambientato ad Assisi, in cui si narra del tentativo di un dio oscuro di profanare i luoghi sacri a san Francesco.

Segue "Cypre", di Margherita Corsini (8 pagine, pag. 93), in cui si avverte nettamente la propensione alla poesia dell'autrice.

C'è poi "La grande quercia", di Mario Lucidi (24 pagine, pag. 103), che narra della lotta fra gli dèi pagani e il cristianesimo nella Gallia conquistata dai romani nel IV° secolo d.c..

Troviamo poi "La sfida di As-suli", di Giuseppe Maxia (14 pagine, pag. 129), che rispecchia appieno la passione per gli scacchi del suo autore.

Si prosegue con "Dentro il buio", di Antonio Piras (19 pagine, pag. 145), forse il migliore dell'intera antologia, a mio giudizio, che narra di una terra condannata da una potente maga all'eterna oscurità, e della lotta per riportarvi la luce.

Penultimo troviamo "Un vecchio diario", di Pierfrancesco Prosperi (10 pagine, pag. 167), che narra di un polizziotto che deve leggersi, appunto, un vecchio diario di Ambrose Bierce che narra della strana morte dello scrittore, e che poi, farà la stessa fine.

Ultimo è "Il giaguaro di Tlon", di Alessandro Quattrone (5 pagine, pag. 179), brevissimo, una disquisizione su Bene e Male da parte di un condannato a morte.

 

Nel complesso, dunque, dieci racconti di un discreto livello, su cui spicca, come già detto, "Dentro il buio" di Antonio Piras, mentre "Cypre" della Corsini e "La sfida di As-suli" di Maxia rimangono ben al di sotto degli standard.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

LE ALI DELLA FANTASIA/7

"Thule" n. 15, ed. Solfanelli, '88, 206 pagine, 14.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

A partire dal 1985 il premio nazionale di narrativa fantastica "J.R.R. Tolkien", come abbiamo visto, si suddivide in due sezioni, una per i racconti e una per i romanzi brevi.

Qui vengono antologizzati i racconti finalisti, mentre i romanzi brevi sono in "Immaginaria/2".

I partecipanti quell'anno furono 127, con 158 racconti.

 

È risultato vincitore il racconto "Cielo d'autunno", di Luigi De Pascalis (21 pagine, pag. 11), con la seguente motivazione: "Per aver dimostrato, con un racconto intenso e sorprendente, che l'Italia può essere anch'essa terra fantastica solo che si sappiano recuperare i suoi miti e le sue leggende, i suoi dèi e i suoi demoni, integrandoli in una cornice narrativa adeguata, sentite e consapevole del retroterra culturale in cui ci si è addentrati."

Vi si tratta di un vecchio cacciatore che, su invito di un povero allevatore a cui sono state ammazzate quasi tutte le bestie, si mette sulle tracce della belva assassina.

Tra continui e prolungati flashback, arriviamo al finale, che vede di scena niente di meno che il demonio, con tanto di zufolo.

Secondo si è classificato "La vendetta della paura", di Alessandra Postal Degasperi (24 pagine, pag. 35), con la seguente motivazione: "Per essere un ottimo esempio di fantastico a sfondo psicologico che, partendo dal quotidiano, giunge poco alla volta sino all'irruzione dell'evento perturbante delle regole acquisite, passando attraverso manifestazioni esteriori e sintomi interiori che modificano-si può dire a tappe-la vita dei personaggi."

Vi si narra di una donna che impazzisce gradualmente nella sua casa isolata nella campagna.

Terzo è giunto "Koan", di Antonio Tafuri Lupinacci (22 pagine, pag. 61), con la seguente motivazione: "Per la precisa e suggestiva ricostruzione del Giappone del XVII° secolo-guerriero, magico, esotico-dove il protagonista, un samurai colto ma scettico, va incontro ad una vicenda fantastica che ne sconvolge l'esistenza, il modo di pensare e di osservare le realtà."

Il racconto è imperniato su di un caso di possessione nel medioevo giapponese.

Seguono, in ordine alfabetico, gli altri finalisti.

Si comincia con "Mochuelo", di Lino Aldani (anche in "Futuro Europa" n. 30, ed. Perseo libri, 2002; tradotto in francese in "La Maison femelle", '89; 15 pagine, pag. 85), che racconta di un allocco, reincarnazione del vecchio proprietario, che diventa nume tutelare di una casa di campagna.

Segue "Allontana da me questo calice amaro", di Donato Altomare (19 pagine, pag. 103); un archeologo scopre il sepolcro della Veronica, e una nuova Sindone; sottoposta ad ogni sorta di prova scientifica, darà dei risultati sconcertanti.

C'è poi "Kursaal "santa Lucia"", di Margherita Corsini (5 pagine, pag. 125), molto breve, e per nulla inerente ad una antologia che dovrebbe contenere racconti di fantasy; si tratta infatti di una banalissima storia d'amore.

Troviamo quindi "Liri", di Marco Ercolani (13 pagine, pag. 133), una storia strana, in cui la gente di uno sperduto paesino cambia a causa della pioggia.

Molto bello, per proseguire, troviamo "Benedictus dominus deus Israel", di Franco Forte (22 pagine, pag. 149), un magistrale racconto di licantropi ambientato nel ducato di Milano nel 1570.

Penultimo è "Amor matris", di Nicola Pasqualicchio (8 pagine, pag.  173), in cui si racconta, in modo molto avvincente, di una madre morta suicida che ritorna per farsi perdonare dai suoi figli.

In ultimo troviamo "La polena", di Luciana Pugliese (15 pagine, pag. 183), forse il più bello, stilisticamente, dell'intera antologia, anche se non per l'idea.

Vi si narra di una giovane donna di un villaggio di pescatori che decide di scappare con un pirata, ma che poi, tradita, si trasforma, appunto in polena, lignea, sulla prua della nave.

 

Per concludere, quindi, anche in questa edizione del Tolkien troviamo racconti di buona levatura, escludendo quello della Corsini, e su cui spiccano senz'altro quello di Forte e quest'ultimo della Pugliese, il primo per l'idea, il secondo per lo stile.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

L'ALTRO VOLTO DELLA LUNA

"Thule" n. 20, ed. Solfanelli, '91, 224 pagine, 18.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

 

Con questa antologia il de Turris ha voluto aggiungere un importante tassello al discorso che il premio Tolkien stà portando avanti ormai da molti anni.

Ha, cioè, messo in evidenza quella che è la componente femminile dei nuovi autori di fantastico italiani.

Sono stati infatti scelti, i racconti raccolti in questa antologia, tra quelli scritti da donne non finaliste ai vari premi Tolkien dall'80 all'89, meritevoli di segnalazione.

Il de Turris, nell'introduzione, fa un discorso molto interessante: "Dopo un femminismo "d'assalto"..."contro" l'uomo...oggi (esso è) alla ricerca di una precisa posizione "accanto" all'uomo, intendendo con questo termine la ricerca di una complementarità secondo i dettami di Madre Natura... In termini filosofici si può fare riferimento al tradizionale simbolo del Tao, il cerchio Ying-Yang...(rappresentante) la totalità nella complementarità; (qui) è il maschile che ha una minima percentuale di femmine, ed il femminile che ha una minima percentuale di maschile. È l'"animus" alla ricerca dell'anima" (e viceversa), ...Il risultato è l'equilibrio dei ruoli." (pag. 7).

Delle autrici presenti nell'antologia, dice: "...le autrici italiane, note, poco note o del tutto sconosciute, non si scompongono di fronte ad alcun argomento, anche se preferiscono i due più tipici aspetti del fantastico: la trasgressione totale, con la descrizione di un mondo altro, come avviene nelle trame di fantasia eroica; e la trasgressione parziale, con l'irruzione nel quotidiano di un elemento disturbante che lo modifica e lo distorce." (pag. 9).

Una curiosità: le donne che hanno partecipato ai primi dieci anni di premi Tolkien sono state il 25 %.

 

-"Zurigo e una donna", di Alida Airaghi (13 pagine, pag. 13)-molto lieve, non ha dei veri e propri elementi fantastici che lo contraddistinguano.

È, più che altro, la descrizione di una sensazione, quella di un uomo verso una città, Zurigo, appunto, trasposta su di una figura fantasmatica di donna: "...lascio questa città che forse non esiste veramente, o forse esiste solo nei listini di borsa.Ci ho vissuto per un anno, ed è stato un anno imcorporeo, di nebbia.... Non è una città virile, piuttosto androgina.... Non la puoi paragonare ad una città delle nostre: immaginati invece una donna alta, ossuta: con occhi larghi e chiari.

Con dita lunghe, voce profonda. Una donna non bella, non giovane, ma che ti costringe a guardarla, quando l'incontri. Che ti ossessiona anche se in realtà non la conosci: ma lei conosce te, e ti prevede in ogni mossa." (pag. 26).

"La donna dal codino biondo volteggiava sui tetti come Mery Poppins, si affacciava improvvisamente a finestre sconosciute, rifletteva la sua faccia nelle pozzanghere, "cucù", facendogli, "sono qui", "sono dappertutto" e lui era contento di scoprirla allucinatoria, fantasma." (pag. 25).

-"Ditemi chi sono", di Maria Antonietta Ambrosini (14 pagine, pag. 29)-di notevolissima atmosfera, racconta di una morta che si reincarna tre generazioni dopo, per vendicarsi di un torto subito: "Io non posso, io non posso, ma tornerò perchè qualcuno deve farlo." (pag. 43).

Molto belle le scene in cui Marzia vede le scene della vita di Caterina, la trisavola reincarnatasi in lei, che le danno, anche, sensazioni di telepatia, dovute alla forte carica empatica che ha con quella donna.

-"Partita a scacchi", di Silvana Buttà (14 pagine, pag. 45)-su due livelli narrativi, uno reale e l'altro immaginario, in cui nel primo si gioca la partita a scacchi del titolo,e nel secondo si combatte una guerra tra reami fantastici in un tipico secondary world fantasy.

In questo vi sono Ondine, Silfidi, Gnomi, Ninfe, Maghi e Streghe: "Gli indovini? Alleati con le Streghe, sublimavano e cuocevano antiche pozioni con ricette tratte da manuali in disuso, distillavano veleni e filtri di potenza e la notte, poi, sperimentavano incantesimi ed evocazioni." (pag. 57).

Il motivo della guerra è uno dei più tipici del genere, cioè quello dell'invidia di un enorme tesoro da parte di altri reami.

Evidente, nella narrazione, il simbolismo sotteso: il regno attaccato è un regno di pace e serenità, e il tesoro invidiato è, alfine, proprio quello.

Il collegamento fra i due livelli è una riprova di ciò: a giocare la partita sono due uomini, e quello attaccato, perdente, ha una donna che lo aspetta, ha in mente lei, il tesoro che l'altro gli invidia.

-"L'antico anfiteatro", di Giuliana Cutore (13 pagine, pag. 61)-è la trasposizione in chiave moderna della leggenda di Cola Pesce.

Uno studente si incuriosisce di alcuni scavi, e trova, come alleato, un professore di liceo.

Ma questi si rivelerà essere un fantasma, e, nei sotterranei, il protagonista incontrerà anche, appunto, Cola Pesce, un pescatore entrato per caso, molti anni prima, in uno di questi cunicoli, trovandovi un tempio dedicato a Plutone, ma avvolta da una maledizione per cui chi vi entra non poteva più uscirne.

Questi ha un aspetto poco rassicurante, ma è innocuo, anzi, è senz'altro un personaggio positivo: "...aveva pinne al posto dei piedi, coperte di squame argentee, e le sue mani dalle unghie lunghissime erano nè più nè meno che zampe d'oca, anch'esse seminascoste da alghe verdastre!" (pag. 71).

Il racconto termina con una forse superflua espressione di quanto implicito nel testo: "...quante leggende sono veramente tali,e non piuttosto l'estremo riflesso di un'inenarrabile vicenda umana?" (pag. 75).

-"Nebbia", di Eleonora Fontana (9 pagine, pag. 77)-in cui viene utilizzato uno degli espedienti letterari più tipici della letteratura fantastica, ovvero quello dell'improvviso ritrovarsi del protagonista in un'altra dimensione, provenendo da quella normale.

Qui è la nebbia, che fa fermare un automobilista, che si ritrova in una di quelle dimensioni altre, in cui partecipa ad una festa di...fantasmi!

Per poi, con altro espediente tipico, lo svenimento, ritornare al reale.

Nel finale c'è l'elemento inquietante del manifestarsi, nel piano del reale, della normalità, di un aspetto di quello altro, che mette un pò di confusione sulla connotazione da dare a quella dimensione, inserendo anche il tema della reincarnazione, anche se in modo alquanto erroneo ed impreciso: "Centotrentaquattro anni fa, in questo luogo, sono stata uccisa durante una festa... Perciò faccio la polizziotta in questa vita...attendo che passi qui, per questi uffici, la donna che mi uccise." (pag. 86); "Sulla pelle chiarissima era visibile una brutta cicatrice, corta e irregolare, quella di una ferita dai bordi non bene rimarginati" (pag. 87); la ferita è identica a quella della reincarnata.

-"Nuvole", di Roberta Gallini (4 pagine, pag. 89)-racconta di una meticcia, nata da un terrestre ed una aliena, dotata di ali, ricercata, catturata e processata per aver parlato: "...di libertà alla gente." (pag. 93).

Evidente la metafora, anche se esplicita nel testo: "...due ali che mi permettono di innalzarmi al di sopra di tutti voi e di tutte le vostre meschinità." (pag. 94).

-"Penombra di luna", di Patrizia Grifoni (10 pagine, pag. 95)-davvero molto suggestivo, è un racconto tutto d'atmosfera, sui sentimenti semplici delle persone semplici, contrapposti al potere dei potenti.

In realtà non è che vi siano dei veri e propri elementi fantastici, presenti solamente nei sogni dei protagonisti, ma nell'insieme risulta sicuramente tale.

-"Il mio signore", di Michela Masci (2 pagine, pag. 107)-cortissimo, è tutto in una dimensione onirica; due cavalli giganteschi escono dal mare, un bimbo sale su uno di questi, che lo porta, attraverso una tipica quest, in un mondo fatato: "Era un mondo diverso, di sogno." (pag. 109).

È un cavallo telepata, e tra lui ed il bimbo si instaura una solida e profonda amicizia.

-"Gli arazzi di Ismediam", di Valentina Mezzoprete (10 pagine, pag. 111)-in cui una strega bianca viene inviata a cercare di annullare un incantesimo che è calato sugli Ismeridi: "...senza le loro visioni non avremmo contatto con il sovramondo divino e il mondo piomberebbe nella rovina. Vai ad Ismedia e annulla l'incantesimo che incombe sugli Ismeridi." (pag. 114).

Un mago nero le si oppone, e vi è l'inizio del loro duello magico che, si annuncia, si protrarrà.

-"Azione di misericordia", di Daniela Moiraghi (3 pagine, pag. 123)-racconta di un soldato che sopravvive ad una cruenta battaglia; vi si mescolano il sentimento della misericordia e un brutale sadismo cinico.

-"La favola della nonna", di Giovanna Morini (4 pagine, pag. 129)-un horror raffinato, in cui due bambini per due sere consecutive vanno a casa di una loro nonna, la quale gli racconta una storia raccapricciante.

Solo che...era morta già da alcuni giorni.

-"Nè si nè no, nè bianco nè nero", di Rosanna Musa (3 pagine, pag. 135)-è un intrigante racconto di una donna adulta che vuole giocare con suo marito, ad un gioco a cui giocava da bambina con la nonna, ma in maniera trasgressiva.

La nonna le diceva che se avesse sbagliato a giocare: "…sarebbe venuto il Re di Fango del Lago a rapir(la)." (pag. 138); e, una volta giocato il gioco trasgressivamente, c'è la tipica irruzione dell'irrazionale nel reale; "forse" il Re di Fango del Lago suona alla loro porta.

-"Dentro ad un sogno", di Alessandra Orlandi (2 pagine, pag. 141)-il personaggio mitico di Lilith piace molto; è questa, infatti, l'ennesima ripresa di quel mito, trasposto ai giorni nostri, in un racconto horror-soft pregievole.

-"L'appuntamento", di Rosanna Orsini (4 pagine, pag. 145)-il personaggio mitico di Lilith piace molto; è questa, infatti, l'ennesima ripresa di quel mito, trasposto ai giorni nostri, in un racconto horror-soft pregievole.  

-"La regina delle ombre", di Miriam Poloniato (15 pagine, pag. 151)-tipico racconto fantasy, in cui è una quest al centro della narrazione.

Qui è una leggenda, la "Ballata di Verena", che accende la curiosità di un uomo, che decide di intraprendere la quest: "...da oltre mille anni, di tanto in tanto, riaffiora la "Ballata di Verena" e...ogni volta un giovane di questo regno parte alla ricerca della Regina delle Ombre.... Il cronista racconta che tutti sono ritornati senza aver trovato nulla." (pag. 161).

E ciò che troverà sarà la realtà celata dalle leggende..in ogni mito, in ogni ballata e in ogni leggenda, era racchiusa una piccola, talvolta piccolissima, parte di verità." (pag. 157).

-"Una vendetta musicale", di Luciana Pugliese (13 pagine, pag. 169)-un horror psicologico, narrato in prima persona da una bambola, cosa che lo caratterizza maggiormente.

È la proiezione delle paure della bambina protagonista, sulla bambola, viste da parte della bambola e quindi, in un certo modo, favolizzate, viste in maniera distaccata, per cui più facilmente analizzabili.

-"Memorial mundi", di Liliana Rosati (7 pagine, pag.185)-stranissimo, con una struttura molto particolare, è infatti costituito da voci di una ipotetica enciclopedia futura.

Vi sono svariati riferimenti di carattere prettamente fantascientifici, ed altri di stampo più prettamente fantastico: "Le ipotesi avanzate dalla Commissione da Cunha parlano di un mondo parallelo il cui unico accesso sarebbe la memoria." (pag. 193).

Io vi ho riconosciuto, tra molti personaggi decisamente immaginari, Borges, e non è certo un caso; credo sappiate della passione sua per questo genere di racconti.

Nell'ultima voce c'è il succo del racconto: "...la Storia Universale nella quale anch'io sono presente, in tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà, finchè non farò parte dell'oblio, che è la tenue sostanza di cui è fatto l'Universo." (pag. 193).

-"Una domenica d'estate", di Mariella Sparacino (6 pagine, pag. 195)-unico racconto dell'intera antologia a non esserne all'altezza, è un brutto racconto di omicidi inspiegabili, a cui, nel finale, viene data una debole, inconsistente, e neppure divertente spiegazione irrazionale.

 

C'è, poi, un'appendice di quattro interventi critici, sempre, per rimanere in tema, scritta da donne e sulle donne nella Sf.

-"La donna lunare", di Mariella Bernacchi (pag. 205)-molto dotto è incentrato sulla mancanza di una reale espressione dell'archetipo femminino nella letteratura fantastica italiana; in essa: "Non emerge la tipologia della "donna assoluta afroditica" e della Grande Dea, l'amore prende il posto dell'impersonale fuoco dell'Eros, la Potenza femminile sacra." (pag. 207); "Non mi sembra di ritrovare alcunchè di questa tipologia nel fantastico italiano di questi anni scritto da donne... Tutto ciò senza togliere alle scrittrice alcun merito di capacità professionale, culturale, impegno sociale..." (pag. 208).

Si dice che: "Paradossalmente...le migliori tipologie di femminino "durgico" (Amazzoni, Guerriere) sono state create da scrittori, ovviamente maschi, di fantasy e science fiction..." (pag. 208).

Per arrivare a ciò parte da un'analisi della fantascienza italiana negli anni '80: "Gli Anni Ottanta sono stati fortemente segnati...da un fenomeno entropico da parte maschile, di ripiegamento e ritorno alla "Terra"...lasciando cadere, come desueti, gli archetipi del guerriero difensore dell'elemento femminile e conquistatore dello "spazio esterno"....ulteriore avanzata dell'oscurità e della misconoscienza del problema di un sostanziale approfondimento del sé interiore femminile, del proprio significato cosmico e delle possibilità reintegrative e di cambiamento di "status" attraverso la conseguente creazione di mondi alternativi o di iniziazione ai misteri del proprio archetipo....seguendo modelli ispiratori esteriori, o un femminismo acido malinteso come separazione, conflittualità o negazione degli archetipi maschili." (pag. 205), citando un intervento della Vallorani, e assimilando la questione là espressa a quella del fascista Evola.

Molto interessanti le osservazioni sul femminismo: "Nella società desacralizzata, la donna non è cosciente delle sue potenzialità di reiterazione dello "status" arcaico di Grande Dea, la Materia Prima, nelle sue manifestazioni afroditiche di forza, "Madre Terribile", divinità connessa allo spirito guerriero e d'avventura.… Oggi, la donna ritiene quasi un insulto che si parli della sua "potenza magica", e ricusando quest'aspetto integrale archetipico, piomba nella tipologia lunare, notturna..." (pag. 206).

-"La coscienza dell'estraneità",di Monica Lanfranco (pag. 209)-in cui si si sostiene che sia proprio questa la molla primaria che spinge le donne a scrivere fantascienza e fantasy: "...è...da (un) allenamento forzato a vivere ai margini che nasce nella passione della scrittura la maggior parte della carica creativa ed espressiva della letteratura femminile." (pag. 209).

Per suffragare tale tesi la Lanfranco esamina quattro opere di altrettante autrici: "Sempre la valle", della Le Guin, "Le nebbie di Avalon", della Bradley, la saga del pliocene della May, e "Partiranno", della d'Eramo.

L'osservazione senz'altro più interessante la ricava dall'esame del romanzo della Le Guin: "...il tempo è sempre stato il "luogo" per eccellenza...del maschile...contrapposto allo spazio: immobile, stabile, accoglitivo, passivo e incapace di operare trasformazioni, tipico del femminile. Con il fantasy e la fantascienza più ancora che con la teoria, le donne hanno operato il rovesciamento di tale visione." (pag. 210).

La May: "...comunica...la fatica di essere estranei al proprio tempo." (pag. 211).

Nella Bradley: "...ritroviamo il tema della diversità e del tempo, qui intrecciati nella difficile convivenza tra vecchio e nuovo, e tra mente e corpo, eternamente scissi e eternamente tesi verso la fusione." (idem).

Nel romanzo della d'Eramo vi è un: "...anelito (un') attenzione per il particolare che la parzialità reca con sè." (pag. 212).

Conclude dicendo che: "Il tempo, la diversità, talvolta l'impossibilità...di comunicare tra i sessi... Questi temi...(che)...le donne, nei prossimi anni...svilupperanno ancora." (idem).

Si cita un'interessante osservazione di Benedetta Bini: "La fantascienza femminile tende a costruire sempre, e inconsapevolmente, un universo utopico...l'ipotesi, o il sogno (talvolta l'incubo) di un mondo parallelo strutturato nelle sue parti. Non l'aggressione, ma la sostituzione, o il confronto." (pag. 210).

-"Interiorità a mito", di Chiara Neirotti (pag. 213)-vi si cerca di individuare le possibili differenze archetipiche dello scrivere femminile e maschile.

Le si individuano principalmente nel modo; una maggiore: "sensibilità...disposizione a cogliere certi toni della gamma del reale, piuttosto che altri; (una) capacità di rendere umana, quasi "domestica", la situazione più incredibilmente fantastica; (una maggiore) attenzione per l'ambientazione del racconto", da parte delle donne, e in "figure di eroi completamente solitari (e nell')avventura in sè e per sè" (pag. 214), da parte degli uomini. Si analizzano poi il ciclo dei Dragonieri della McCaffrey, "Damiano", della McAvory, il ciclo di Merlino, della Stewart, il ciclo di Deryni della Kutz e "Cavalieri del Tau", di Anna Rinonapoli.

Si giunge ad affermare un concetto che mi pare particolarmente pregno di significati positivi: "Compito della letteratura fantastica diviene allora quello di rendere più limpida e comprensibile la condizione del nostro spirito e del nostro rapporto con le cose, costituendosi quali modello esemplare, così come un tempo lo fu il mito." (pagg. 214-5), ribadito nel finale: "...compito che apparteneva un tempo al racconto mitico e che è così necessario nella nostra società contemporanea in cui l'uomo ha perso sè stesso." (pag. 218); e che è: "...comprensione più profonda di un'epoca, di una cultura, raggiunta attraverso una attenzione particolare a tutto ciò che pertiene allo spirito." (idem).

-"Ombre femminili", di Nicoletta Vallorani (pag. 219)-vi si sostiene una tesi di non poco interesse: che nella Sf scritta da donne emerga la necessità di accettare il proprio lato oscuro quale prerogativa indispensabile per il raggiungimento di un reale benessere psicologico: "...l'ombra, l'oscurità, l'assenza di luce tendono ad essere ricorrenti nella narrativa di questo tipo scritta da donne." (pag. 219).

Si analizzano, anche qui, varie opere: del "Frankenstein" della Shelley si dice che il mostro, in un qualche modo, "Ricopriva...il ruolo (del) "fratello oscuro", al quale "si conferiva un'esistenza autonoma" (pag. 220).

Vari racconti della Tiptree: uno nel quale: "...la protagonista, dopo essersi riconosciuta estranea alla società alla quale appartiene, decide di fuggire su un'astronave aliena" (pag. 220); "The Women Men Don't See", in cui: "...le protagoniste non s'identificano con l'ombra, cioè con la porzione più irrazionale, illogica e indisciplinata della natura umana. Al contrario, lo rifiutano, e lo fanno con la pretesa di preservare la loro identità." (pag.  221); "Lei che aspettava tutti gli uomini nati", dalla cui analisi si ricava un'osservazione interessante: "Nel maschile, solare e logico, l'occhio è lo strumento per vedere il reale e discernere ciò che è concreto da ciò che non lo è. Nel femminile, lunare ed emotivo, lo sguardo diventa uno strumento difensivo singolarmente efficace." (pag. 222); "The Female Man" della Russ, in cui: "...un personaggio che volontariamente si pone al di fuori del cerchio della luce e nello spazio della negatività, Jael è l'altro, l'ombra, l'immagine riflessa." (pag. 221).

E "Il mondo della foresta", della Le Guin.

Ciò che si conclude è che: "...il problema dell'Altro, dell'essere che è diverso da te stesso" (pag. 223), è risolto, dalle scrittrici di Sf, dall'adozione dell'androgino quale: "...unica figura utopica in grado di risolvere il dualismo dei sessi." (idem); "...la Le Guin...la usa per dimostrare quante incongruenze sociali spariscano automaticamente quando si elimina la distinzione tra i sessi: "Non c'è nessuna divisione dell'umanità in metà forti e metà deboli, protettore/protetto, doinatore/subalterno, proprietario/proprietà, attivo/passivo."" (idem, citazione da "La mano sinistra delle tenebre").

"...con la figura dell'androgino, arriviamo anche a comporre la dicotomia che avevamo individuato all'inizio: il personaggio riconosce l'esistenza della sua ombra e l'accetta.

Questa, suggerisce la Le Guin, è appunto l'iniziazione all'età adulta, e non c'è altro modo di arrivarci. Per quanto possa essere doloroso, occorre seguire le orme di Ged, ne "Il Mago di Earthsea": "A voce alta e chiara, rompendo quell'antico silenzio, Ged pronunciò il nome dell'ombra, e nello stesso momento l'ombra parlò senza labbra e senza lingua, pronunciando la stessa parola: "Ged". Le due voci erano la stessa voce. Solo consumato questo rito, Ged diventerà un vero mago e una persona intera." (pagg. 224-5).

 

Come abbiamo visto la qualità di questi scritti è davvero buona, tanto che, sinceramente, mi sono chiesto perchè alcuni di essi non siano stati finalisti al posto di certi racconti che lo sono stati, veramente scadenti.

Heroic fantasy

 

SPADE E INCANTESIMI

"Enciclopedia della fantascienza" n. 12, ed. Fanucci, '84, 406 pagine, 28.000 £; © by Fanucci Editore

Altri contributi critici

 

-recensione di Giorgio Sacconi, "L'altro regno" n. 1, ed. Solfanelli, '85, pag. 25

-recensione di Mariella Bernacchi, "Intercom" n. 63, ‘84

 

È questa la prima antologia della Fanucci, curata da Gianni Pilo, dedicata a racconti italiani di heroic fantasy.

Bisogna innanzitutto dire che questa non è la prima iniziativa che si sia occupata di questo sottogenere; infatti nell''82 la piccola Cooperativa Editoriale napoletana Akropolis propose due pregevoli antologie contenenti ciascuna tre romanzi brevi proprio di heroic fantasy di autori italiani, "Le spade di Ausonia" e "I guerrieri di Ausonia", anche ottimamente corredate criticamente.

In quanto a corredo critico, certo, salvo qualche collana che fa eccezione, la Fanucci ci ha abituati assai bene, e questo volume non fa eccezione.

Infatti, oltre alla curazione di Gianni Pilo, che consiste in una breve introduzione, in una presentazione di Alessandro Bani le cui tavole adornano il volume, e le presentazioni ai singoli racconti, vi sono ben tre ponderosi saggi; il primo è "Heroic Fantasy: la trasgressione totale", di Sebastiano Fusco (pag. 13), in cui si fa un discorso davvero interessante e direi molto chiarificatore su quell'argomento per tante volte dibattuto di quale sia quel qualcosa che differenzia la Sf dalla fantasy (ricordo l'ultima Italcon!), per poi passare più in specifico a parlare di quest'ultima, facendo un'ottima analisi del perchè e del percome la fantasy non sia del tutto "trasgressiva", ed indicando nell'ambientazione all'interno della storia, e non in un non-tempo astorico, dell'heroic fantasy, la sua trasgressività totale.

Purtroppo il tutto è rovinato dall'ultima frase, che rivela, se mai ce ne fosse stato bisogno, tutta la "fascistaggine" dell'autore.

La cosa è compensata dagli altri due saggi, entrambi di Domenico Cammarota, "Storia della Fantasia Eroica italiana" (pag. 195) e "Il mito dell'Heroic Fantasy" (pag. 383) che fanno anche, ampi riferimenti all'appropriazione che l'estrema destra ha fatto di tanta fantasy, ridimensionandone ampiamente e documentatamente le pretese.

Ma andiamo ad esaminare i racconti.

 

Il primo è "Giulio l'uccisore", di Claudio Asciuti (21 pagine, pag. 27): come dice Pilo nell'introduzione, l'ambientazione tipica dei racconti di Asciuti sono i paesi balcanici, visti: "...gli studi approfonditi che ha svolto, e continua tuttora a svolgere, sulla storia, i miti e il folklore di quei Paesi."

Questo racconto è appunto ambientato in quei paesi, negli anni dell'avanzata dei Turchi e della peste che li accompagnò. Un cavaliere, prode combattente, iniziato alla forza interiore da un Venerabile Maestro, perde la fede perchè tormentato dal rimorso di aver sverginato la Vergine Vendicatrice, la più grande delle condottiere, e averle fatto così perdere il suo potere: "...sapevi che quello che hai fatto avrebbe tolto a lei ogni protezione..." (pag. 40). Fugge, inseguito dalla Morte, qui personificata, ma si riincontrano tutti e tre, e Rodice, la condottiera, quasi si fa uccidere per difenderlo dalla Morte, e lui ritrova il suo "Chi", la sua forza interiore.

La Morte lo capisce, e li risparmia entrambi: "Oggi, Cavaliere, hai imparato che la morte ha cento volti, ma non tutti sono malvagi come dicono quelli che la temono." (pag. 47).

Evidente il significato allegorico di questo racconto: l'amore è la chiave di volta per capire se stessi e gli altri, e questo sconfigge anche la Morte stessa.

C'è poi "Le quattro porte", di Tullio Bologna (42 pagine, pag. 51).

Racconto piuttosto lungo, facente parte del Ciclo dell'Esarchia, che comprende anche, finora, "Il difensore dell'Esarchia" (vedi la bibliografia dell'autore) e "La triade protettrice dell'Esarchia".(vedi "Le ali della fantasia/2")

Nel mio articolo su "Le ali.../2" scrivo che il ciclo è ambientato in: "...un Medio Evo italiano alternativo...in cui il nostro paese si trova suddiviso in sei Esarcati...", ma quel racconto sembra proprio essere successivo, nella cronologia interna al ciclo, in quanto là: "...lo sfaldamento di tale tipo di organizzazione nazionale (porta al raggiungimento) di un'unità sotto il controllo di un solo monarca."

