TESTAMENT
Cosa
si può dire dei Testament che non sia già stato detto? Una delle band
più importanti uscite della famigerata Bay Area (che nella seconda metà
degli anni 80 ha dato i natali a gruppi come Metallica e Stayer tra gli
altri); autori di un album d’esordio, ‘The Legacy’,
pubblicato nel 1987, che ha fatto gridare al miracolo più di un addetto
ai lavori grazie ad un sound veloce, potente e affilato come un rasoio;
capitanati da un gigante indiano che risponde al nome di Chuck Billy
che incarna perfettamente il prototipo del cantante thrash, capace di
essere aggressivo e graffiante anche quando usa la voce pulita; capaci
di incidere nel 99 uno dei lavori più devastanti degli ultimi anni che
risponde al nome di ‘The Gathering’… si potrebbe continuare a
lungo, ma è meglio andare con ordine.
I
Testament si formano attorno alla metà degli anni 80 a San Francisco;
la band inizialmente si chiama Legacy e vede impegnato dietro il
microfono Steve Souza che abbandonerà presto i suoi compagni per unirsi
agli Exodus. Souza viene rimpiazzato da Chuck Billy e la line-up a
questo punto è completa e comprende anche Eric Peterson e Alex Skolnick
alle chitarre, Greg Christian al basso (che nel frattempo aveva
rimpiazzato Derrick Ramirez, cugino di Peterson) e Louis Clemente alla
batteria. Il monicker nel frattempo viene ufficialmente cambiato in
Testament e la band fa il suo esordio nel 1987 con il già citato album
‘The Legacy’ che contiene alcuni dei migliori brani mai composti dal
quintetto, quali ad esempio la classica ‘Burnt Offerings’ o la
micidiale ‘C.O.T.L.O.D.’. Ad un anno di distanza vede la luce
l’ottimo ‘New Order’ che si muove sugli stessi binari del suo
predecessore: classico thrash metal sparato ed aggressivo come non mai.
La popolarità del gruppo cresce senza sosta e i successivi due lavori,
‘Practice What You Preach’ e ‘Souls Of Black’ non fanno che
aumentare l’attenzione nei confronti dei Testament. L’apice è
raggiunto nel 1990, quando il quintetto si imbarca assieme a Slayer,
Megadeth e Suicidal Tendencies nel terremotante tour ‘Clash Of The
Titans’ che mette sottosopra i palchi di mezza Europa.
A
questo punto l’armonia all’interno della band si incrina: si crea
una frattura interna che vede schierati da una parte Skolnick e Clemente
che vorrebbero evolvere il sound in una direzione più accessibile e ‘commerciale’,
dall’altra gli altri componenti che invece preferirebbero continuare
con sonorità pesanti e veloci. Il risultato di questa disputa è il
controverso ‘The Ritual’, un lavoro che non manca di fornire alcuni
ottimi spunti, ma che da’ l’impressione di non essere ‘né carne né
pesce’, continuamente in bilico tra i ricordi del passato e tentazioni
easy listening. Skolnick decide di abbandonare la band e promette di non
suonare mai più metal (salvo accasarsi poco dopo in casa Savatage…) e
Louis Clemente ne segue l’esempio pochi mesi dopo. I due vengono
rimpiazzati temporaneamente da Glen Alvelais alle chitarre e Paul
Bostaph alla batteria che consentono ai Testament di affrontare al
meglio tutti gli impegni del tour e di pubblicare l’EP dal vivo
‘Return To Apocalyptic City’, contenente anche il brano inedito
‘Reign Of Terror’. Bostaph in seguito abbandona la formazione per
unirsi agli Slayer orfani di Dave Lombardo e ancora una volta la line-up
viene stravolta: dietro le pelli viene chiamato come session man John
Tempesta, già all’opera nei White Zombie, mentre come secondo
chitarrista viene reclutato James Murphy, ex Death e Obituary.
La
nuova formazione registra il devastante ‘Low’, pubblicato nel 1994,
un album oscuro e pesantissimo che risente probabilmente del periodo
travagliato attraversato nei mesi precedenti e spazza via ogni dubbio
sulla direzione che Peterson e Billy intendono intraprendere. I problemi
però non sono finiti: Tempesta non partecipa al successivo tour (viene
sostituito da Jon Dette) e come se non bastasse i Testament sono
costretti ad abbandonare la loro label, la Atlantic, perché non
soddisfatti della scarsa promozione riservata a ‘Low’. Nel 1995 con
questa line-up il quintetto pubblica l’ottimo ‘Live At The
Fillmore’ attraverso la propria label, la Burnt Offerings. Ma i guai
non finiscono qui: Christian, Dette e Murphy abbandonano la band per
motivi diversi (Murphy vuole concentrarsi sul suo primo solo album, lo
straordinario ‘Convergence’) e il futuro dei Testament sembra ancora
una volta incerto.
