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"DONNE AL LAVORO- WOMEN AT WORK"
di Maja Bajevic
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La mostra personale di Maja Bajevic in corso a
Venezia (alla Fondazione Bevilacqua La Masa) è la prima personale
dell'artista nativa di Sarajevo in una sede pubblica italiana.
La mostra si
svolge nell'atmosfera cupa e al contempo domestica di Palazzo Tito, un
luogo scelto già da artisti come Marlene Dumas, Karen Kilimnik,
Richard Hamilton per le marcate caratteristiche dei suoi vetri, delle
sue bifore, dei suoi pavimenti in legno antico.
Il pubblico
accede in questa casa tutta veneziana trovandosi subito imprigionato
in una stanza resa impraticabile da una rete di filo spinato. Una
serie di donne che lavorano normalmente presso la BLM usano questa
griglia come telaio e rendono inoffensive con del filo di lana le
parti più pericolose dell'installazione. "Repetitio est mater
studiorum" è il titolo di questa installazione/performance, alludendo
anche al ruolo di docente che l'artista ha da tre anni all'Università
Iuav di Venezia. Il lavoro fa parte della serie di opere "Women at
work", in cui Maja Bajevic ha chiesto a donne di luoghi specifici
(Sarajevo, Istanbul, Barcellona) di lavorare per lei e di usare la
manualità femminile come riparo all'aggressività del nostro tempo e
come maniera di mantenere la memoria storica.
Nelle altre
stanze, raggiungibili con un attraversamento coraggioso della prima
sala, saranno visibili i video di altre tre realizzazioni della
medesima serie, "Women at Work - Under Construction", "Women at Work -
The Observers", "Women at Work - Washing up" e inoltre fotografie
dalla serie Merry Christmas and a Happy New Year.
L'ultima stanza
vedrà un riferimento alla performance "En attendant", ambientata sopra
un prato vero, argilloso, animato da lombrichi; sul muro una serie di
frasi scritte a mano dicono <<A volte penso che non so niente, E sto
meglio. E penso che potrei andare via, da qualche parte, correre via,
perché no?>>.L'ultima stanza ci mostra su di un monitor "Here's to
Looking at You, Kid": il viso dell'artista sembra piangere argilla
nera come un clown che, struccandosi, perde la sua allegria e ci
mostra la sua vera disperazione.
Prigionia,
sapere femminile, difficoltà di condividere ma anche di sopportare la
solitudine e ogni forma di costrizione: questi i nodi che si
intravedono dietro a opere, dalla prima, una performance inedita che
diverrà un'installazione, alle altre che abbracciano i trascorsi dieci
anni di attività dell'artista. Il risultato è un percorso di grande
suggestione emotiva, che ci parla di una condizione individuale che è
anche specchio di uno stato d'animo collettivo e di una condizione
storica di vertigine.
Riportiamo, in questa pagina, alcuni testi scritti
dall'artista a corredo delle opere intitolate "Women at work", ed
infine il testo poetico che accompagna l'installazione "En attendant".
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"WOMEN AT WORK" (2001)
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<<I messaggi politici hanno sempre avuto e
sempre avranno un significato temporaneo e, quando li contestualizziamo in
periodi diversi, diventano completamente assurdi.
LAVARE via il peso della storia, espresso da messaggi politici famosi
dell'ex-Yugoslavia, è una reazione alla violenza che la politica può
esercitare sul nostro intimo. Assieme a tre rifugiate bosniache ho
ricamato su una stoffa molto fragile tre frasi famose di Tito, una delle
quali recita: "Un paese che ha una gioventù come la nostra non deve
preoccuparsi del futuro". I suoi detti sono stati ricamati in bosniaco, in
turco e in inglese. Il significato di questi slogan politici è stato
lavato via dagli eventi nell'ex-Yugoslavia ed è diventato piuttosto
ironico.
La
presenza delle rifugiate rende questo fatto ancora più ovvio. Il processo
di ricamatura che ho filmato a Sarajevo è mostrato su un semplice schermo.
La performance, che dura cinque giorni consecutivi, si è svolta in un
hammam (bagno pubblico) femminile a Istanbul durante l'apertura della VII
Biennale di Istanbul. All'evento potevano assistere solo donne che,
invitate a partecipare attivamente, potevano accedere passando attraverso
il rito del bagno purificatore. Io, Z.E., F.E. abbiamo lavato in
continuazione la stoffa ricamata con slogan politici fino a strapparla.
In questo modo, abbiamo distrutto una
cosa che avevamo creato noi, come fa spesso la storia. L'atto di lavare ha
una connotazione sacra in molte culture. Psicologicamente, lavare è
considerata una tipica reazione femminile al dolore, alla perdita, alla
morte o allo stress. L'ultima possibilità di controllare il nostro destino
è lavare, pulire lo sporco del mondo esterno e la penetrante influenza che
esercita su di noi>>.
WOMEN
AT WORK - THE OBSERVERS (2000)
<<Il famoso dipinto Regentesses of the old men's almshouse
(1664 c.a.) del pittore olandese Frans Hals è servito come
punto di riferimento per questa fotografia. Mettermi in scena con
quattro rifugiate di Srebenica nella stessa posizione e con gli
stessi vestiti dei modelli di Hals è servito a mettere in
discussione le solite immagini e i soliti pregiudizi che la gente
nutre nei riguardi dei rifugiati. Il secondo livello di
riflessione è il ruolo degli osservatori olandesi presentato
tramite un remake di un dipinto realizzato in stile
olandese-fiammingo. I soldati olandesi facevano parte degli
osservatori delle Nazioni Unite che dovevano proteggere Srebenica,
ma in realtà hanno lasciato che la città cadesse nelle mani
dell'esercito serbo. Il massacro e la pulizia etnica della
popolazione maschile musulmana sono avvenuti nel luglio 1995. Al
ritratto di gruppo ha fatto seguito una performance al Chateau
Voltaire in Francia, dove io e le rifugiate abbiamo passato
giornate intere a cucire e a ricamare tranquillamente. Eravamo
accompagnate da un'artista di Sarajevo, Alma Suljevic, che ha
cercato di dipingere il nostro ritratto di gruppo a olio. In tal
modo, tutta la costellazione era un gioco di apparenze, mentre il
ruolo di ciascun partecipante risultava leggermente distorto. Né
le rifugiate erano nobildonne che vivevano nel castello, né
l'artista che ci stava "osservando" e ritraendo era una pittrice
esperta di pittura fiamminga>>. |
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<<In
questa performance collaborativa di cinque giorni ho lavorato assieme
a cinque rifugiate. Abbiamo ricamato dei motivi sulle impalcature
della National Gallery of Bosnia and Herzegovina, che era in fase di
ricostruzione. In tal modo il folklore ( i nostri ricami) si è unito
al tesoro di opere d'arte della National Gallery, proprio come la
storia antica e recente del nostro paese. Contemporaneamente si è
stabilito un rapporto tra il lavoro "maschile" sulle impalcature e il
lavoro manuale femminile eseguito in pubblico>>.
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EN ATTENDANT
(1995)
Sometimes I want to scream, run,
sleep...
Sometimes I think that I don't
know anything,
And I feel better.
And than I think maybe I could go
away somewhere,
to, so to say, run away, why not?
My Legs are the fastest in
running,
my hands two weather vanes,
scatterbrains,
my head a balloon,
and my Legs?
Not had at all for runaways,
so to say, they were made for it.
And than I think...
But I have been standing too long
and the earth has already gotten
used to the shape of my feet. |
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