Qui l'Italia sembra essere suddivisa ancor più che in sei Esarcati, ma comunque non è qui che va cercato il clou del racconto.

Esso è infatti incentrato sull'iniziazione del protagonista, Raniero, fratello del Podestà di Sena (Siena) e Comandante delle Guardie dello stesso, da parte di un eremita vecchio e saggio.  Iniziazione, tanto per intenderci, che ricorda alquanto quella che avvenne in "Karatè Kid", anche se qui le arti marziali sono sostituite dal duello cavalleresco classico.

La storia si ravviva nel finale, nel quale il Nostro deve affrontare quattro duelli sovrannaturali in altrettanti ambienti sovrannaturali, indotto a ciò da un mago nero con tanto di servitori repellenti: "...un essere quasi del tutto umano, dal muso e dalle orecchie canini..." (pag. 84); "...un essere...con le ali membranose...attaccate alle scapole...un elementale..." (pag. 86). Evidentemente, per la strutturazione del finale, che è solo un episodio di un Ciclo.

Segue "La rivolta dei Pentecostali neri", di Domenico Cammarota (15 pagine, pag. 97). Racconto molto forte, dai toni crudi, narra della rivolta di un popolo sottomesso con la forza ed asservito, che massacra e violenta il suo oppressore.

I Pentecostali sono amici degli elfi, degni gnomi e delle streghe, massacrati a loro volta dagli stessi Gondrani, e sono proprio gli elfi a fornire loro le armature di bronzo che li rendono invincibili.

Tra di loro ci sono anche dei mutanti, resi tali da una micidiale arma fornita ai Gondrani dai Lokiti: "...venuti da un altro pianeta..." (pag. 110).

E tutti insieme alla fine, festeggiano lo sterminio dei nemici e la vittoria: "Da ogni angolo del bosco, sbucarono gli abitanti della montagna incantata; erano gnomi, elfi, coboldi, streghe e folletti, ma anche semplici storpi, nani, reietti mutanti e banditi che venivano ad assistere al gran rogo purificatore che annunciava la fine del vecchio mondo, e l'inizio di una era di libertà" (pag. 112).

Evidente, quindi, una certa qual contaminazione, che rende questo racconto assimilabile al sottogenere della Science fantasy, soprattutto quando nel finale c'è una battaglia aerea con "...strani vascelli...", evidentemente fra i Lokiti e gli Dèi, che non può non far pensare ad una battaglia fra due razze aliene.

Si prosegue con "La ballati di Tirivel", di Adalberto Cersosimo (anche in appendice a "Gli esuli delle stelle", di Andre Norton, "Solaris" n. 11, ed. Garden, '88-tradotto in finlandese come "Sauva, koira ja sotakirves", "Portti" n. 1, '92; 32 pagine, pag. 115).

Narra la storia della ribellione degli umani di una regione di una Terra asservita ad un popolo extraumano: "Quelli Venuti da Fuori sono una razza antica...si divisero il nostro mondo, in un'era ormai dimenticata..." (pag. 133).

Questi alieni: "...sembrano fatti dell'essenza stessa del male e sanno estrarre dall'intimo dell'uomo le ombre viscide e cattive che vi albergano." (pagg. 118-9), e possono: "...cambiare a piacimento la materia dello spazio, del (loro) corpo..."; il loro "...animo invecchiava in un corpo sempre giovane." e "...sembrava che la sofferenza degli uomini (li) rinforzasse con l'effetto di un cibo, (li) esaltasse come una droga." (pag. 127).

Il protagonista cavalca un drago, e poi si oppone a questa tirannia fino ad aggregare attorno a sè un vero e proprio esercito che sconfiggerà gli alieni.

Il finale ha un risvolto che fà trapelare l'origine di questi alieni, che potrebbero essere niente meno che i superstiti della perduta Atlantide: "...una regione un tempo culla d'una grande civiltà vecchia di eoni...un'isola sprofondata nell'oceano ormai da millenni..." (pag. 144).

-"Il dito d'oro", di Enzo Conti (19 pagine, pag. 151), è un racconto facente parte del Ciclo di Alidor di Seeregonn, che comprende anche il romanzo breve "Il patto" (vedi "Gli occhi della notte").

Di quello rimane, pertanto, la protaginista, Alinor di Sregoon, la prostituta-guerriera, e la sua spada magica, Nahor del Tumulo, che non può non ricordare, data la sua caratteristica di vita semi-propria, la Spada Nera di Elric di Melnibonè, di Moorcock.

E anche qui si narra della quest di un oggetto sacro, indispensabile per la lotta contro i superstiti del Primo Diluvio: "I figli di Ynywl, mostri primigeni generati prima del Diluvio o sopravvissuti ad esso, grazie a chissà quali oscure e innominabili stregonerie. "(pag. 164).

Vi sono demoni violentatori, e si accenna ad un Rito di Passaggio, "...il Pellegrinaggio dell'Antico Serpente." (pag. 157).

È, sostanzialmente, quella di Conti, una fantasy religiosa, ma anche questo racconto, come quel romanzo breve, risente molto del fatto di fare parte di un ciclo, risultando, in sè stesso, assai poco a sè stante.

-"L'eremita", di Michele Martino e Daniele Bonelli (18 pagine, pag. 173), è un vero e proprio seguito di quel: "Il mantello scarlatto", finalista al Premio "Tolkien" '81 (vedi "Le ali della fantasia/2").

Vi si ritrovano infatti tutti e cinque i personaggi di quello, e la trama è immediatamente susseguente a quella.

Qui si vengono a svelare legami del tutto inaspettati fra i personaggi, oltre al fatto che il finale lascia ampiamente presagire futuri sviluppi.

Ed ecco "La seconda notte di Uther", di Adolfo Morganti (32 pagine, pag. 215). Comincia come un racconto storico della lotta fra Sassoni e Britanni, ma che poi sfocia nel fantastico, spostandosi in un mondo parallelo popolato da mostri provenienti dall'inconscio stesso del protagonista.

Decisamente misterioso, come è abitudine dell'autore, è praticamente, la narrazione di un'iniziazione di cui si sa poco o nulla: "...tu non devi morire; semplicemente, non puoi farlo...il tuo destino è di attraversare fiumi di fuoco, di sentire la potenza, di proteggere la terra e dissodare il tuo cuore grinzoso" (pag. 239), perpetrata niente di meno che dal mago Merlino, visto che il protagonista è Pedragon, quello di Rè Artù.

Vi è una bellissima scena onirica, un drago, un morto vivente e uno specchio irridente con un doppio inquietante, e, purtroppo, un lungo duello, anche se, in effetti, del tutto essenziale per la trama.

Ancora, "Il dispensatore di futuri", di Gianni Pilo (anche in "Sf…ere" n. 16, '81; 13 pagine, pag. 251).

Racconto decisamente bruttino, come d'altronde io ritengo essere l'intera produzione di Pilo, che è molto infantile, soprattutto nello stile.

Fa parte, tanto per cambiare, di un vasto ciclo di science fantasy, di cui però finora sono state pubblicate poche cose, di cui sicuramente la più consistente è il romanzo "La saga dei Virhel", anche là, auto-pubblicata dall'autore-curatore delle collane della Fanucci.

Non spenderei altre parole, oltre al fatto che la presentazione per, almeno, non auto-presentarsi, è di Sebastiano Fusco; che lo esalta: de gustibus...

C'è poi "Lo scrutatore del buio", di Benedetto Pizzorno (27 pagine, pag. 269).

Buono, sfrutta l'espediente della narrazione nella narrazione, e racconta della lotta di un popolo contro i draghi, divoratori degli animali che sono alla base di tutta la loro vita. Pieno di intrighi di Palazzo, ha un finale che ribalta il senso del primo dei brevi capitoletti di cui è composto.

Penultimo è "Velluto e mogano", di Mariano Rampini (32 pagine, pag. 301).

Veramente ottimo, è decisamente anomalo inserito in un'antologia di heroic fantasy.

È infatti ambientato al di fuori del Tempo, su delle Navi che: "...erano gli unici collegamenti che univano tra di loro le isole lontane dei tempi possibili..." (pag. 309), che navigano sul Mare delle Possibilità.

Vi sono i Cambiamenti nelle linee del Tempo, ed è proprio per evitare uno di questi che i protagonisti, guidati dal Poeta, combattono i Cani della Notte, per sconfiggere i loro acerrimi nemici, la signora delle Ombre e la Volpe. Ma non è tanto questo l'importante; l'importante, direi, è l'approfondimento psicologico dei personaggi, evidenziato anche da Pilo nell'introduzione; veramente magistrale la scena in cui i protagonisti sconfiggono un'insidia della Signora delle Ombre trascinati dalle rievocazioni appunto poetiche del Poeta: "...piansero per tutto quello che avrebbe rubato ancora in futuro..." (pag. 319), e anche quella in cui attraversano una parte della Nave dominata dalla Volpe e si imbattono in una trappola psicologica: "In ogni specchio viene proiettata un'immagine di ciò che potremmo essere, ed ogni specchio è una strada aperta verso futuri chiusi da cui sarebbe impossibile tornare." (pag. 315).

Un racconto surreale, quindi, più che di vera heroic fantasy, pur se c'è il duello di dovere, anche se con spade laser.

In ultimo "Il ritorno di Lupa Bianca", di Gianluigi Zuddas (42 pagine, pag.337).

Ambientato nel 7206 dopo Cristo, vede una società risorta dal disastro nucleare (è il 5074 dopo l'Apocalisse, anche), con, classicamente, una religione Apocalittica: "...secondo cui la scienza conduce alla distruzione." (pag. 372), e che, quindi: "...aveva messo all'indice la conoscenza e la tecnica..." (pag. 357).

La storia è tenue, delicata, con una discendente dei discendenti della Lupa Bianca, mitica fondatrice dell'Impero, che, rivestendone le sembianze, fa cessare le ingiustizie sociali e ripristina il credo neocattolico.

 

Per concludere, abbiamo visto racconti, molti dei quali piuttosto lunghi, di buon livello, escludendo senz'altro quello di Pilo, e che affrontano l'heroic fantasy da angolazioni differenti, e su cui, secondo me, spicca quel "Velluto e mogano" di Rampini, anche se, in effetti, come abbiamo detto, è atipico.

Attualmente questa antologia, nel catalogo della Fanucci, risulta fuori catalogo, ma è di facile reperibilità nelle libreria specializzate.

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

MAGIE E STREGONI

"Enciclopedia della fantascienza" n. 14, ed. Fanucci, '85, 461 pagine, 30.000 £; © by Fanucci Editore

Altri contributi critici

 

-recensione di Tullio Bologna, "Sf…ere" n. 5/’86 (44)

 

 

Eccoci dunque alla seconda di queste antologie di Heroic fantasy italiana edite dalla Fanucci, anche questa fuori catalogo.

Bisogna senz'altro dare atto alla casa editrice romana e a Gianni Pilo di avere, con questa iniziativa, aumentato notevolmente le possibilità di uno sbocco professionale per i nostri autori di fantasy, e di averlo fatto in una veste editoriale eccellente.

Il volume si apre con una breve e leggera introduzione del curatore, per proseguire con un buon saggio di Sebastiano Fusco: "Il sogno degli eroi" (pag. 13), che prende in considerazione i rapporti fra Heroic Fantasy e sogno, con alcune considerazioni interessanti: "Come il sogno, la fantasia eroica italiana ignora tutte le varie considerazioni e trascura perfino la verità storica, incisa nel flusso del tempo, per instaurare un reale alternativo modellato non sulle strutture del verosimile, ma sugli impulsi più profondi della libera fantasia....(le) tipologie narrative della fantasia eroica...possono considerarsi tratte dal simbolismo onirico che fermenta in ognuno di noi...(il) tessuto onirico-simbolico è la principale fonte di fascino della fantasia eroica...simboli universali che...fanno vibrare nel profondo del nostro spirito corde nascoste..." (pagg. 19-20). Mi sembrano evidenti echi junghiani, in questo discorso.

A questo articolo si collegano due appendici, la prima che riporta varie idee del sogno, dalle Upanishad a Jung, e la seconda che tratta di alcuni "casi" in cui: "...il sogno può essere suscitato, pilotato, e sfruttato a vantaggio del corpo e dello spirito." (pag. 27).

Il volume è poi, ancora una volta, splendidamente illustrato da Alessandro Bani.

A concludere vi è un altro saggio, "World & sorcery: parola magia", di Giuseppe Lippi (pag. 437), che fa un lungo ed accurato excursus sull' Heroic Fantasy in generale, partendo dalle origini, fino a trattare delle H.F. prima inglese, soffermandosi un pò più approfonditamente su Tolkien, e poi americana, dedicando un lungo capitolo a Howard.

Conclude mediando le due, secondo lui, più autorevoli opinioni sulla natura dell'H.F. dei nostri critici, quelle di Riccardo Valla ed Alex Voglino, dicendo: "...la fantasia eroica...non fa che concretizzare, o "reificare", quella dimensione di spiritualità e arcana simbolica che le deriva dalla vecchia tradizione cavalleresca, o addirittura dal mito." (pag. 460).

Ma cominciamo ad esaminare i racconti.

 

Si comincia con "I tre sei del maligno", di Donato Altomare (20 pagine, pag. 39); nell'ormai piuttosto varia produzione di Altomare ci sono anche due cicli di Heroic Fantasy, quello dell'Artiglio, con alcuni racconti apparsi sulle antologie della Solfanelli del premio Tolkien, e quello del Cavaliere di Tau, di cui questo racconto fa parte.

Piuttosto scadente, narra della solita battaglia fra l'eroe buono e le forze del Male per salvare una fanciulla, anche se il finale riserva una sorpresa che comunque non eleva di molto la pochezza dell'insieme.

C'è poi "Il re dei lupi", di Claudio Asciuti (46 pagine, pag. 63); anche questo racconto fa parte di un ciclo, di cui fa parte anche il racconto "Giulio l'uccisore" di cui abbiamo parlato per il precedente volume.

La qualità narrativa di Asciuti è, come sempre, superba, con una capacità di avvincere il lettore che ha dello straordinario,e un lirismo che per lunghi tratti è veramente mirabile.

Il plot di questo racconto è incentrato sui Licantropi, ma è il conflitto interiore del protagonista ciò che risalta di più, accostando questo eroe al Campione Eterno di Moorcock.

Si prosegue con "Luthien", di Tullio Bologna (32 pagine, pag. 113); c'è molto poco di Heroic Fantasy in questo racconto ambientato ai nostri giorni.

Vi si narra, infatti, del risveglio della vera personalità in una ragazza, a seguito di una seduta spiritica.

Solo che questa personalità vera è quella di, appunto Luthiem, un personaggio Tolkeniano.

Il bello di questi racconti che partono dal quotidiano è il progressivo slittamento nel fantastico, cosa che, di norma, non vi è mai nei racconti di Heroic Fantasy, ambientati fin dall'inizio in mondi fantastici.

-"Acta de parusia", di Domenico Cammarota (15 pagine, pag. 149); decisamente crudo, come ormai siamo abituati per i racconti del Cammarota, con tanto sesso, sangue e violenza, è comunque molto meno fantastico di quello del precedente volume; un Sabba infernale e, nel finale, un Inquisitore che diventa imbattibile per aver bevuto dal: "...ciborio del Santo Sangue." (pag. 161). Sono gli unici elementi propriamente fantastici.

-"L'alba della vendetta", di Mariangela Cerrino (34 pagine, pag. 167); veramente notevole, fa parte anche questo di un ciclo, quello delle Storie dell'Epoca di Mu.

Dico notevole soprattutto per quanto riguarda lo stile, una prosa ricca, un sapiente scavo psicologico dei personaggi, più in generale, la perfettamente riuscita costruzione di un mondo esotico, nei dettagli.

Per quanto riguarda l'idea, direi che per uno che non abbia letto altro di questo ciclo risulta difficile delimitare quanto accade, ma che l'estraneità degli usi e costumi che stanno alla base della vendetta su cui si impernia la trama, la rendono senz'altro interessante.

Un solo accenno alla civiltà Mu: "...apparati che i Mu avevano donato agli umani millenni prima, e che gli umani sapevano riprodurre nella meccanica, ma non nell'energia." (pag. 182). Che comunque, come ho detto, aiutano troppo poco ad inquadrare lo sfondo.

-"Larrabee", di Adalberto Cersosimo (22 pagine, pag. 205); ennesimo racconto facente parte di un ciclo, quello dell'Impero.

È ambientato in un mondo che mi sembra di poter dire futuro, in quanto si nominano gli Antichi, di cui si preservano alcune meraviglie, come il cannocchiale: "...un oggetto degli antichi di forma cilindrica..." (pag. 218), o l'acciarino, e che potrebbe essere identificato come post-atomico, forse, visto che la trama si basa proprio su delle mutazioni, considerate, in quella civiltà, come la magia era considerata dall'Inquisizione, qui rappresentata dal Braccio Tutelare, che perseguita tutti i diversi. Larrabbe è appunto una Diversa: "Io sono una diversa dotata di una tremenda forza che non sempre controllo in modo saggio. Posso guarire le infermità, ma, in certi casi, anche procurarle." (pag. 220).

Il Ciclo, sembra, è una serie di racconti del narratore-protagonista, Ragno.

-"La regina dal manto scarlatto", di Enzo Conti (30 pagine, pag. 231); anche questo, come quello del Conti del precedente volume, fa parte del ciclo di Alinor di Serengon, e ne costituisce senz'altro uno degli anelli più importanti. Come ormai sappiamo, i racconti di questo ciclo sono ambientati in un mondo post-Diluvio, un disastro di cui si sa poco, ma che segna un nettissimo distacco.

Ad Alinor, la protagonista, è stato affidata, dalle Custodi, una spada, Nahor del Tumulo, che vive di una semi-vita propria, e che la conduce/viene chiamata, presso uno dei popoli sopravvissuti al Diluvio, gli Ainn, le Vergini della foresta.

Ed è proprio qui che avviene il cambiamento che rende questo episodio interessante, e cioè l'incontro di Alinor con il suo doppio antidiluviano, il risvegliarsi in lei di ricordi ancestrali, che faranno d'ora in poi di lei una persona totalmente diversa. Da notare che le caratteristiche di semi-vita della spada e il fatto di essere chiamato da un popolo sono elementi tipicamente Moorcockiani.

-"Lo scettro del dolore", di Franco Forte (36 pagine, pag. 265); piuttosto bruttino, parte di una serie di tre racconti di H.F. di Forte, di cui abbiamo avuto modo di parlare a riguardo del suo finora unico romanzo, "Gli eredi di Zlatos", e che avrebbero potuto fare parte di un altro romanzo, mai completato.

Una banalissima lotta fra Bene e Male, non definiti nè caratterizzati, tra Dèi e Demoni, con gli Eroi che sono, ancora una volta banalmente, due amanti, per nulla approfonditi, vuoti psicologicamente.

Anche lo stile è piuttosto scialbo.

-"Jussania", di Daniele Mansuino (12 pagine, pag. 305); un buon racconto di Fantasia Heroica umoristica, decisamente esilarante, a cavallo fra il tipico mondo di H.F., in un futuro di astronavi, ed il presente della mia Milano, con tanto di metropolitana e Cartier, e un'idea di base davvero non male.

-"Gli anfibi di Maahr", di Gianni Pilo (anche in "Sf…ere" n. 17, '81, "Cosmo informatore" n. 1/'83, ed. Nord; premio Italia '82; 13 pagine, pag. 321); anche in questa antologia il curatore pubblica un suo racconto, e anche qui la presentazione è di Sebastiano Fusco.

È un racconto molto noto, che ha vinto anche il Premio Italia, ma rimane, comunque, come abbiamo già detto, un racconto puerile, soprattutto in quanto a stile.

Ed è Science Fantasy, più che Heroic Fantasy, facendo parte del Ciclo della Storia Galattica come il precedente.

-"Vineta", di Miriam Poloniato (14 pagine, pag. 339); una sacerdotessa fugge per preservare un fuoco sacro, e la narrazione prosegue senza grossi sbalzi, con qualche incantesimo stupefacente, ma soprattutto con un ritmo soft, e in uno stile tranquillo e lineare.

-"La lunga ombra della notte", di Mariano Rampini (24 pagine, pag. 357); ambientato nello stesso mondo de "L'ultima stazione" ("Sf...ere" n. 12, '80), è un racconto lento e malinconico, che narra dei: "…due ultimi Ninja, i Signori delle Strade dell'Esercito Imperiale..." (pag. 373), in un mondo che, comunque, rimane, qui, difficilmente collocabile, unico elemento informativo la presenza delle Porte che portano in altri mondi, pianeti o dimensioni che siano, oltre al fatto centrale della rivisitazione della filosofia e delle usanze giapponesi.

-"Il monaco", di Marco Verzini (18 pagine, pag. 385); un buon racconto d'azione, che narra della fredda vendetta dell'ultimo Monaco Guerriero Khan, un ordine votato agli: "...Antichi Dei, sprofondati nel sonno eterno all'arrivo degli uomini e delle giovani divinità che li proteggevano." (pag. 404), con capacità di autocontrollo e di combattimento favolose, oltre ad una buona dose di magia.

In ultimo, "Luci di cristallo", di Gianluigi Zuddas (26 pagine, pag. 407); divertente racconto ambientato nello stesso mondo di un lontano futuro di quello della precedente antologia, è tutto tenuto su di un tono scherzoso che però non stanca.

Si viene qui a sapere dell'epoca in cui si svolgono gli avvenimenti narrati: gli studiosi di una arcana scienza, la Biomanzia (Biologia): "...scoprirono il modo di alterare la vita animale e vegetale. Adducendo la scusa di fare il bene dell'umanità essi avvelenarono la natura e la contaminarono, dando così un tragico inizio agli orrori dell'Apocalisse." (pag. 428).

 

Per concludere, direi senz'altro che il livello medio è piuttosto alto, anche se Altomare, Forte e Pilo lo abbassano notevolmente, mentre racchiude dei veri e propri gioiellini, come i racconti di Asciuti e della Cerrino.

 

"Alpha Aleph Extra" n. 1, agosto '93

 

LE ARMI E GLI AMORI

"Thule" n. 5, ed. Solfanelli, '85, 251 pagine, 10.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

Altri contributi critici

 

-"Una fantasia eroica italiana. Spade, incantesimi e pathos", di Giampiero Cinque, "Dimensione cosmica" n. 6, ed. Solfanelli, '85, pag. 22, da "Il giornale di Sicilia" del 6/7/'85

-"I libri del fantastico della Solfanelli", di Tullio Bologna, "Dimensione cosmica" n. 9, ed. Solfanelli, '86

-Recensione di Mariella Bernacchi, "Algenib" n. 11, ’90

-"Libri per sognare", di Mariella Bernacchi, "Strange lands" n. 6, ‘92

 

 

Di questa antologia già ne ho accennato nel parlare di "Le ali della fantasia/3"; infatti i racconti qui raccolti sono stati scelti fra quelli inviati al "Tolkien '82", tra quanti di essi, e furono numerosi, appartenevano al filone della fantasia eroica, o per dirla all'inglese, dell'heroic fantasy. Questi sono sedici, e non diciassette, come avevo scritto, ed era stato segnalato in quel volume, in quanto, fra le due pubblicazioni, uno di essi venne utilizzato in modo diverso dall'autore, così come, presumibilmente, era avvenuto in precedenza, per un altro; avrebbero dovuto esserci anche "Caccia al basilisco", di Gianluigi Zuddas e "La notte di Uther", di Adolfo Morganti, quest'ultimo, come abbiamo visto, inserito invece in "Spade e incantesimi". In copertina, e anche questo l'avevo già detto, "Galadriel" del Gordini.

 

I racconti compaiono secondo l'indice alfabetico dei cognomi degli autori, e il primo è "Il canto dell'ultima primavera", di Donato Altomare (tradotto in finlandese come "Viimeisen kevään laulu", "Portti" n. 1, '97; 22 pagine, pag. 13), in cui il protagonista è impegnato in quella che si potrebbe definire una quest di carattere psicologico, psicoanalitico; infatti l'oggetto della sua ricerca è il vero padre, dopo che colei che aveva ritenuto la madre vera, una strega, proprio all'inizio della narrazione, gli fa la traumatizzante rivelazione di non esserlo. Tralasciando di dire cosa la strega gli ingiunga di fare, cosa che diviene subito suo incrollabile proposito, diciamo che la storia è caratterizzata, nel finale, da un inganno, anch'esso tutto giocato sulla psicologia del protagonista, che lo distoglie dallo scopo del suo agire, perpetrato da due personaggi secondari che agiscono, per così dire, in una prospettiva più ampia, temporalmente, possedendo, uno di questi, il dono della preveggenza. Conseguentemente agiscono in un modo molto simile a delle divinità astoriche, avendo potuto valutare un'altra linea di condotta, più positiva che quella seppur giusta di Diego, ma dettata da un'analisi più parziale, più umana, più istintiva della situazione. Ricco di spunti divertenti, di trovate originali, la narrazione si dipana gradevole, stimolando al contempo l'arguzia e il senso dell'humor del lettore, oltre che, naturalmente, il suo senso del fantastico.

Il secondo è "Nella pineta di là dal Cenobio", di Angelo Arienti (20 pagine, pag. 37), in cui vengono narrati dei fatti con una tecnica che io, personalmente, non apprezzo eccessivamente, ovvero quella di fare finta, in un certo senso, che i retroscena in cui si muovono i personaggi siano conosciuti dal lettore, avvincendolo, certo, in tal modo, ma non certo rendendogli facile la lettura, che così facendo lo scrittore costringe ad un grosso sforzo per porsi in prospettiva rispetto alla narrazione. Alla fin fine, comunque, per quanto sia, ci si accorge (anche prima, se sè ne ha l'accortezza) che, in effetti, non si ha alcuna possibilità contestuale di capire chi siano e in quale contesto, per quanto interno al secondary world precipuo del racconto, si muovano i personaggi. In effetti, il racconto si caratterizza, più che per la trama, per come è narrato, ovvero in uno stile piuttosto estetizzante, in alcuni punti; per dirne una, i duelli non sono descritti nel modo standardizzato e noioso che siamo soliti trovare, e che, ormai, saltiamo a piè pari, che tanto sono proprio tutti uguali, ma bensì, anch'essi, in una prosa di un certo qual pregio.

Si prosegue con "Luna egea", di Fabio Biasio (17 pagine, pag. 59); si tratta, questa volta, di science fantasy, per quanto eroica. Praticamente si tratta di una trasposizione della leggenda dei cavalieri della tavola rotonda su scala interplanetaria; lo stilema della ricerca di un qualche cosa per salvare il proprio pianeta su di altri, quindi, rapportato alla ricerca del Graal. All'interno di questa struttura primaria si trovano alcuni spunti interessanti, quali una costante presenza del pensiero nietzschiano, soprattutto nelle molte poesie che lo costellano; in particolare della contrapposizione fra apollineo e dionisiaco, ying-yang: "...la lotta/tra le due forze eterne/tra le due forze uniche e sorelle/unite disunite,/necessarie l'una all'altra." (pag. 62) ; "Apollo dio del limite, /dio del sogno; /Dioniso dio/della dirompente natura/e della tragicità della vita." (pag. 65); "...conosci l'àgone/fra te esterno/e te interno." (pag. 66), a caratterizzare la civiltà di quel mondo: "...in ogni...attività c'è lo scontro della vita in tutte le sue forme, senza giudizi di bene o male. Questa è la nostra civiltà..." (pag. 66). 

Così come le descrizioni di un paio di riti pagani come l'arrivo periodico delle Amazzoni e del Rito della Maternità, descritto, questo, utilizzando anche alcuni brani onirici ("Alla fine, con un urlo tremendo aveva visto sè stesso uscire all'esterno." (pag. 74)), che lo caratterizzano psicoanaliticamente. Questo tipo di caratterizzazione si specifica maggiormente poco dopo, quando l'eroe protagonista entra nell'antro di un anacoreta, che è, con molta evidenza, un simbolo sessuale: "L'antro era confortevole e caldo." (pag. 76).

Segue "La strada dei Dèi", di Claudio Brovelli (8 pagine, pag. 79), di cui, sinceramente, c'è molto poco da dire, a parte l'errore grammaticale del titolo; narra una storiellina smilza, senza nessuna suggestione, nè alcuno slancio poetico; tutte pecche, credo, che si possono imputare alla giovane età dell'autore.

Si prosegue con "La casa dei Dèi", di Franco Cagna (20 pagine, pag. 89) (da notarsi la ripetizione dell'errore, nel titolo); decisamente migliore del precedente, vi si narra una storia molto lineare, una quest classica, nel tipico scenario medioevalizzante, nella seconda parte, che è senz'altro la parte più interessante, mentre la prima è decisamente molto più noiosa.  L'oggetto della quest è un fantomatico "Vangelo di Pietro", in quanto: "...le notizie in esso contenute darebbero all'Imperatore la possibilità di riconciliare i Padri della Chiesa." (pag. 93). Di che fine abbia fatto, le ipotesi sono due: una, per così dire, realistica, storicisticamente parlando: "Pare...lo consegnasse ad un suo discepolo, affinchè alla sua morte il verbo non andasse perduto....se ne perse la memoria."; l'altra, appunto, fantastica: "Si racconta...che un Dèmone, un Dio degli antichi uomini, più antico degli Dèi pagani, lo custodisca e non permetta ad alcuno d'impossessarsene." (pag. 97). Comunque è solo nel finale che compaiono alcuni elementi fantastici, i Dèmoni della Montagna, comunque non sotto l'aspetto abituale, concreto, ma bensì sotto quello di fantasmi psichici. Che esito abbia la quest ,a voi il piacere di scoprirlo; comunque posso anticiparvi che c'è ,ed è ben c ongeniato.Pregevoli le descrizioni dei costumi degli armigeri.

Il successivo è "Lava, tra gli alberi che bruciano, ovvero, il tempo della speranza sottile", di Luciano Comida e Stefano Tuvo (vincitore del 1° Premio di narrativa d'anticipazione "Il vascello", '96, a pari merito con "Al termine della galleria", di Stefano Tuvo; 11 pagine, pag. 111). Ciò che caratterizza questo bel racconto è senz'altro la sua vivacità; gli autori sono riusciti ad innestare un meccanismo narrativo capace di tenere desta l'attenzione del lettore, per mezzo, soprattutto, di una notevole maestria nell'uso del tempo narrativo con, cioè, rimandi e ripescaggi di e da situazioni precedenti. E forse, maggiormente, di un linguaggio spigliato, che si rivela molto bene nei dialoghi, decisamente ben riusciti. Nell'introduzione al racconto si dice che Comida stava scrivendo un romanzo ad ampliamento del presente racconto.

Segue "La notte del rito", di Angelo De Ceglie (22 pagine, pag. 125); vi si narra di un torneo approntato per designare il successore del Signore delle Spade, torneo che diviene, comunque, appassionante solo dopo che, fra molti contendenti, ne rimangono solo cinque, fra cui il protagonista. Un paio le cose rilevanti; ancora, in tono minore, il tema già riscontrato della rivelazione, ad un ragazzo, di un segreto precedentemente celatogli, che qui però viene d'apprincipio solamente accennato, ripreso in altro modo, per poi essere definitivamente accantonato e non sviluppato come avrebbe potuto essere, e quello del doppio. Il finale è, letteralmente, da brivido.

Seguono un paio di racconti molto brevi, di cui il primo è "Le due rose", di Riccardo De Los Rios jr. (5 pagine, pag. 149) , che è una fiaba vera e propria, la fiaba di una sacerdotessa di un rito pagano che viene violentata da un démone, e della sua successiva vendetta. La trovata, comunque, ciò che lo rende affascinante, sta fra questi due accadimenti, iniziale e finale; non vi dico in che cosa consista, che il piacevole sta proprio nello scoprirlo nel leggerlo, vi dico solo che è la ripresa di un tema classico della favolistica, quello dell'incantesimo di trasformazione. Per la prima volta, in questa antologia, troviamo delle scene di buon erotismo.

