24 febbraio 1915
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J. M. F.

Barra do Corda, 24 febbraio 1915

 

Carissimi,

eccomi finalmente a voi per darvi mie notizie, per mostrarvi che non mi sono dimenticato dei miei cari ed amati fratelli, sorelle, cognate, nipoti, zii, conoscenti ecc. ecc. come forse, vi sarà sembrato; tutt’altro, vi ricordo invece tutti quanti, ogni giorno, specie nel grande Sacrificio della S. Messa. Causa questo ritardo a scrivervi furono le mie disobrighe (o Missioni ambulanti) che durarono 7 mesi continui.

L’ultima lettera che ricevetti da voi fu quella della buona sorella Adele nella quale mi diceva che il fratello Pietro ha preso moglie ed è una brava ragazza. Siano infinite grazie al buon Dio che degnosse esaudire le mie povere preci, che sempre a questo fine erano dirette.

Il mio cuore mi portava a rispondere subito a questa lettera per inviare, al Pedrino e sua sposa, i miei auguri, le mie congratulazioni, ma la mancanza di tempo ha sempre impedito il desiderio ardentissimo del cuore. Questo benedetto tempo non permettendomi ancora di scrivervi prolissamente, a cadauno di voi in particolare, come sarebbe il mio desiderio, questa mia servirà per tutti voi.

Quanto alla mia salute, grazie alla Divina Provvidenza, mi trovo ancora nel medesimo stato di quando vi ho lasciati, e lo stesso voglio sperare di voi tutti. Sono tante le cose che voglio dirvi che non so come principiarle. Anzitutto vi dirò che, dal primo di Gennaio fino alla fine di Maggio dell’anno p. passato, l’ho passato in Convento. In questo tempo predicavo soltanto nelle domeniche, preparavo le prediche necessarie per le Missioni ambulanti, e lasciavo il sacro recinto solamente per confessare i poveri moribondi che succedevano frequentemente. Questo tempo è proprio l’epoca delle piogge continue e quante volte dovetti camminare sotto la medesima facendo molti chilometri per confessare i poveri ammalati!... E’ ben vero che anche qui si fa uso dell’ombrello ma, come già sapete, non avendo altro mezzo per viaggiare se non l’andare a cavallo, perciò, è come se l’ombrello non esistesse e che avviene?... avviene che dopo aver amministrato tutti i SS. Sacramenti al morente, si è costretto a coricarsi nella rete tutto bagnato come un pulcino. Che bel dormire!...

Classico è il seguente fatto. Era la vigilia dell’Ascensione di N.S. Gesù C.; io stavo studiando la predica per quella solennità, quando sento battere la porta del Convento. Era un uomo che ansante veniva a chiamare un Sacerdote per confessare un moribondo. Io interrogai subito: è lontana questa confessione?... No, egli mi rispose, è lontana soltanto 24 legnas. Una legna qui è come 6 chilometri dei nostri. 24 legnas per l’andata e 24 per il ritorno fanno appena 48 legnas cioè 288 chilometri. Pochi minuti dopo colla benedizione dell’ottimo mio Superiore partivo dal Convento tutto allegro, pieno di buona volontà ed in perfetta salute. Cammin facendo seppi dalla guida che il moribondo erano più di 20 anni che non si confessava e che desiderava proprio ardentemente lavare la coscienza, prima di morire, con una santa confessione.

Temendo di non arrivare in tempo, cominciai a spronare il cavallo con tutta la forza, ma che avvenne?... E’ ben vero che in meno di due giorni e due notti io stava già al capezzale dell’ammalato ma, se questi non moriva poco tempo dopo, io potevo francamente affermare che il mio stato di salute era molto più grave del sopraccennato moribondo. Una febbre tanto forte penetrossi nelle mie ossa che mi mancava soltanto il morire e questa mi abbandonò solo dopo 10 giorni. Offrii il tutto a Gesù benedetto, e se morivo allora, morivo soddisfattissimo, sapendo d’aver fatto il mio dovere.

Con tutta facilità si prendono queste febbri malariche originate dalle continue piogge e dal bere acque molte volte putrefatte, perché costretti dalla sete. Se vi fossero almeno medicine preparate a ciò, sarebbe meno male, ma il peggio è che qui non solo non esistono case farmaceutiche, ma neppure il medico. Nelle malattie, è preciso che ciascheduno faccia il medico di se stesso. Sarebbe stata cosa ottima se io avessi potuto studiare un poco di medicina per poterla poi applicare a questa povera gente e così esercitare anche questa sorte di carità!... ma nemo dat quod non habet dice il proverbio.

Un’altra volta fui a battere la porta dell’altro mondo. Sentite: era di ritorno dell’Alto Allegri (luogo ove gli Indi massacrarono, a pochi anni, cristiani, monache, frati[1]).

Già da un mese continuavano le piogge e le acque del fiume Corda ingrossarono tanto che strariparono. A una certa distanza prima d’arrivare al Convento la strada passava proprio sulla riva del detto fiume, ma accertato da alcune persone che di la avevano passato poco tempo prima, che non aveva nessun pericolo il transitare, continuai il mio viaggio. Oh non l’avessi mai fatto!... Il cavallo sopra il quale io viaggiava, mettere piede nell’acqua, abbandonare il cammino, e cadere nel fiume fu la stessa cosa. Immaginarsi!... Io da solo, non sapevo nuotare, non potevo gridare aiuto perché lontano ancora dall’abitato, soltanto mi restava che raccomandare l’anima a Dio, come di tutto cuore ho fatto.

