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§ 4: ACHERONTE

 

Giunti sulla riva del terzo fiume, lo scienziato si sentiva poco propenso ad immergersi in ciò che gli pareva calce viva e molto calda; così, per prendere tempo, chiese: "Hai detto che questa è la spiegazione classica dell’oltretomba. Ma allora, che fine hanno fatto gli altri dèi greci?". Col sorriso indulgente di chi concede un attimo di raccoglimento ai titubanti, Caronte rispose: "Gli unici contatti erano tenuti tra me ed Hermes, che si guardava bene dall’immergersi anche solo nel Lete. Per questo bisognava suonare un corno con un suono molto basso, per chiamarmi! L’occasione l’ ho avuta quando hanno tentato di far entrare un fanciullo raccomandato per conoscere anche l’ADE. Un bravo ragazzo, per la verità; ma non dovevano farmelo pesare come un sopruso!".

Il suo sguardo si accigliò in un modo che indicava chiaramente che non si sentiva inferiore a nessuno: l’esatto limite tra l’orgoglio e la presunzione. Ed il suo era un orgoglio ben meritato! Dopo una breve pausa, per accertarsi che lo scienziato non fraintendesse i suoi sentimenti, Caronte continuò:

"Giunti qui, al limite invalicabile del mio regno, li feci salire sulla barca, la cui pertica era in realtà la mia falce, cui avevo tolto il manico laterale. Nel bel mezzo del fiume, all’ennesima distrazione di Hermes, con un rapido colpo ho tagliato in due la barca e le sue gambe, lasciandolo affondare. Da allora qui si passa a piedi!". Con un ghigno che indicava la sua immensa soddisfazione, proseguì: "prima o poi i vari e cosiddetti dèi hanno dovuto venire a farmi visita; e l’Acheronte non perdona: qui si abbandona, o meglio, si purifica il corpo. Solo il mio amico è giunto qui con un corpo già puro. ". Lo scienziato notò che il volto di Caronte si illuminava solo quando parlava di questo suo amico; erano gli unici momenti in cui si poteva anche sopportare il suo sguardo. Il suo accompagnatore concluse: "Anche quel ragazzo cadde nel fiume, ma riuscii a sollevarlo che aveva immerso solo le gambe: la sua giusta punizione per essersi lasciato comandare, invece che scegliere, per diventare un grande. Il suo nome era Erittonio."

"E Achille di Ftia?", chiese ancora lo scienziato. "Trasportato fin qui e bagnato a terra con l’onda sollevata da un poveraccio gettatoci per lui. ", rispose spazientito Caronte, "Per questo preferivo Ettore, che era così naturalmente. Ma un buon guerriero non deve seguire una causa sbagliata, se vuole arrivare all’ADE. Questo i Cimieri lo avevano capito benissimo." E, chiudendo la discussione: "Avanti, nella calce! Tanto con me il tuo corpo lo devi perdere comunque. Pensa che per me è sempre un fiume di mercurio freddo!".

Lo scienziato protestò: "Ma avevi promesso di spiegarmi…". "Va bene!", tagliò corto Caronte. "Acheronte vuol dire senza mani, perché è nella posizione delle mani, la risposta che cerchi. Così come se le frega chi desidera avere qualcosa; le intreccia chi non vuole perdere qualcosa; le porta alle tempie chi si affida solo al suo ragionamento; le allarga chi riceve qualcuno che ritiene affettivamente importante, come ha fatto il mio amico con voi; le allarga rovesciate chi disprezza qualcuno (nel gesto del ‘ti faccio un culo tanto ’); le unisce chi finalmente ha intuitivamente capito, anche se non consciamente come te quando mi hai chiamato. ". Ed iniziò a guadare il terzo fiume, col metallo liquido che gli arrivava appena sopra le spalle. "MA…", tentò di protestare lo scienziato. "La risposta scientifica l’avrai solo dall’altra parte!", rispose duramente Caronte. E concluse: "E non fartelo sempre ripetere:…". "Ho capito, ho capito: Dentro!", commentò tristemente lo scienziato. E si gettò col naso chiuso nell’Acheronte, sprofondando completamente, ben oltre il capo, nella calce viva.

Caronte dovette attendere un bel pezzo, prima che lo scienziato smettesse di urlare; e quasi altrettanto, prima che emergesse. Quando raggiunse la riva, gli disse: "ne avevi di cose da abbandonare, eh? Benvenuto nel regno delle ombre: o dei fantasmi, se preferisci. Come lo vedi?". Lo scienziato si ricordava che aveva visto com’era per lui il fiume, e rispose per correttezza: "Come una tiepida notte di luna,". E, dopo essersi guardato intorno, aggiunse: "Ma stavolta non vedo proprio nessuno. ". "Avrai notato", disse Caronte, alzandosi "come qui la terra è soffice e non vi sono asperità. Questo è come un cimitero dove le anime possono riposare e riflettere, senza essere disturbate neppure dalle altre anime presenti. Solo una grande amicizia tra due che sono arrivati fin qui, li può mettere in contatto: è quando poi nascono dei gemelli. O qualche medium mosso dalla disperazione di chi lo interpella; ma deve sperare che il chiamato sia ben disposto, o sono guai seri. Chi invece da qui vuol tornare da chi ha lasciato, deve amare a tal punto da commuovermi, o non c’è niente da fare. ". E, incamminandosi un’altra volta, aggiunse: "Chi invece vuol tornare alla vita, deve passare anche il prossimo fiume, e tornare indietro; ma quando arriva dimentica di essere stato qui. ". "Oppure deve sottoporsi al giudizio di chi è uno e trino per entrare nell’ADE.", disse lo scienziato raggiungendolo. E, dopo alcuni passi, chiese: "Non mi hai detto come lo vedi tu. E poi mi devi ancora una spiegazione. ". "Lo vedo come illuminato dal sole di mezzanotte, e con lo stesso gelo del polo.", rispose Caronte girandosi a guardarlo, ma continuando il cammino.

Quando udirono di nuovo uno ‘ stormir di fronde ’, Caronte si mise di fronte all’anziano, egli disse: "Ho promesso al mio amico di non costringere più nessuno a passare il Flegetonte contro la sua volontà. Ormai ci siamo! Assicurami che lo attraverserai subito dopo, ed io ti mostrerò la soluzione di tutti i tuoi sforzi nello studio. ".

L’anziano sapeva che avrebbe potuto avere la risposta senza promettere nulla; ma sapeva anche che il suo tristo compagno conosceva il suo desiderio di conoscere colui che era uno e trino. Così formalizzarono l’accordo, per liberarsi entrambi da dubbi e da possibili giochetti logico-legali da avvocato. Caronte concluse: "Allora andiamo!".