Il secondo è "La ninfa del bosco dei segni", di Gianni Ferracuti (4 pagine, pag. 157), che racconta di un divertentissimo incontro tra niente meno che Gesù e "...una ninfa di quelle minori, poco conosciute." (pag. 160). Il vero punto di forza sta senz'altro nella trovata della cena d'addio per gli dèi pagani: "Ricordava che vi era stata una memorabile cena d'addio, dopo la quale gli dèi pagani si ritirano dal mondo, ..." (idem). Indubbio il rifarsi dell'autore al primo periodo del pensiero nietzschiano, all'utilizzazione culturale singolarissima che egli fece degli dèi pagani, cioè come simboli, in un certo senso, di una potenzialità sfrenata, dionisiaca (vedi, "La nascita della tragedia"), e della sua critica all'ansiosa schizofrenia della società occidentale (vedi, "La gaia scienza"):"Ma tra quanti vivranno correndo, affanandosi come impazziti dietro a mostruose caricature di umanità e bellezza, che tu nemmeno puoi concepire, alcuni ve ne saranno che disprezzeranno il loro tempo, e la maledetta genìa che ha profanato ogni tesoro....e solo essi ti potranno amare." (pag. 162).

C'è poi "Clio", di Adolfo Martini (10 pagine, pag. 163), in cui si narra una vicenda più volte raccontata, come da buona regola della favolistica, a cui può senz'altro essere ascritto; il bel cavaliere, l'eroe positivo, che decide di liberare la bella principessa, con le dovute variazioni, di cui la più rilevante è senz'altro quella che il sentimento sia corrisposto fra i due.

Finale a sorpresa, mostriciattoli vari e un paio di duelli; nel complesso, comunque, abbastanza divertente, soprattutto per il tono di non seriosità, di giocosità, su cui è tenuta l'intera vicenda.

Si prosegue con "Drakar l'eterno", di Luigi Menghini (13 pagine, pag. 175), storia molto lineare, di una vendetta, che si attua a distanza di molti anni, quando già a colui che voleva vendicarsi erano passati gli ardori, cosa, questa, che lo caratterizza più di ogni altra, in quanto ne determina la trovata finale. Buona anche l'idea portante del tramandarsi del titolo di Drakar: "Ma non hai ancora capito? Il mondo è pieno di Drakar: ogni avventuriero, ogni eroico bastardo in cerca di bottino si fa chiamare Drakar! È un pò come un titolo. Il vero Drakar è vissuto due o tre secoli fa...se mai è realmente esistito." (pag. 183) (un tema simile è apparso successivamente nel film fantastico statunitense "La storia fantastica" ("The Princess Bride", '87).  Il protagonista, aveva preso il nome di un famoso ed invincibile pirata, che veniva tramandato per continuarne la leggenda. (Fabrizio Frattari)).

Per il resto, è narrato in una prosa non delle più scorrevoli, con, praticamente, nessun passaggio di un qualche pregio.

Siamo così giunti a "L'ultimo duello", di Paolo Pavesi (10 pagine, pag. 191), caratterizzato da una trovata che, se non certo utilizzata per la prima volta, devo dire, lo fa rientrare in quel tipo di fantasy che personalmente preferisco, ovvero quella in cui il protagonista compie si la sua quest in un secondary world, ma partendo dal nostro piano di realtà.

Solo due le creature fantastiche presenti; un drago e un elfo, ma molto ben descritte; l'elfo, addirittura, sembra quasi avere uno spessore psicologico.

In ogni modo le figure di maggior rilievo sono senz'altro quelle del Mago Bianco e del Mago Nero, il Bene e il Male, simboleggiati in modo quanto mai netto.

Quart'ultimo è "Drusilla", di Daniela Piegai (anche in "Sf...ere" n. 26, '83; tradotto in tedesco come "Drusilla", "Die Menagerie von Babel", '92, tr. Hilde Linnert- 9 pagine, pag. 203), i diritti del quale sono stati acquistati dalla Heyne Verlag di Monaco, in cui si narra, metaforicamente, del passaggio dall'adolescenza alla maturità, ovvero della scoperta del sesso da parte di una ragazza.

Lo stile è vivace, divertente, ciò che lo caratterizza è, senz'altro, il modo giocoso e sottilmente scherzoso con cui si parla di magie e incantesimi vari: "Il giullare, con grandi rumori terrificanti, suscita davanti a me un fuocherello magico, ed io solidifico temporalmente e lo spengo..." (pag. 208).

Notevole la frase finale, in cui si esprime il rammarico di chi ha preso coscienza del proprio essere divenuto adulto: "...baratterei cento anni di serena dignità regale, per una corsa a piedi nudi sull'erba, e la vita ancora tutta da giocare..." (pag. 213).

Terz'ultimo è "L'ombra magica", di Antonio Piras (11 pagine, pag. 215), in cui, tipicamente, i personaggi si muovono sia nel mondo reale che in uno secondario, ma, ed è questo che lo caratterizza, la parte reale ha una completezza tale che ne è possibile una lettura in chiave razionalistica, così come, d'altronde, in una fantastica.

Vi si narra di metempsicosi, anche se non è certo questo quanto emerge, ma bensì una certa qual ripulsa per il nostro tempo, una certa qual nostalgia per altri tempi, in cui si viveva a maggior contatto con la natura.

La chiave di lettura realistica è metaforica, ma la lascio cercare a chi volesse farlo, che richiederebbe che io vi dicessi l'espediente letterario che determina il feeling di gran parte del racconto, e non voglio rovinarvi il piacere di questa lettura.

Penultimo è "Le voci del vento", di Gian Filippo Pizzo (3 pagine, pag. 229), in cui troviamo il tema classico del genius loci: "Io sono Naial la ninfa, la fata di codesto luogo." (pag. 231).

È una favola con fortissimi legami con la mitologia greca, in cui, appunto, si propone, in chiave moderna, il tema dell'amore fra uomini e dèi: "Io sono un uomo... E tu sei eterna e immobile, ... Tu sei certo un uomo, ma puoi diventare divino come me, ... Non è giusto che l'uomo e il divino si mescolino" (pag. 232).

E quello che ci sia qualcosa di più potente degli dèi stessi, che, qui, comunque, è l'amore, e non il destino: "L'amore, è più forte anche di me e mi comanda." (idem), ed è qui che si evidenzia l'appartenenza dell'autore all'attuale atmosfera culturale, il suo aver voluto comunicarci quel tipo di contenuti.

Ed ecco che siamo giunti all'ultimo dei racconti di questa antologia, "Il giovane cavaliere", di Angelo Veroni (15 pagine, pag. 235), molto avvincente, in quanto narrata con una tecnica di continui cambiamenti del punto di vista che da un'impressione complessiva di profondità, direi di pluridimensionalità (es.: "Nel sua castello di Tocos, Tulmec il gran mago si allontanò dallo specchio, aveva visto, aveva sentito tutto, ed era venuto ormai il tempo di agire." (pag. 245)), che, appunto, posta a conclusione di una scena già parecchio complessa, la mette in prospettiva, e la illumina di un significato altro rispetto a quello che il lettore gli può aver dato nel leggerlo. Ciò richiede, da parte del lettore, la piena partecipazione interattiva, se si vuole veramente capire che cosa vi accade.

La tipica quest ne sta al centro, ed ha per oggetto una corona che dà: "...il dono dell'eterna giovinezza..." (pag. 242). Caratteristica precipua il fatto che vi siano molti personaggi che, seppur sempre secondari rispetto all'eroe, hanno una consistenza psicologia notevole.

Troviamo poi anche qui, quello che avevamo riscontro in quello precedente, ovvero l'impossibilità dell'amore fra dèi e uomini: "Un uomo è sempre un uomo, qualsiasi abito indossi, e una dèa è sempre una dèa." (pag. 251), ma qui si parla proprio, esplicitamente, del destino.

 

Il tutto è ottimamente introdotto da Gianfranco de Turris.

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

EROI E SORTILEGI

"Enciclopedia della fantascienza" n. 16, ed. Fanucci, '86, 375 pagine, 30.000 £; © by Fanucci Editore

 

Ed eccoci a parlare anche di questa terza antologia di Heroic Fantasy italiano curata da Gianni Pilo per la Fanucci.

A corredare criticamente il volume, oltre alle consuete presentazioni, introduzioni ai singoli racconti e breve discorso su Alessandro Bani, che illustra, stupendamente, anche questo volume, del buon Pilo, c'è il saggio di Domenico Cammarota "Ancora sulla fantasia eroica" (pag. 359), una specie di continuazione, dice l'autore, ai due apparsi nel primo di questi volumi. Un pò troppo spezzatato, tratta di molti argomenti, come una critica alla critica di Sebastiano Fusco, nella fattispecie ai due articoli apparsi nei precedenti volumi, il ribadire il discorso sull'assurdità, inconsistenza e inqualificabilità della: "...pretesa di volersi impossessare per oscuri fini di temi e tematiche popolari come quelli del fantastico..." (pag. 365) da parte della destra, del concetto di Mito, della figura dell'eroe in Conan il barbaro e Eric di Melnibonè, di tre più o meno sconosciuti autori italiani di Fantasia Eroica, per concludere con un concetto abbastanza interessante: "Una delle frasi più citate e abusate di J.R.R. Tolkien, recitava che il concetto di evasione era da esaltarsi, non come la diserzione del limite delle proprie possibilità, ma come la sacrosanta fuga del prigioniero dalle prigioni del reale, verso il reame della fantasia... Oggi è vero il contrario: evadere significa svincolarsi dai simulacri fantastici (che possono e vogliono assumere i veri contorni del reale) del sociale, per calarsi nella realtà nascosta che ci pervade e ci circonda inesorabilmente." (pag. 375).

Ma andiamo a vedere cosa ci riservano i vari racconti qui compresi.

 

-"Sotto il segno di Tau", di Donato Altomare (19 pagine, pag. 17); come "I tre sei del maligno", apparso nel precedente "Magie e stregoni", anche questo racconto fa parte del ciclo del Cavaliere di Tau.

Ma contrariamente a quello, scarso, questo è abbastanza buono, e si svolge quasi interamente all'interno della mente dello Stregone, dove il nostro eroe combatte una battaglia disperata prima con un suo doppio e poi con una miriade di mostri: "...esiste nella mente di ciascun essere vivente un luogo indescrivibile nel quale avvengono fatti inenarrabili e sconvolgenti. Un luogo dove prendono corpo i sogni più reconditi e nascono gli incubi più repellenti." (pagg. 28-9).

Ovviamente si salva, ma visto che non è l'episodio conclusivo, non uccide lo Stregone. C'è anche una bella trovata, risolutrice del duello col doppio.

-"L'incantesimo di Curtea de Arges", di Claudio Asciuti (33 pagine, pag. 39); racconto lungo che, con i precedenti due delle prime antologie, compongono il ciclo di Julius Cel Ucigas.

Come ho già avuto modo di dire, lo stile di Asciuti è veramente ottimo, e anche qui si esprime veramente al meglio.

In questo episodio della lotta senza fine fra Giulio l'uccisore e la Morte, si narra di un uomo che, dopo aver costruito un monastero ed averci seppellita viva la propria moglie incinta nelle fondamenta, muore nel tentativo di volare con delle ali da lui costruite, che risorge per vendicarsi, così come la moglie.

Giulio è perseguitato da un Succube: "...una creatura del demonio che assorbe l'energia degli uomini...che può trasformarsi in donna e avere un rapporto..." (pag. 51), e alla fine, vincitore, lascia sua moglie e si avvia verso altre avventure.

Il protagonista, ormai lo sappiamo, è un personaggio a tutto tondo, con uno spessore psicologico davvero notevole, e la narrazione procede lineare e con una straordinaria coerenza interna.

-"Terenzio verrà", di Tullio Bologna (26 pagine, pag. 75); facente parte del Ciclo dell'Esarchia, di cui ho parlato a proposito de "Le quattro porte", in "Spade e incantesimi".

Anche questo racconto conferma il fatto che questo ciclo comprenda racconti alquanto eterogenei, nel senso che non c'è, come capita di solito all'interno di uno stesso ciclo, un eroe unico, ma l'elemento unificatore è più che altro l'ambientazione, un alto medioevo italico alternativo.

In questo assistiamo ad una metamorfosi prodigiosa, per cui l'idealismo di un adolescente fa tornare in vita un mitico generale.

È nettamente diviso in due parti, con a protagonisti, rispettivamente, l'adolescente ed il generale, divise dall'accadimento prodigioso: "...il suo corpo...subiva inesplicabili mutamenti." (pag. 92).

Decisamente migliore la prima, in cui il carattere del protagonista viene dipinto molto bene.

-"Il trono di Llogra", di Fabio Calabrese (16 pagine, pag. 105); abbastanza corto, tanto da essere tutto incentrato nel finale, in cui viene rivelato un fatto di cui erano stati fatti trapelare precedentemente vari indizi.

Decisamente di sapore weird fantasy.

-"Il volto di Aceldama", di Domenico Cammarota (anche in "Storie di diavoli", a cura di Gianni Pilo, "Grandi tascabili economici: I Mammut" n. 56, ed. Newton Compton, '97; 45 pagine, pag. 125); abbastanza buono, narra, in un certo senso, di un Avvento, ma del: "...Caos, che su questo mondo chiamano Satana, il Demonio..." (pag. 169), che viene sulla Terra per controllare la Morte: "Sono sceso sulla Terra...per verificare personalmente tutto quello che fai." (pag. 170).

In ogni modo, la narrazione si dipana con tutti gli stilemi dell'Heroic Fantasy, ambientata in un medioevo europeo alternativo, in cui vengono saggiamente distribuiti particolari che rivelano abbastanza presto, al lettore abituale, la vera identità del protagonista: "...scagliavano perfino dei molossi feroci contro di loro, che però, non appena ebbero fiutato Donato, scapparono indietro con la coda fra le gambe, uggiolando di terrore." (pag. 143); "Non appena...furono a contatto con la pelle di Donato, le quattro bestie calmarono immediatamente il loro furore, tornando mestamente sui suoi passi, con la coda fra le gambe, uggiolando lugubremente." (pag. 151).

C'è un buon crescendo di tensione, che esplode in un finale fortemente fantastico, con la presenza anche niente di meno che di un Basilisco.

Come ormai siamo abituati a sapere, lo stile del Cammarota è spesso molto crudo.

-"I giocatori dell'impero", di Adalberto Cersosimo (anche in "The time machine" n. 3/'81; premio Italia '80; 21 pagine, pag. 175); facente parte del ciclo dell'Impero ("La battaglia di gola del vento", ("Nova Sf*" n. 26, ed. Libra, '74, "Verso le stelle" n. 5, ed. Solaris, '79, e in appendice a "La saga del mondo dei ladri", ed. Fanucci, '87-premio Nova '74) e "Dove sono le nevi" ("Verso le stelle" n. 4, ed. Solaris, '79, in "Nova Sf* Speciale" n. 1, ed. Libra, '80, e in appendice a "La saga del mondo dei ladri", a cura di Robert L. Asprin, "Enciclopedia della fantascienza" n. 18, ed. Fanucci, '87-premio Italia '79, Premio Europa Special), è suddiviso in brevi capitoletti, alternanti eventi passati e presenti, al testo, ed è incentrato su alcuni poteri paranormali, quali la telecinesi, e su una strega che ne ha uno insolito e potente: "Lei influenza gli avvenimenti che le accadono intorno secondo uno schema prestabilito." (pag. 192)

-"Kali-Yuga", di Enzo Conti (12 pagine, pag. 199); ambientato in un'India mitica, in cui si compie il passaggio dalla terza all'ultima Era, per mano di dèi e uomini.

Assolutamente centrale l'elemento erotico, con una scena davvero moto calda che è il vero centro del racconto.

La fantasy di Conti ha molto frequentemente questi elementi mitico-religiosi, e in questo, può ricordare Zelazny, nel suo piccolo.

Davvero raffinato lo stile, permeato mi misticismo e, appunto, erotismo.

-"Il castello di regina", di Luigi Cozzi (7 pagine, pag. 215); brevissimo, è davvero molto particolare.

Infatti è un racconto che, partendo dalla nostra realtà quotidiana contemporanea, arriva gradualmente a sconfinare nel fantastico.

Stilisticamente davvero molto buono, nasconde nelle sue pieghe un significato allegorico sul rapporto uomo-donna e uno sull'alienazione che la nostra civiltà ci dà. E questo è davvero molto, per un racconto di Heroic Fantasy, dove, nei casi in cui una certa critica sociale ci sia, ed è raro, essa è celata dietro ad allegorie ben più complesse da decifrare, se l'intero racconto si svolge in un secondary world.

-"L'ultimo dio", di Nicola Fantini (24 pagine, pag. 225); racconto che viene molto ben definito da Gianni Pilo nell'introduzione, di: "...Fantasia Eroica...di tipo teologico..." (pag. 225).

Ed in effetti, tratta della riscoperta, in un futuro lontanissimo, della Bibbia, in un mondo dominato da Oligarchi tirannici e mentitori, in fatto di teologia, da parte del giovane discepolo dell'ultimo Maestro.

-"I giardini di Gilgamesh", di Angelo Mazzarese (16 pagine, pag. 253); fantasy umoristica, che narra di uno dei plot più classici, ovvero di un uomo nostro contemporaneo che varca: "...una Soglia, attraverso la quale era balzato nel tempo e nello spazio verso un posto da favola." (pag. 264).

Devo comunque dire di non apprezzare particolarmente questo tipo di umorismo un pò troppo grossolano. Lyon Sprague De Camp insegna...

-"Avventura a Gudraj", di Lucia Pallotta (17 pagine, pag. 273); racconto piuttosto deludente, tutto avventura, poca caratterizzazione dei personaggi e scarso inquadramento della quest del classico oggetto magico, da parte dei soliti eroi, che ne è al centro.

-"Il labirinto della morte", di Gianni Pilo (anche in "Sf…ere" n. 18, '81; 13 pagine, pag. 293); altro racconto del ciclo della Storia Galattica, di Science Fantasy, sempre presentato da Sebastiano Fusco.

C'è veramente poco da dire; ripeto solamente che questi racconti sono veramente puerili, l'idea, la rivelazione galattica che un pianeta è finalmente giudicato idoneo a far parte della Civiltà Galattica, è quanto di più banalmente trito e ritrito ci sia, e poi, soprattutto, lo stile è veramente pessimo, involuto, più che altro.

Gianni Pilo ha fatto veramente un ottimo lavoro curando questa serie antologica, ma poteva risparmiarci di inserirvi questi suoi lavori.

-"Il sentiero dei due cieli", di Mariano Rampini (26 pagine, pag. 309); racconto facente parte di quel ciclo della Caduta dell'Impero di cui faceva parte anche il bel "La lungo ombra della notte", di cui abbiamo parlato a proposito di "Magie e stregoni".

Narrato in prima persona, è molto introspettivo, con frequenti divagazioni di carattere etico e morale, ed, in effetti, la vera azione del racconto si svolge proprio nell'inner space del protagonista.

È, questo, uno di quei rari racconti di H.F. che dicevamo, in cui una critica sociale, qui alle dittature, viene fatta trapelare da trame totalmente avulse dal nostro contesto sociale. Lo stile e l'atmosfera che si respirano nel leggerlo sono molto soffuse, direi tristi, e non è certo un caso se uno dei copratagonisti di maggior peso si chiami, appunto, Tristezza.

-"Tu che non credi alle carezze del vento", di Donato Altomare (16 pagine, pag. 339); a chiudere questa antologia c'è, come ad aprirla, un racconto di Altomare, ma questo non è affatto di Heroic Fantasy, ma bensì della più classica fantascienza.

Pilo dice di averlo voluto inserire per far notare come Donato scriva in modi assai differenti i suoi racconti sia di fantasy che di fantascienza, e ha voluto così accostare i due generi.

Costruito con frequenti spezzoni di poco antecedenti inseriti in mezzo ai dialoghi, che li chiarificano, è la storia di una razza di cyborg che altro non sono che ciò che è rimasto dell'umanità annientata da un disastro ecologico...o quasi.

 

Ora, avendo esaminato anche questi racconti, mi sembra di poter fare una mia considerazione personale: la fantasy nostrana può, come abbiamo visto, se intraprende vie innovative, o per lo meno, rinfresca vie classiche, essere decisamente buona; c'è il rischio, secondo me, che invece ci si inaridisca nell'imitazione di modelli classici, di stilemi abusati che, se non se ne hanno le capacità, come per alcuni è, produce risultati spesso scadenti.

Sempre secondo me, due sarebbero i modi per innovare la nostra fantasy, in parte già intrapresi dai migliori: italianizzandola maggiormente nelle ambientazioni e nei personaggi, e andando a scavare più approfonditamente nell'inner space, dove credo si possano combattere molte eroiche battaglie, magari più vicine a noi come gusto, come propensione culturale.

 

"Alpha Aleph extra" n. 1, agosto '93

 

DAGHE E MALIE

"Enciclopedia della fantascienza" n. 19, ed. Fanucci, '88, 522 pagine, 30.000 £; © by Fanucci Editore

 

È, questa, la quarta antologia curata da Gianni Pilo dedicata alle Heroic Fantasy italiana.

E la qualità dei racconti rimane sempre molto valida.

C'è però da considerare che l'apparato critico si fa via via sempre più scarso.

Qui non c'è che una scialba introduzione del curatore e una sua presentazione dell'illustratore, che, qui, contrariamente alle altre, è Bernardo Cicchetti, davvero bravo.

Mancano, quindi, gli inquadramenti critici che caratterizzavano positivamente le prime antologie.

 

-"Storia di Yema", di Donato Altomare (46 pagine, pag. 19); facente parte del ciclo del Cavaliere di Tau, racconta di una vendetta, la vendetta di una donna a cui è toccato uccidere il proprio uomo a causa di un sortilegio.

Ed è proprio il Cavaliere di Tau ad attuarla.

L'elemento che la caratterizza è la schiera dei demoni al servizio del Signore del Male di turno, che conduce esperimenti per: "...la trasformazione totale delle genti della Terra." (pag. 38).

-"Aulo e Wilfredo", di Tullio Bologna (33 pagine, pag. 69); facente parte del Ciclo dell'Esarchia, è, come siamo ormai abituati a sapere, un ottimo racconto, che narra di uno dei topoi più ricorrenti della favolistica, quello della rivelazione della sua vera identità ad personaggio umile, che è, invariabilmente, un'identità potente.

Molto scorrevole, è reso ancora più piacevole da scene di ottimo erotismo.

-"L'occhio verde", di Fabio Calabrese (32 pagine, pag. 105); Pilo nell'introduzione dice: "...sposa la Fantasia Eroica classica ai temi propri della narrativa horror e, in particolar modo, a quella che si rifà ai miti di Cthulhu." (pag. 105).

Ma, in realtà, è più di una commistione fra fantasy e Sf. Infatti vi è un vero e proprio elemento di novum, un extraterrestre proveniente da un mondo tecnologicamente avanzato ("...uno spazio/tempo dove le leggi della natura sono diverse dalle vostre, dove la Magia non esiste... Il suo posto è tenuto da...la "scienza"." (pag. 119)), che salva un popolo da un malvagio stregone, per mezzo di laser, ologrammi, computer, ed altro.

Vi è si un mostro lovecraftiano, Tisquamook, ma è secondario. Vi è anche uno stilema classico della Sf, quello secondo il quale gli extraterrestri, o gli umani, se più progrediti, non possono interferire con civiltà più arretrate: "...la ricerca dei segreti della natura e l'amore per la natura devono avere il tempo di diventare un abito mentale..." (pag. 136).

-"Ali nere della distruzione", di Domenico Cammarota (44 pagine, pag. 141); molto meno truculento dei suoi precedenti racconti, è comunque decisamente intrigante, tutto basato sulle mitologie orientali, soprattutto nepalese.

Tra le altre cose c'è anche una buona scena sui Lupi Mannari: "...se il Fiore Sacro, mangiato dai Lupi Mannari, li fa ritornare uomini, per il processo inverso, se viene mangiato dagli uomini, li fa diventare Lupi Mannari..." (pag. 153).

-"L'armonia delle sfere", di Adalberto Cersosimo ("Sf...ere" n. 18, '81; 32 pagine, pag. 189); tipico racconto di Science Fantasy, narra di un pianeta colonizzato da quello che viene miticamente definito il Paradiso Terrestre, che poi non sarebbe altro che il nostro pianeta.

Nei pianeti colonizzati creano delle Porte, comunicanti i vari pianeti, che però si attivano solo in momenti molto particolari: "L'armonia delle sfere ...è un fatto molto raro a realizzarsi...pare sia necessaria una complessa formula magica per schiuderla..." (pag. 194).

Questo racconto è proprio la storia del verificarsi di uno di questi rari momenti in uno di questi pianeti.

-"I guerrieri di Lhorsann", di Enzo Conti (71 pagine, pag. 225); buon romanzo breve che narra degli ultimi discendenti di Atlantide: "...razza antica e aliena...gente che possedeva conoscenze antichissime, al limite del sovrannaturale...che per migliaia di anni aveva governato l'intero pianeta." (pagg. 241-2-6).

Ma il plot vero e proprio è incentrato sulla storia d'amore tra Antinea, l'ultima principessa di Atlantide, e Shgorn, guerriero possente con, anche, un pò di erotismo.

È anche un pò Science Fantasy, in quanto gli Atlantidi sono immensamente più progrediti degli uomini con cui hanno a che fare, ma anche di noi, oltre ad essere più longevi: "...voi umani diventate vecchi quando noi non abbiamo ancora cominciato a vivere." (pag. 252).

Nota negativa è senz'altro l'eccessiva lunghezza delle scene di duelli.

-"Un drago per Giada", di Luigi Cozzi (7 pagine, pag. 299); quello di Cozzi è un fantastico in cui: "...personaggi della vita di tutti i giorni...vengono trasfigura(ti) sotto un'ottica fantastica..." (pag. 299).

Questo bellissimo racconto è del tipo che più mi piace, proprio perchè parte dalla realtà per arrivare, gradualmente, al fantastico.

Ed è proprio questo che crea quello che Todorov chiama la sospensione della credulità, che ingenera il fantastico. Tutto basato su un amore paterno, vede, qual elemento propriamente fantastico, proprio il concretizzarsi di quella che un padre racconta come favola alla propria figlia, un pò una vittoria della fantasia contro il razionalismo, impersonata, qui, dalla madre, che, infatti, tende a smontare le favole del marito separato.

-"La nave del demonio", di Antonio Falcolini (31 pagine, pag. 311); unico esordiente di questa antologia: "...presenta delle caratteristiche assimilabili alla narrativa di Lovecraft..." (pag. 312), come dice Pilo nell'introduzione.

E vi sono Elfi e Troll, col loro odio atavico, e l'immancabile storia d'amore a fare da impalcatura all'intera struttura.

-"La strada del centro", di Nicola Fantini (38 pagine, pag. 345); la caratteristica che lo contraddistingue è senz'altro quella dell'incertezza sul dove e sul quando sia ambientato.

Parrebbe un futuro, benchè la sovrastruttura che lo inquadra lo veda come un passato remoto.

Vi è un'umanità in declino, con molteplici nascite deformi, che lotta disperatamente per sopravvivere.

Molto farebbe pensare ad un olocausto nucleare, ma nulla di contestuale lo avvalora.

Vi è, invece, una sorta di viaggio iniziatico, che porta una giovane coppia a diventare una sorta di profeti salvifici, portatori di una nuova speranza in quel mondo in rovina.

La Heroic Fantasy ha, come propria prerogativa, quella di essere ambientata in un tempo e in uno spazio al di fuori della Storia; questo racconto, invece, strutturato com'è, induce a collocarlo, soprattutto temporalmente; e non soddisfa, poi, perchè non dà alcuna indicazione affinchè il lettore possa farlo.

Pilo, nell'introduzione, dice: "La caratterizzazione dei personaggi è portata in profondità con rara penetrazione psicologica..." (pag. 345); è abbastanza vero ed è anche abbastanza raro, in un racconto di fantasy.

-"Magilla", di Angelo Mazzarese (14 pagine, pag. 389); stilisticamente scarso, racconta di una strega, di vergini vendute come schiave, con la comparsa del mitici Kraken: "...il polpo gigante degli abissi." (pag. 399).

-"I maghi mutanti di Caer-Sha", di Gianni Pilo (anche in "Cosmo informatore" n. 3/'81, ed. Nord, "Sf…ere" n. 13, '80- premio Italia '81; 12 pagine, pag. 407); facente parte della Storia Galattica, narra del progressivo rivelarsi, ad un ragazzo, della sua vera identità.

Egli, viene a sapere, fa parte di una razza extraterrestre, potente e magica.

-"Il mago Fantasio", di Benedetto Pizzorno (anche "Sf...ere" n. 25, '82; 24 pagine, pag. 423); divertente, è tutto tenuto su di un tono scherzoso, leggero.

Vi è una sirena, a fare da protagonista, e, sempre in tono scherzoso, uno dei temi classici della fantasy, ovvero quello del venir meno, dell'affievolirsi, della magia in un mondo sempre più razionalista, che poi, mi sembra essere il vero significato del racconto.

-"La notte del ricordo", di Mariano Rampini (33 pagine, pag. 451); fa parte del ciclo di cui facevano parte anche i racconti delle precedenti antologie, e, come quelli, è bellissimo, intriso di una poeticità incredibile.

E, come quelli, si muove con una lentezza del tutto inusuale per un racconto di Heroic Fantasy, in cui si è abituati ala rutilanza delle avvenimenti.

Come abbiamo già detto, vi è un notevole richiamo ala filosofia e alle arti marziali orientali, sopratutto giapponesi.

Per chi non le lo ricordasse, diciamo che si svolge in un futuro di pianeti colonizzati collegati tra di loro da Porte Dimensionali.

-"Il ballo in maschera", di Riccardo Scagnoli (34 pagine, pag. 487); racconto alquanto statico, contrariamente, come abbiamo detto, a quanto siamo abituati dall'Heroic Fantasy, che narra, appunto, di un ballo in maschera, ma molto particolare.

Si tratta, invero, di una rappresentazione dell'eterno confronto tra Bene e Male, risolto, una volta tanto, nel modo migliore: "Bene e Male coesistono, nessuno potrà mai impedirlo." (pag. 519).

E, nella parte del Male, c'è una Lilith; e non si può non ricordare la mitica.

Finisce con il riequilibrio delle due forze che reggono l'universo: "Adam di Greenedad e Lilith di Redhell, i nuovi Guardiani del Mondo, capostipiti della razza nata dallo scontro dei due opposti principi." (pag. 521).

Mi pare che ciò ricordi inequivocabilmente il concetto di ying e yang.

 

E arrivati a questo punto della nostra disamina della fantasy italiana, mi pare senz'altro di poter dire, e non solo per la fantasy, ma anche per la Sf nostrana, che non siamo più certo al punto di qualche anno fa, quando davvero gli spazi per i nostri autori erano veramente esigui.

Oggi queste iniziative di case editrici specializzate consentono a molti nostri autori di vedere pubblicate le loro opere, e ciò non è poco, in quanto sicuro stimolo per successive, e si spera, sempre più importanti loro opere.

Certo se la Solfanelli si decidesse a pubblicare i racconti vincenti e finalisti degli ultimi premi Tolkien, sarebbe tanto di guadagnato.

Ma gli spazi non mancano, e la nostra produzione di letteratura fantastica prospera.

Facciamo che continui, e possibilmente che migliori.

 

"Alpha Aleph Extra", n. 1, agosto '93

 

  FANTASIA EROICA ITALIANA

"Diesel extra" n. 4, '93, 110 pagine, 7.000 £

 

Diesel Extra è un'ottima iniziativa dell'attivissimo Alberto Henriet di Sarre (Aosta).

Questo quarto volume è dedicato, appunto, all'Heroic Fantasy italiana, ed è ottimamente introdotta niente meno che dal de Turris.

Il quale, però, stranamente, si dimentica di menzionare le tre antologie della Fanucci e quel "Le armi e gli amori" di cui abbiamo parlato.

Buoni i testi, tutti tranne quello dei fratelli Forte, come vedremo.

 

-"E da lontano giunse un rumore di tuono", di Donato Altomare (20 pagine, pag. 13); "...storia di alcuni anni fa rivista per questa occasione..." (Gianfranco de Turris, pag. 8), fa parte dell'ormai celebre ciclo dell'Artiglio. Qui l'eroe salva un regno da conquista e distruzione certa da parte di un esercito indistruttibile, creato con la magia: "...un siero magico (che) fa crescere a dismisura la pelle rendendola dura coma la roccia e praticamente invulnerabile a qualsiasi tipo di arma." (pag. 16); migliaia di guerrieri vengono rapiti e sottoposti al trattamento.

