recensioni
recensioni
by:
- Andrea Cinti (www.metallika.tsx.org)
- RockOL (www.rockol.it)
recensioni
di Andrea Cinti (www.metallika.tsx.org)
Kill
'Em All
Il
disco si apre con "Hit the lights".. E' un pezzo spasmodico e
nervoso, forse non all'altezza del resto del disco, ma dall'indubbio
valore.Secondo brano dell'album è "The four horsemen".. E' uno
dei picchi del lavoro. Il pezzo successivo che si incontra è "Motorbreath",
in realtà un tributo di Lars ai Motorhead. E' forse uno dei pezzi più
monocordi dell'intero lavoro: furia cieca e basta, ma ai tempi fece il suo
effetto. "Jump in the fire", quarta traccia dell'album, e'
considerata da sempre un classico, ma e' stata anche una delle meno amate
del disco da una serie di persone che non ne digerirono mai la cadenza
crepitante. Quinta traccia dell'album e' l'assolo di basso di Cliff Burton,
una specie di marasma psichedelico in cui il bassista dava libero sfogo alle
proprie pulsioni artistiche. Il pezzo fu da molti considerato, e per lungo
tempo, il manifesto di quello che rappresentava il bassista nell'economia
della band, cioè il lato visionario, libero, più personale e più tardi si
grido' al sacrilegio quando Jason, nei primi tempi della sua militanza nella
band, ne suonava alcuni passaggi nella sua parentesi solista nei concerti.
Whiplash, Motorbreath e"Metal militia", rappresentano il lato più
oltranzista dei Metallica di allora, e forse di tutti i tempi. "Phantom
lord". Piena di cambi di tempi ed assoli il pezzo si snoda per i quasi
5 minuti della sua lunghezza in in un crescendo magistrale che culmina nel
break in mid-tempo del finale: un capolavoro di metal da manuale. "No
remorse", che comunque non si discosta molto da quanto sentito finora e
ben si inserisce nel quadro generale dell'album. Sara' una delle prime a
finire nell'oblio con il procedere della carriera della band. Un grande
classico del gruppo e' invece il brano seguente, quel "Seek &
destroy", la cui durata e' stata nel corso degli anni dilatata a
dismisura fino a quel monolite che oggi in ogni show la band va avanti a
suonare per diversi minuti con grossa interazione del pubblico. Non e' certo
una scheggia di velocita', ma in generale riesce comunque ad essere
trascinante. Kill'em all si chiude con il pezzo più significativo di quei
tempi: Metal militia.
Ride
the Lightning
Fight
fire with fire la prima canzone è un lampo a ciel sereno, un nuovo attacco
senza pietà alle orecchie dei Metallari di tutto il mondo. Sembra tutto
nella norma. Il disco procede con la title track, un pezzo che il gruppo
aveva già rodato live prima dell'uscita dell'album e che ben si inserisce
nella violenta tensione della musica suonata dai Metallica a quei tempi. For
whom the bell tolls terza canzone del disco è il primo vero mid-tempo
possente e coinvolgente della band. Un pezzo fondamentalmente per capire la
grandezza che doveva arridere ai quattro. In questa scia di considerazioni
bene si inserisce Fade to black, la prima ballad della band, un pezzo che
nonostante gli stupori iniziali rimarrà indelebile nel cuore di tutti i
fans. Trapped under ice e Escape sono due canzoni che principalmente fanno
numero, che rimpolpano la struttura, ma non svettano. Sono in compenso da
tener presenti per la convinzione con cui ribadiscono l'eterogeneità delle
dimensioni esplorabili dalla band in ambito strettamente heavy. Creeping
death, quando esce, diventa il brano più coinvolgente che la band abbia mai
scritto. Potente, veloce e melodico allo stesso tempo non ha praticamente
difetti e ai concerti la partecipazione dei fan ne e' la prova più
concreta. A chiudere il disco c'è uno strumentale, The call of Ktulu. Prima
di tutto si può dire che all'epoca dei Metallica convivessero due anime:
una piu' immediata e capace di proporre canzoni coinvolgenti e di sicuro
effetto come Creeping death e dall'altra una più complessa ed elaborata che
partoriva pezzi come The call of Ktulu e spezzoni più difficili che
affioravano qua e la in vari pezzi.