Ma ancora una volta il buon Dio ebbe misericordia della mia povera persona, e volendo servirsi ancora di me, come suo semplice istrumento per fare un poco di bene, misteriosamente mi salvò dalle acque che volevano ingoiarmi. Quello che passò in me in quella spaventevole ora, più non me lo ricordo, ma mi ricordo benissimo che mi raccomandai a tutti i Santi in Paradiso e appena che invocai con grande fede l’augusto nome di S. Antonio, mi trovai fuori pericolo, perché il cavallo cominciò a nuotare, ed io con un santo coraggio, guidando le redini sulla direzione del cammino, in un attimo fummo al sicuro. Siano infinite lodi e ringraziamenti all’Altissimo ed al glorioso S. Antonio di un tanto favore da me certo non meritato.

Ora due parole al riguardo delle mie missioni ambulanti che durarono 7 mesi continuati, cioè dalla fine mese di maggio, fino all’ultimo giorno dell’anno prossimo passato. Sarebbe proprio perdere il tempo se volessi descrivervi tutto ciò che si passa fuori di Convento missionando, perché bisognerebbe compilarvi un grosso volume sprecando il tempo che mi è tanto prezioso. Soltanto mi limito a dire che io in queste sì lunghe disobrighe, trovando sempre un gusto da matto, perché i frutti che si ricavano per il Cielo sono copiosissimi.

Predico 2 o 3 volte al giorno, battezzo, benedico i matrimoni, confesso, e poi stanco morto mi abbandono ai brevi ma sempre dolci riposi. Che bella vita lo star sempre lottando per la giusta causa del Signore!... è ben vero che frequentemente passo giorni soffrendo la fame e la sete, ma si avvera sempre ciò che sta scritto nel Santo Evangelo, cioè che l’uomo non vive solo di pane ma di tutta la parola del Signore. Sì, carissimi, le consolazioni spirituali sono tante che provo nell’esercitazione del sacro Apostolato da preferire sinceramente la fame e la sete ai grassi capponi della Brianza.

L’anno scorso fu proprio l’anno delle malattie. Pira, sarampo (che è il nostro vaiolo), papera, boba (una specie di colera), lebbra, malattie tutte contagiose. Io, sempre in mezzo a questi poveri infelici col crocefisso alla mano, consolandoli, esortandoli, incoraggiandoli a soffrire un poco per l’amore di Gesù C. ché, prima di noi, ci diede plenari esempi. Nonostante che quelle malattie ci circondavano da tute le parti, pure, tutti i Missionari furono illesi dal crudele morbo. Non vi sembra questa una vera e lampante speciale protezione del Cielo?...

Per non andare più per le lunghe, vi voglio mettere sotto i vostri occhi uno specchietto del bene che ho potuto fare coll’aiuto del buon Dio, della nostra carissima Madre Maria SS. In quei soli 7 mesi di disobriga tacendo però quello che ho potuto fare, dal Gennaio al Maggio, stando in Convento:

Battesimi N. 1418 (dei quali 995 fra figli legittimi e legittimati, 423 figli illegittimi)
Cresime N. 8
Confessioni N. 5685
Estreme unzioni N. 47
Matrimoni N. 241 (dei quali più di 80 vivevano nel più brutale concubinato)
Prediche N. 342 (senza contare i fervorini che vi si fanno tutte le volte che si benedice i Matrimoni)

Carissimi, se l’Europa tutta sta già soffrendo i tristi effetti della guerra, anche il Brasile sta soffrendo la fame; e la causa di ciò non è soltanto l’attuale guerra come anche il grande abbassamento di prezzo della borracia (gomma), principale ricchezza del Brasile.

Gli uomini attaccati alle cose di quaggiù si scostarono dall’Ovile di Cristo ed il Celeste Pastore li vuol richiamare per mezzo del flagello. Corrispondiamo a questa misteriosa voce perfezionando sempre più la nostra condotta, e Dio sarà con noi, e possedendo Dio, di che temeremo?...

Scrivetemi frequentemente, che le vostre notizie mi sono sempre care. Se non riceverete subito la risposta alle vostre carissime, non pensar male, perché sarà segno di grande occupazione. Mi ricordo ancora della promessa fatta alla sorella Carolina cioè che le avrei scritto di quando in quando in particolare, ma ancora non mi è dato di soddisfare il suo desiderio. Del resto, quando io vi scrivo dirigo il mio scritto al fratello Luigi perché il più anziano, egli poi penserà a presentarlo a tutti voi.

Non è la stessa cosa forse che scrivere a ciascuno di voi in particolare?... La sorella Adele come sta di salute?... Come voi tutti vi diportate nell’aspro sì, ma soave, cammino della salute eterna?... Amiamo il Signore, serviamolo proprio con generosità che ben se lo merita. Carissimi! Benché lontani di corpo, stiamo uniti tutti nei cuori Santissimi di Gesù e di Maria ed Essi ci ricompenseranno in cielo. Pregate, pregate tanto per me.

Un bacione a tutti i miei nipotini. Addio vostro aff.mo

fratello Natale - Missionario C.

N.B. è già da molto tempo che non ho notizie dalla nipote Giulia. In quale convento si trova? Ditele che mi scriva qualche bigliettino. Doveri a tutti i besanesi, specie ai nostri RR. Sacerdoti, Don Leonardo, Don Giovannino, ecc. ecc. Auguri e congratulazioni al novello Sacerdote Don Giuseppe Mambretti e a tutta la sua famiglia. Il mio indirizzo è sempre quello: Maranhão.


[1] Il 13 marzo 1901, nelle prime ore dell’alba, furono massacrarti quattro frati, sette suore e 250 cristiani dalla furia omicida di indios Guajajaras

 

 

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