L'artiglio intraprende una quest che lo porterà a trovare "Il liquido del risveglio", unico antidoto a quella magia.

Per far ciò deve affrontare un terribile mostro: "Aveva il corpo cilindrico come quello di un verme ed era interamente ricoperto da lunghi puntuti aculei frammisti a peluria setosa....aveva un muso piatto senza occhi e una bocca fornita di numerose mandibole che muoveva freneticamente producendo un ticchettio snervante." (pag. 21).

-"I diamanti di Kandia", di Fabio D'Andrea (17 pagine, pag. 34): "...risente...molto degli scenari dei "roleplaying" fantastici..." (de Turris, pag. 5).

In un Secondary World tipico, una carovana di un ricco mercante sparisce; per ritrovarla risulta molto utile un'arma magica, Krishdar.

Si verrà a sapere che a farla sparire era stata una strega, che abbisognava di una spezia per i suoi incantesimi che la mantengono costantemente giovane; il: "...suo corpo mantenuto giovane nei secoli dalla morte di chissà quante vittime." (pag. 49).

Vi è un esempio di uno degli stilemi del fantasy tra i più usati; quello del potere delle parole magiche: ""Krishdar!gridò e la lama esplose di fiamme accecanti e sembrò giuzzare viva nelle sua mani....la parola di magia capace di porre fine a quel prodigio: "Shanti"." (pag. 42).

-"Due cuori nel crepuscolo", di Franco e Silvia Forte (anche in "Dimensione cosmica" n. 12, ed. Solfanelli, ’87, come del solo Franco; 14 pagine, pag. 52); noiosissima narrazione del Ragnarock; duelli e poi ancora duelli; nient'altro.

-"Pelle di serpente", di Grazia Lipos (25 pagine, pag. 67); stupendo, è la narrazione della vendetta di un popolo di: "...stregoni...immortali...figli dell'oscurità..." (pag. 77), contro quello che l'aveva sottomesso e quasi del tutto distrutto.

Vi sono anche alcune scene di erotismo di un certo pregio. Il de Turris, nell'introduzione, ne dice: "...riesce a visualizzare perfettamente un tempo ed un luogo "diversi" dove è perfettamente e credibilmente inserito un culto tra il fisico e lo spirituale." (pag. 9).

-"Quel drago!", di Errico Passaro (2 pagine, pag. 92); tutto tenuto su di un tono divertente, umoristico; un cavaliere parte per una quest sui generis; deve trovare: "…una squama del drago di Callamenant." (pag. 92), ingrediente indispensabile per una pozione afrodisiaca per il suo signore che ha...qualche problema (sic), con la signora.

Il finale è il tipico di rovesciamento.

-"Imylde la bella", di Miriam Poloniato (anche in "Sf...ere" n. 37, '85; 11 pagine, pag. 95); chi ha già letto qualcosa della Poloniato sa quanto sia brava, e questo racconto non lo smentisce.

Veramente eccellente, racconta di una donna malvagia che irretisce gli uomini per poi uccidereli o trasformarli in zombi non appena se ne stanca.

E non solo; ella pratica sacrifici umani di giovani bambine. Ma l'eroe la distruggerà col suo pugnale con il quale era stato ritrovato, abbandonato, da bambino.

Il de Turris dice che, come in altre opere della Poloniato, anche qui si racconta di: "...vicende di donne la cui femminilità è duplice, positiva e negativa, chiara e oscura, creatrice e distruttrice." (pag. 9).

 

Veramente buona, dunque, questa antologia amatoriale anche di buona confezione grafica e ben illustrata dal Gordini, di cui è anche la copertina a colori con sovracopertina plastificata.

 

"Alpha Alefh extra" n. 3, settembre '93

 

Horror

 

RACCONTI DI TENEBRA

ed. Newton Compton, '87, 292 pagine, 20.000 £; © by Newton Compton editori s.r.l.

Altri contributi critici

 

-recensione di Errico Passaro, "L'eternauta" n. 62, ed. Comic art, '88, pag. 33

 

Prima di due antologie curate dal La Porta sui racconti del terrore dei nostri autori, è decisamente buona; il livello qualitativo rimane costante per tutti quanti i racconti, senza eccezione alcuna.

La seconda di queste antologie è "Racconti di incubo", sempre per questa casa editrice.

È suddivisa in quattro sezioni; esaminiamo i racconti ad uno ad uno.

 

La prima sezione è intitolata "Storie di ordinario orrore", e comprende:

-"L'uomo del banco dei sogni", di Vittorio Sozzi (10 pagine, pag. 9)-in cui si racconta di un antiquario che, oltre alle solite cose, vende sogni; si, proprio sogni, in bustina: "Basta che strappi un angolo della bustina e il sogno sarà libero, lì davanti ai suoi occhi." (pag. 14).

Il racconto è la narrazione di due di questi sogni, vissuti da un cliente.

Il sentimento di paura, viene, al lettore, dal sovrapporsi di una realtà interna al racconto, la possibilità di rimanere intrappolati all'interno di un sogno, e uno stratagemma, nel finale, per il quale si ha l'impressione di poterlo fare.

 

-"Avanti c'è posto", di Gianfranco de Turris (tradotto in finlandese come "Bussi", "Portti" n. 4, '95; 5 pagine, pag. 21)-è la narrazione di un incubo, in cui il protagonista, una volta salito su di un autobus, si accorge che la gente continua a salire, ma non a scendere, e...

Molto simile, ricordo il racconto "In viaggio con zia Sabri", di Luigi Pachì (vedi "Antologia italiana").

 

-"Tanti auguri a te!", di Anna Mirabile (6 pagine, pag. 27)-un vero e proprio racconto horror, in cui, ad un crescendo iniziale della tensione, segue un'acquietarsi, un, sembra, venir meno di essa, per poi, appunto, rispuntare improvvisa proprio quando ormai gli animi si sono completamente rilassati.

Molto buono.

 

-"Incidente mortale", di Roberto Genovesi (8 pagine, pag. 35)-piuttosto strano, di davvero difficile razzionalizzazione, racconta di un incidente stradale, in cui rimane uccisa una donna, e del successivo suicidio di colui che l'ha provocato; ma il terrorizzante viene poi, quando si viene a scoprire che quello che fino a quel momento si era creduto il reale, non lo era affatto, che nella realtà deve essere successo qualcos'altro, qualcosa che non si riesce a capire.

Decisamente inquietante.

 

-"Un magico incontro", di Alberto Bevilacqua (5 pagine, pag. 47)-racconto solamente d'atmosfera, senza alcun reale elemento che lo possa connotare quale fantastico.

 

La seconda, "Demoni e dintorni", comprende:

-"Il leone rosso", di Massimo Grillandi (5 pagine, pag. 55)-racconto che fà uso di vari topoi dell'horror, a partire dalla casa isolata, per proseguire con l'apparizione di fantasmi.

Si basa, essenzialmente, su quello dell'antica maledizione; vi è anche una sorta di collegamento fra il secondo e questo: solamente un discendente della famiglia maledetta può vedere quel fantasma.

 

-"Lo specchio di Sandor Vegh", di Angelo Mainardi (18 pagine, pag. 61)-morboso, racconta di due sorelle che vivono in una: "...vecchia casa con strani mobili neri dove i (loro) genitori sono morti per ingestione di veleno." (pag.72), e che incontrano, in un cinema a luci rosse, un uomo decisamente perverso, che induce una delle due in un abisso di turpitudini senza fine.

Nel finale, si ricorre al tipico espediente per cui tutta quanta la narrazione precedente viene inquadrata, per così dire, razionalizzata.

 

-"Metropolitano orrore", di Marco De Franchi (13 pagine, pag. 82)-veramente molto cupo, racconta, in accenti marcatamente, ricalcatamente lugubri, semplicemente della condizione disperata in cui versano in barboni.

Si ammanta ciò con una storia di antichi dèi alla Lovecraft: "Nelle sale buie di una biblioteca, sul retro di una chiesa ipogea, c'erano dei tomi enormi. Sproloquiavano di un Popolo sotterraneo che spunta solo quando tramonta il sole e si mescola ai mendicanti della città." (pag. 89).

 

-"Viscerali abissi", di Luigi De Anna (10 pagine, pag. 98)-scialbo, riesuma il mito del dottor Moreau per svolgere una trama anodina, di un genetista odierno discendente da quello, che tenta di ricalcarne le orme.

 

-"Larve!", di Luciano Gianfranceschi (11 pagine, pag. 112)-tutto incentrato su sedute spiritiche, esorcismi e simili, con di mezzo, quindi, suore e preti vari, risulta più noioso che spaventevole.

 

La terza,"Il pozzo e il tempo", comprende:

-"In viaggio", di Antonio Altomonte (7 pagine, pag. 127)-una specie di horror dal finale a sorpresa, in cui, per tutto il racconto, ci si domanda dove stia l'elemento fantastico, orrorifico, che esplode, appunto, solamente nel finale, che ribalta totalmente, classicamente, tutta quanta la narrazione precedente.

Un uomo racconta una sua avventura, una normalissima avventura, solamente che…: "Introdussi nuovamente la mano sotto il soprabito, dove sapevo di avere un vuoto: due palmi in altezza e altrettanti in profondità. Un medico avrebbe parlato di sfondamento del torace..." (pagg. 135-6)

 

-"Blackout", di Paolo Andreocci (8 pagine, pag. 137)-è un horror come il precedente; una narrazione assolutamente priva di alcun elemento orrorifico, che termina, appunto, con un finale che, solo, lo connota come tale.

Qui, però, contrariamente a là, non nè ribalta il significato, ma glielo conferisce.

Ha una notevole carica erotica, proprio legata al leggere, che è il suo reale elemento perturbante, e, quindi, orririfico.

 

-"Villa Picta", di Riccardo Reim (8 pagine, pag. 147)-tenue, fa parte di quel filone dell'horror, che risale alle sue origini, dei dipinti magici, che si animano, in cui appaiono persone, eccetera.

 

-"Gigli e nodi con pugnali", di Vittorio Sozzi (33 pagine, pag. 157)-il più lungo dell'intera antologia, è una storia di fantasmi: "M'ero appena mosso, che mi fermai paralizzato dal terrore, nel sentirmi sfiorare il braccio e nell'udire bisbigliare una voce. Feci per muovermi, ma fui trattenuto per il braccio e la voce supplicante continuava a sussurrarmi all'orecchio" (pag. 176); "La luce si spense. Un turbine freddo spazzò la stanza e sentimmo rumore di vetri infranti a terra. Qualcuno mi diede un violento strattone prendendomi per le braccia, alzandomi dalla sedia e poi lasciandomi cadere di peso. Sentimmo l'uscio di casa sbattere, richiudersi, e un cane abbaiare, lugubramente in distanza." (pag. 185), imperniata su un avvenimento non so quanto storico del basso medioevo, contenente anche, come "Villa Picta", il tema dei quadri magici.

 

-"Ultimo spettacolo: marionette", di Gianfranco de Turris (18 pagine, pag. 193)-molto buono, è incentrato sul Tempo, sulla discrepanza, cioè, fra il tempo convenzionale ed il Tempo reale; vi si respira una notevolissima carica erotica.

 

-"Le ventimila e una luna", di Gabriele La Porta (3 pagine, pag. 214)-questo breve raccontino del curatore, il più corto dell'intera antologia, è, ancora una volta, come in "Il leone rosso", su di una maledizione, qui però narrata in tutte le sue fasi, dal prima, alla comminazione della stessa, al suo terminare.

 

La quarta, "L'altro evo", comprende:

-"La sciarada dei crociato", di Franco Cuomo (23 pagine, pag.  221)-molto bello, divertente, racchiude una gran quantità di rocamboleschi avvenimenti fra i più incredibili, tutti un pò sulla falsa riga delle favole islamiche, tipo "Le mille una notte".

 

-"La terra del doppio", di Maurizio Persiani (21 pagine, pag. 247)-è più un racconto di Sf, che horror, in quanto, praticamente, racconta di una specie di ricostruzione storica di un assedio medioevale in un futuro di astronavi e robot, e robot sono, appunto, gli attori del dramma che si racconta, il cui scenario, un pò dickianamente, si rivela, nel finale, avere le connotazioni ontologiche totalmente differenti che abbiamo detto.

Il mostro che distrugge l'intero scenario tranne pochi robots è un missile atomico sfuggito al controllo di quegli uomini del futuro.

 

-"Il ritorno di Adon", di Pierfelice Bernacchi (19 pagine, pag. 271)-anche questo un racconto di Sf e non horror, ha un'impronta decisamente metafisica, tutta rivolta ad un simbolismo magico; vi si racconta, infatti, dell'iniziale conflitto e del suo rientrare, fra Fede, Ragione e Scienza.

 

Dicevamo della qualità costante dei testi; ci sono dei veri e propri picchi qualitativi: il secondo racconto del de Turris, da un punto di vista stilistico, è assolutamente impeccabile, quello della Mirabile segue i migliori dettami dell'horror alla perfezione, e quello del Cuomo è di piacevolissima lettura.

E, forse, ci sbagliavamo nel dire che sono tutti dei buoni racconti; quello del De Anna è la tipica eccezione che conferma la regola.

Strano l'aver inserito qui quello del Bevilacqua, assolutamente fuori luogo.

Il volume è splendidamente illustrato da riproduzioni di dipinti di M.C. Escher, Max Ernst, E. Munch, Drovin, Dalì, Chumy Chùmez, di un anonimo, Fiorella De Nicola, certi Antonella e Fabrizio e da due stampe del XVIII° secolo.

 

IMMAGINARIA/2

"Thule" n. 17, ed. Solfanelli, '88, 246 pagine, 14.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

  Altri contributi critici

 

-recensione di Giampaolo Martinez, "L'eternauta" n. 77, ed. Comic art, '89, pag. 47

 

Antologia che raccoglie i romanzi brevi vincitori del Premio "Tolkien" '86; ricordiamo che i racconti, vincitori e finalisti, di quell'edizione, sono raccolti in "Le ali della fantasia/7"; a questa sezione, in questa seconda annata, hanno partecipato tredici opere

Significativo il sottotitolo: "Tre romanzi horror".

 

È risultato vincitore "La villa morta", di Fabio Biasio (83 pagine, pag. 15), con la seguente motivazione, data dalla giuria, che, ricordo, quell'anno fù composta da Oreste del Buono, Gianfranco de Turris, Mario Bernardi Guardi, Claudio De Nardi, Giuseppe Lippi e Renato Pestriniero: "Per essere riuscito l'autore a descrivere, e comunicare, una eccezionale carica d'orrore, allo stesso tempo nitido e allucinato, descrivendo con stile personalissimo e inusitato che evita il dialogo diretto, la vicenda di una famiglia patrizia veneta alla fine del Settecento, allorchè con l'Illuminismo sembrano aver prevalso-ma solo in apparenza evidentemente-la Dea Ragione e la scienza.".

Oltre a quanto già detto nella motivazione, la cosa che caratterizza maggiormente questo romanzo breve è senz'altro il crescendo d'orrore, dapprima lento, che induce il lettore, conscio del genere di racconto che sta leggendo, a non trovarne affatto, per poi però diventare sempre più consistente, fino ad arrivare al finale, che è una vera e propria orgia orrorifica.

Secondo si è classificato "Il delirio", di Errico Passaro (59 pagine, pag. 101), con la seguente motivazione: "Per aver trasmesso un sottile senso d'inquietudine, di caduta nel fantastico, di angosciosa consapevolezza di un cedimento ad un ordine orribile della realtà, attraverso l'avventura di un ex legionario fiumano calato nell'atmosfera dannunziana di una Roma Anni Venti raccontata con un linguaggio che si ispira a quello dell'Immaginifico."

Veramente brutto, non si capisce cosa possa essere stato pubblicato in una antologia di romanzi brevi fantastici, visto che non contiene alcun elemento fantastico.

Si tratta, infatti, di una storia d'amore con omicidio, certo molto morbosa,

ma non per questo fantastica.

Terzo è "Il signore della morte", di Claudio Asciuti (82 pagine, pag. 163), con la seguente motivazione: "Per aver dimostrato che è possibile scrivere un fantastico "moderno" e per così dire "sentimentale"; piacevole, interessante e di buona qualità senza cadere nell'astruso e nell'incomprensibile, ed in cui si fondano quotidianità dell'autore e finzione letteraria, narrativa e saggistica, coinvolgendo il lettore su diversi piani: realistico e simbolico, poetico e metafisico."

Veramente bellissimo, si divide in due parti molto ben distinte; la prima, intitolata come l'intero romanzo breve, è senza dubbio la meglio riuscita ed anche la più avvincente.

Vi si narra di una scrittore trentenne che incontra se stesso a cinquanta e poi a settant'anni, e questi lui più anziani gli svelano, in modi molto fantasiosi e molto spettacolari, che il suo destino sarà quello di sostituire il Dispensatore del Tempo, cioè colui che scrive i destini di tutta l'umanità.

Avvincente e divertente il modo con cui si passa da un livello all'altro della narrazione molto repentinamente.

Nella seconda parte, intitolata "La religione della morte", c'è lo stesso protagonista che vive però una vicenda lineare, più realistica e meno simbolica, tutta improntata al suo rapporto con la sua donna, denominata, così come anche nella prima, semplicemente Lei.

 

Ottima, come al solito, l'introduzione di Gianfranco de Turris.

 

Saggi generici sul "Premio Tolkien"

 

"Algenib notizie" n. 16, ottobre '91

 

GLI EREDI DI CTHULHU

"Thule" n. 19, ed. Solfanelli, '90, 246 pagine, 18.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

  Altri contributi critici

 

-recensione di Vittorio Lupo, "L'eternauta" n. 91, ed. Comic art, '90, pag. 33

 

Una delle pochissime antologie di racconti dell'orrore italiani contemporanei, era da tempo nei progetti del de Turris. Che fa il solito discorso sul fatto che sia possibile una via italiana, slegata dai modelli anglosassoni, che ha più volte fatto per la fantasy e la Sf.

È, in ogni modo, una sorta di tentativo di rimodellare gli stilemi di H.P. Lovecraft da parte di nostri scrittori.

 

-"L'ogam del druido", di Donato Altomare (26 pagine, pag. 17), ambientato nella Sicilia di inizio secolo, è la storia di come il dio-mostro Amhuthu: "Colui Che Dorme Sotto La Città" abbia provocato il terrificante terremoto di Messina del 1908.

Eccone la descrizione: "Non aveva occhi, ma vedeva più di ogni altro; non aveva bocca, ma urlava; non aveva forma, ma cambiava aspetto di secondo in secondo, assumendo quello di ciò che ciascuno dei presenti temeva di più." (pag. 39).

-"Nel nome dei tuoni", di Claudio Asciuti (23 pagine, pag. 45), storia del tutto assurda di folletti che rapiscono le persone, ambientata ai giorni nostri: "...strigoiuin...specie di folletti...(che) fanno scherzi alle persone...piccoli, pelosi e hanno il viso umano...sono al servizio del Popolo delle Cave... Pare che questi esseri, simili agli uomini, mandino gli "strigoiuin" in giro per sorvegliare gli abitanti della superficie... Gli "strigoiuin"alle volte vengono spediti in giro a rapire persone per portarle a vivere con loro, nel Regno del Popolo delle Cave..." (pag. 59).

Divertenti alcune citazioni cinematografiche.

-"Circolo chiuso", di Fabio Calabrese (6 pagine, pag. 71), veramente splendido, narra di un uomo che, per vie alchemiche, cerca di tornare nel passato, per tentare di avvertire il fratello della suo morte violenta.

E il tema classico del viaggio nel Tempo vi è sviluppato in modo davvero originale, e non è certo casa facile.

Dopo aver posto in maniera, direi standard, le premesse: "Ogni volta che si considera il "viaggio nel tempo", la modificazione del passato è il problema in cui ci s'imbatte. Che conseguenze avrebbe? Si creerebbe un nuovo presente che prenderebbe il posto del nostro, o si formerebbero due diverse serie di realta? Ma è veramente possibile modificare il passato?" (pag. 75), ecco la trovata che lo rende originale ed inquietante: la sua coscienza è là, nel passato, ma non riesce ad interagirvi, e quindi non la modificherà.

Il finale giustifica il titolo, ed è anch'esso una trovata divertente, anche se non originalissima.

-"Epifania", di Margherita Corsini (9 pagine, pag. 81), decisamente molto strano, tratta di argomenti piuttosto impegnativi, come quello della presenza di una componente dell'altro sesso, in ognuno di noi: "Tu sai che esiste in ognuno di noi la parte completamente opposta: il maschio nella femmina e la femmina nel maschio. Ben ti sei guardato dentro se hai scoperto questo e lo accetti come cardine della vita universale; tutto ruota attorno alla ricerca del proprio io uguale e avverso, ma pochi sanno comprendere che l'altra faccia del pianeta è in noi, nelle nostre interiorità e che va ricercata." (pag. 86); "Tu sai che l'Opera richiede la coniugazione delle due luci, la chiara e l'oscura, la fissazione dei contrari amalgamati nell'unità." (pag. 87); si accenna alla tipica simbologia lunare e solare per il femminino e il mascolino, e ad una visione del sesso come apportatore di equilibrio: "Il matrimonio perfetto cui aspiri non è solo noncurante gioia, ma responsabilità precisa e grave impegno nel perseguire il risultato: essendo la tua carne scissa per consentirti la discesa nello stadio più pesante e basso, riunificarla significa restituire al tuo se l'integrità essenziale alla divina evoluzione." (pag. 87).

È la storia di un'entità che si autodefinisce satiro: "...mi compiaccio di ammettere, che m'apparentano alle creature caotiche e rudi da voi chiamate satiri." (pag. 86) che si appropria progressivamente di un soldato ferito nella prima guerra mondiale.

-"La vera storia di Francesco Giuseppe Borri alchimista", di Marco De Franchi (23 pagine, pag. 91), "…sfrutta lo stesso personaggio de "La porta magica"...", dice il de Turris.

Egli è un "...oscuro alchimista del diciassettesimo secolo...", e mago, e negromante.

La vicenda è narrata su due livelli, uno contemporaneo, e l'altro della sua epoca.

È la storia di come, dopo essersi addentrato nelle arti magiche, egli abbia tentato, senza riuscirci, di uscirne.

Egli era divenuto un succubo, uno schiavo di un demone. I due livelli si riallineano nel finale, nel quale si insinua, molto esplicitamente, che l'alchimista contemporaneo non sia altri che quello di cui ha narrato.

A dire il vero, non è che sia molto lovecraftiano; le entità con cui l'alchimista entra in contatto sono si: "Qualcosa di molto diverso dalla normale concezione che si ha di Entità Sovrannaturali..." (pag. 102), ma nient'altro.

-"Sotto la città", di Riccardo De Los Rios jr. (19 pagine, pag. 117), un "horror urbano"; De Los Rios: "…ha immaginato un...cult(o)...demoniac(o) del tutto consono al moderno mondo industrializzato." (de Turris, pag. 11).

Un uomo semplice, un riparatore di ascensori, si ritrova impegolato in una storia di riti satanici a Torino. C'è il tipico problema dell'incomunicabilità di determinate esperienze, puntualmente etichettate, normalizzate; qui si parla di: "…autosuggestione da affaticamento mentale." (pag. 127).

-"Epilogo", di Luigi De Pascalis (24 pagine, pag. 139), il de Turris nell'introduzione, parla di: "…"visione del mondo" decisamente lovecraftiana: l'esistenza di un pantheon ulteriore di fronte al quale gli dèi conosciuti (e non soltanto romani) devono chinare il capo, e oltre ad esso ancora qualcosa d'altro, d'inconoscibile; gli uomini come "burattini" nelle loro mani, soggetti ai loro capricci, pedine di un gioco cosmico; il mondo (qui Roma) arengo di uno scontro che ha per posta apparente la sopravvivenza della ("città", nel testo, ma penso sia un refuso; credo dovrebbe essere "civiltà"); le divinità benigne o indifferenti, fra noi." (pag. 7), per questo racconto.

Ciò che comunque lo caratterizza è una notevolissima carica erotica: numerose le scene di erotismo, descritte in termini decisamente non ambigui, e dettagliatamente.

C'è anche una specie di trasposizione del tema classico fantascientifico della non interferenza: "È contro la legge prendere le difese di creature inferiori." (pag. 161).

-"Dies irae", di Bruno Garavini (10 pagine, pag. 165), come penso molti di voi sappiano il Garavini è solito scrivere racconti davvero raccapriccianti.

E questo non fa eccezione.

Vi si parla, appunto lovecraftianamente, degli Antichi, "I primi abitatori della Terra" (pag. 169).

L'antico Dio di cui si parla qui è Drulugh, che sarebbe unicamente una delle: "...varietà di appellativi con cui adorarlo: Zeus, Allah, Drulugh, Yavhè...o se preferisci Dio." (pag. 173).

-"Psiconauta", di Gustavo Gasparini (7 pagine, pag. 177), davvero interessante, come tutti i racconti del Gasparini, narra del caso di un fenomeno di bilocazione, in cui un uomo vede se stesso sdraiato nel suo letto.

Di ciò se ne dà, nel racconto, una spiegazione psicoanalitica, come della sua paura di conoscere i propri sogni, che lo porterebbe, automaticamente, a conoscersi più approfonditamente. Egli sogna, infatti, di essere una donna, e ciò non riesce ad arrivare al suo stato conscio.

-"Arbatrax", di Roberto Genovesi e Errico Passaro (5 pagine, pag. 187), decisamente terrificante, in quanto adotta un espediente che, se dapprima lo fa apparire come ambientato in un realtà normale, tranquilla, in cui vengono solo raccontati fatti terrificanti, di una lovecraftiana antica e ferocissima razza non umana che: "...prosperò e decadde prima dell'avvento della scrittura...forse ancor prima, fino al momento di passaggio fra preistoria e storia...ripugnanti orrori primordiali..." (pagg. 190-1), poi, improvvisamente, è l'ambientazione a divenire terrificante, provocando un notevole impatto emotivo nel lettore.

-"Le bestie fredde", di Lorenzo Iacobellis (19 pagine, pag. 195), buona storia, che si sviluppa su due livelli temporali, raccontando di un disadattato che, avendo appreso da una sua anziana concubina un segreto antico, scatena per il mondo le Bestie Fredde: "...animaletti filiformi, dalla grande testa e dall'affilato muso crudele." (pag. 214), frutto dell'accoppiamento della Creatura che vive nella Terra del Buio e del Gelo Accanto, con la ghepardessa concubina.

C'era anche una sorta di riflessione su Eros e Thanotos: "...il mondo si regge sull'amore e sul piacere della vita da una parte, sulla morte e sul desiderio di distruzione dall'altra. E che chi riceve amore, deve donare amore agli altri, nella stessa quantità in cui lo ha ricevuto. Ma chi riceve morte, morte deve dare necessariamente agli altri, nella stessa quantità in cui l'ha ricevuta." (pag. 211).

-"Pratica irrisolta n. 56", di Alberto Lemhann (30 pagine, pag. 217), è strutturato in modo alquanto originale; una prima parte, la più consistente, è la pratica di cui al titolo, redatta da un commissario di polizia, riprodotta graficamente in modo divertente, e la seconda narra le vicende dell'ispettore che la legge alcuni anni più tardi.

Il tutto è incentrato su un'antica razza di gatti marrani: "...sono partite, tanti milioni di anni fa, innumerevoli arche di astronavi per una Terra ancora senza uomo...hanno riservato Félidi-Pastori, Félidi-Interpreti, Gatti-Mannari, Gatti-Cannibali... La loro è una religione antichissima, superata e dimenticata o, meglio, fatta dimenticare, quella di divinità che non sono solo concetti astratti di Bene o, piuttosto, di Male, ma entità reali; è una religione orrenda, che perdura ancora oggi, anche se nessuno se ne rende conto..." (pagg.  244-5).

-"Il re del mondo", di Riccardo Leveghi (anche in "Dimensione cosmica" n. 7/8, (vecchia serie) ed. Solfanelli, '80; 13 pagine, pag. 249), piuttosto simile, come stile ai suoi racconti del Premio Tolkien, narra di un gruppo di studiosi dilettanti di religioni antiche che vanno alla ricerca, in oriente, dell'Antica Arca, scoprendo parecchie cose.

Vi è anche un ripensamento della decadibilità della civiltà: "Non comprendevo perchè la storia e gli uomini, gli imperi e le creature che li avevano fondati, le donne, i bambini, i sacerdoti, i guerrieri, interi popoli dovevano scomparire così, un regno dopo l'altro, un uomo dopo l'altro per quanto grande potesse essere, ricco, potente, armato, nel pieno del suo vigore." (pag. 257).

-"Interni", di Grazia Lipos (10 pagine, pag. 265), strutturato in forma di diario, racconta la storia di una giovane donna che, un poco alla volta, si ritrova immersa in un mondo altro.

Ciò avviene per mezzo di una sorta di strano sortilegio provocato da dei dipinti di un giovane pittore.

È espressamente citato Lovecraft.

-"L'ospite straniero", di Mario Lucidi (6 pagine, pag. 277), è ambientato in una casa in cui si vendono camere in affitto.

Il protagonista, l'affittuario, scopre tra i bagagli di uno dei suoi clienti un oggetto misterioso: "Non...più grande del pugno chiuso di un bambino e (che) dava, a toccarlo, una spiacevole sensazione di freddo." (pagg. 280-1), che: "...obbediva alle leggi di una geometria che non era di questo mondo." (pag. 281).

-"Mysteria", di Giuseppe Magnarapa (10 pagine, pag. 285), ambientato in un paesino della Calabria, narra di un antico rito dionisiaco in cui incappano dei turisti svedesi.

-"Buio in sala", di Renato Pestriniero (8 pagine, pag. 297): "...una elaborazione in chiave più fantastica..." (de Turris, pag. 9), di "Playback" ("The Time Machine" n. 3/'81), ha al suo: "...centro...il problema dell'esistenza o meno del libero arbitrio ed in che cosa consista la realtà." (Idem), ovvero problemi epistemologici.

Narra dell'apparire di una crepa nel cielo, che si allarga lentamente ma inesorabilmente.

Sarebbe l'annuncio dell'imminenza del comparire di un livello superiore di realtà, nel quale il nostro perderebbe totalmente di significato.

-"Gli occhi dell'etrusco", di Nicola Verde (12 pagine, pag. 307), buon racconto d'atmosfera, ben sostenuta, che narra della profanazione di un luogo sacro agli etruschi, il Fano di Voltumna: "...il luogo più sacro ed inviolabile delle Lucumonie Etrusche..." (pag. 314), da parte di un tombarolo.

-"Aequbayl", di Rosario Zagaria (16 pagine, pag. 321), un pò ingenuo, narra di un giovane ragazzo che, non essendone consapevole, è il discendente di una persona che era venuta da un'altra dimensione attraverso una Porta.

Ed è così che riuscirà a chiuderne una, attraverso la quale era passata una Creatura Aliena.

C'è anche una breve scena di sesso.

E una riflessione sulla disumanità della vita in città: "E poi si sa che la vita cittadina plasma le esistenze in modo anomalo, desensibilizzandole, votandole ad una abbietta indifferenza verso tutto ciò che era naturale solo fino a qualche tempo fa...e la Luna, diventa solo un disco luminoso, che di notte a volte si affaccia tra i palazzi, e il Vento è solo un soffio più forte che scende a spazzare i vicoli, disperdendo polvere e cartacce, e i Fiori, solo sperduti occhielli a qualche davanzale un pò più fortunato, e le Stelle, lumicini troppo deboli per sovrastare con successo le luci violente della strada..." (pag. 334).

 

Il livello qualitativo direi che è più che discreto, nonostante il tema, a mio gusto, non sia certo tra i più esaltanti.

È comunque senz'altro un'ottima cosa che la Solfanelli abbia voluto mettere in essere anche questa iniziativa, dopo le buone cose fatte nel settore fantasy.

 

Alpha Aleph extra n. 1, agosto '93

 

HORROR EROTICO

"Piccola biblioteca Millelire" n. 4, ed. Stampa alternativa, '95, 272 pagine, 10.000 £

 

 

È, questa, una delle tre antologie fantastiche curate da Franco Forte per Stampa Alternativa (vedi "Fantasia" e "Cyberpunk"), confezionate in maniera davvero divertente.