Master
of Puppets
Battery
e' il prototipo della canzone alla Metallica di quel disco. Essa fotografa
esattamente la complessità cui la band può ora far fronte e al contempo
non disdegna puntate nel mondo della velocità e dell'irruenza. Inizio
arpeggiato, lento quindi, ma il resto e' infernale. Ai Metallica piace
suonare cosi', per chiaroscuri e la cosa funziona evidentemente. Secondo
pezzo dell'album e' la title track. E' un concentrato di trame difficili e
incasinate da cui la band emerge vincitrice e con una sorta di patente di
compositori di serie A (merito che comunque va per lo più alla coppia
Hetfield-Ulrich). Il pezzo centrale piu' intimista e le sfuriate degli
estremi del brano sono un nuovo inno per i fan della band che verranno
ricambiati del loro affetto con la trasformazione del pezzo con uno dei
classici della band live. Anche The thing that should not be, è al di sopra
della media e una spanna oltre qualunque altra band del periodo. Altro
masterpiece del lavoro e' Welcome home (Sanitarium) dove la band colleziona
la seconda ballad (o quasi) della sua. Il pezzo e' un affresco che alterna
tinte forti e tenui in un crescendo di emozioni fino all'esplosione finale
in cui il marchio di fabbrica della band emerge in tutto il suo splendore
.C'è poi disposable heroes, forse il pezzo più "strano" del
disco, ma al contempo interessante. Nonostante le parole estremamente crude,
non si può dire che non abbia un suo fascino che si distacca un po' dal
resto dell'album. Un discorso analogo potrebbe essere fatto per Leper
Messiah in cui non e' certo celato un tentativo della band di incanalarsi
verso i mid-tempos .Questa tendenza esplode pero' in Orion, una delle pagine
musicali più belle dell'intera carriera della band. Il futuro della band
sta tutto qui, ma ancora una volta nessuno guarda più in la' del suo naso:
Orion non e' una canzone fondamentale per capire l'importanza dello spaziare
nella musica della band, peccato che all'uscita venga presa come una bella
canzone e null'altro. L'album si chiude con Damage inc., il primo esempio di
incomprensione di un certo peso tra la band e chi scrive. Fra le favorite
del gruppo, non e' invece poi cosi' amata dallo scrittore, che la ritiene
piuttosto una canzone che fa numero, ma poco di più in un album tra i più
belli e importanti nella storia del metal.
…And
Justice for All
Il
disco comincia con Blackened, un pezzo ritmato e tagliente con cui ancora i
Metallica dimostrano una certa dose di cattiveria. A ruota segue uno dei
brani più lunghi del lavoro, la title track, quasi dieci minuti di cambi di
ritmo e break di sospensione. Indubbiamente un pezzo dal grande sforzo
compositivo e di esecuzione. Eye of the beholder e One sono senza dubbio i
momenti più belli di un disco difficile da suonare e da capire. La prima
delle 2 canzoni e' un cadenzato assalto sonoro estremamente coinvolgente,
almeno su disco. One invece e' una ballad in chiaro stile Metallica. Come
Fade to black e Sanitarium anche One parte a passi lenti e soppesati per poi
diventare una corsa sfrenata e cieca. E' il primo grande classico della
seconda era del gruppo il cui inizio coincide proprio con luscita di questo
album. Da One verrà tratto il primo video della band, un nuovo esempio di
quanto il nuovo corso sia diverso dal precedente. Il terzo lato del disco e'
l'unico con tre brani. Il primo di questi e' anche il più anonimo
dell'intero lavoro: Shortest straw. La sua presenza appare del tutto
superflua anche in virtù del fatto che non presenta niente di nuovo e che
non e' mai stata, obiettivamente, una gran canzone. I mid-tempo che comunque
avevano dominato le prime due facciate del disco (eccetto forse la brutale
accelerazione di One) sono ormai la base di tutto il lavoro. Il pezzo
successivo e' invece un nuovo cardine nella carriera artistica dei
Metallica: Harvester of sorrow e', per ritmi, riff e modo di cantare di
James, il ponte ideale tra passato, presente e futuro. Non e' infatti per
caso che il titolo del pezzo sia quello più nominato nelle interviste della