Peterson
e Billy nel 1996 decidono di sciogliere il gruppo e si dedicano ad un
nuovo progetto chiamato ‘Dog Faced Gods’, aiutati dal batterista
Chris Kontos che ha appena lasciato i Machine Head. Le cose però non
sembrano andare per il meglio e dopo appena sei mesi anche questo
progetto naufraga. A questo punto i due mastermind non si danno per
vinti, si riappropriano del loro nome originario, richiamano con loro
Derrick Ramirez e Glen Alvalais, si avvalgono della collaborazione come
session man di sua maestà Gene Hoglan alla batteria e registrano
l’ennesimo album targato Testament, intitolato ‘Demonic’. Si
tratta probabilmente del lavoro più duro mai inciso dai due, brutale e
senza compromessi. La band riparte in tour ancora una volta, coadiuvata
dalla vecchia conoscenza Jon Dette che però abbandonerà per la seconda
volta i suoi compagni qualche mese dopo. Lungi dal volersi dar per
vinto, il duo Peterson-Billy si dedica senza sosta alla composizione del
materiale per un nuovo album, lasciando intuire che si tratterà di un
ritorno al passato a livello di sonorità. Le attese non vengono deluse
e il nuovo ‘The Gathering’, pubblicato nel giugno del 99,
risulta essere una delle migliori produzioni di sempre della band,
merito anche di una line-up che vede coinvolti musicisti del calibro di
James Murphy, Steve Di Giorgio e Dave Lombardo. E così la storia
ricomincia: un nuovo tour, una nuova line-up (stavolta dietro le pelli
siede Jon Allen, già nei Sadus) e dei fan che non vedono l’ora di
poter ammirare di nuovo la straordinaria furia live di questa
leggendaria thrash band statunitense. Allacciate le cinture di
sicurezza, siete stati avvisati…
DISCOGRAFIA
The
Legacy (1987)
Uno
dei migliori album d’esordio che si possano trovare in giro parlando
di thrash metal, non c’è ‘Kill ’em all’ che tenga: una furia
cieca che annichilisce letteralmente l’ignaro ascoltatore con ritmi
incalzanti, riff spaccamontagne e una grinta che è difficile trovare
nelle nuove leve. In poche parole un must, insomma. Non a caso molti
pezzi vengono ancora eseguiti regolarmente dalla band durante i propri
show.
New
Order (1988)
Niente
di nuovo sotto il sole: il solito ciclone inarrestabile i cui punti
forti sono la chitarra di Skolnick (non a caso considerato uno dei più
interessanti axe man della scena thrash) e la voce di Chuck Billy.
Ancora una volta ci sono dei pezzi che da soli valgono l’acquisto
dell’album, come ‘Eerie Inhabitants’, ‘Disciples of the Watch’
o ‘The Preacher’. Consigliatissimo, secondo alcuni addirittura
superiore all’illustre predecessore.
Practice
What You Preach (1989)
Un
terzo album leggermente inferiore alle aspettative: la velocità cala,
il songwriting si mantiene su buoni livelli ma non sempre riesce ad
essere così coinvolgente come in precedenza. La title track che apre
l’album resta comunque un brano storico della band, peccato che il
resto non entusiasmi come i dischi precedenti. Un buon lavoro, che
poteva sicuramente riuscire meglio.
Souls
Of Black (1990)
Ancora
una volta non vengono raggiunti I livelli eccelsi dei primi due lavori,
ma tutto sommato l’album risulta superiore al suo predecessore. La
title track risulta essere di nuovo il pezzo migliore. Da questo momento
in poi inizia il periodo buio nella carriera della band e la
dimostrazione è data dall’album seguente…
The
Ritual (1992)
L’album
della discordia, come si diceva. Il suono è profondamente diverso dagli
inizi, molto meno brutale e assassino, più rock oriented a tratti. Ciò
non toglie che pezzi come ‘Electric Crown’ o la splendida ballad
‘Return To Serenity’ (un auspicio forse?) siano ottimi, nonostante a
molti possano non sembrare all’altezza degli standard della band. E’
l’ultimo album con Skolnick e Clemente.
Return
To The Apocalyptic City (1993)
EP
dal vivo che dimostra quanto i Testament siano ancora vivi e vegeti,
nonostante i mille problemi. La resa sonora è buona e l’aggressività
dei singoli pezzi è intatta (sentire ‘Over The Wall’ per credere).
Un buon antipasto in attesa del seguente lavoro da studio.
Low
(1994)
Da
molti considerato l’album della rinascita, si tratta di un lavoro
molto pesante e per certi versi amaro (leggere i testi della title track
per credere). L’influenza di James Murphy e del suo inconfondibile
suono si fa sentire e dona all’album quella freschezza di cui ha
bisogno (‘Hail Mary’ è un esempio lampante). Un ritorno in grande
stile per una band che sembrava aver perso la bussola.
Live
At The Fillmore (1995)
Primo
full-lenght dal vivo per la band. Il risultato è ottimo, i brani vecchi
si amalgamano benissimo con quelli più recenti da ‘Low’ (non c’è
nessun pezzo da ‘The Ritual’…) e la band sembra in grande forma,
con un Murphy che non fa certo rimpiangere Alex Skolnick. Ennesima
conferma che i Testament sono tutt’altro che finiti - e lo dimostrano
con i fatti.
Signs
Of Chaos (1997)
Una
delle raccolte uscite nel periodo in cui non era chiaro se ci sarebbe
stato un futuro per i Testament. Come tutte le raccolte non rende
completamente giustizia alla band, tralasciando dei brani importanti, ma
tutto sommato può essere utile per farsi un’idea generale di chi
siano questi cinque californiani e cosa abbiano rappresentato con la
loro musica.
Demonic
(1997)
Le
sonorità si fanno ulteriormente più pesanti, quasi death, grazie anche
all’uso estremamente aggressivo della voce che si spinge spesso su
timbriche growl. Niente fronzoli, solo tanta violenza (il contributo di
Gene Hoglan in questo senso sembra determinante). Non sarà forse il
loro lavoro migliore, ma di sicuro è estremamente interessante e
grintoso.
The
Gathering (1999)
Un
album che sfiora il capolavoro. Basta dare un’ascoltata al brano
d’apertura, ‘D.N.R.’ per capire a cosa ci si trova di fronte. Non
c’è un solo pezzo debole, tutto sembra funzionare alla perfezione e
la presenza di Dave Lombardo alla batteria rende il tutto ancora più
dinamico e coinvolgente (pezzi come ‘True Believer’ o ‘L.O.T.D.’
sono dei veri martelli pneumatici, ad esempio. Una band che non è mai
stata così in forma
|