Questa, è composta da cinque volumetti, raccolti in un contenitore a scatola, ogniuno dei quali comprendente due racconti, uno di un uomo e uno di una donna, stampati uno a cominciare da un verso l'altro dall'altro.

 

-"La vie en rouge", di Alda Teodorani (28 pagine)-sanguigno, racconta di una vampira non più giovanissima ma ancora decisamente piacente, che se ne và per locali e discoteche ad abbordare giovani più o meno imberbi, per, appunto, vampirizzarli, squartarli perbenino e cannibalizzarli, non prima di avervi scopato.

A metà fra il noir e l'horror metropolitano, ha il suo punto di forza nell'essere narrato in prima persona; particolarmente impressionanti le descrizioni degli squartamenti: "...prima che lui riprendesse del tutto coscienza, ma mentre era già abbastanza sveglio da capire cosa lei stava per fargli, aveva sollevato il bisturi, aveva goduto, come sempre godeva, del suo sguardo da animale braccato, delle pupille terrorizzate e dilatatissime e gli aveva inciso il collo, nel punto giusto, dove il sangue pulsa potente al punto da poter sollevare la pelle, al punto che Giorgia poteva perfino vedere, immaginandolo nella sua oscura e vitale caverna, il cuore che gli pulsava in petto." (pagg. 24-5).

 

-"Rantoli nel buio", di Franco Forte (22 pagine)-storia terrificante di un maniaco che porta nel suo antro giovani donne, per poi ucciderle, e giocare coi loro cadaveri; terrificante, più che altro, per l'ignoranza totale che traspare, di lui, la sua assoluta mancanza di ogni qualsivoglia educazione di ciò che riguarda il sesso.

 

-"Balsamo di tigre", di Maria Rosa Cutrufelli (14 pagine)-tenue, tutto incentrato unicamente sugli sconnessi sentimenti che un misterioso (a?) telefonista notturno, notte dopo notte, produce in una donna il cui marito è lontano per lavoro.

Il sottile erotismo che vi si respira, esplode nel finale, in cui, finalmente, un lieve rantolo, di là, fà scaturire tutta l'energia fino ad allora accumulata: "Sulle lenzuola già madide l'umore del mio sesso gonfio e aperto colava mentre le ombre si muovevano, lente o rapide, alla cadenza alterna della mano che carezzava le labbra nascoste, cercava la carne tumida, il piccolo monte bagnato." (pag. 17).

 

-"Senza alcuna violenza", di Daniele Ganapini (40 pagine)-strano racconto, in cui, ad una struttura gialla, si sovrappongono elementi morbosi, torbidi; vi si racconta, in sintesi, di una compagnia di adolescenti della buona borghesia, la cui vita viene ad essere turbata dal suicidio/omicidio di una sua componente; ma, poi, appunto, il racconto si colora di toni morbosi che lo fanno balzellare più volte, senza che riesca a trovare una sua direzione precisa.

Una buona scena di sesso ne è forse la cosa migliore: "Mentre la cercavo delicatamente sentii che lei mi contraccambiava, che le sue dita mi avevano afferrato,che tenevano il pene mentre cresceva imprigionato, tendendo la stoffa delle mutande in modo quasi doloroso.

Lei lo liberò lasciando che venisse in alto, accudendolo con destrezza, si alzò e si abbassò sul fianco più volte sfregandolo lentamente, titillandolo con la punta dei capezzoli: rialzandosi si soffermò alcuni secondi in quella posizione prima di avvicinare la sua bocca." (pag. 20).

 

-"Giovanna Scimè zitella", di Silvana La Spina (14 pagine)-brutto raccontino in cui si racconta di una donna ricca che desidera talmente sposare un'uomo, che arriva ad offrirglisi completamente per alcuni lunghi giorni d'amore; ma, quando gli chiede di sposarla, al suo rifiuto lei l'uccide, neanche in un qualche modo un pò divertente; gli spara, semplicemente.

Nessuna scena di sesso.

Brutto.

 

-"Le sette stanze", di Daniele Brolli (22 pagine)-bellissimo, è il racconto di un libertino che conduce alla sua garsonier giovani donne, per sottoporle ad un trattamento educativo, nel senso che vi viene dato nel gergo sadomasochista.

Meravigliosamente immaginativo, è un susseguirsi continuo di allettanti e, appunto, molto fantasiosi giochi d'amore.

Forse non vi è un vero e proprio elemento horror...se non l'estremizzarsi della sessualità, a cui, ormai, siamo talmente abituati che ci risulta più quotidiano che fantastico.

 

-"La notte di S. Valentino", di Glora Bàrberi (16 pagine)-ambientato in un tipico mondo post-disastro, è tutto tenuto su di un tono poetico, di prosa poetica; vi si racconta di un gruppo di mutanti dediti a sacrifici umani.

Decisamente molto carico di erotismo, qui particolarmente legato al sangue e alla morte; il sacrificato è, certo non a caso, un normale.

 

-"Guardia del corpo", di Roberto Barbolini (22 pagine)-un racconto del tipo angelico, un pò alla "Il paradiso può attendere", per intenderci, tutto tenuto su di un tono leggero, quasi autoironico; un angelo custode viene mandato sulla Terra a proteggere una donna, di cui veniamo a sapere molte cose; il finale è...happy.

La donna non era certo una stinca di santo, e neppure l'angelo: il tutto è infatti disseminato da molteplici, se pur, come detto, decisamenmte soft, riferimenti erotici.

 

-"Oh my darling Clementine", di Gabriella Scialdone (10 pagine)-storia di pedofilia violenta, molto torbida, con quel pizzico di psicopatia che, in questi casi, è inevitabile.

 

-"Guedè", di Carlo Lucarelli (28 pagine)-racconto di iniziazione sessuale, molto intenso, in cui, partendo da una situazione assimilabile al nostro cinema soft erotico, si scivola, lentamente, verso il fantastico, con l'inserimento di un elemento orrorifico legato ai riti voodoo.

 

Come abbiamo visto, sono tutti (o quasi) racconti di buon livello; ci sarebbe da ridire sulla loro appartenenza al fantastico, in alcuni casi; forse, si può dire che alcuni sono più horror, ed altri più erotici, nelle varie tonalità intermedie.

In effetti quelli prettamente fantastici sono la minoranza; si possono dire tali solamente quelli della Teodorani, della Bàrberi, del Barbolini e del Lucarelli.

Gli altri, a parte quello di La Spina, sono horror unicamente per il fatto di contenere elementi morbosi, grandguignoleschi, in ogni modo perturbanti, ma unicamente per quello.

Per concludere, senz'altro una buona iniziativa editoriale, che risulta divertente; una nota: benchè i racconti siano dieci, i volumetti sono cinque...e i Millelire non dovrebbero costare...millelire!!

 

Fantastico

 

1° premio letterario "…per racconti fantastici"

ed. Luì, '86, 190 pagine, 18.000 £

 

Sorto nell''86, il premio letterario "Città di Montepulciano" è stato indetto dall'Associazione Culturale "Il borghetto" di Montepulciano (Siena).

Fino ad oggi (o, almeno, fino al '96, sicuramente) ogni anno si è avuta la premiazione, e i racconti risultati vincitori fino all'edizione '94 sono stati pubblicati.

Questo è il volume che raccoglie i racconti vincitori della prima edizione, dell''86, alla quale parteciparono 135 autori, e la cui giuria fù composta da Alberto Moravia, Mauro Scarpelli, Antonella Amendolia, Dario Bellezza, Italo Evangelisti, Francesco Mei, Duccio Pasqui e Giorgio Harold Stuart.

I racconti sono presentati nell'ordine di classifica, dal 1° al 10°.

 

-"Addiario secondo", di Dedi Baroncelli (16 pagine, pag. 11), strano racconto surrealista, in forma epistolare, in cui si cita espressamente "Addiario", un breve racconto apparso sulla fanzine milanese "Un'ambigua utopia" nell'80 (n. 2, anno IV°, '80, in "Frammenti", pag. 51), e qui ripreso quasi esattamente nella seconda lettera.

 

-"Tutti i miti dell'ebro", di Franco Ricciardiello (anche "Intercom" n. 140/141, '95; 19 pagine, pag. 27), racconto molto soft su di un'alterazione temporale che sposta l'intera Spagna indietro al '38, in piena guerra civile: "Esattamente in coincidenza della frontiera con la Francia, senza alcun preavviso si passava da un universo all'altro, e si ritornava nell'universo di partenza facendo un passo indietro." (pag. 34).

I protagonisti sono giovani assetati di emozioni che si infiltrano clandestinamente in questa oasi temporale sfasata in cerca prioprio di avventure esotiche.

Lo stile del Ricciardiello è, al solito, davvero ottimo; è stato, non per niente, definito il Ballard italiano: "Il tempo è sempre incerto su quale via prendere e si ferma a riflettere, ritornando su se stesso durante quei periodi che chiamiamo altalene." (pag. 44).

 

-"Il paradiso (ri)trovato", di Roberto Sturm (anche in "Nettezze arcane" n. 1, ed. Nettezze arcane, '91, e in questo sito: http://www.intercom.publinet.it/Sturm.htm; 16 pagine, pag. 47), buon racconto in cui, però, l'elemento fantastico è solamente di contorno, mentre la narrazione vera e propria si dipana lungo tutt'altri canali.

Il motivo fantastico è quello tipico dei racconti marinareschi, delle leggende raccontate nei porti, di fantasmi di marinai: "…spiriti in eterna espiazione…coloro che sono partiti con il corpo ma che sono rimasti a terra con la mente, attaccati ai loro ricordi. Ed ora vagano, per sempre, dal tramonto all'alba, dentro i porti, cercando la maniera per rientrare nella terraferma o prendere definitivamente il mare: un paradiso perduto che probabilmente non cedranno mai." (pag. 56).

 

-"Una sconosciuta", di Enzo Nassi (8 pagine, pag. 63), racconto unicamente d'atmosfera, senza alcun elemento fantastico.

 

-"La fabbricante di storie", di Daniela Piegai (9 pagine, pag. 71), breve storia fantasy, con anche non troppo velate simbologie sessuali (il serpente), ed un tipo molto particolare di strega protagonista; una strega giovane e bella.

 

-"I giorni della crisalide", di Enzo Verrengia (anche in "Delos" n. 48, ‘99: http://www.delos.fantascienza.com/delos48/script.html; 18 pagine, pag. 81), racconto un po’ sullo stile dei racconti di fantasmi di fine Ottocento, fino ad un certo punto, con la medesima donna ritratta in una tela ed in una foto di epoche impossibili, ma che poi si trasforma in una storia fantasy del tipo vita eterna alla "Highlander".

La protagonista femminile è, infatti, una ninfa, nata, assieme a molte altre, in seguito alla violenza carnale di certi barbari: "All'alba successiva, mentre ci si risvegliava tra fuochi inceneriti, le giovani rinacquero da se stesse. Si levarono nude e splendenti dalle loro crisalidi coperte di tuniche lacerate." (pag. 95).

Nel finale si scopre anche un'altra sua caratteristica, un po’ licantropesca: "La fiamma che brucia la crisalide brucia chi la dona." (pag. 98).

 

-"Sogno di niente", di Stefano Bon (13 pagine, pag. 99), struggente storia di spaziali ibernati per anni, imperniata proprio sulla poetica della solitudine, lo spaziale siderale immerso ed il Tempo così falsato: "Il tempo non esiste per noi, ma è il sapere che mentre noi dormiamo la gente della Terra nasce e vive e muore che ci imbarazza." (pag. 111).

Notevole anche la lunga disquisizione sulle donne spaziali: "Tutte le donne sono un po’ madri, si sa, ma nello spazio è diverso. Noi, nello spazio, non siamo nulla, virgole di Niente, un seme di arancio spuntato-ecco cosa-e allora si può essere madri di questo Niente?…" (pag. 105).

 

-"Malvyss il silente", di Dario Tonani (16 pagine, pag. 113), racconto alquanto sfuggente, dall'ambientazione non chiara; in un mondo primitivo si muovono degli uomini ancora alle prese con la magia, ed il protagonista Malvyss ha delle visioni, dei sogni; prima è creduto pazzo, ma poi ascoltato.

La resa non è fra le migliori.

 

-"Verdandi", di Renato Pestriniero (anche in "Oltre..." n. 1, ed. Sanesi, '91; 14 pagine, pag. 129); chi ha già letto altro del Pestriniero sa che molti dei suoi racconti sono ambientati, come questo, nella sua Venezia.

E che, invariabilmente, esse sono soffuse di un'atmosfera magica, in bilico tra la realtà e la fantasia.

Qui un uomo incontra una donna incredibilmente somigliante ad una sua ex amante, la quale lo trasporta in una dimensione magica.

Molto ben estesa l'incertezza tra soluzione razionale e fantastica del protagonista.

 

-"Inquinamento tecnologico", di Gianluigi Zuddas (21 pagine, pag. 143), bel racconto umoristico in cui, in un mondo postatomico, un mercante affida il compito di recuperare un polarizzatore d'onde cerebrali ad una ditta specializzata.

Questi sono degli: "…apparecchi capaci di irradiare un campo d'onde cerebrali di tipo particolare, che interferivano con quelle emesse dal cervello di chi si accingeva a compiere azioni violente o nocive." (pag. 145).

Ma il tutto ci complica per la presenza, sull'isola dove è situata, di una mini civiltà con una pseudo religione imperniata proprio su quella macchina.

Davvero divertente, è anche molto ben condotto.

 

-"L'angelo senza sogni", di Vittorio Catani (anche in "Sangue sintetico", a cura di Roberto Sturm, "peQuod" n. 9, ed. peQuod, '99; 26 pagine, pag. 165), storia molto cruda, di commercio di organi portato alle estreme conseguenze, in cui, addirittura, si arriva ad affittare le capacità del proprio cervello.

 

Il volume e brevemente introdotto da Mauro Scarpelli, presidente dell'Associazione, e vi sono delle note biografiche degli autori e l'elenco dei partecipanti.

 

  2° premio letterario "…per racconti fantastici"

ed. Luì, '88, 277 pagine, 15.000 £

 

Antologia che raccoglie i racconti vincitori della 2° edizione del Premio "Città di Montepulciano", dell''87, alla quale parteciparono 202 autori; quell'anno la giuria fù composta da Luce D'eramo, Mauro Scarpelli, Dario Bellezza, Domenico Cristofori, Laura Felici, Mariano Fresta, Francesco Mei, Duccio Pasqui, Sabrina Pizzi, Maria Russo e Giorgio Harold Stuart.

Anche in questa, come nella precedente, i racconti sono pubblicati nell'ordine di classifica.

 

-"La luce di una stella", di Vittoria Malandrin (17 pagine, pag. 25), buon racconto, ma non certo fantastico.

Vi si racconta di un ospizio, di fronte al quale si trova una fabbrica che al protagonista sembra misteriosa; egli se la rappresenta come un'astronave.

Verrebbe da pensare che quello che l'autrice voleva dire è che non c'è niente di fantastico, nella vecchiaia.

 

-"Partita di mezzanotte", di Fabienne Brusca (21 pagine, pag. 43), notevole racconto basato sui poteri psi di una ragazzina, per mezzo dei quali si vendica del massacro della sua famiglia, mafiosa, da parte di ex nazisti.

Molto ben scritto.

 

-"Il suonatore di sassofono", di Stefano Righini (13 pagine, pag. 67); la struttura portante di questo racconto è quella di un giallo; solamente l'ambientazione è futurista, un'Italia in cui è scoppiata un'atomica in Sicilia, e nella quale l'eroina è divenuta monopolio di stato.

Nel volume è compreso anche un fumetto tratto dal racconto, disegnato da Giovanni Angeli.

 

-"L'incanto delle falene", di Paolo Paoloni (16 pagine, pag. 87); in questo racconto è, contrariamente al precedente, la struttura ad essere fantastica, mentre, poi, il racconto si snoda come potrebbe svolgersi un qualsiasi racconto mainstream.

L'elemento fantastico è quello caro a molto cinema horror, del confine tra la vita e la morte che si fa incerto.

 

-"Cocca e Cacco", di Annalisa Piratsu (28 pagine, pag. 105), divertentissima favola, in cui due bambini vengono trasportati in una dimensione in cui tutti i proverbi, al solo pronunciarli, si concretizzano, nei modi più diversi, ma sempre accattivanti.

Verso il finale c'è una parodia della tipica spiegazione razionale della Sf sul perché ed il percome degli avvenimenti anomali: "Il mio mondo si chiama Rabiher. Ha la forma di una palla da rugby ed è fornito di lunghissimi filamenti che altro non sono che fibre ottiche. Il mio pianeta passa sulla terra una volta ogni tre anni e nel passaggio capita che qualcuno di questi filamenti sia risucchiato o immobilizzato da una zona del vostro pianeta. Uno di questi filamenti stavolta, è stato frenato dalla vostra camera da letto. Uno dei nostri filamenti si è incagliato. Voi, malgrado le aparenze non vi siete mai mossi dalla terra.Tutto ciò che è avvenuto è realmente accaduto per effetto del raggio." (pag. 130).

Direi che forse un difetto di questa favola sia di essere un po’ troppo tirata per le lunghe.

 

-"La donna della stazione", di Luca Biglione (6 pagine, pag. 135), è incentrato sul tema del doppio, qui accentuato dal motivo erotico-sentimentale.

 

-"Paura II°: morir di paura", di Antonella Saccarola (6 pagine, pag. 143), è un anomalo racconto horror, riprendente alcuni topoi basilari dell'horror story, e, soprattutto, narrato in un linguaggio molto particolare, scarnissimo, quasi al limite di quello che potrebbe fare un computer debitamente programmato.

 

-"Fissità", di Cirano Andreini (6 pagine, pag. 151), racconto metafisico, in cui due pescatori si ritrovano improvvisamente in un'alba in cui non sorge il sole, e conseguenti meditazioni trascendentali.

 

-"Souvenir", di Renato Pestrinero (anche in "La gazzetta di Venezia", '87 e in "Delos" n. 44, ‘99: http://www.delos.fantascienza.com/delos44/souvenir.html; tradotto in tedesco come "Souvenir", "Die wahre Lehre-nach Micky Maus", '91, tr. Andreas Brandhorst; 21 pagine, pag. 159), bellissimo, come chi ha già letto altre opere del Pestriniero è abituato a sapere, e, come praticamente sempre, ambientato nella sua Venezia.

 

-"Il grande gioco", di Eugenio Ragone e Vittorio Catani (anche in "Orme sulle stelle", "Nova Sf*" n. 19, ed. Perseo libri, '90; 27 pagine, pag. 181); forse qualcuno saprà che il Ragone è un appassionato, oltre che di Sf, anche di scacchi (vedi "La scacchiera dell'universo", "Robot" n. 25, ed. Armenia, '78, pag. 126, e "Scacchi e fantascienza", "Yorick speciale" n. 4, '94).

Questo racconto, scritto in collaborazione con il suo simbionte Vittorio Catani, è proprio un racconto scacchistico, con molte citazioni, da "Il pianeta di Morphy", di Adrian Rogoz ("Pretul secant al genunii", '74 Galassia" n. 224, ed. La tribuna, '77), a "Scacco doppio", di Lino Aldani ("Il subbio", '72, in "Eclissi 2000", ed. De Vecchi, '79, "Terminus" n. 3, '96), a "I reietti dell'altro pianeta" della Le Guin.

Ha la struttura tipica del racconto in cui vengono narrate delle così dette storie collaterali, con una breve premessa ed una conclusione nel tempo del racconto, e, nel mezzo,, la storia narrata dai vari protagonisti.

 

-"Solo per amicizia", di Daniela Piegai (7 pagine, pag. 209), strano racconto, con, a protagonista, una donna squilibrata, sola, in una casa con dei manichini.

Sono i suoi ricordi distorti dalla pazzia i veri protagonisti della narrazione.

 

-"Dio s.r.l.", di Roberto Quaglia (28 pagine, pag. 217), divertente racconto umoristico in cui il protagonista-narratore racconta del suo contemporaneo viaggio dantesco nell'aldilà, e dei suoi antefatti.

Il tutto da un'ottica decisamente anticlericale ed atea.

 

Seguono tre racconti segnalati: "Much ado about nothing", di Gianluca Bianco Prevot (5 pagine, pag. 247), racconto umoristico totalmente privo di qualsivoglia spunto fantastico.

 

-"La vedova nera", di Angelo Mazzarese (anche, col titolo di "I racconti del gatto nero: La vedova nera", in appendice a "La valle degli spiriti", di Ambrose Bierce, "I miti di Cthulhu" n. 28, ed. Fanucci, '88; 13 pagine, pag. 253); chi ha avuto modo di leggere altri racconti del Mazzarese sa che sono umoristici, e con qualche tocco di erotismo.

Anche questo non fa eccezione: divertente e…piccante.

La trovata fantastica, banalmente, verte sui fantasmi.

 

-"Tutto il vento che vuoi", di Dario Tonani (11 pagine, pag. 267), buon racconto, il cui protagonista è un pazzo-Dio; un uomo la cui pazzia gli permette di entrare in contatto con Dio.

È ambientato tra una tribù di eschimesi.

 

Ad aprire il volume c'è una "Premessa" di Mauro Scarpelli, un'introduzione di Paolo Mei, l'elenco dei partecipanti, e delle "Note biografiche" agli autori.

 

I RACCONTI FANTASTICI DI MONTEPULCIANO, a cura di Ugo Malaguti e Mauro Scarpelli

"Narratori europei di science fiction" n. 2, ed. Perseo libri, '89, 507 pagine, 32.000 £; © by Perseo Libri s.r.l.

 

Antologia che raccoglie i racconti, vincitori e finalisti, delle edizioni '88 e '89 del Premio "Città di Montepulciano".

In entrambe queste edizioni vi fù anche la sezione giallo, di cui non tratterò.

 

Edizione '88.

-"Barabba", di Daniela Piegai (7 pagine, pag. 31), racconto vincitore, ex equo con il successivo, dellac sezione vincitori precedenti edizioni, racconta di una storia d'amore futura al cui centro stà il problema dell'Aids, in modo alquanto poetico.

 

-"Codalunga", di Fabienne Brusca (19 pagine, pag. 41), ottimo racconto horror, sul tema classico dell'autostoppista, sulla falsariga di "The hitcher".

Codalunga, il protagonista: "Non chiedetemi che cosa sia.Sembra un uomo, ma non lo è…A volte sembra una donna, ma probabilmente non è neppure un essere umano…" (pag. 52).

 

-"Nel muro", di Renato Pestriniero (5 pagine, pag. 63), secondo, in quella categoria, racconto di molta atmosfera, come sappiamo, il Pestriniero sa fare, ma gli elementi fantastici vi sono totalmente assenti.

 

-"La palla", di Cirano Andreini (5 pagine, pag. 71), terzo in quella categoria, è un racconto umoristico in cui un cherubino fa visita alla Terra, per riferire poi a Dio che ciò che più su quel pianeta è il gioco del calcio.

 

-"La città che non c'era", di Pierfrancesco Prosperi (anche in "Cronache dell'arcipelago", a cura di Carlo Della Corte e Renato Pestriniero, "Scenari", ed. Il cardo, '96-tradotto in finlandese come "Kaupunki jota ei ollut olemassa", "Portti" n. 2, '94; 6 pagine, pag. 79), vincitore della categoria "racconti brevi", è molto bello, racconta dell'improvviso traslare di un uomo e di suo figlio in un universo parallelo in cui Venezia non è mai esistita.

 

-"Rosa canina", di Laura Agostini (17 pagine, pag. 87), secondo nella categoria "racconti lunghi", ex equo con "Snake", di Giuseppina Barone, che vedremo, è la narrazione, molto ben condotta, delle conseguenze psicologiche devastanti di un trapianto di cervello.

 

-"Lettera al comitato organizzatore", di Maurizio Bascià (4 pagine, pag. 107), secondo nella categoria "racconti brevi", è un'umoristica, ipotetica lettera in cui lo scrittore chiede che venga ritirato un suo racconto dal concorso, per motivi di rilevanza cosmica.

 

-"Orfani", di Stefania Bardani (6 pagine, pag. 113), terzo nella categoria "racconti brevi", è la straziante storia di un bambino-clone che deve dare la propria vita per salvare quella del suo fratellino vero.

 

-"L'isola", di Fabio Nardini (19 pagine, pag. 121), vincitore della categoria "racconti lunghi", è una bellissima storia, nella quale l'autrice riesce a creare un'atmosfera notevolissima, di magica sospensione e di sentimenti tenui.

La protagonista è una ragazza-sirena, una creatura del mare, a tutti gli effetti; evidente il simbolismo; è una storia d'amore.

 

-"Snake", di Giuseppina Barone (14 pagine, pag. 143), secondo, ex equo con "Rosa canina" della Agostini, nella categoria "racconti lunghi", è il racconto del rapporto simbiotico tra una donna ed un serpente, telepatico.

 

-"La planche", di Fabio Biasio (15 pagine, pag. 159), terzo, ex equo col successivo, nella categoria "racconti lunghi", è l'esasperante parodia di un mondo futuro in cui tutto è dominato dalla pubblicità.

 

-"Diavolo in giardino", di Paola Nesi (11 pagine, pag. 177), terzo, ex equo col precedente, nella categoria "racconti lunghi", vi si racconta di un'appassionato di piante e germogli che riceve un esemplare extraterrestre, e delle vicende conseguenti.

 

-"Maria", di Ijerka Cer Martutinovis, vincitore della categoria racconti di "stranieri" scritti in italiano, non è stato possibile pubblicarlo perché l'unica copia disponibile era stata mandata ad altro editore.

Nell'antologia appare un sonetto, "Sonetto del ritorno alla preghiera", vincitore del premio di poesia "Poliziano", indetto sempre dall'Associazione Culturale "Il borghetto".

 

-"Requiem per Maria", di M.A. Jansen (7 pagine, pag. 197), secondo in quella categoria, è l'avvincente storia del rapimento di una donna nella Marakech marocchina; non vi sono, però, elementi fantastici.

 

-"Gli angeli reccicero", di Arnaldo Alberti (6 pagine, pag. 207), terzo in quella categoria, è un buon racconto ambientato nel medioevo ticinese, ma anche questo privo di qualsiasi elemento fantastico.

 

I racconti vincitori della sezione "Giallo", in quell'edizione, sono stati: "L'ombra di un sorriso", di Enzo Nassi, "Ritorno a Vienna", di Stefano Righini, e "Morte che parla", di Dedi Baronchelli.

 

Edizione '89.

-"La macchia", di Mariella Sparacino (6 pagine, pag. 321), secondo nella categoria "racconti di media lunghezza", racconta di un uomo che, gradualmente, viene interamente ricoperto da una strana macchia; idea scarna, anche se sviluppata discretamente.

 

-"Numeri", di Giovanni Scalera (11 pagine, pag. 329), vincitore di quella categoria, è il racconto, in gran parte in forma epistolare, di un ragazzino che, in epoca fascista, trova una formula matematica che gli permette, in qualche modo, di prevedere il futuro.

 

-"Antica storia", di Mario Sforza (14 pagine, pag. 343), terzo di quella categoria, è una bella storia fantasy, al cui centro c'è la persecuzione ed il rogo di una strega.

 

-"C'è una bianca città", di Donato Altomare (3 pagine, pag. 359), secondo, ex equo con "Fantasmi" dell'Amadio, nella categoria "racconti brevi", è la narrazione, in uno splendido sospendersi dell'atmosfera, del passaggio di un uomo spettrale, un fantasma, nella piazza di una piccola città di mare.

 

-"Fumo", di Andrea Ascheri (7 pagine, pag. 365), terzo in quella categoria, ex equo col successivo, contiene molte parole di uso desueto, alcun elemento fantastico, ed una imprecisione: "…(l')oppio…è altresì noto per essere ostile ad ogni amore che non sia platonico." (pag. 373); non del tutto vero.

 

-"Sei salvo per sette generazioni", di Antonio Bitti (4 pagine, pag. 375), terzo in quella categoria, ex equo col precedente, è un divertissment sul tema delle streghe piuttosto ben riuscito.

 

-"Una breve storia di draghi e cavalieri", di Stefano Bertoni (6 pagine, pag. 381), vincitore di quella categoria, è la narrazione, divertita e divertente, della tipica caccia ed uccisione del drago, intrisa di altri infiniti luoghi tipici del fantasy.

 

-"Fantasmi", di Ennio Amadio (4 pagine, pag. 389), secondo, ex equo con "C'è una bianca città" dell'Altomare, è la storia del ritorno, sotto sembianze spettrali, di un gatto.

 

-"Regalo di compleanno", di Giuseppina Barone (4 pagine, pag. 395), terzo nella categoria "vincitori precedenti edizioni", è la divertente storia di un folletto che va a far visita ad una tranquilla famiglia italiana emigrata in America.

 

-"1984", di Pierfrancesco Prosperi (anche e in, col titolo "…+ 22", "Futuro europa" n. 6, ed. Perseo libri, '90, e in "La gazzetta del mezzogiorno" del 22 agosto '92; 7 pagine, pag. 401), vincitore di quella categoria, ex equo con "Reietti" della Bardani, è un bellissimo racconto di Sf sociologica, in cui si immagina un futuro prossimo nel quale, nei libri, vengono inserite, ad ogni fine pagina, dei brevi messaggi pubblicitari.

Il protagonista, novello Wiston, verrà arrestato per tentato acquisto di libro senza pubblicità.

 

-"L'acqua chiara e il feticcio (ovvero: l'ultimo giorno di neve)", di Dario Tonani (15 pagine, pag. 411), secondo in quella categoria, è il racconto di una compagnia di giovani nella quale c'è una persona molto particolare.

 

-"Reietti", di Stefania Bardani (anche in "Futuro Europa" n. 12/13, ed. Perseo libri, '95; 13 pagine, pag. 429), vincitore di quella categoria, ex equo con "1984" del Prosperi, è la storia, antiutopica, di un futuro in cui i derelitti dell'umanità vengono eliminati dal potere.

 

-"Fantasmi di serie "c"", di Toni Pezzato (5 pagine, pag. 445), vincitore della categoria "soci dell'Associazione Culturale "Il borghetto", ex equo con "Il labirinto", dei Giampietro e Bongon, è un grazioso racconto umoristico con, a protagonisti, dei fantasmi sfrattati.

 

-"Ombre per Giorgio", di Gian Maria Panizza (3 pagine, pag. 453), terzo in quella categoria, è la narrazione del ritorno di un fantasma, a cercare di toccare i propri vestiti di quando era vivo, in un'atmosfera sapientemente creata.

 

-"Pickman s.p.a.", di Michele Tetro (16 pagine, pag. 459), secondo in quella categoria, ex equo col successivo, è l'umoristica narrazione della confessione di un omicida spaziale.

 

-"Racconti d'osteria", di Silvio Canavese (9 pagine, pag. 477), secondo in quella categoria, ex equo col precedente, si avvale di uno dei più tipici accorgimenti narrativi, quello della storia raccontata da un personaggio.

Ed è basato sul ritrovamento di un apparecchio bellico sperimentale, da parte di un montanaro.

 

-"Il labirinto", di Guido Giampietro e José Marie Bougan (9 pagine, pag. 489), vincitore di quella categoria, ex equo con "Fantasmi di serie "c"" del Pezzato, è un buon racconto sui paradossi temporali, dalla struttura del giallo.

 

I racconti vincitori della sezione "giallo" di quell'anno furono: "Morte di un dromedario", di Pina Mistretta, "Cercando Gancino", di Enrico Rulli, e "Ho un cadavere in testa", di Francesco Tamagni.

 

Il volume è corredato da un'"Introduzione", di Ugo Malaguti, una "Presentazione: il premio di Montepulciano", di Mauro Scarpelli, una "Lettera" di Luce d'Eramo, una "Presentazione all'edizione 1989", di Giorgio Harold Stuart, e da, in appendice, un "Regolamento e libro d'oro".

 

  38 RACCONTI ITALIANI (e non) DI GENERE FANTASTICO

ed. Donchisciotte, '91, 344 pagine

 

Antologia contenente i racconti vincitori delle 5° e 6° edizione del Premio "Città di Montepulciano", del '90 e del '91.