band nel periodo. In un modo o nell'altro, quel brano era alla base per il
passaggio allo stadio successivo ed anche chi non l'aveva capito ascoltando
il disco lo sapeva per certo: Lars e soci lo dichiararono esplicitamente ad
ogni pie' sospinto per almeno 2 anni. The frayed ends of sanity con le sue
parti corali iniziali risulta essere il brano piu' slegato dal contesto, ma
nemmeno di tanto. To live is to die lunga quanto la title track, ma
strumentale (se si eccettuano i pochi versi recitati verso meta', scritti da
Cliff Burton). Il brano, oltre ad essere chilometrico ed assai complesso nei
suoi sviluppi, ha anche un non so che di ripetitivo che si entra nella mente
subito, ma a lungo andare annoia: un peccato, soprattutto per la bellezza di
alcuni passaggi melodici di chitarra su cui, tra tutti, svetta quello dove
il suono della 6 corde per pochi istanti e' da solo e sembra uscire da una
veccia radiolina a transistor.... Uno dei passaggi più felici dell'intero
album. Justice si chiude con uno dei brani più sottovalutati dell'intera
carriera dei Metallica: Dyers eve. Unica traccia veloce del disco, ebbe la
sfortuna di non godere dei favori dei quattro che non la suonarono mai dal
vivo; un vero peccato perché e' un pezzo bellissimo.
The
Black Album : Metallica
Metallica
si apre con il singolo apripista, quella Enter sandman capace di trascinare
il disco in vetta alle classifiche di tutto il mondo. E' un brano diretto e
semplice, con un ritornello orecchiabile e tanta energia da far impressione.
Il secondo brano del disco, Sad but true e' veramente una nuova pietra
miliare nella carriera della band con quel suo incedere quasi ossessivo e le
parole sputate con rabbia da Hetfield;il ritornello non fa poi che aumentare
la tensione. Ecco che si capisce come già la band sia passata da un disco
ad un altro e come quella Harvester of sorrow sia l'anello di
congiunzione... e siamo solo al secondo brano. Terza in ordine di
apparizione e' Holier than you e la band rivela in tutta semplicità le
nuove mire rock che sembra essersi posta. Il pezzo seguente e' il
masterpiece del disco, la canzone che i Metallica erano anni che cercavano
di scrivere, l'esatto equilibro tra rabbia e dolcezza: The unforgiven. Tra
video, musica e testi non è presente nel brano nessuna imperfezione.
Indubbiamente. Wherever I may roam e' un pezzo fondamentale. Non solo dara'
il nome ai tour successivi, ma e' in tutto e per tutto il prologo di quanto
accadrà cinque anni dopo con Load. Don' t tread on me Il sesto brano
dell'album oscilla tra rabbia e leggerezza tradendo una matrice tipica del
gruppo. La scala usata nelle ritmiche e i cambi in levare a tratti rievocano
quanto fatto nel disco precedente su Eye of the beholder, gli assoli del
pezzo sono comunque rock e non metal. Through the never e' un brano che
potremmo definire riempitivo. Doveva accadere, era nell'aria, e alla fine ci
sono cascati: Nothing else matters e' la prima canzone d'amore della band, o
sarebbe meglio dire di James Hetfield. Sempre di più la band e' nelle sue
mani e lui sapientemente la riesce a guidare. E' solo una parentesi,
comunque, la successiva Of wolf and man, un pezzo basato solo su un gioco
ritmico, riporta la rabbia proverbiale della band a livelli normali. The god
that failed e' il primo heavy-blues (approssimato) della band dall'andamento
estremamente lento e le parole di James ad accompagnare le trame musicali
come un'ombra. E' comunque chiaro che il baricentro della band si sta
spostando dalle chitarre alla voce. Un arpeggio di basso ci fa entrare in My
friend of misery e la tristezza sembra voler dilagare. Complice ancora una
volta e' la voce di James che fa quasi tutto da sola. Sempre di più la
batteria e' solo un supporto, Lars ha abdicato di fronte all'importanza
delle canzoni, definitivamente. Il break centrale non e' che la conferma di
tutto questo anche se non e' cantato e sfocia poi nell'assolo. Il disco si
chiude poi con The struggle within e il suo cantato in levare.
