18 febbraio 1919
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J. M. J. F.

Barra do Corda, 18 febbraio 1919

 

Carissimi fratelli, sorelle, cognate e nipoti,

alla vigilia della tanta sospirata pace, vi invio ancora da Barra do Carda mie notizie.

Nelle mie solite disobrighe di salute l’anno scorso l’ho passato assai meglio degli altri anni. Il triste morbo che rubò alla nostra cara famiglia l’ottima cognata Marietta, invase purtroppo anche il Brasile specialmente Rio De Janeiro e Marauthau. Nella estesissima mia parrocchia di San Luigi Gonzaga la grippe (o influenza spagnola) fece una grande strage, basta dire che in una sola famiglia morirono 6 persone. Sul principio, vedendo che la malattia era attaccaticcia temetti anch’io di soccombere; mi raccomandai vivamente alla Madonna e, disposto a morire a vantaggio delle anime dei miei cari cabocchini, coraggiosamente mi dedicai all’assistenza assidua dei moribondi, ma felicemente dopo parecchie settimane il male scomparve, ed io rimasi perfettamente illeso. Siano rese adunque infinite grazie all’Altissimo Iddio e alla nostra buona e cara Mamma Maria Santissima per avermi protetto prodigiosamente senza io meritarlo.

In questi ultimi tempi lavorò molto in tutte le parti del nostro globo, ed io di ciò voglio trarne argomento a bene della anime vostre. Carissimi, in quale pazzia va a cadere quell’uomo che, occupato negli affari di questo mondo, non pensa all’avvenire, ai casi della propria anima; non pensa, dico, che dovrà morire e rendere a Dio strettissimo conto del suo operare.

Se noi fummo illesi dalle balle e dalla grippe spagnola, fu per solo per bontà di Dio, ma incerta è ancora la nostra fatale ora. “ Beato colui, dice il Signore, che sarà preparato quando io verrò a prenderlo”. E per star preparati, direte voi, dobbiamo abbandonare tutto e venire a chiuderci nel tuo convento ?..Dio volesse! ma poiché questo non può avvenire perché il Signore vi ha chiamato per altra strada, o meglio dirò, siccome il Signore vi vuole salvi per quella via su cui vi siete presentemente avviati, fa d’uopo che approfittate di quei mezzi che la presente vostra condizione vi offre, giacché voi ben conoscete che senza mezzi non si giunge ad alcun fine.

E questi mezzi quali sono? Li taccio perché sono persuaso che le saprete meglio di me, anzi vivo nella dolce e consolante speranza che li praticherete; ma non basta, mi tengo sicuro che voi siate veri cristiani, non solo di nome, ma anche di fatto; cioè di quei cristiani che calpestano il maledetto rispetto umano e s’accostano frequentemente ai SS. Sacramenti, di quei cristiani che operano sempre con la giustizia, di quei cristiani di illibati costumi e che sono di edificazione e di esempio al proprio paese. Oh! Qual consolazione per un padre di famiglia che trovandosi vicino a morire si vede circondato dai propri figlioli e può loro volgere queste care parole: figlioli, seguite il mio esempio, ascoltate i miei consigli, la mia memoria sia il vostro metodo di vita. Oh! Quali consolanti parole sono queste! Qual morte felice per quel buon padre!

Questo è appunto quello che vi auguro, questo è il fine che voglio ottenere col mio scrivere, e col pregare; perché questo è il maggior nostro bene, la maggior gloria di Dio.

Il bene che ho fatto nella vigna del Signore ultimamente superò di molto quello degli altri anni, grazie al cielo. Adesso voglio contarvi un fatterello che mi è accaduto l’altro giorno. Stavo scrivendo una letterona al mio ottimo R. P. Provinciale, quando dovevo sospendere la penna per andare a confessare un povero moribondo lontano da Barra do Corda 12 legnas (che equivalgono a 72 Km). Partii verso sera accompagnato dalla guida inviata dall’infermo stesso, colla speranza di raggiungere un piccolo abitato distante da Barra do Corda 4 legnas onde passare la notte. Ma non avvenne come la pensavo. Non avevo fatto ancora 2 legnas quando la bestia sulla quale io cavalcava, principiò a fare il diavoletto fino a tanto che si sdraiò per terra e non volle più fare un passo. Che fare? Interrogai attonito alla guida. L’unico rimedio, mi rispose, è lasciare riposare la mula e passare la notte qui in mezzo alla selva. E così si è fatto. Ma oh notte infelice fu quella per me! Non era soltanto la fame e la sete che si facevano sentire senza trovare nessun refrigerio, ma più che mi impensieriva era il timore di esser preda di qualche belva feroce, ché qui ce ne sono tante ed esse gustano specialmente camminare di notte. Al pensiero però che la mia guida stava munita di una buona arma, mi feci coraggio, mi adagiai sulla nuda terra sperando morfeo mentre la guida mi faceva da sentinella. Il letto però era troppo duro e morfeo ebbe paura e dovetti rassegnarmi ad alzarmi in piedi e, appoggiato ad un grosso albero, aspettai la luce del giorno che venisse a consolarmi. Quanto tardò, e ai primi albori proseguii il mio viaggio. Che volete? Sono incerti del mestiere, direbbe Beppo.

Avrei ancora molte cose da dirvi, ma le riserbo per un’altra volta.

L’anno scorso nel mese di marzo, vi ho mandato una letterona in che stava inclusa una diretta in particolare alla sorella Adele. Ebbene, finora non ho ancora avuto risposta alcuna. Forse, in occasione della guerra, le mie carte sono al fondo del mare. Voglia Iddio che anche queste non vadano smarrite. Fatemi il piacere a inviare quanto prima al nostro caro Giuseppino lo scritto qui incluso, perché non mi ricordo più del suo indirizzo.

Addio carissimi, vi abbraccio tutti, con tutta la forza del mio cuore, vivete felice, di quella felicità proveniente da Dio: siate buoni cristiani, amatevi a vicenda ed a vicenda compatitevi, siate buoni e non tralasciate le pratiche dei nostri vecchi: il Rosario.

Addio, mille baci ai miei buoni nipotini. Colla speranza di ricevere presto vostre notizie

 

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