Nell'edizione del '90 c'era anche la categoria "giallo", di cui non tratterò.

 

Edizione '90.

Categoria "vincitori precedenti edizioni":

Vincitore, "Il lombrico dell'uomo rosso", di Cirano Andreini (7 pagine, pag. 7), è la divertente storia di un treno che, imboccato un tunnel, non ne esce se non dopo un tempo spropositatamente più lungo del previsto.

 

Secondi:

-"In attesa che arrivi Fiorenza", di Renato Pestriniero (anche in "Futuro Europa" n. 9, ed. Perseo libri, '91; 18 pagine, pag. 15), è un bellissimo apologo freudiano, in cui due fratelli hanno un torbido e, infine, omicida rapporto incestuoso, dovuto alla madre castrante e all'assenza del padre.

-"Inflazione indeterministica (o di quando salvai il mondo)", di Roberto Quaglia (anche in "Futuro Europa" n. 10, ed. Perseo libri, '92; 10 pagine, pag. 34), è l'umoristica, e al contempo ironica, narrazione di un'avventura pseudo erotica e iper commerciale in un futuro impazzito, in continuo e vertiginoso cambiamento.

 

Terzo, "Tirate sul poeta", di Dedi Baronchelli (20 pagine, pag. 45), è un noioso racconto poliziesco che nulla ha a che vedere col fantastico.

 

Categoria "soci dell'Associazione Culturale "Il borghetto":

Vincitore, "Pasticche di stelle", di Maurizio Busanelli (5 pagine, pag. 65), è un buon racconto di Sf che narra di una storia, cosa ormai difficile in questo campo, incentrata su di un'idea originale.

 

Secondo, "Le ali ripiegate", di Pina Mistretta (6 pagine, pag. 70), è la soffusa storia di un padre di famiglia a cui, all'improvviso, spuntano delle ali.

 

Terzo, "Sintar", di Nicoletta Vallorani (anche in "Futuro Europa" n. 11, ed. Perseo libri, '92; 9 pagine, pag. 76), è un commovente racconto imperniato su una droga che, in un futuro, viene soministrata indiscriminatamente ad emarginati, malati terminali ed handicappati.

 

Categoria racconti di "stranieri" scritti in italiano:

Vincitore, "Si chiama piccino", di Ludmilla Frejovà (6 pagine, pag. 86), è una narrazione molto più lenta di quelle a cui siamo abituati.

Vi si racconta di un esperimento, riuscito, su un organismo vivente alieno, e del figlio telepatico dello scienziato che lo attua.

 

Categoria "racconti brevi":

Vincitore, "Volare", di Paolo Buiarelli (3 pagine, pag. 134), è una storia surreale nella quale un uomo da assurdamente ascolto ad un suggerimento che lo è altrettanto, e vive un'esperienza straordinaria.

 

Secondo, "La lezione", di Danilo Ramirez (3 pagine, pag. 137), è un bellissimo apologo, mi sembra di poter dire, su quelle che sono le responsabilità degli insegnanti, una riflessione sul fatto che ciò che si insegna rimanga, poi, per tutta la vita bagaglio culturale dei propri allievi.

 

Terzo, "La tarantola", di Marco F. De Santis (3 pagine, pag. 140), è piuttosto strano, un incrocio fra il racconto storico e quello fantastico, dalla riuscita, a mio parere, non completa.

 

Categoria "racconti lunghi":

Vincitore, "Padrone del gioco", di Giuliano Rubechini (13 pagine, pag. 144), è un buon racconto horror dal solido impianto narrativo e dai notevoli risvolti psicologici.

 

Secondo, "Storia di S.", di Gianlorenzo Barollo (11 pagine, pag. 157), è l'umoristica storia di uomo che decide di diventare un soprammobile, e riesce ad attuare questo suo incredibile proposito.

 

Terzo, "Roba da chiodi", di Luca Morelli (14 pagine, pag. 168), è la divertente storia di una spassosa invasione di alieni-chiodi, della strenua difesa di due terrestri, che riesce, ma…

 

Solamente segnalato, poi, c'è "Ombra", di Alberto Muratori (15 pagine, pag. 183), è un ameno e nichilistico apologo sul'insulsaggine della vita.

 

I racconti della categoria "giallo", sono: "Ho un diavolo in corpo", di Francesco Tamagni, "Cominciò così questa tortura", di Enrico Rulli, e "Il colore del buio", di Annalisa Coppolaro.

 

Edizione '91.

Categoria "vincitori delle precedenti edizioni":

Vincitori:

-"Scadron", di Fabienne Brusca (19 racconti, pag. 203), è, come "Codalunga" (vedi "I racconti fantastici di Montepulciano"), un racconto horror ambientato sulle autostrade; qui, in Brasile, si narra di uno squadrone della morte, annientato dal voodo, che ritorna a terrorizzare ad anni di distanza.

 

-"Pietà per gli ultimi sauri", di Renato Pestrinero (13 pagine, pag. 222), è un racconto dickiano in cui diverse realtà, diverse verità, si mischiano tra di loro, senza possibilità alcuna di soluzione.

Al suo centro troviamo quello che è, sostanzialmente, il tema della narrativa del Pestriniero, il problema del libero arbitrio.

 

Secondo, "Quel giorno ad Arles", di Pierfrancesco Prosperi (tradotto in finlandese come "Kesäpäivä Arlesissa", "Portti" n. 1, '95; 4 pagine, pag. 235), è un molto ben riuscito racconto sui viaggi nel tempo, in cui si immagina che un appassionato d'arte torni nel passato per consegnare a Van Gogh una somma di denaro, ma…

La trovata è abbastanza originale, anche se non nuovissima.

 

Terzo, "Soprappensiero", di Cirano Andreini (4 pagine, pag. 240), è la breve storia di un ergastolano piuttosto particolare, il cui essere, come si professa, innocente, è tenuemente e fantasticamente sospeso nell'incertezza.

 

Categoria "soci dell'Associazione Culturale "Il borghetto"":

Vincitore, "La fanciulla di cera", di Pina Mistretta (3 pagine, pag. 245), è la storia dell'infatuazione di un frate per una statua; gli scherzi della castità!

 

Secondo, "Il nodo", di Gian Paolo Panizza (4 pagine, pag. 248), è un racconto su una crisi esistenziale di un prete, pieno di scene oniriche, ma privo di reali elementi fantastici.

 

Terzi:

-"L'ultima tappa", di Maria Giovanna Perroni (8 pagine, pag. 253), racconto piuttosto forte sull'eutanasia in un futuro prossimo.

-"Lo sparviero bianco", di Giovanna Puleo Rizzarelli (anche in "Oltre..." n. 3, anno 2°, associazione culturale "Il borghetto", '92; 1 pagina, pag. 262), è la narrazione, molto poetica, di un extraterrestre che viene sulla Terra, passibile di varie interpretazioni e livelli di lettura.

 

Categoria racconti di "stranieri" scritti in italiano:

Vincitore, "Vite fantastiche", di Kate Singleton (4 pagine, pag. 264), racconto di cui non riesco a cogliere lo spunto fantastico.

 

Secondo, "Il dente del tempo", di Maria Jansen (6 pagine, pag. 268), un bellissimo racconto d'atmosfera, una storia d'amore e disperazione.

 

Categoria "racconti brevi":

Vincitore, "La donna che affittava un dito", di Ennio Cavalli (3 pagine, pag. 274), è la divertente storia di una donna che affitta un proprio dito indice per i più svariati lavori.

 

Secondo, "Le parole vere non sono belle, le parole belle non sono vere", di Fabrizio Torri (2 pagine, pag. 278), è un apologo pieno d'ottimismo avente a protagonista una giovane handicappata.

 

Terzi:

-"Il prigioniero", di Stefano Gonella (2 pagine, pag. 280), è una dissertazione filosofica sulla solitudine ed il senso della vita.

-"La statua", di Giuseppe Magnarapa (4 pagine, pag. 282), un buon racconto horror in cui la suspance viene sapientemente creata fino alla catarsi finale.

 

Categoria "racconti lunghi":

Vincitore, "Oltre mezzanotte", di Pietro Savino (10 pagine, pag. 287), una bellissima storia horror con rovesciamento finale, condotta davvero magistralmente.

 

Secondo, "Neanche i vecchi", di Duccio Colombo (6 pagine, pag. 297), racconto pieno d'ironia, in cui la smania di risposte esistenziali dei giovani viene trasposta allegoricamente.

 

Terzi:

-"Allucinazioni", di Alessandra Postal Degasperi (11 pagine, pag. 304), è l'intensa storia del rapporto empatico che si stabilisce tra un uomo e una donna raffiguarata in un quadro, che arriva fino alla comunicazione telepatica e a cambiamenti vistosi di espressione di lei.

-"L'operazione", di Carmene Simeone (6 pagine, pag. 315), una sorta di apologo sull'integrazione sociale, presa da un'angolazione satirica; un uomo con un brutto naso decide di farsi operare, perché: "…la sua epoca era inflessibile: abbasso i nasi brutti e strani, viva il dio Perfezione." (pag. 315). Ma, dopo che l'operazione lo ha liberato dalla sorta di complesso di Cyrano che lo attanagliava, si sente come svuotato; lui: "…non voleva appartenere all'uniforme idea…"; ma "Perché tutti l'avevano voluto così…così lui era diventato; come tutti erano." (pag. 321).

 

 

Quarti:

-"La donna che perdette la faccia", di Franco De Poli (9 pagine, pag. 322), una storia di fantasmi con risvolti psicanalitici.

-"Berta Lali", di Ferruccio Masci (9 pagine, pag. 331), un racconto di Sf tradizionale, ad indirizzo sociologico, con storia d'amore.

 

Nel volume è compreso anche il racconto "…e restammo a guardare le stelle…", di Mauro Scarpelli (anche, col titolo di "Betto, pittore maledetto", in "Futuro Europa" n. 3, ed. Perseo libri, '89; 3 pagine, pag. 341), non partecipante al concorso, che abbiamo commentato in "A Lucca, mai!".

 

Il volume è introdotto da una "Premessa" di Mauro Scarpelli e da un "Impressioni di un membro della giuria", di Sabrina Pirri.

 

  ANTOLOGIA ITALIANA

ed.   Associazione culturale "Il borghetto", '93, 282 pagine

 

Antologia in cui sono raccolti i racconti vincitori delle 7° ed 8° edizione del Premio "Città di Montepulciano", del '92 e '93.

In questo volume non sono indicate le varie sezioni di cui i racconti sono vincitori, ne il loro piazzamento, e neppure a quale delle due edizioni abbiano concorso.

 

-"Ricordi di notte", di Elena Agostini (14 pagine, pag. 11), buon racconto di Sf classica, in cui si racconta una storia piena di phatos, di uomini e androidi.

 

-"Nu", di Furio Allori (6 pagine, pag. 25), è la storia, narrata in prima persona, di un bambino alle prese con un oggetto dai poteri magici, che lo difende dal male.

 

-"Exterminator", di Ennio Amadio (4 pagine, pag. 31), è il divertente racconto di un uomo che immagina di vendicarsi, violentemente e fantasiosamente, dei mille piccoli torti subiti nel suo quotidiano.

 

-"Offerta di Lemonade s.p.a.", di Monica Arcellaschi (4 pagine, pag. 36), è l'umoristica storia di uno sbarco di marziani veri offuscato da una campagna pubblicitaria basata proprio su queste.

 

-"Più non dovrò chiedermi", di Giuseppe Armezzani (3 pagine, pag. 40), è un apologo metaforico su di un uomo che ricorda il suo essere divenuto adulto.

 

-"Il virus bagnensis", di Luciano Baroni (5 pagine, pag. 43), umoristico, è la storia di un sogno a sfondo sessuale, che, di onirico, però, ha ben poco.

 

-"L'ombra", di Linda Bartolucci (5 pagine, pag. 48), molto intenso, è il racconto del fantasma di una giovane ragazza che torna a dare l'esame conclusivo della scuola che frequentava, pochi giorni dopo la sua morte.

 

-"Il vento", di Ermanno Bartoli (4 pagine, pag. 53), vi si narra di un uomo ossessionato, proprio, dal vento.

 

-"Caledvwlch", di Luciana Benotto (12 pagine, pag. 57), davvero stupendo, è il racconto di una di quelle che solitamente chiamiamo streghe, la cui memoria di esserlo riemerge dopo secoli di esilio.

Ella è una Tylwyth Teg, la gente dalle veste rossa, il popolo fatato.

Scritto magistralmente.

 

-"L'esclusa", di Gabriella Boitano (2 pagine, pag. 69), è la storia freudiana di una ragazza il cui padre avrebbe voluto un figlio maschio, castrandone la femminilità.

 

-"Forse seimila miglia di lontano", di Massimo Carli (anche in "Oltre..." n. 8/9, ed. Sanesi, '93; 8 pagine, pag. 71), una favola vera e propria, in cui un uomo in pensione riceve la visita di una voce, dal suo passato, che lo rimanda, quietamente, indietro nel tempo.

È una voce che si incarna, poi, in una persona, cosa tipica del fiabesco.

 

-"I lari", di Luciano Carpitella (15 pagine, pag. 79), è il racconto di un uomo che, da bambino, ha una visione dei propri antenati che vengono a rassicurarlo sulla loro protezione per tutta la vita, e che poi ha la medesima visione da adulto, al cui manifestarsi, però, egli si dice che: "…una spiegazione scientifica doveva pur esserci…" (pag. 89).

Tema universale che si può ritrovare, anche, nella poetica buzzantiana, prevalentemente in "Il segreto del bosco vecchio".

-"Un'estate singolare", di Piera Colombera (2 pagine, pag. 94), un racconto surreale, avente, a protagonista, una donna che entra ed esce da un muro, diventando statua e donna alternativamente.

 

-"Omaggio alla poesia", di Piera Colombera (3 pagine, pag. 96), è la storia di un essere invisibile che: "…sgusciando completamente fuori dal bozzolo" (pag.96), indispettisce gli uomini ed evoca gli dèi.

 

-"Soliloquio", di Marcello Curti (3 pagine, pag. 99), è la scioccante storia di un uomo esasperato dalla moglie, che la uccide, dopo aver letto nel Vangelo "Chiedete e vi sarà dato".

 

-"Quella mattina di sole", di Giovanni De Feo (7 pagine, pag. 102), notevolmente intriso di poeticità, è il racconto del ricordo di un adulto che va a rivisitare il suo primo giorno di scuola, dapprincipio sospintovi dalla voce narrante.

 

-"Stracci", di Paolo Ferrari (7 pagine, pag. 109), davvero divertente, narra di un uomo affetto da una malattia stranissima, per cui qualunque cosa indossi questa si sgretola, e delle sue vicissitudini.

 

-"Una lettera dal carcere", di Francesca Fioravanti (5 pagine, pag. 116), strutturato a racconto a sorpresa finale, racconta di un uomo che si trova, senza sapere perché, in carcere; ma…

 

-"Fumoir", di Davide Ghezzo e Amalia Adamo (3 pagine, pag. 121), uno strano racconto che sembra, più che altro, l'inizio di uno più lungo, o di un romanzo.

 

-"La candela", di Athe Biasci Gracci (2 pagine, pag. 124), è il racconto di ricordi d'infanzia di una professoressa.

 

-"Due segni sui polsi", di Leda Biggi Graziani (5 pagine, pag. 127), storia di una giovane donna infatuata di un anziano di un anziano professore, che lo riincontra, a chilometri di disranza, un'ora prima della di lui morte.

 

-"La giacca blu", di Stefano Mariani (2 pagine, pag. 132), è il racconto di una donna delle pulizie che si imbatte in una strana giacca con delle strane aperture.

Sarà un essere fantastico quello che si rivelerà esserne il proprietario.

 

-"Agli stagni d'Ixells", di Pina Mistretta (17 pagine, pag. 134), storia di un rapimento, ambientata in Belgio, senza alcuno spunto fantastico.

 

-"In viaggio con zia Sabri", di Luigi Pachì (anche in "Oltre" n. 3/4, anno 3°, ed. Associazione culturale "Il borghetto", '93; 11 pagine, pag. 152), un buon racconto horror, dal finale decisamente agghiacciante.

 

-"Storia di uno spermatozoo che fu tinto di azzurro", di Sonia Pinto (2 pagine, pag. 163), è un racconto imperniato su uno spermatozoo che ha la sventura di essere utilizzato per un esame, dopo aver a lungo atteso, invece…

 

-"Una domenica diversa", di Pierfrancesco Prosperi (9 pagine, pag.166), altro buon racconto, e non poteva che essere così, del Prosperi, in cui si ipotizza un futuro alternativo molto prossimo in cui, in Italia, vi siano i partiti di centro al governo e i progressisti all'opposizione, e si racconta del tentativo catastrofico di un uomo di andare a votare.

Notevole la trovata, un sistema elettorale mai nemmeno pensato, credo, da alcun politico.

 

-"La regina del paradiso", di Metella Ramella (9 pagine, pag. 176), buon racconto tutto d'atmosfera, in cui un'uomo riincontra una sua vecchia fiamma e…

 

-"Il barbagianni pilota", di Giovanni Battista Repetto (3 pagine, pag. 190), una favola i cui protagonisti sono un bambino, tipicamente, ed un barbagianni parlante, ed in cui figurano anche delle sirene.

 

-"Il richiamo", di Giovanni Puleo Rizzarelli (13 pagine, pag. 194), un racconto di Sf classica, in cui si raccontano le avventure di uno studioso, in un'atmosfera squisitamente creata e discretamente suggerita.

 

-"Diritto d'autore", di Ilaria Sebastiani (14 pagine, pag. 207), splendido racconto horror alla Lovecraft, davvero intrigante, da cui è ben difficile distogliere l'attenzione prima che finisca.

 

-"Il maestro di setteporte", di Antonella Selvaggi (4 pagine, pag. 221), è una storia, piuttosto frammentaria, di un amore e di una morte, piuttosto intensa.

 

-"Lo spacciatore", di Mirella Sparacino (16 pagine, pag. 225), divertente, in cui, in un futuro talmente squallido che nessuno ride più, un uomo inventa una droga nuova; vende pezzetti di comicità, in un mondo in cui è vietato ridere.

 

-"La storia di A.", di Roberto Sturm (anche in "Futuro Europa" n. 16, ed. Perseo libri, '97, e in "Sangue sintetico", a cura di Roberto Sturm, "peQuod" n. 9, ed. peQuod, '99; 17 pagine, pag. 241), racconto piuttosto anomalo, in cui, in un futuro prossimo, un giornalista scrive un pezzo, su un combattimento di galli, sport nazionale, sullo stile di Dos Passos, in un mondo in cui il giornalismo è stato abolito.

-"Il cartellino", di Roberto Tebano (3 pagine, pag. 258), racconto di Sf piuttosto raffazzonato, ma ugualmente divertente.

 

-"Le guglie del duomo", di Paolo Tosini (14 pagine, pag. 262), racconto horror in cui si narra di un ragazzo la cui mente viene assalita da un'entità demoniaca, ma alla quale riesce a resistere.

 

-"Senza titolo", di Luisa Vassallo (2 pagine, pag. 276), surrealistico, in cui si fa un discorso sull'arte, e l'artista; principalmente, sul suo essere distaccato dalla vita vera, reale.

 

-"La storia del filo di fumo", di Claudia Zaggia (anche in "Oltre" n. 3/4, anno 3°, ed. Associazione culturale "Il borghetto", '93; 1 pagina, pag. 279), è la storia surreale del fumo di una sigaretta che decide di non disperdersi nell'aria.

 

-"Il volo", di Claudia Zaggia (3 pagine, pag. 280), altro racconto surreale; questa volta al centro della narrazione troviamo una matita.

 

Il volume è introdotto da delle "Note introduttive" di Mauro Scarpelli.

 

  OLTRE n. 10b/11/12/13

ed. Associazione culturale "Il borghetto", '94, anno IV°, gennaio-dicembre, 155 pagine, unicamente spedito agli abbonati

I racconti vincitori della 9° edizione del Premio "Città di Montepulciano", del '94 sono stati editi in questo numero della rivista dell'asociazione; anche qui non vi sono, come in "Antologia italiana", indicazioni di categorie e piazzamenti.

Nel volume sono comprese anche molte poesie vincitrici, piazzate e segnalate al Premio "Poliziano".

 

-"Rosemary del letame", di Monica Arcellaschi (3 pagine, pag. 9), un vero e proprio racconto di Sf, in cui si ipotizza un mondo futuro in cui, ultimate le risorse alimentari del nostro pianeta, l'umanità è costretta ad andarle a cercare su altri pianeti.

 

-"Vicoli", di Fabio Carminati (2 pagine, pag. 32), è il racconto in prima persona di un vampiro, una razza antica, in un mondo in decadenza, di un sabba, in un'atmosfera morbosamente intensa.

 

-"I figli di Astart", di Luciano Carpitella (13 pagine, pag. 35), in cui la narrazione sembra sempre sul punto di prendere una qualche direzione, ma che poi esita, prende un'altra strada, tentenna, senza mai decidersi, incentrato sulla figura mitica di Astart: "…la dea dell'amore sensuale, voluttuoso…" (pag.  46).

 

-"Una interminabile fila di olmi", di Pasquina Chiatti Snegoff (finalista al "Albarosa"; 14 pagine, pag. 53), vincitore di quell'edizione (di una qualche categoria), stupendo, è il magistrale racconto di tre ragazzine che decidono di evadere ad ogni costo, anche l'omicidio, dal collegio in cui si trovano, che, nel, finale, diventa qualcosa di più; dickianamente aperto, senza che il nuovo livello ontologico raggiunto sia completamente esplicitato, ma solamente accennato.

È il più lungo di questa raccolta.

 

-"Gli anni successivi", di Enrico Fagnano (6 pagine, pag. 71), in cui un napoletano veraceviene eletto Presidente della Terra perché è l'unico: "…che era in grado di capire, anzi, di intuire, quale mossa i compos avrebbero scelto, tra tutte quelle possibili." (pag. 75).

I compos sono dei: "…computer dotati di intelligenza elettronica che avrebbero dovuto gestire in maniera razionale tutte le risorse e le attività della Terra." (pag. 74), ma che, ennesima riproposta del mito di Frankenstein, si ribellano al'uomo, e gli muovono guerra.

Ancora un ammonimento a non lasciare troppo nelle mani dei computer.

 

-"Realtà virtuale", di Luigi Foschini (2 pagine, pag. 81), è la divertente storia di un ragazzino che, immergendosi, per mezzo di una sofisticatissima apparecchiatura di R.V., in un film di fantascienza, muore veramente.

Un ammonimento a non lasciarsi prendere troppo la mano da queste apparecchiature, o forse solamente a stare attenti nel progettarle.

 

-"Ethios", di Paolo Fusco (4 pagine, pag. 83), notevole, in cui vi è la narrazione, da parte di un saggio, una figura sacrale, un viandante sacro, detto Irkesh-noir, su un pianeta alieno, di un mito: "…dei primi due fratelli che avevano regnato in quei luoghi… Essi…erano stati creati dallo Spirito all'inizio del mondo, fratello e sorella, frutti dell'amore Divino, e avrebbero dovuto regnare sino alla fine del tempo. Ma il prezzo per il loro dominio era grande, e benchè carne della stessa carne, fatti della stessa sostanza e appartenenti l'uno all'altra, avrebbero dovuto essere divisi per sempre, senza potersi mai incontrare o soltanto vedere." (pagg. 84-5).

Questi saranno, nel finale: "…Mattino e Sera." (pag. 86).

 

-"Sognando Roma", di Athe Biasci Gracci (3 pagine, pag. 91), racconto incentrato sul sentimento della nostalgia, non contenente alcun elemento fantastico.

 

-"Telematic symphony", di Stefano Mariani (2 pagine, pag. 99), il più breve di tutta la raccolta, è il racconto di un concerto del futuro, in cui dapprima vi sono le sensazionidi un musicista, la cui attenzione è, evidentemente, incentrata sul direttore d'orchestra, e poi, nel finale a sorpresa delle short stories, si ha il subentrare telematico di questi nella sinfonia.

Evidente il contrasto tra la possibilità della musica e la freddezza di quel suonare estremizzantemente privo di vera partecipazione artistica.

 

-"Quando andai a vedere il passato", di Alessandro Mazzocchi (2 pagine, pag. 105), in cui si utilizza il tema classico del viaggio nel tempo per fare un discorso su una delle verità basilari dell'uomo; si vorrebbe sempre poter tornare indietro alla propria infanzia, da adulti, a dire a se stessi tutte le verità che si sono apprese, per evitare gli errori che si sa di avere commesso.

 

-"I due bambini", di Alessandro Mazzocchi (2 pagine, pag. 107), in cui si dicono i deliranti desideri di una vecchia rinchiusa in un manicomio, di ritorno all'infanzia.

 

-"La terra promessa", di Diana Millan (3 pagine, pag. 109), piuttosto strano, in cui un uomo disilluso dalla vita muore, e si ritrova in un aldilà fulgidamente positivo e pieno di buoni sentimenti: "Hai creduto e questo ti ha salvato", gli viene detto; è un po’ una sorta di elogio del rassicurante insito in ogni fede religiosa.

 

-"Crimine a Paradise's Valley", di Giovanna Puleo Rizzarelli (3 pagine, pag. 131), buono, in cui, attraverso flash back, si ricostruisce un omicidio, un uxoricidio, per amore di un androide.

 

-"L'ultimo viaggio", di Claudia Zaggia (2 pagine, pag. 153), in cui lo spirito di una donna appena morta si interroga sul significato della vita.

 

A corredare criticamente questo volume, solamente delle brevissime "Note introduttive", e le presentazioni agli autori.

 

OLTRE n. 15/16/17/18/19/20, anno V°-VI°

ed. del Grifo, '96, aprile '96, settembre '97, 253 pagine, unicamente spedito agli abbonati

 

I racconti vincitori della 10° e 11° edizione del Premio "Città di Montepulciano", del '95 e del '96, sono stati raccolti in quest'altro numero della rivista dell'Associazione.

 

Edizione '95.

 

Dei racconti vincitore di quell'edizione, qui, non si fa cenno alcuno di vincitori, clasificati, categorie, tranne che per il racconto dell'Odone.

 

-"Il moscone e la genetica", di Maurizio Antonetti (2 pagine, pag. 11),in cui il problema che assillava uno studente viene risolto da un moscone, in una maniera che sfida ogni legge delle probabilità.

-"Metafore", di Maurizio Antonetti (3 pagine, pag. 13), molto bello, in cui si crea un'atmosfera veramente drammatica per mezzo di alcuni dei topoi classici della letteratura dell'orrore: la casa isolata e deserta (con tutti gli ammennicoli del caso), e, ancor di più, il Tempo Circolare, chiuso, in cui i protagonisti, alla fine, si accorgono di stare vivendo.

 

-"L'assoluzione rubata", di Lorenzo Biggi (10 pagine, pag. 20), storia, anche questa, dell'orrore, in cui, anche qui classicamente, ad un uomo che giunge in un paese per ereditare un antico castello, viene raccontata una storia; di un'improbabile furto di un'assoluzione, appunto, e di un demone che divorò un suo avo.

Una parte essenziale vi gioca il linguaggio che vi si usa; estremamente arcaico ed involuto.

 

-"Il campo delle parti", di Francesco Cocon (8 pagine, pag. 32), che comincia come il più classico dei polizieschi, per, poi, scivolare lentamente nel fantastico; infatti, i ritrovamenti di parti di corpi che, in un primo tempo, si erano pensati, normalmente, indizi di un omicidio, si rivelano, invece, essere…delle crescite spontanee!!

Crescono come fossero vegetali, in un comunissimo campo di periria: "…quelle braccia e quelle teste non appartenevano a nessun corpo umano, perché erano, in qualche modo illogico ed innaturale, prodotte dal campo." (pag. 36).

Bella risposta psicologica del protagonista: "Nella totale, e forse per questo giustificante assenza di una spiegazione razionale, la sua mente aveva riposto tale fenomeno in quel limbo in cui si riversano, soprattutto da bambini, quegli inspiegabili stupori attribuiti alla forma inquietante di un ramo ritorto o da una butterata parete di pietra." (pagg. 38-9).

 

-"Zona d'ombra", di Lugi De Pascalis (18 pagine, pag. 42), un peplum, ambientato all'epoca dei romani, in cui, più che raccontare una storia, si fa un discorso metaforico, dicendo del sovrapporsi della criistianità agli antichi dèi pagani: "Quando alcune divinità muoiono ed altre nascono, l'ordine naturale cambia e può succedere di tutto." (pag. 52).

E lo si fa da un'ottica haideggeriana, per cui: "È colpa dei cristiani se la nave e il dio non sono più al loro posto nello speculum? È davvero colpa loro se la divinità del lago è diventata sorda alle richieste dei mortali e ciò che un tempo produceva potenza oggi genera solo distruzione? Forse le nostre anime si sono ammalate di vecchiaia ed il morbo fa si che il tempo concesso sia finito. O forse è esattamente il contrario." (pag. 59).

In definitiva, un racconto filosofico: "…quello per cui stiamo tremando è la caducità dell'essere." (pagg. 54-5)

 

-"Gioco di parole", di Franco Di Blasi (1 pagina, pag. 60), bruttino, in cui si racconta della nascita del Paradiso, e si fa, appunto, un gioco di parole: "E fu così che il regno di nessuno divenne di Qualcuno (un personaggio), tanto l'Uno (idem) abbraccio Ognuno (pure), felice!".

-"Il lupo, l'orso e la volpe", di Franco Di Blasi (1 pagina, pag. 61), fiabe con morale che non può che ricordare Esopo, in cui una volpe si sfama, ed altro, dalla lotta mortale di un lupo ed un orso.

 

-"Gli angeli", di Enrico Fagnano (3 pagine, pag. 62), scritto in una sorta di stream of consciousness alla Joyce, senza mai andare andare a capo (ma con tutte le punteggiature), dice di un mondo alla "Blade Runner"; vi è un punto, verso la fine della prima pagina, di vero scorrimento della coscienza, poi una narrazione normale, ed il finale, molto bello, è un ritrovarsi delle anime, disperate, del protagonista e di una lei, che si ripromettono, un po’ adolescenzialmente, di combattere, in un qualche modo il sistema.

-"La centrale nucleare", di Enrico Fagnano (3 pagine, pag. 65), che comincia come un racconto normale, per poi, abbastanza improvvisamente, scivolare in una narrazione dell'inconscio, anche se non con la tecnica dello stream of consciousness del precedente suo; vi è un elemento che lo caratterizza come fantastico: "C'è una folla incredibile per il pagamento delle tasse spontanee… Così non si può andare avanti…i contribuenti vogliono pagare troppe tasse, il governo dovrebbe stabilire un limite…" (pag. 67); veramente…fantascientifico!!

 

-"Anche dopo", di Ezio Fattiboni (7 pagine, pag. 68), storia morbosa di profumi, più, di odori, con finale grandguignolesco.

 

-"La super", di Angelo Foschini (5 pagine, pag. 79), che parla dei problemi etico-morali connessi alla scienza, soprattutto quando ha a che fare con le armi: "…un'esplosione in atmosfera della Superbomba avrebbe liberato un'energia sufficiente a innescare una reazione a catena capace di distruggere tutta l'aria della Terra." (pag. 81); infatti, allo scienziato che capisce che sia così, non passa neppure per la mente che quello che dovrebbe fare sarebbe, semplicemente, avvertire di ciò le autorità militari, ma pensa solamente ad infettare i sistemi informatici che ne contengono la formula.

Decisamente una visione negativa delle possibilità di comprendere dell'umanità.

 

-"Il fantasma", Athe Biasci Gracci (3 pagine, pag. 85), un ingargugliato dire della condizione della Donna, di cui non si riescono a rintracciare i motivi.

 

-"Testamento", di Marco Lugli (2 pagine, pag. 92), in cui un trapassato, pare di capire, del genocido nazista ("…un forno crematrio…" (pag. 92)), fa una sorta di discorso postumo a quelli che sono rimasti, prevalentemente rivolto a guardare al futuro, a non lasciarsi irretire dal dolore del ricordo.

 

-"Corpo fantasma", di Giuseppe Magnarapa (4 pagine, pag. 95), in cui si dice di quella teoria secondo la quale, per alcuni istanti dopo la decapitazione, rimanga la coscienza; bello, ma terrificante.