Load
Ain't
my bitch, il brano di apertura del disco e' uno dei pochi in cui il ponte
con il passato si rivela concreto. The house Jack built ha un inizio lento e
suadente, appropriato ad una canzone interamente costruita sul mid-tempo
che, essendo dinamici, catturano subito a livello emozionale. Ancora una
volta la voce e' la cosa piu' evidente... i binari su cui andra' a viaggiare
l'intero disco sono ormai gia' chiari, anni luce da quanto la band ci abbia
fatto sentire. La potenza esplode di li' a poco e questo disco comincia a
piacere veramente. Ancora tanta melodia e armonie semplici ma efficaci sono
le caratteristiche del brano, o sarebbe meglio dire del disco. Strofe
ultrapesanti, ma un ottimo ritornello alleviatore... Until it sleeps: eccoci
al cospetto del primo singolo dell'album. Con King nothing tornano i
Metallica che siamo abituati a sentire negli ultimi 5 anni con una canzone
che riprende quanto sentito nel disco precedente, anche se con le venature
che caratterizzano questo Load. Bleeding me e' il secondo brano per
lunghezza dell'intero lavoro e fra le primissime posizioni per quanto
riguarda il valore. James ancora una volta supera se stesso con una
prestazione vocale da incorniciare. L'impressione che cominciamo ad avere e'
che Hetfield abbia preso lezioni di canto, il miglioramento ed il controllo
sono lampanti. Con Poor twisted me nasce un nuovo genere: il blues metal.
Qui la produzione di Bob Rock raggiunge l'apice con dei suoni al limite
della perfezione. La band, dal canto suo, suona un boogie lento, pieno di
effetti, che a tratti li fa cadere nell'autoincensatorio (come accadde ai
Led Zeppelin ai tempi di Phisycal Graffiti). E' forse il pezzo piu'
spiazzante del disco al di la' di ogni rallentamente e nuova direzione:
questa e' proprio un'altra musica. Wasting my hate: ecco la perfezione. I
Metallica raggiungono l'equilibrio tra il vecchio e il nuovo combinando i
riff potenti che tutti vogliamo sentire da loro con fraseggi melodici e la
voce di Hetfield che dilaga. Mama said dimostra che la svolta acustica era
solo questione di tempo. Thorn within, ovvero My friend of misery parte
seconda: almeno nel riff iniziale questa e' l'impressione, il cantato
melodico pero' allontana presto la sensazione di deja vu... almeno fino al
ritornello.. Non si venga pero' ingannati, il pezzo e' uno dei migliori. Il
quadro del disco comincia ad essere completo ma quello che ci appare non ci
spiace assolutamente. Ancora hard rock (o boogie?) per un pezzo ancora una
volta diverso come Ronnie. L'impressione e' strana, soprattutto per la
sensazione di danza macabra instaurata dai ritornelli della canzone cui si
alternano strofe pesanti come incudini. The outlaw torn e' il brano più
lungo, nonché l'ultimo. Come un'antologia ripercorre tutti i temi
principali del disco: pesantezza e melodia fuse in un connubio di estrema
armonia.