 

-"Calpestata", di Tania Mangiarano (2 pagine, pag. 99), storia metaforica di una figlia, e di una madre, sulla durezza della vita, e la bellezza del mondo.

 

-"Parco della rimembranza", di Stefano Mariani (2 pagine, pag. 101), in cui si immagina un futuro nel quale sia possibile visitare i propri cari defunti per mezzo di immagini olografiche, e di pesonalità computerizzate.

 

-"Rawman 2000", di Alessandro Mazzocchi (2 pagine, pag. 105), racconto asimoviamo/dickiano, in cui si dice di un robot sia infastidito, fino al punto di romperle, dalle Regole (che non sono, però, le Tre della Robotica!!), sia interrogantesi su Dio, l'anima, e…incazzato nero contri i suoi dèi: "…perché , in nome del vostro Dio, ci avete dato la capacità di pensare se il nostro pensiero non è ravvivato da una pur piccola fiammella di speranza? Voi ci avete dato una vita monotona e piena di sofferenze, una vita senza illusioni, voi non siete degli dei, ma dei demoni!" (pag. 106).

 

-"La casa che voleva cambiar posto", di Pina Mistretta (2 pagine, pag. 107), divertente, in cui si immagina che la casa di un poeta, posta in una brutta posizione, tanto da non riuscrci a viver bene, ad un certo punto comincia, lentissimamente, a spostarsi, fino a mettersi in una bella posizione: "Da quel giorno tutti furono felici: il poeta scrisse le sue poesi più belle in cui entrava tutta l'armonia della natura, sua moglie le musicava e le cantava raccogliendo mazzolini di fiori, mentre i bambini correvano sui prati." (pagg. 108-9).

-"I proverbi della vecchina", di Pina Mistretta (2 pagine, pag. 110), in cui si racconta di una sorta di rivolta fiscale, di una vecchina che, unica, si ribella alle pretese smodate del Re del Regno in cui è ambientato, fino a fargli diminuire le tasse per tutto il popolo.

 

-"L'ottava casa", di Rosanna Musa (7 pagine, pag. 113), racconto in cui si respira un'atmosfera surreale, generata dal contrasto fra il novum che lo regge, l'usanza comune a tutti di avere sei, sette, otto case, e la normalità dei piccoli fatti di cui è, invece, interamente composta la narrazione.

Il finale non è decisamente fra i più felici.

 

-"Inferno", di Alberto Odone (anche in "Fantasy" n. 0, '93, 6 pagine, pag. 16; 2° al Premio "Cesare Pavese" '92; 5° nella sezione inediti; 5 pagine, pag. 121), ambientato nel Medioevo, racconta di un uomo di Chiesa che si entusiasma talmente dell'idea dell'Inferno da passare l'intera esistenza a studiarlo, e a tentare di andarvi; e, alla fine, vi riuscirà: "Le sue preghiere non erano state vane: Dio le aveva accolte creando per lui ciò che non era mai stato prima." (pag. 125).

 

-"Qualcuno", di Luca Pascoletti (7 pagine, pag. 127), satirico, in cui si racconta di un Patto col Diavolo che un Mr.Nessuno stupila per diventare, finalmente, Qualcuno.

 

-"Il pulitore d'alberi", di Daniela Pistone (7 pagine, pag. 134), tipico racconto ammonitore sul dove può portarci il progresso, è ambientato in un mondo in cui i vegetali sono pochi, e abbisognanti, appunto, dello stravagante lavoro del titolo, e: "…gli animali ormai quasi completamente estinti…" (pag. 135), a causa, anche, del buco dell'ozono: "…a causa di certi fori nell'atmosfera terrestre che non so spiegare." (pag. 136).

La narrazione procede, su di un tono fra l'ironico e il drammatico, fino alla scoperta, da parte del protagonista, romantico sostenitore della Natura, di una razza di topi mutanti: "…in mille altri posti della terra esistevano colonie di animali sopravvissuti all'ingiuria della cementificazione e dell'inquinamento, adeguandosi a cambiare abitudini e…come i…topolini, a sbiancarsi e perdere la vista, affinando (l') olfatto…" (pag. 140).

 

-"Crisalide", di Giovanna Puleo Rizzarelli (3 pagine, pag. 141), psicoanalitico, racconta di una donna che, avendo subito, da bambina, una violenza punitiva, da parte di una suora, al suo primissimo risvegliarsi dei sensi, alla vista di una statua greca, dedica l'intera sua vita a costruire un mondo fatato di statue di personaggi, appunto, fiabeschi, attraverso le quali, alla fine, riuscirà a superare quel trauma.

 

-"Il signor Wood", di Giacomo Schembari (4 pagine, pag. 146), tipico racconto sulla letteratura, che dice del piacere che lo scrivere può dare; racconta di un…personaggio, che si aggira, fra incongruenze ed assurdità, in uno scenario di desolazione, per finire a rivolgersi, appunto, all'Autore: ""Perché ti diverti a giocare con me?"

Aveva il volto angosciato. Io lo guardai e lo vidi solo, senza un passato, senza una storia, senza un volto, senza amici…

"Perché mi hai creato?

Mi chiese ancora.Io mi sono sentito un verme, togliendogli la possibiluità di rivolgersi a me.… Il signor Wood era in un foglio di carta bianca. Sconosciuto da tutti. Sarebbe bastato che fosse stato creato da uno scrittore famoso ed avrebbe potuto avere storie di donne, di soldi ed avventure.… Ed invece eccolo qui, da solo, senza un volto, senza cicatrici, senza donne, senza soldi, sconosciuto a tutti. (pag. 149).

 

-"Il dio primordiale", di Claudia Zaggia (2 pagine, pag. 151), in cui si dice della Vita, di ogni essere vivente, per il solo fatto di avere avuto la forza di venire fuori dal mare primordiale, dalla non vita, come di un dio.

Il dio primordiale è la scorpione.

-"La morte di dio", di Claudia Zaggia (1 pagina, pag. 153), al cui centro stà lo stesso tema del precedente, qui in una versione, direi, soft, con, anche, un breve dialogo filosofico con un ragno.

 

 

Edizione '96.

Vincitori:

-"Il misterioso caso Dossi", di Fiorella Borin (7 pagine, pag. 160), un'ottimo racconto di sentimenti, in cui un apparente caso di possessione si rivela essere nient'altro che il riemergere, nelle allucinazioni pre-morte di una vecchina, del ricordo dell'unica storia d'amore della sua arida vita.

 

-"Ultimo sogno", di Claudia Zaggia (12 pagine, pag. 167), una specie di commistione fra il giallo e l'horror, al cui centro vi è, tipicamente, una Casa, che risulterà essere lei stessa l'assassino cercato dall'investigatore.

 

Terzi:

-"Lunga notte d'inverno", di Massimo Bernardi (2 pagine, pag. 179), un raccontino in cui si punta l'indice verso l'inanità dei giovani che, presi come sono dai loro divertimenti, non si accorgono del meraviglioso che li circonda.

-"Il primo cantore", di Lara Fiorani (3 pagine, pag. 183), il tipico racconto sulla letteratura, che va a scomodare, appunto, niente di meno che Omero.

Non vi è alcun elemento fantastico.

-"Il dramma della solitudine", di Luigi M. Giachi (4 pagine, pag. 189), che non contiene, anche questo, alcun elemento che lo possa caratterizzare quale racconto fantastico; è, più che altro, un racconto umoristico, con un fondo di amarezza.

 

Vi sono anche, non vincitori, i racconti:

-"Il nome di lei", di Massimo Bernardi (2 pagine, pag. 181), diviso, anche se non graficamente, in due parti, in cui il protagonista incontra una donna misteriosa, della quale, poi, gli pare di capire la vera natura. Melanconico.

-"L'altra arca", di Lara Fiorani (3 pagine, pag. 186), racconto filosofico ambientato nel mondo Classico, non racconta, appunto, nessuna storia, ma dice, solamente, di certe conoscenze misteriche dell'antichità.

 

Nel volume, sono compresi, anche i racconti vincitori della 1° edizione del Premio "Francesco Mei", '96, riservato a racconti inediti a tema libero, e le poesie (molte), vincitrici dell''8° e 9° edizione del Premio "Il poliziano", riservato a poesie inedite a tema libero, e della 4à edizione del Premio "Francesco Redi", riservato a poesia inedita in vernacolo.

 

OLTRE n. 23/24

ed. del Grifo, '97, aprile/giugno, 32 pagine, unicamente spedito agli abbonati

 

 

In questo numero della rivista vengono pubblicati dei racconti, vincenti e finalisti, dei premi "Città di Montepulciano" e "Francesco Mei", per racconti a tema libero, edizioni ’97, ancora una volta senza alcuna indicazione di vincenti, piazzamenti, o altro.

 

-"Ali di farfalla", di Luca Pascoletti (4 pagine, pag. 3) adolescenziale, in cui due giovani, un lui e una lei, si incontrano in una gelida mattina che sembrerebbe non promettere nulla di buono.

Ma, poi, un pagliaccio corre accanto a loro, per poi catapultare le loro vite in un altro dove, nel quale incontreranno la Tessitrice di Speranze, e sentiranno raccontare storie da loro stessi scritte: "Ogni giorno perdiamo qualcosa, ma ogni giorno ne acquistiamo un’altra. Ma noi preferiamo piangere per le cose perdute, che gioire delle cose acquistate." (pag. 5).

-"Che poi non si sa mai", di Alina Rizzi (1 pagine, pag. 7) non contenente, contenutisticamente, alcun elemento che lo possa caratterizzare quale racconto fantastico, ne ha, però, uno strutturale; composto, per gran parte, dalla preghiera di una madre per il figlio, sembrerebbe per una sua guarigione, ha, infatti, un finale a rovesciamento, che ci fa infatti capire che, invece, il figlio è morto, e la madre, quindi, impazzita.

-"Il tataro del deserto", di Paolo Brera (3 pagine, pag. 8) un vero e proprio atto d’amore, affettuoso, al capolavoro di Buzzati, non è, come si potrebbe pensare, "visto dall’altra parte", ma la storia della vita di un tataro, percorsa rapidamente, fino all’epilogo della presa della fortezza dell’Impero del Sud.

Fin dalla dedica iniziale, "Al Almerina, che mi fece un dono, e credo non se ne ricordi", ci viene detto questo, e, poi, lo si costella di rimandi più o meno celati al romanzo, come la prima licenza, e, decisamente più marcato, la contesa di confine: "Si trattava di segnare la linea confinaria, in alcuni punti ancora mal definita." (pag. 10).

Il culmine lo raggiunge quando, sotto le mura della fortezza, il tataro medita: "…per tutto il corso della mia vita, la mia visione dell’avvenire si è arrestata al giorno della conquista di Bash TianYi, tutte le mie azioni hanno teso a quell’unico fine." (idem).

E si conclude con lo scioglimento di ogni eventuale dubbio residuo; i tatari, al loro avanzare, catturano un "…carro della Croce Rossa…", che porta un paziente molto particolare, "…il capitano Buzzati Corsera…" (idem).

-"La stanza di cristallo", di Claudia Zaggia (7 pagine, pag.11) molto poetico, è una sorta di lungo soliloquio di una donna, figlia unica di vedovo, in campagna; un uomo che voleva un figlio maschio; e che la fa sentire, brutta, un mostro; e la segrega in casa.

Un soliloquio in cui, spesso, si passa dalla prima alle terza persona, per descriversi, a significare, forse, un tentativo di allontanarsi da sé.

Vi si racconta di efferati delitti, da lei commessi, di piccoli animali uccisi nei più vari modi, di ricordi d’infanzia, ed oltre, il tutto mischiato quasi in un effetto da "stream of consciousness".

-"Le chiavi d’oro", di Giovanna Puleo Rizzarelli (1 pagina, pag. 17) delicato, pare essere, fino al finale, un racconto mainstream, ma il finale fa controbilanciare molto bene, armoniosamente, la realtà e la natura fantastica della protagonista che si rivela.

-"La matriosca di porcellana", di Ester Ventura (1 pagina, pag. 18) anche questo, come il racconto della Rizzi, non ha, contenutisticamente, alcun elemento che lo possa caratterizzare quale fantastico, ma uno strutturale, ancora di rovesciamento, che disvela il suo contenere, come una matriosca, appunto, un racconto nel racconto, che precedentemente era stato abilmente celato proprio a tal fine.

-"L’ostilità del silenzio", di Vincenzo Leo (1 pagina, pag. 19) tutto giocato su quale sia il soggetto su cui si appunta il risentimento di un fidanzato disatteso, si risolve solo all’ultima riga.

-"Quasi una commedia", di Alvaro Ottone (1 pagina, pag. 20) racconto nel quale la trama è portata oltre ai limiti della comprensibilità; si intuisce, solo, che c’è di mezzo una qualche commedia, e che i personaggi sono delle lesbiche.

Il resto, è portato al fantastico da quella che la Campra ha detto molto bene, ovvero da un uso del linguaggio che, per mezzo di aggettivazioni, ed altro, travalicati i limiti della grammaticalità normale ci fanno intendere un tentativo di esprimere altro, che inquieta: "…una risorsa piatta, un esempio di manichino sbollente in un acquaio, tutta brodaglia di memorie scontate spinte lontano alla velocità di una ventata."; "…meningi larghe…"; "…nel cuore del traffico in via di estinzione." (pag. 20).

-"Riflessioni segrete", di Francesca Fioravanti (1 pagina, pag. 21) molto inquietante, racconta du un uomo (?) che, per aver commesso una qualche azione atroce, è tenuto sotto strettissima sorveglianza; ma, poi, il finale, tutto un gioco di specchi fra testo e lettore, rimane aperto, producendo, appunto, un notevole effetto decisamente inquietante.

-"Topi", di Gino Sicondolfi (4 pagine, pag. 22) storia di un uomo che odia i topi, topi che infestano la sua abitazione, e della vendetta del capo di una loro famiglia da lui sterminata; non vi è alcun elemento che lo possa connotare quale fantastico, nè contenutistico nè strutturale.

-"Vite parallele", di Antonio Bianco (1 pagina, pag. 26) divertente, è un racconto a disvelamento finale, nel quale si intuisce di chi sia la vita parallela di quella di un tranquillo uomo abitudiario.

-"Zachi", di Franco Clun  (4 pagine, pag. 27) unico racconto di vera e propria Sf del volume, narra di un esperimento genetico tendente a creare una sorta di superuomini dai poteri eccezionali; ma lo fa molto delicatamente, partendo, cioè, dal dire dell’amicizia di due ragazzi, uno dei quali, appunto, un superuomo: "…egli può leggere i pensieri di tutti, e quelli dei piccoli esseri gli piacciono più degli altri, benche non sempre sono molto chiari…" (pag. 27); "Non capisco i pensieri di quel ragno… Non sono cattivi, a lui piace la mosca, ma sono strani"; "Può fare qualsiasi cosa: guarire il mal di pancia o peggiorarlo, trovare la moneta che hai perso o farti smarrire in luoghi che credevi di conoscere alla perfezione. Zachi non si limita a percepire la realtà, la concepisce." (pag. 28).

E, inframmezzate, delle fiabe, racconti di sogni di Zachi, il superuomo.

Solamente dopo molto, di ciò, si arriva a dire di che cosa si stia ttrattando, e, anche qui, usando toni delicati, tenui, con una buona dose di poeticità.

Ciò di cui vi si dice, in ultimo, sono le difficoltà del diverso, la paura che egli infonde ai normali, e la sua conseguente difficoltà a potersi adattare, a stare nel mondo.

 

Abbiamo dunque visto come, in quest’altra raccolta di racconti vincitori del premio "Città di Montepulciano" siano raccolti racconti di buon livello, quasi tutti, tranne quello del Sicondolfi, che, probabilmente, è stato il vincitore del "Francesco Mei", rientranti nei parametri del nostro genere, cosa che, come abbiamo visto, non è stata così per la maggior parte delle precedenti edizioni, così come, ancora una volta, l’Sf pura vi abbia un posto marginale.

Se il racconto del Brera vi spicca per qualità della prosa e dell’idea, non vi sono, qui, racconti che rimangano al di sotto di un certo livello, come, purtroppo, abbiamo visto essere delle precedenti raccolte dei racconti di questo premio.

 

 

È, questo, anche, l'ultimo volume, in cui siano stati pubblicati racconti vincitori del Premio "Città di Montepulciano"; e mi sento di poter, ora, fare delle considerazioni generali: l'impressione principale che rimane è che il genere fantastico puro, proprio grazie a questo premio, abbia finalmente trovato un suo ambito nel quale potersi esprimere anche nel nostro paese, anche se, come abbiamo visto, certo non mancano i racconti di Sf classica, gli horror e i fantasy.

Altra considerazione da fare è che molti, forse troppi, sono i racconti contenuti in queste antologie che nulla hanno a che fare col fantastico.

Il livello medio qualitativo, ad essere sinceri, non è tra i più eccelsi, ma non mancano le perle davvero notevoli, che da sole valgono il prezzo dei volumi.

 

 

 

L'ULTIMO RITO, e altri racconti

"Fàntasia", ed. Il cerchio, '97, 158 pagine, 20.000 £; © by Il cerchio iniziative editoriali

 

Antologia in cui sono raccolti i racconti vincitori della 1° edizione del Concorso Letterario Internazionale "Repubblica di San Marino", riservato a racconti fantastici ambientati, o, comunque, con riferimenti alla Repubblica del Titano.

Vi hanno partecipato 48 autori, sanmarinensi e italiani.

 

Vincitore è risultato "L'ultimo rito", di Andrea Montalbò (16 pagine, pag. 9)-In cui, con ampi riferimenti alla storia della Repubblica di San Marino, si racconta una storia sospesa fra modernità ed antichità, che ha il suo "novum" specifico nel riapparire di un, appunto, personaggio storico, sotto forma di orripilante zombi.

 

Secondo classificato è risultato "Storia di fra Marino, monaco sconosciuto e senza storia", di Gianna Chiesa Isnardi (16 pagine, pag. 25)-in cui si racconta della visita di un angelo ad un fraticello umile ed ignorante, dallo stesso nome del patrono della Repubblica; ovviamente, si approfitta per far conoscere un pò la storia di questo santo, che ne è, praticamente, il fondatore.

Vi è, anche, un discorso sull'arte intesa come veicolo per trasmettere messaggi agli altri uomini: "...scagliò lontano la pietra.Non avrebbe saputo dire perchè lo facesse.Probabilmente perchè un giorno qualcuno di nuovo la trovasse...un altro uomo." (pag. 40).

 

Terzo classificato è risultato "Horror vacui", di Andrea Serafini (15 pagine, pag. 41)-molto bello, in cui si immagina un futuro in cui la maggior parte della superficie terrestre sia sommersa dalle acque, e in cui, dalle città sottomarine, vengano mandati dei commandos a sterminare i pochi uomini rimastivi, che hanno acquisito un': "incompatibilità...endemica" (pag. 54) con loro.

E della donna solitaria nella rocca di San Marino che distoglie uno di essi dal suo intento.

 

Quarto classificato è risultato "L'età del sole", di Gloria Bàrberi (18 pagine, pag. 57)-dalla trama estremamente frammentaria, in cui si racconta di varie gesta, oniriche e non, di Cesare Borgia, fra riti satanici e violenze sessuali.

 

Quinto classificato è risultato "Quella calda ultima notte di luglio", di Maurizio Bascià (11 pagine, pag. 75)-ucronico, in cui si immagina l'esistenza di un mondo parallelo in cui Garibaldi, partendo da San Marino, non sia stato intralciato da Anita in avanzato stato interessante, e che, quindi, abbia proseguito le sue gesta, portando ad un'unità d'Italia molto anticipata, ed altro.

Questo mondo parallelo sarebbe stato generato da un esperimento coi tachioni, cosa che gli dà un tocco, anche, di Sf hard, in quel mondo parallelo, per cui, ad essere il mondo parallelo, in un certo senso, sarebbe...il nostro!

 

A partire da "La beffa", di Pier Giuseppe Cavalli (19 pagine, pag. 87) comincia una serie di cinque racconti che sono stati classificati 6° ex equo; quello è imperniato su di un elisir di lunga vita, ha una trama alquanto sfilacciata, e, stilisticamente, è decisamente poco conformista; in ultima analisi, direi che vi si vuol dire il solito possibile rendersi immortali per mezzo della letteratura; il sesso, quando si parla di ciò, ovviamente, non può essere trascurato.

 

-"L'occultista", di Gustavo Gasparini (6 pagine, pag. 107)-è il divertente, ed erotico, racconto di un occultista, appunto, che, dopo aver vissuto la propria vita normale, la prosegue sotto forma di uomo invisibile, combinandone, appunto, di tutti i colori.

 

-"L'assalto", di Antonio Intra (18 pagine, pag. 113)-è un horror-fantasy piuttosto gustoso, in cui si immagina una bambina/mostro, dalle imprecisate ed evanescenti origini, che, in un monastero assediato e, poi, assaltato dai normanni, si ciba dei cervelli di coloro che uccide, coadiuvata da uno schiavo umano senza il quale, certo, non potrebbe perpetrare i suoi orridi banchetti.

 

-"5 maggio 1542", di Giuseppe Lariccia (17 pagine, pag. 131)-è un racconto sperimentale, in cui l'autore adotta una tecnica che rende il racconto alquanto faticoso alla lettura, ovvero, va a capo una sola volta, e alla sedicesima delle diciassette pagine che lo compongono; niente a che vedere, però, con lo stream of consciousness di joyciana memoria; qui, in questa forma, è raccontata una storia densissima, rutilande di miriadi di avvenimenti, di un gruppo di condottieri che, avviandosi alla conquista della Rocca di San Marino, vivono un'esperienza onirica collettiva che li trasporta ai nostri giorni.

Assolutamente impossibile non ricordare, nel leggerlo, il bel film comico francese "I visitatori".

 

In ultimo abbiamo "Randi e la rosa nera", di Raffaella Vignola (10 pagine, pag. 149)-un racconto fantasy in cui si immagina che un elfo faccia visita al figlio di uno dei maggiorenti di San Marino la notte precedente al giorno in cui essi dovranno prendere una decisione riguardante la pace o la guerra per il piccolo stato, nel 1739.

Sinceramente non è che sia molto ferrato sulla storia di quella nazione, ma, se, come credo, il racconto si basa su fatti storici realmente accaduti, a quanto mi pare di capire, pare che, in quell'anno, corse il rischio di entrare in guerra con lo Stato della Chiesa.

 

Dunque, davvero divertente quest'idea dell'ambientazione d'obbigo nella più antica Repubblica d'Europa, per i racconti di questo nuvo premio letterario che, idealmente, sempre a quanto ci dice il Morganti nell'introduzione, vuole essere l'erede morale del prestigioso premio Tolkien, patrocinato dall'editore Solfanelli, di Chieti, che, purtroppo, già da qualche anno, in seguito alla chiusura di quella casa editrice, non viene più indetto.

Abbiamo visto che la qualità media di questi racconti è davvero buona, con qualche, inevitabile, caduta di tono, come per quello, incredibilmente, vista la qualità a cui ci ha abituati fin'ora, della Bàrberi, che, devo essere sincero, non mi è proprio piaciuto, ma, anche, con acuti come il racconto del Serafini, che, se fosse stato per me, avrei sicuramente fatto vincere.

 

Oldies

 

NOTTURNO ITALIANO, a cura di Errico Ghidetti e Leonardo Lattarulo

"Albatros", ed. Riuniti, '84, 731 pagine, 50.000 £; © by Editori Riuniti

Altri contributi critici

 

-recensione al 1° vol., di Domenico Cammarota, "Sf…ere" n. 2/’86 (41)

-recensione al 2° vol., di Domenico Cammarota, "Sf…ere" n. 4/‘86 (43)

 

 

Notturno italiano è un'antologia in due volumi dedicati, rispettivamente, ai racconti fantastici dell'ottocento e del novecento, curate, la prima, dal solo Errico Ghidetti, e la seconda da quello insieme a Leonardo Lattarulo.

Vorrei, attraverso il commento di alcuni dei racconti ivi contenuti, farvelo conoscere.

Nell'introduzione al primo volume il Ghidetti fa una molto interessante dissertazione sul perchè la letteratura fantastica abbia tanto tardato ad inserirsi in quella del nostro paese: "Abbiamo... fatto nostre le premesse di un celebre saggio dedicato...da Benedetto Croce ed Arrigo Boito...nessun romantico in Italia tra il 1815 e il 1860!" (pag. IX); per poi dire che per tali fatti l'antologia parte dal 1868, con l'apparizione della Scapigliature, prima ad introdurre in Italia il fantastico letterario.

"L'eclisse della Scapigliatura non comporta nè l'estinzione nè una recessione quantitativa del genere fantastico...(con) il naturalismo e lo spiritualismo decadente il fantastico conosce un ulteriore incremento..." (pag. XI); "..il tema su cui si esercita la fantasia degli scrittori di orientamento naturalistico...(è) praticamente unico: lo spiritualismo..." (pag. XI); vedi, esempio lipimpidissimo, i racconti Edoardo Calandra, come abbiamo avuto modo di notare (vedi "Dame Isabeau")

"...eccezione...Luigi Capuana che...tenterà...il racconto fantastico praticamente in tutte le sue possibili declinazioni, fino ad approdare alla fantascienza di cui rimarrà, da noi, sperimentatore unico (ed ignorato) per oltre mezzo secolo". (pag. XII).

Importante una dichiarazione di metodo: "...il criterio di scelta...prescinde dalla tassonomia del genere che ne ha tenta Tzvetan Todorov...per affidarsi più empiricamente al suggerimento di Louis Vax, secondo il quale, in fondo, "non c'è altro vero fantastico se non quello che è stato voluto tale."" (pag. X).

Tra i racconti di questo primo volume non si poteva trascurare quello di colui che è da molti considerato uno dei migliori esponenti della Scapigliatura, Igino Ugo Tarchetti, "I fatali" (originariamente apparso in "I racconti fantastici", ed. Treves, 1869; anche in "Tutte le opere", ed. Cappelli, '67, "Universale", ed. Jandi, '44, ed. Guanda, '77, "Tascabili" n. 563, ed. Bompiani, '93, tradotto in inglese come "The Fated", "Fantastic Tales", '92, tr. Lawrence Venuti; 27 pagine, pag. 15).

Vi si narra di un uomo che: "...un destino crudele, tremendo, ineluttabile...condannava a compiere il male, a schiacciare sotto il peso della sua fatalità tutti quegli esseri buoni ed affettuosi che lo circondavano." (pag. 39); "...quel giovine sì bello, sì dolce, sì attraente spargeva d'intorno a sè la desolazione e la sventura, lasciava delle tracce spaventose sulla sua vita." (pag. 34).

Interessante un passo, all'inizio, in cui non si può non notare la moderna definizione del fantastico quale quel qualcosa che induce ad una sospensione del giudizio: ""Questa incertezza di fatti, questa incompletazione di idee, questo stato di mezzo tra una fede ferma e una titubante, costituiscono forse ciò che noi chiamiamo sospensione..."(pag. 18).

Altro scapigliato di cui ci interesseremo è Arrigo Boito, che fu sì prevalentemente musicista, ma che scrisse anche quattro racconti, "L'alfiere nero", l'incompiuto, "Il trapezio", "Iberia" e quello qui pubblicato, "Il pugno chiuso" (originariamente apparso, in cinque puntate, in appendice al "Corriere di Milano", nel dicembre 1870, rinvenuto e pubblicato solo nell''81; anche in "Racconti neri e della scapigliatura", a cura di Gilberto Finzi, "Oscar" n. 1267, ed. Mondadori, '80, "La memoria" n. 26, ed. Sellerio, '81, in "Novelle italiane. L'Ottocento", a cura di Gilberto Finzi, ed. Garzanti, '85, e in "Da uno spiraglio", a cura di Riccardo Reim, ed. Newton Compton, '92; 17 pagine, pag. 45); vi si narra della maledizione gettata da un fantasma che è più uno zombie: "Quell'orribile fantasma aveva le gambe allacciate al legaccio mortuario, camminava a fatica...portava sul capo una zolla del sepolcro, e le radici delle ortiche gli crescevano nelle fosse nasali..." (pagg. 52-3), su un usuraio, e delle conseguenze della stessa.

Ma, oltre agli scapigliati, come abbiamo detto, altri narratori dell'ottocento italiano si cimentarono col fantastico, e uno di questi fu niente di meno che il verista Giovanni Verga de "I malavoglia" e "Mastro don Gesualdo".

"Le storie del castello di Trezza" (anche in "Tutte le novelle", ed. Mondadori, '79, in "Novelle", ed. Salerno, '80, in "Racconti fantastici di scrittori veristi", a cura di Monica Farnetti, "Grande universale" n. 137, ed. Mursia, '90, in "Da uno spiraglio", a cura di Riccardo Reim, ed. Newton Compton, '92, in "Storie di fantasmi", a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, "Grandi tascabili economici: I Mammut" n. 39, ed. Newton Compton, '95, e in "Storie di fantasmi italiani", "Oscar narrativa" n. 1586, ed. Mondadori, '96-originariamente apparso in "Nuova illustrazione universale", in 4 puntate, fra il 17 gennaio e il 7 febbraio 1875, poi in "Primavera e altri racconti", ed. Brignola, 1876; 34 pagine, pag. 121), è veramente una storia mirabile, in cui, per di più, il linguaggio non è più, come nei precedenti, piuttosto lontano dal nostro, ma moderno ed attualissimo.

Vi si narra del fantasma di una giovane sposa: "Si dice che sia l'anima della povera donna Violante, la prima moglie del barone..." (pag. 131), che infesta un castello siciliano, ed è diviso nettamente in due parti.

Nella prima vi è la narrazione più veramente fantastica del fantasma che inquieta le notti del barone e della seconda sposa: "...le avevamo detto degli spiriti che si sentivano nel Castello, e che la notte era un gran trapestio pei corridoi e per le scale, e si trovavano usci aperti e finestre spalancate, senza sapere come nè da chi-usci e finestre che erano stati ben chiusi il giorno innanzi-che si udivano gemiti dell'altro mondo, e scrosci di risa da far venire la pelle d'oca..." (pag. 127); "Alcuni pescatori...raccontarono d'aver visto l'anima della baronessa, tutta vestita di bianco...passeggiare tranquillamente su e giù per la scala rovinata, ove un gabbiano avrebbe paura ad appollaiarsi, quasi stesse camminando su un bel tappeto turco, e nella miglior sala del castello." (pag. 132).

All'inizio è solo la seconda baronessa a credere a queste storie, ma poi il barone, lasciatosi convincere, dispone due suoi scagnozzi, e il fantasma ricompare: "...un grido terribile rimbombò per l'immenso corridoio; era un grido supremo di terrore, di delirio, che non poteva riconoscersi a qual voce appartenesse, che non aveva nulla d'umano..." (pag. 138); lo vede il barone, coi suoi occhi, e decide di stare alzato lui stesso.

La prima moglie gli riappare: "...le tenebre furono squarciate da un lampo, e videsi di faccia, ritta, immobile, quella figura bianca che...lo guardava con occhi lucenti e terribili." (pag. 140), e lui la uccide, essendosi lei rimaterializzata in carne ed ossa: "Vicino alla parete giaceva il cadavere di donna Violante, vestita del suo accappatoio bianco, com'era fuggita dal letto del marito la notte in cui s'era creduto che si fosse buttata in mare." (idem).

La seconda parte narra, invece, dei precedenti, ovvero del matrimonio infelice fra Violante e il rozzo barone.

Altro "grande" della nostra letteratura di fine ottocento che si sia cimentato col racconto fantastico è Antonio Fogazzaro, quello di "Malombra" e "Piccolo mondo antico".

"Malgari" (originariamente apparso, col titolo di "Màlgari o la perla marina", in "Lettere e arti" del 27 aprile 1889; anche in "Racconti brevi", ed. Enrico Voghera, 1894, e, col titolo "Màlgari o la perla marina", in "Tutte le opere", ed. Mondadori, '39; 8 pagine, pag. 277) è un raccono veramente notevole che narra di una perla, scaturita dalle lacrime di un re-poeta cadute nell'oceano, che diventa bambina per alleviare le sofferenze di una madre a cui era morta la figlia piccolissima.

Molto bello l'incontro fra la perla-bambina e le Nereidi.

A chiudere questo primo volume, c'è un racconto di Luigi Capuana, "Un vampiro" (originariamente apparso in "Lettura" del 1° luglio 1904; 15 pagine, pag. 329), che è un pò un trait d'union tra i due, vista la sua data di pubblicazione originale.

Come ben dice il Ghidetti nell'introduzione, il Capuana fu proprio l'epigono della fantascienza italiana, e questo racconto ne è un esempio probante.

Vi si narra, infatti, di uno scienziato che ascolta la storia di un amico sul caso del primo marito di sua moglie che, morta non molto tempo prima, visita notturnamente ed invisibilmente la coppia, succhiando il sangue al frutto della loro unione.

Lo scienziato, mostratosi dapprima scettico, sentita la storia, ne dà una spiegazione-soluzione degna del miglior racconto di fantascienza moderna: "...quei rimedi empirici, tradizionali siano i resti, i frammenti della segreta scienza antica, e anche, più probabilmente, di quell'istinto che noi possiamo oggi verificare nelle bestie....con l'atto apparente della morte dell'individuo, non cessi realmente il funzionamento dell'esistenza individuare fino a che tutti gli elementi non si si siano completamente disgregato.… È fatto, non insolito, attorno al quale la così detta superstizione popolare...la divinazione primitiva potrebbe trovarsi d'accordo con la scienza... E sai qual'è la difesa contro la malefica azione dei Vampiri, di queste persistenti individualità che credono di poter prolungare la loro esistenza succhiando il sangue o l'essenza vitale delle persone sane? ...L'affrettamento della distruzione del loro corpo." (pagg. 339-40).

Gli altri racconti contenuti in questo primo volume sono sedici: "Narcisa", di Luigi Gualdo, "Un corpo", di Camillo Boito, "Il violino a corde umane", di Antonio Ghislanzoni, "Gentilina", di Giovanni Faldella, "Le tre maruzze", di Vittorio Imbriani, "Storiella bizzarra", di Giuseppe C. Molineri, "Aura-Eloim", di Vincenzo Giordano-Zocchi, "Il mago", di Carlo Dossi, "Da uno spiraglio", di Roberto Sacchetti, "Leggenda di Capodimonte", di Matilde Serao, "Natale in famiglia", di Ambrogio Bazzero, "Sirena", di Giovanni Alfredo Cesareo, "Donato del Piano", di Federico De Roberto, "Brutus", di Salvatore Di Giacomo, "Telepatia", di Edoardo Calandra, e "Confessione postuma", di Remigio Zena.

Passando quindi al volume dedicato ai racconti fantastici del novecento, bisogna innanzitutto dire che il Ghidetti e il Lattarulo, nella prefazione, notano che: "Anche se uno sguardo di insieme al panorama della letteratura fantastica italiana del novecento...rivela...una singolare fioritura del fantastico, non si deve tuttavia credere che questo sia stato l'onesto frutto della non ingente eredità ottocentesca." (pag. VII).

Infatti, a parte cose come i racconti di Svevo e di Gozzano, che: "...rielaborano situazioni canoniche del repertorio fantastico ottocentesco..." (pag. XI), altra è la genesi della letteratura fantastica novecentesca del nostro paese: "L'ostilità idealistica per il mistero, il rifiuto di considerare la realtà come enigmatica...contribuiscono a chiarire ulteriormente la marginalità (che non significa affatto scarsa presenza) del fantastico nella letteratura italiana novecentesca.

Un tipo di narrativa mirante piuttosto ad oscurare che a chiarire, piuttiosto ad inquietare che a rassicurare, non può non vivere una vita difficile là dove domini un pensiero che consideri la realtà come tutta penetrabile e tutta spiegabile, perchè tutta spirituale....l'altro, il diverso, il perturbante sono sempre di nuovo assimilabili allo spirito.… Il fantastico è qui una delle espressioni attraverso cui si manifesta l'inquietudine dei giovani intellettuali d'avanguardia, incapaci di superare sul piano teorico il compiuto immanentismo idealistico, ma oscuramente insoddisfatti di quella compiutezza." (pagg. IX-X).

Si comincia proprio con un racconto di Italo Svevo (quello di "Una vita", "Senilità" e "La coscienza di Zeno"), "Lo specifico del dottor Menghi" (da "Due racconti", "All'insegna del pesce d'oro", ed. Scheiwiller, '67; 24 pagine, pag. 1), databile attorno al 1904.

Vi si narra di un medico che scopre quello che secondo lui dovrebbe essere una specie di elisir di lunga vita, ma che, dopo averlo sperimentato, tipicamente, su se stesso e sulla propria madre moribonda, si rivela un'"orribile cosa..."

Altro racconto di cui vorrei parlare è "Alcina", di Guido Gozzano (originariamente apparso in "Illustrazione italiana" del 26 dicembre '13; anche in "L'altare del passato", "Le spighe", ed. Treves, '18, "Opere di Guido Gozzano" n. 3, ed. Fratelli Treves, '35, ed. Garzanti, '42, in "Poesie e prose", ed. Garzanti, '61, in "L'altare del passato", "Biblioteca del viaggiatore", ed. Passigli, '91, e in "Poesie e prose", "Universale economica. I classici" n. 123, ed. Feltrinelli, '95; 13 pagine, pag. 58).

Vi si narra di una giovane donna segnata nel fisico da una brutta gobba, figlia di un famoso archeologo ed essa stessa appassionata dei templi greci, che appare al protagonista nelle forme di Fedra, sana e bellissima, e che altri, si verrà a sapere, avevano visto nelle stesse sembianze: "...forsennati che giuravano d'averla vista con un corpo fidiaco." (pag. 71).

Ma veniamo al contributo del Futurismo alla letteratura fantastica del nostro paese, e non poteva non essere che un racconto di Filippo Tommaso Marinetti, "Fabbricazione di una sirena" (da "Novelle colle labbra tinte", ed. Mondadori, '30; 4 pagine, pag. 155).

Vi si narra di un poeta che vuole realizzare la "...creazione di una sirena!", appunto, e che, per farlo: "Languidamente pesco colgo e raduno tutti i colori sapori odori rumori del mare." (pag. 157), scende: "...con glu glu di botti-spumante", nei fondali marini. Finchè: "...scintillò sott'acqua una lunga coda di pesce e belle squame d'argento cesellato...emerse grondante di amorosi sudori il pallido e ardente ovale perfetto....mani tanto liquide da confondersi coll'acqua stessa." (pag. 159).

E poi arriva un idrovolante dell'aviatore fiumano Keller e: "Preziosamente issammo la donna marina nella carlinga. Capricciosa e pratica voleva tenere fuori eretta la sua coda di pesce per meglio (diceva) aiutare i timoni." (pag. 160).

Divertente, è pieno, come abbiamo visto, di quegli accorgimenti letterari tipici del Futurismo.

Ma arriviamo a Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel '34, di cui ricorderemo il romanzo "Il fu Mattia Pascal", la raccolta di novelle "Novelle per un anno", del '57, da cui è tratta anche quella qui antologizzata, del '34, e le commedie "Così è (se vi pare)", "Sei personaggio in cerca d'autore" e "Enrico IV°".

Questo "Di sera, un geranio" (3 pagine, pag. 179), è la narrazione in prima persona di uno spirito che lascia il proprio corpo dopo la morte: "...ora lui è come la fragranza di un'erba che si va sciogliendo in questo respiro, vapore ancora sensibile che si dirada e svanisce, ma senza finire, senz'aver più nulla vicino.... Una cosa, coesistere ancora in una cosa, che pur sia quasi niente, una pietra. O anche un fiore che duri poco: ecco, questo geranio..." (pag. 183).

Ed ha per finale, dopo due righe dalla parte dei vivi, questa frase bella e piena di favoloso: "Di sera, qualche volta, nei giardini s'accende così, improvvisamente, qualche fiore; e nessuno sa spiegarne la ragione." (Idem)

-"I borghesi sul fico", di Enrico Morovich (da "I ritratti nel bosco", ed. Parenti, '36; 2 pagine, pag. 209), bella short-story nera, con protagonista niente di meno che la Morte stessa.

Ma eccoci ad uno dei più grandi maestri del fantastico italiano,quel Dino Buzzati di cui ho parlato nel mio articolo "Il realismo magico di Buzzati", e di cui viene qui antologizzato il bellissimo "Sette piani" ('42, da "I sette messaggeri", "Oscar narrativa" n. 1792, ed. Mondadori, '84; 14 pagine, pag. 219).

Vi si narra, come molti di voi sapranno, di un malato di una malattia imprecisata che, seppur affettone in maniera lievissima, consigliato, si reca in un sanatorio ove curano esclusivamente quella malattia.

Qui i malati sono distribuiti secondo la gravità dal settimo al primo piano, in crescendo.

Ed è un vero e proprio crescendo quello che si sviluppa nel racconto, una discesa inesorabile, per i più vari motivi, tranne l'aggravamento della malattia. (Da questo racconto è stato tratto il film "Il fischio al naso", con lo scomparso Ugo Tognazzi. (Fabrizio Frattari)).

È questo senz'altro il racconto che maggiormente deve aver fomentato l'accostamento Buzzati Kafka, che, come ho detto in quell'articolo, è, in generale, non esauriente.

Altro grande della nostra letteratura che si sia cimentato col racconto fantastico è il recentemente scomparso Alberto Moravia, qui presente col racconto "L'albergo splendido" (originariamente apparso in "L'epidemia: racconti surrealisti e satirici", "I compagni di strada" ed. Documento, '44; anche in "Opere complete di Alberto Moravia", ed. Bompiani, '56; 5 pagine, pag. 251). Del tutto umoristico, e veramente ben congeniato; narra di un pranzo di nozze decisamente sui generis. Il primo slittamento della narrazione realistica si ha quasi subito, con la sposa che, andando verso l'albergo, dice: "Era proprio vero, ella disse, che andavano allo Splendido? O piuttosto non fuggivano lungo i platani denudati dell'inverno e arrossati dal sole intirizzito, non fuggivano per salvare la vita?" (pag. 253).

Ma è là arrivati che, dapprima lentamente, poi sempre più precipitosamente, il racconto si ribalta in grottesco e, appunto, umoristico: "...che significavano quelle catene che penzolavano dalle tenebre sul capo di ciascun convitato?" (pag.  256); "Ma perchè questi camerieri si mettevano così vicini ai convitati? E addirittura gli salivano a cavalcioni sulle spalle?" (pag. 256); "...la madre non trovò nulla da ridire quando tutti i camerieri, come obbedendo ad una parola d'ordine, introdussero una caviglia di ciascun convitato nell'ultimo anello di quelle catene che penzolavano sulle seggiole." (Idem).

Il finale è imprevedibile e decisamente divertente.

Altro racconto di cui vorrei occuparmi è "La moglie di Gogol", di Tommaso Landolfi (originariamente apparso in "Città" n .5, anno 1°, '44; anche in "Ombre", ed. Vallecchi, '54, "Biblioteca Adelphi" n. 282, ed. Adelphi, '94-tradotto in tedesco come "Gogols Frau", in "Gogols Frau", '94, tr. Heinz Riedt; 10 pagine, pag. 305), in cui si immagina che Gogol avesse per moglie una specie di golem di plastica gonfiabile dallo scheletro di ossa di balena: "La moglie di Nikolaj Vasilevic...non era una donna, nè un essere umano purchessia, neppure un essere comunque vivente, animali o pianta...; essa era semplicemente un fantoccio." (pagg. 307-8).

Ma che poi questa diventasse una presenza decisamente inquietante: "Nikolaj Vasilevic aveva la bizzarra impresione che colei che andasse acquistando una propria, sebbene indecifrabile personalità, distinta dalla sua, e gli sfuggisse per così dire di mano." (pag. 312).

Proseguendo coi grandi, ecco un racconto di quel Giuseppe Tomasi di Lampedusa del "Gattopardo", "Lighea" (da "Racconti", ed. Feltrinelli, '61; 22 pagine, pag. 319).

È nettamente diviso i due parti quasi uguali; nella prima il protagonista, emigrato siciliano a Torino, incontro un suo celebre compaesano, un illustre grecista, e nella seconda questi gli racconta una storia davvero fantastica di due settimane d'amore con una sirena: "...sotto l'inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta che lenta batteva il fondo della barca. Era una sirena." (pag. 337).

Penultimo racconto di cui ci occuperemo e anche dell'antologia è "I dinosauri", di Italo Calvino (da "Le cosmicomiche", ed. Einaudi, '65 e poi, col titolo "…vecchie e nuove", "Gli elefanti", ed. Garzanti, "Oscar grandi classici" n. 75 e "Oscar opere di Italo Cavino", ed. Mondadori ("Le cosmichomiche", ma "…vecchie e…"); anche in "Intercom" n. 144/145, '97; 14 pagine, pag. 359), Tutto tenuto, appunto, su di un tono scherzoso, narra delle peripezie dell'ultimo dinosauro sopravvissuto all'estinzione della sua specie.

In ultimo c'è "Quaestio de centauris", di Primo Levi (da "Storie naturali", ed. Einaudi, '66; 10 pagine, pag. 375), quello di "Se questo è un uomo" e "La tregua".

Vi si narra di un centauro: "Nonostante i suoi duecentosessant'anni, era di aspetto giovanile, sia nella parte umana che in quella equina." (pag. 377), e della sua particolare inclinazione, comune a tutta la sua specie: "...tutti i centauri...sentono per le vene, come un'onda di allegrezza, ogni germinazione, animale, umana, o vegetale. Percepiscono anche, a livello dei precordi...ogni desiderio ed ogni amplesso che avvenga nelle loro vicinanze..." (pagg. 381-2).

In questo volume, oltre ai racconti di cui ci siamo occupati, ve ne sono altri venticinque: "Satana in treno", di Ardengo Soffici, "Storia completamente assurda", di Giovanni Papini, "Vampiro", di Enrico Boni, "Parole di un morto", di Federico Tozzi, "Il diavolo nell'ampolla", di Adolfo Albertazzi, "Il braccio troncato", di Roberto Bracco, "Trapassati", di Giulio Caprin, "Tre croci", di Persio Falchi, "Il forte di X…", di Mario Puccini, "Il talismano di Fioretta", di Alfredo Panzini, "Quasi d'amore", di Massimo Bontempelli, "Il sogno di una notte a Versailles", di Paolo Buzzi, "I ridestati del cimitero", di Nino Savarese, "Crepi l'astrologo", di Domenico Giuliotti, "Colui che non voleva mostrare il nonno", di Beniamino Joppolo, "La gamba della Namur", di Nicola Lisi, "Fine di una festa", di Antonio Delfini, "Casa "La Vita"", di Alberto Savinio, "Avventura a Campo di Fiori", di Giorgio Vigolo, "L'ultimo licantropo", di Riccardo Bacchelli, "Ballo in giardino", di Guelfo Civinini, "L'infante sepolta", di Anna Maria Ortese, "Il ritratto della regina", di Aldo Palazzeschi, "Lotta di maghi", di Arturo Loria, e "L'amico americano", di Mario Soldati.

Ora che abbiamo terminato, l'impressione più viva è senz'altro quella che la letteratura fantastica del nostro paese abbia delle radici ben solide, anche se il loro germinare è stato più difficoltoso che altrove.

Un'ultimissima annotazione: i due volumi costano complessivamente cinquantamila lire; non poco, ma senz'altro ben spese.

  

"Algenib" n. 13, gennaio '92

"Oltre..." n. 1/2, ed. Associazione culturale "Il borghetto",'93

 

IL TESORO DEI POVERI-L'Abruzzo fantastico da D'Annunzio a Flaiano, a cura di Lucio D'Arcangelo

"la Chimera" n. 1 ed. Solfanelli,'87, 107 pagine, 8.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

 

Ottima antologia del D'Arcangelo, professore universitario di Letteratura ispanmoamericana presso l'Università "G. D'Annunzio" di Pescara, in cui si raccolgono alcuni dei racconti fantastici che gli scrittori di quella regione hanno prodotto.

Dopo una più che buona introduzione del curatore, si inizia con due racconti di Domenico Ciampoli (1852-1929), entrambe da "Fiabe abruzzesi", 1880; "La rupe della Zita", (5 pagine, pag. 15).

Una favola macabra di fantasmi (""Udite quei rumori? Non è solo il vento che li fa: sono anche le anime di alcuni morti che escono a ridda nel mezzo della notte, perchè non fecero buona vita."" (pag. 19)), in cui una giovane donna che stà per maritarsi viene rapita da uno di questi ("...quand'ecco, non so donde, uscire un fantasma spaventoso, tutto lordo di sangue, afferrare la giovinetta alla vita e via perdersi con lei in un baleno nell'oscurità di quell'abisso..." (pag. 21)), e che si conclude con uno dei più tipici finali per racconti di questo genere: "Narrano poi d'aver vedute a mezzanotte andare errando laggiù due bianche larve; e talvolta cambiarsi in due pallide fiammelle che guizzavano un poco e si perdevano poscia nell'immensità delle ombre." (idem); e "La maggiorana" (5 pagine, pag. 23); l'intensa e struggente storia di una donna brutta, che nessuno vuole in sposa, e che prega la Madonna di mandargliene uno; ma egli non verrà mai, e la storia è il delirio del suo spirito che trasfigura la cerimonia funebre in quella del suo matrimonio.

Vi sono poi tre racconti di Gabriele D'Annunzio, tutti da "Parabole e novelle", "Collezione dei grandi autori antichi e moderni", ed. Bideri, '16; si comincia da "Santi e Madonne in terra" (4 pagine, pag. 31).

Dal tipico linguaggio piuttosto baroccheggiante, racconta della devozione popolare, semplice ed ingenua.

A dire il vero non vi si riscontrano elementi realmente fantastici; non si possono infatti considerare tali le figure dei santi che vanno di casa in casa, ne quella della Madonna che parla al popolino.

Il secondo è "I crisantemi" (anche in "Da uno spiraglio", a cura di Riccardo Reim, ed. Newton Compton, '92; 3 pagine, pag. 35); è un trasognato viaggio dello spirito tra le sensazioni che un campo di tali fiori da al protagonista.

Anche qui non vi sono reali elementi fantastici.

L'ultimo è quello che dà il titolo all'intera antologia:"Il tesoro dei poveri" (3 pagine, pag. 39); una vera e propria fiaba, come, sinceramente, non credevo proprio il D'Annunzio avesse scritto.

Narra di due poverelli che incontrano un gatto che li conduce ad un rifugio in cui si illudono di trovare delle braci che credono riscaldarli.

Ma, al mattino, esse si rivelano essere nient'altro che gli occhi del gatto, che così li apostrofa: "Il tesoro dei poveri è l'illusione" (pag. 41).

Si prosegue con due racconti di Giovanni Titta Rosa (1891-1972), da "L'avellano", '43; il primo è "La leggenda di Sant'Amico" (3 pagine, pag. 45); storia dello stupore di dei bambini ai racconti della nonna.

È, forse, più un racconto sul fantastico che propriamente tale.

L'altro è "Il malincontro" (4 pagine, pag. 49); favola proprio, questa, racconta di un gigante che infesta un sentiero ("...un gigante nero, in piedi, con le nude gambe piantate sopra la roccia, una di qua e una di là, che dominava tutta la valle così, maledetto, in mezzo alla notte." (pag. 51)), e che riempie di terrore le notti dei pargoli del paese: "I ragazzi, che stanno a sentire con gli occhi spalancati, hanno paura di guardare fuori, dietro ai vetri della finestra. E vedono quella faccia là, livida e impietrita, dietro i vetri; e anche quando cascano dal sonno rivedono quel gran mantello nero che svolazza dentro il cielo come una nuvola." (pagg. 51-2).

Seguono poi tre racconti di Nicola Moscardelli (1894-1943); il primo è "Il manichino" (da "La città dei suicidi", '27; 2 pagine, pag. 55).

Favola moderna nella quale ci si intristisce della sorte dei manichini, e si immagina per loro una sorta di rivalsa: "Una di queste sere, se non è già successo, qualcuna di queste donne, a forza di esser osservata a lungo e di avere perciò assorbita attraverso la rosea cera la vita che le manca, si alzerà trasognata con un brivido ipnotico dalla poltrona di vimini ove espone l'ultima creazione della stagione, entrerà nel negozio, si confonderà tra le clienti ed uscirà in strada, con la stessa aria indolente e senza memoria con cui le donne al di qua della vetrina si svegliano ogni mattino." (pag. 56).

Il secondo è "Un uomo quasi vivo" (da "Il sole dell'abisso", '30; 5 pagine, pag. 57); forse uno dei primi racconti italiani sui robot, parla appunto di uno di questi, facendo trasparire quella sindrome di Frankenstein tanto tipica: "...più egli progredisce, più io arretro inorridito, impotente a dominare lo sgomento che dà alla mia la sua esistenza." (pag. 60).

L'ultimo è "Come nacque la paura" (da "Racconti per oggi e per domani", '38; 6 pagine, pag. 63); racconta della malattia e della morte di un uomo d'affari, e del successivo ammalarsi anche del suo segretario, ma senza alcun elemento fantastico.

Vi sono poi tre racconti di Luigi Antonelli (1882-1942), da "Primavera in collina", '29.

Il primo è "L'ammonimento" (6 pagine, pag. 71); buon racconto a sorpresa finale, in cui si racconta di un bambino che si rifugia in una chiesa per ripararsi da un temporale, che poi viene accompagnato a casa da quello che lui crede essere un frate, ma che si rivelerà essere...

Il secondo è "Darei la mia vita" (9 pagine, pag. 77); il più lungo dell'intera antologia, è un racconto in cui si sviluppa in modo originale un tema classico della letteratura fantastica, quello del vendere l'anima al diavolo.

Qui un uomo lega il proprio destino a quello di un amico per salvargli la vita, in modo tale che questo atto, normalmente considerato Male, si ammanta di un'aura di Bene, cosa che, a mio parere, lo caratterizza.

Interessante quest'osservazione di Belzebù alla domanda del perché abbia scelto proprio il protagonista, un italiano: "Perchè la vostra letteratura è piena di questi fatti straordinari: di gente che rinasce, che torna indietro con gli anni, che si rifabbrica il proprio destino, e via di seguito..."" (pag. 80).

L'ultimo è "La piccola sirena" (anche in "Enciclopedia fantastica italiana", a cura di Lucio D'Arcangelo, "Oscar narrativa" n.  1272, ed. Mondadori, '93; 4 pagine, pag. 87); bella fiaba di un pescatore che raccoglie, sulla riva del mare, una piccola sirena morente, e la cura fino a guarirla.

Si finisce con altri tre racconti di Ennio Flaiano (1910-1972); il primo è "I giorni della sirena" (da "Una e una notte", '59; 6 pagine, pag. 93); storia in cui si mescolano il senso del meraviglioso e del fiabesco con la quotidianità, a creare un forte e stridente contrasto.

Gli altri due sono tratti da "Le ombre bianche"; "Il sogno del conte" ( 4 pagine, pag. 99), racconto su un sogno creduto tale che invece si rivela essere realtà.

Privo di reali elementi fantastici.

L'ultimo è "L'invasione" ( 5 pagine, pag. 103); racconto umoristico, in cui si ipotizza un'invasione da parte dei Capolavori, esseri dotati di pelo, e che: "Lordano tutto. Quadri, libri, strumenti musicali sono i loro oggetti preferiti." (pag. 105).

Le battute si susseguono a ritmo serrato, e sono piuttosto divertenti: "Mia moglie voleva che lo mandassi via (aveva paura che sporcasse per casa, lei sa come sono le donne anche di fronte al saprannaturale, temono sempre per i tappeti)..." (pag. 104).

In conclusione direi che senz'altro questa antologia è una buonissima cosa, fra le tante che la Solfanelli già da vari anni ci offre.

Qualche segno di un maggiore interesse dei media per questa piccola casa editrice già c'è stato; speriamo che continui, o, meglio ancora che aumenti.

 

LA ROSA DI GÉRICO-La Sicilia fantastica da Linares a Brancati, a cura di Rita Verdirame

"la Chimera" n. 6 ed. Solfanelli,'90, 191 pagine, 17.000 £; © by Marino Solfanelli Editore

  Altri contributi critici

 

-recensione di Mariella Bernacchi, "Diesel" n. 18, ‘91

 

La Verdirame ha cercato, con questa antologia, di raccogliere quanto di meglio la letteratura fantastica sicula ha saputo esprimere fino alla prima metà del nostro secolo.

Nel fare ciò ha seguito una linea metodologica ed interpretativa molto rigorosa che si desume molto bene dall'ottima introduzione, per cui ha escluso: "...il ricchissimo filone fantastico grottesco ed espressionista, surreale e modernamente magico degli anni Venti." (pag. 22).

La maggior parte dei racconti sono piuttosto lontani dal nostro gusto, in quanto datati, e la lettura risulta piuttosto difficile, ma se si riesce a non lasciarsi troppo infastidire dall'arcaicità del linguaggio, risultano abbastanza gradevoli.

 

-"Il marito geloso",di Vincenzo Linares (originariamente apparso in "Racconti popolari", 1840-1843; anche in "Da uno spiraglio", a cura di Riccardo Reim, ed. Newton Compton, '92; 15 pagine, pag. 31)-storia basata su di un equivoco, in cui vi è, prevalentemente, la contrapposizione fra due tipi opposti di femminilità, una dolce e buona, l'altra malvagia.

Di veramente fantastico non vi è nulla, anche se la donna cattiva viene detta strega.

 

-"Amore e morte",di Emanuele Navarro Della Miraglia (originariamente apparso in "Storielle siciliane", 1885; 8 pagine, pag. 51)-in cui due amanti uccidono il marito di lei, che poi torna in forma di fantasma a vendicarsi.

 

Vi sono, poi, due racconti di Luigi Capuana, "La rosa di Gèrico" (1884; 16 pagine, pag. 63)-il racconto che da il titolo all'antologia è un buon racconto di fantasmi, in cui, senza dubbio, la scena clou è quella di una seduta spiritica; e "Ofelia" (12 pagine, pag. 79)-questo secondo racconto del Capuana è il tipico racconto di fine ottocento in cui a prevalere sono materie quali il mesmetismo e simili; qui un innamorato confessa di avere ucciso, per gelosia, la propria amante con la sola forza del pensiero.

 

Si prosegue con due racconti di Girolamo Ragusa-Moleti, entrambe da "Aloe", 1880, "Maddalena" (anche in "Da uno spiraglio", a cura di Riccardo Reim, ed. Newton Compton, '92; 7 pagine, pag. 95)-racconto marinaresco, al cui centro vi è una figura di donna, direi, magica; e "Don Fedele" (8 pagine, pag. 102)-buon racconto, che comincia come il più tipico dei racconti dell'orrore, il viandante perduto in una notte di tempesta che si ferma in una taverna sconosciuta, e prosegue e finisce in un apologo morale contro la cattiva gestione della Giustizia.

 

Di Luigi Pirandello, poi, vi sono ben tre racconti: "E due!" (9 pagine, pag. 115)-davvero molto bello, è il suggestivo racconto di un uomo che, qualche tempo prima ingiustamente condannato ad alcuni anni di prigione, decide di suicidarsi dopo aver assistito impotente, ma, forse, più che altro impaurito, a quello di uno sconosciuto; "Male di luna" (anche in "Storie di lupi mannari", a cura di Gianni Pilo, "Grandi tascabili economici: I Mammut" n. 27, ed. Newton Compton, '94, e in "Storie di fantasmi italiani", "Oscar narrativa" n. 1586, ed. Mondadori, '96; 9 pagine, pag. 124)-un vero e proprio racconto dell'orrore, sulla licantropia, con molta attenzione all'ambiente in cui avviene, ai suoi risvolti sociali; e "Effetti d'un sogno interrotto" (tradotto in francese come "Effets d'un songe interrompu", in "Histoires de cauchemars", '79, e in "La Grande anthologie du Fantastique", '96, tr. Jacques Finne, e in finlandese, come "Keskenjäänyt uni", in "Portti" n. 1, '91; anche in "Enciclopedia fantastica italiana", a cura di Lucio D'Arcangelo, "Oscar narrativa" n. 1272, ed. Mondadori, '93; 5 pagine, pag. 133)-due gli aspetti propriamente fantastici contenutivi; il classicissimo tema del dipinto che si anima: "Il fatto è che, alzando gli occhi, turbatissimo, a guardare il quadro sulla mensola del camino, io vidi, chiarissimamente vidi per un attimo gli occhi della Maddalena farsi vivi, sollevar le pàlpebre dalla lettura e gettarmi uno sguardo vivo, ridente di tenera diabolica malizia. Forse gli occhio sognati della moglie morta di quel signore, che per un attimo s'animarono in quelli dipinti dell'immagine." (pag. 136); e quello del ritrarsi della mente, degli scettici, di fronte all'inconoscibile, rifugiandosi in una spiegazione razionale, per quanto inconsistente ed evidentemente insostenibile: "Quanto son cari questi uomini sodi che, davanti a un fatto che non si spiega, trovano subito una parola che non dice nulla e in cui così facilmente s'acquetano.

"Allucinazioni"" (pag. 137).

In cui si ha un bell'esempio di una delle caratteristiche fondamentali del fantastico puro, ovvero il contrapporsi di una mentalità razionalistica ad una immaginativa, qui, magica.

 

-"L'ombra", di Nino Savarese (da "Ricerca di un'ombra", '42; 6 pagine, pag. 143)-in cui si ha, altro tema classico del fantastico dell'ottocento, la Morte personalizzata, tema che è presente tutt'oggi nella nostra narrativa.

Vi è anche un pò di Buzzati; l'attesa indefinita, in cui si stemperano le ansie di una vita.

 

-"Le belle signore", di Francesco Lanza (originariamente apparso, postumo, in "Narrativa"; 8 pagine, pag. 153)-in cui si racconta di quelle donne che, nelle campagne, guarivano e operavano per mezzo di sortilegi ed intrugli, che il cristianesimo poi definì streghe.

 

-"Viaggio di nozze", di Antonio Aniante (da "Terremoto", degli anni '30; 9 pagine, pag. 153)-decisamente molto più vicino a noi come gusto (i racconti sono posti in ordine cronologico), è uno strano racconto sulle ossessioni paranoiche di uno sposo in viaggio di nozze.

Nulla di fantastico.

Per finire, vi sono quattro racconti di Vitalino Brancati: "Nel mezzo del cammino" (originariamente apparso in "La stampa" del 31 agosto '33; 4 pagine, pag. 175)-è il racconto del breve istante di pazzia di un impiegato in uno dei momenti topici della sua vita; "Quando si è in pochi" (originariamente apparso in "La stampa" del 14 maggio '34, anche in "Sogno di un valzer", '82; 5 pagine, pag. 179)-è uno strano racconto un pò alla Borges, in cui il Ministero della Guerra di un paese in cui la popolazione, già scarsissima, si assottiglia rapidamente, decide di: "...distruggere gli eserciti stranieri che vorrebbero invadere il Paese deserto." (pag. 180).

Evidente, in questo ed in altri particolari, la critica al regime fascista; "L'isola" (originariamente apparso in "Il selvaggio" del 15 maggio '36; 3 pagine, pag. 185)-racconto fantascientifico...a parte gli scherzi (è solamente ambientato in un improbabile 24.596), è l'umoristico racconto della popolazione di un'isola la quale: "...si sradicò d'improvviso e si mise a traballare come un bastimento nella maretta." (pag. 185), che incominciano tutti quanti a vomitare; "Città degli insetti" (originariamente apparso in "Il tempo" del 12 settembre '46; 3 pagine, pag. 188)-bel racconto in cui si immagina un paese infestato da una moltitudine di insetti in cui un giorno arriva una ragazza che li attira tutti su di sè, creando: "...una traccia profonda nella storia, direi nella religione, degli insetti di questa città." (pag. 190).

 

Come abbiamo visto, il fantastico, in questi racconti, è presente in modi ed in dosi molto differenti l'uno dall'altro; stupisce il Pirandello horror, così come quello di "Effetti d'un sogno interrotto", per la sua notevole quantità di immaginarietà; del Capuana già sapevamo, e gradite sorprese i racconti dei minori.

Come al solito vi sono alcuni racconti che, ha, mio parere, non contengono alcun elemento fantastico, ma, nel complesso, direi che senz'altro questa è un'altro centro pieno dell'editore Solfanelli, un'altra ottima operazione culturale, che, come al solito, è passata assolutamente inosservata.