ReLoad
Il
disco si apre con un'esplosione di velocità: chi, sulle parole "Gimme
fuel, gimme fire, gimme that which I desire" non si e' ricordato dei
vecchi tempi di Fight fire with fire? Certo, forse un po' di differenza c'è
tra le due canzoni, ma sicuramente questa ha fatto sognare i vecchi tempi ai
fans più' nostalgici. Il titolo e' Fuel, una canzone che era pronta
(diciamo cosi') fin dal 1995, e testimone e' la precedente versione sul
singolo The memory remains dove la musica e' già definita, e solo le parole
sono diverse. Il pezzo seguente, Devil's Dance e' l'apripista di questo
disco, il brano che venne suonato per primo insieme a 2x4 prima dell'uscita
di Load: una grande introduzione di basso, accompagnata da liriche piuttosto
oscure e depresse. Eccoci giunto ad un masterpiece del lavoro: The
unforgiven II. Il collegamento con il Black Album e' lampante, per non
parlare di quello con la numero 1. La struttura e' la stessa, l'inizio pure,
il succedersi dei riffs. Better than you: questo e' forse il brano piu'
anonimo del disco, niente di speciale. E poi, un po' come nel caso di Cure,
il ritornello e' un po' monotono: sempre "better than you" seguito
dal coro in sottofondo che ripete la stessa frase... anche in questo caso
questa frase e' ripetuta un po' troppo, non vi pare? Tra gli altri brani, a
parte Carpe diem baby dalle liriche volutamente provocatorie (accentuate dal
titolo latino), e' molto bello Where the wild things are: un altro dei pezzi
migliori del disco, se non il migliore. L'inizio, rilassante e tranquillo,
lascia pero' intravedere dalle sue note il successivo sviluppo violento: la
canzone e' il risultato di un abilissimo compendio tra questi due cambi di
tema e di tempo, che la rendono un brano veramente interessante. E' poi
bello vedere di nuovo la firma di Jason Newsted in calce alla canzone, e'
bello sapere che c'e' anche lui e che ogni tanto gli viene in mente qualcosa
di utile. Continui cosi'. Prince charming: un ritorno alla velocità, un
brano musicalmente molto interessante, anche questo molto Black Album,
purtroppo pero' perde un po' nelle liriche, che sono un po' deprimenti, e
secondo me anche poco credibili. Pero' la canzone va rivalutata molto per
gli assoli lunghi e veramente pregevoli di cui e' ornata. Alla impetuosità
di Prince charming si oppone la rilassata tranquillita' di Low man's lyric,
se vogliamo una continuazione di Hero of the day, solo che stavolta non c'è
il duro cambio di ritmo. Tutta la canzone e' molto suadente e melodica,
dominata dalla voce eccezionale di James Hetfield che compie vocalismi
veramente notevoli su arpeggi bellissimi. Ancora una volta il disco cambia
bruscamente stile musicale: il brano seguente e' Attitude, forse il brano più
pesante dell'intero disco. Per concludere abbiamo Fixxxer, un brano che si
affianca a The outlaw torn, per lunghezza e struttura soprattutto.
Recensioni
di RockOL (www.rockol.it)
ReLoad
"Fuel"
è pura potenza. Bello tutto, anche se indubbiamente occorre ascoltarla più
d’una volta. "The memory remains" incede lenta e pasante come un
dinosauro fatto di tequila. La voce della Faithfull, prima donna ad apparire
su un album ‘Tallica, non ci sta troppo male. "Devil’s dance"
inizia cupa, à la Angelwitch...e cupa rimane. Un esercizio. Bello il guitar
solo. E poco altro. "The unforgiven II" si apre con un’intro
memorabile e si dispiega come una ballad power-rock con le contropalle.
Potrebbe diventare un classico. Davvero un grande brano. "Better than
you": sì, è potente, ma è anche una bella badilata di cose già
sentite. Per "Slither", incredibilmente, non c’é quasi nulla da
dire. Se non un "business as usual". Con "Carpe diem
baby" (bello il titolo, un po’ alla "Hasta la vista, baby"
di Schwarzy) si torna alle cose più tipiche degli Horsemen. Per fortuna.
"Bad seed", altro gradevole esercizio. Tutto qui. Vagamente
sperimentale "Where the wild things are", ma almeno tirano fuori
le palle e vanno giù sicuri. Bel pezzo heavy è "Prince charming",
niente da dire. Buone le intenzioni per "Low man’s lyric", ma il
tutto termina in un orribile pasticcio, dissennato e senza direzione. "Kerrang!"
è il settimanale inglese che, come ben sa chi legge la rassegna stampa di
Rockol, riesce a parlare dei Metallica anche quando i Metallica non stanno
facendo assolutamente niente. L’abnegazione di "Kerrang!", che
una volta era la Bibbia del metal ed ora parla di heavy ma non solo, alla
causa del gruppo è a volte perfino eccessiva. Quindi il loro 3/5 affibbiato
in sede critica al nuovo della band (15 novembre) suona come un campanello
d’allarme. Le nostre valutazioni sui singoli brani, come ad esempio per
"Slither", differiscono non poco dalle loro. Nell’esempio
indicato, a noi non piace per nulla e a loro sì. Ok, ricapitoliamo. "Kerrang!"
dà a "Re-load" un 3/5. Nello stesso numero assegna dei 4/5 ai
nuovi album dei Consolidated, dei December Moon, dei Dominion, dei Dwarves,
al "BBC sessions" dei Led Zeppelin e a "Queen works", la
compilation dei Queen. Punteggio uguale, 3/5, viene attribuito a "Sehnsucht"
dei semisconosciuti (al di fuori della Germania) tedeschi Rammstein.
Evidentemente c’é qualcosa che non quaglia. Alti e bassi continui,
intuizioni grandiose e cadute di tono, se non fosse veramente la "Part
2" di "Load" verrebbe da dire che si tratta veramente di un
album di transizione. Ma sappiamo che così non è: infatti "Re-load"
è stato scritto proprio nel 1995. Allora viene da chiedersi perché. Perché,
mentre avanza nuova gente come i Korn, i Type O Negative, i Marilyn Manson,
Lars e soci buttano fuori un album sostanzialmente vecchio? I fans lo
compreranno, e non sono neppure, alla fine, soldi buttati via perché in
giro vi sono cose molto peggiori, ma è l’insieme dell’operazione che ci
lascia scettici.
Garage
Inc.
Dopo
"Load" e "Re-load", album i quali, per usare un
eufemismo, hanno spiazzato la base dei fans, arriva ora un doppio album di
covers. Il primo dei due CD vede le "nuove registrazioni ‘98":
inizia male, ha un corpus centrale notevole e termina in modo scarso.
Vediamone alcuni estratti. "Free speach for the dumb" (Discharge,
1982) è buona per headbangare un po’, tra amici e nel dopobirra, ma
risulta piuttosto monotona. "It’s electric" (Diamond Head, 1980)
vede spuntare la potenza dei Four Horsemen, anche se il pezzo è quello che
è e dalla rapa, anche a strizzarla, non ci si cava sangue. Meglio "Sabbracadabra"
(Black Sabbath, 1973), con la differenza che sta tutta nel riff iommiano: un
grande pezzo hard. "Turn the page" (Bob Seger, 1973) è una
splendida sorpresa. Nella trascrizione dei ‘Tallica la canzone diviene una
ballatona dall’enorme trasporto, monumentalmente visionaria, perfetta come
colonna sonora per un film tragico ed epico al contempo. Per "Astronomy",
una delle composizioni migliori dei grandi Blue Oyster Cult, Hetfield e soci
non lavorano certo di bisturi. Non ricreano le sottili atmosfere
immaginifiche ed interstellari dei BOC, ma nella cavalcata finale
distribuiscono mazzate sonore che stenderebbero un bufalo cafro. A tratti
emozionante. Finale quasi da saltare. "Whiskey in the jar" (Thin
Lizzy, 1972) non è da buttare via del tutto, ma chi ha ascoltato
l’originale irlandese non può che mettersi a ridacchiare. "Tuesday’s
gone" (Lynyrd Skynyrd, 1973), che dire? I Metallica nelle vesti di
sgangherati southern-rockers sono credibili come dei finlandesi che si
mettono a fare una tarantella. Meglio lasciar perdere. E per la conclusiva
"The more I see" (Discharge, 1984) il pensiero non può che essere
uno solo: ragazzi, che palle. Il secondo dei due CD è interamente composto
da brani che i Metallica già avevano "coperto" su loro precedenti
emissioni ("Hero of the day", "The $5.98 EP", etc.) come
extra tracks di singoli. Detto questo, almeno per i fans più fedeli, detto
tutto. "Che casino", ecco come si apre la recensione del
settimanale Kerrang!, il quale nel numero 725 assegna all’album in
questione un modesto 3/5. Non per scimmiottare i colleghi inglesi, ma siamo
quasi d’accordo con loro. I Metallica, pur potentissimi, sempre
percussivi, sembra abbiano voluto essenzialmente proporci un divertissement,
a volte squisito, a volte poco più d’un amarcord che scade nel patetico.
S&M
Registrato
con la "San Francisco Symphony", orchestra statunitense attiva dal
1911, al Berkeley Community Centre di "Frisco" nei giorni 21 e 22
aprile 1999, il doppio dei 'Tallica è, come diligentemente annota la press
release, "il primo best dal vivo della band californiana". Best lo
è certamente perché i pezzi ultraclassici ci sono più o meno tutti, da
"Master of puppets" a "The memory remains", da "Nothing
else matters" ad "Enter sandman", ma ovviamente l'angosciosa
domanda è ben altra: i Metallica si sono rammolliti? E, in seconda battuta:
che bisogno c'era di un greatest hits con i fottuti violini sotto? Le
risposte non possono che essere: no (alla prima domanda), nessuno (alla
seconda). No, Kirk e l'allegra rifferia non si sono rammolliti. I pezzi
suonano tosti, tesi, potenti, quindi nessun asservimento ai canoni
orchestrali. Nessuno, di un greatest non c'era bisogno, tranne i due inediti
è tutta roba già stranota. Ma allora…perché? Francamente non pensiamo
che l'abbiano fatto per i soldi. Con 60 milioni di copie vendute, pacchi di
soldi in banca, i Metallica non hanno certo bisogno d'un altro paio di
miliardi in tasca. Propendiamo più per la tesi che Jason Newsted ha
raccontato, ci pare con sincerità, a Rockol, e cioè che è stato poco più
d'uno sfizio, un episodio destinato a rimanere isolato, una sfida a loro
stessi. Nessuno è obbligato a comprare questo doppio, non c'è una pistola
alla tempia, neppure a quella dei completisti. E' una sorta di greatest hits
con sotto i fottuti violini, tutto qui. I quali, detto per inciso, non
stanno poi neanche tanto male. L'orchestra insomma non copre la band, non le
toglie respiro, non la mette in affanno, non assume mai un ruolo
preponderante. Anzi, duttile si piega ad un James che marlonbrandeggia.
Anzi, colma in modo sottile il pentagramma. Anzi, sottolinea aggraziata le
tonanti linee di basso di Jason. Le novanta persone sul palco non fanno
precipitare il disco in un delirio d'onnipotenza wakemaniano. Poi è chiaro
che dal punto di vista "pratico" si tratta di un album
fondamentalmente inutile, ma brutto certamente non è. Una curiosità, un
documento, un flash sulle mosse attuali della band. Non un'indicazione sul
futuro, se non in modo obliquo. Da comprare? Scaricatevi un paio di pezzi
dai vari websites USA sui quali sono stati postati, poi decidete.
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