FRENIS zero | ||||||||
Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte | ||||||||
Georg Baselitz
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Prima parte. "1984 Genève". Foto di Jean Mohr Georg Baselitz sembra affabile quasi in modo perfetto per una persona la cui arte - dalle aquile agli uomini ai cani, molti dei quali (rappresentati) sotto-sopra - ha lacerato la struttura della pittura e della scultura tradizionale tedesca. Le sue tele e sculture hanno cercato di imprimere il loro residuo agitato, spesso torturato sulla coscienza dell'arte contemporanea - una coscienza che se è troppo consapevole dell'artista allora non è sempre accettante della sua visione scomoda. La sua risposta a coloro che hanno trovato il suo lavoro brutto segue la linea del ragionamento a cui egli ha aderito dagli esordi della sua carriera. Se egli sta influenzando qualcuno in modo così forte e negativo, se essi ricordano quello che hanno visto, dice Baselitz, allora egli sta facendo qualcosa di buono. Dopo una carriera di tre decadi di successi nel Continente, Baselitz sta avendo la sua prima autentica retrospettiva al Guggenheim Museum a New York, dal 26 maggio al 17 settembre (1995, N.d.T.) . Sebbene ci sia voluto molto tempo perché una retrospettiva del suo lavoro raggiungesse le nostre sponde, ciò non è il tipo di problema che riguarda Baselitz, come egli ha chiarito nell'intervista che segue. DEBORAH GIMELSON: Vorrei poter parlare in tedesco, ma non lo so. Possiamo provare a parlare in inglese, con una traduzione, e vedere come va? TRADUTTORE: Sì, O.K. [Nota editoriale: nella prima parte di questa intervista, condotta per telefono il 22 marzo, l'interprete era l'assistente di Baselitz, Detlev Gretenkort.] DG: Bene. Congratulazioni per la prossima retrospettiva al Guggenheim. Lei ha avuto un enorme successo in Europa per molti anni, e mi chiedo cosa lei pensi sul motivo per cui ci sia voluto così tanto tempo per avere una mostra come questa in America. GEORG BASELITZ: Non ho la sensazione che ci sia voluto così tanto tempo. DG: Anche se tendiamo a dare retrospettive di artisti degli anni '30 e '40 in America? GB: Lichtenstein era molto più vecchio di me quando ebbe la sua prima retrospettiva in Europa. DG: [ride] Uh-huh! O.K. Cosa pensa lei delle differenze che ci sono tra fare mostre in Europa ed in America? GB: Per me, l'America è una grande situazione sconosciuta. Non vedo l'arte come intrattenimento, perciò non so esattamente come reagire. DG: Perché lei non vede l'arte come intrattenimento? Non capisco dove lei vuole arrivare. Lei pensa che il pubblico americano veda l'arte come intrattenimento piuttosto che come arte? E' questo che lei sta dicendo? GB: L amaggior parte di ciò che dagli USA viene in Europa ha qualcosa a che fare con l'intrattenimento. Non posso immaginare artisti negli USA che abbiano lo stesso genere di posizione isolata che abbiamo noi qui in Europa. Ho la sensazione che si viva in maniera più pubblica negli Stati Uniti.
DG: Hmmm. Ad ogni modo, so che lei viene dall'Europa dell'Est. Mi chiedo cosa abbia significato per lei crescere all'Est nel dopoguerra. Quale tipo di opportunità e di ostacoli si sono messi sul suo percorso? GB: Quando finì la guerra nel 1945, il luogo in cui si trovava la nostra casa, che si trovava nel centro della Germania, divenne ed ancora è parte del confine con la Cecoslovacchia e con la Polonia. Avevo sette anni. Crebbi nella Zona Orientale, che nel 1949 divenne Repubblica Democratica Tedesca. DG: Sto cercando di arrivare a ciò che si avvicina a lei. In America c'è, e c'è stata, una resistenza rispetto all'arte tedesca della sua generazione del dopoguerra. Non sono così sicura che questa resistenza abbia solo a che fare con le idee del nazismo, che stava affermandosi mentre lei stava crescendo. Credo che essa abbia anche molto a che fare col fatto che certi tipi di arte possano essere stati associati al fascismo - ad es., l'espressionismo. Si è fatto riferimento a lei come al più grande neo-espressionista vivente. Come lei reagisce al fatto di essere chiamato così? GB: Sono diventato un artista a motivo della possibilità che mi fu data di svilupparmi in un altro modo, in quanto non volli seguire le stesse linee degli altri intorno a me. Sono stato educato nella prima Repubblica Democratica Tedesca, il che voleva dire che una figura individuale doveva essere... come un soldato nell'esercito, lo sa? DG: Parte del quadro più grande. GB: Sì, parte del quadro più grande. Dapprima, cercarono per circa un anno di farmi capire che dovevo dare un contributo al sistema. Quindi dopo un anno, scoprirono che io ero troppo pazzo per tali cose, e mi fecero interrompere la scuola. [DG ride] Perciò questo fu il mio inizio all'Accademia [di Belle Arti e di Arti Applicate] a Berlino Est. Quindi andai a Berlino Ovest e continuai lì a studiare.
Lockiger DG: Quando lei andò a Berlino Ovest? GB: Fu nel 1957. E lì scoprii che la Germania è una sorta di provincia. Non sapevo nulla sull'espressionismo, sul Bauhaus, sul Dada e sul surrealismo. Non ero educato, anche nel parlare - e chiunque altro era più o meno poco educato. Alla scuola d'arte [Accademia di Belle Arti] a Berlino Ovest, le grandi influenze provenivano da Parigi. Quel genere di persone non esiste più in Germania, poiché sono dovute tutte andare in esilio. Ero molto interessato in queste cose francesi, ma ben presto scoprii che l'esistenzialismo non era congruo con il mio pensiero. Allora, nel 1958 alla scuola d'arte, ci fu una grande mostra americana. Fu una gran mostra organizzata dal MoMA [Museum of Modern Art], con tutti quei dipinti di Pollock, Motherwell e Rothko.
Elke
I DG: L'espressionismo astratto. GB: Sì. Stava viaggiando per tutta l'Europa. Era la mostra più grande e più magnifica che io avevo visto da tanto tempo, ed immediatamente scoprii che persino ciò che avevo visto a quella mostra non funzionava per me, poiché non volevo essere colonizzato. Così costrinsi me stesso a pensare da dove io provenissi, e questo ha significato qualcosa per me. DG: A questo punto, che la ha identificata con un artista? GB: Non sempre ho avuto fiducia nei miei insegnanti, perché li trovavo troppo deboli. Stavo cercando qualcosa che mi portasse in una nuova direzione, per cose che io potessi ammirare. E dato che era molto difficile trovare questo, divenni una sorta di outsider. E' questo il motivo per cui cominciai ad identificarmi con gli artisti folli, gli "outside".
Das
Motiv: der Baum DG: Gli artisti "outsider" in Germania, lei intende? GB: Non solo in Germania, dappertutto. DG: Chi erano alcuni di questi, in particolare? Avevano dei nomi, o erano anonimi? GB: Molti di loro non sono conosciuti, come Carl Fredrik Hill e August Strindberg, ad esempio, e molti altri. C'è un libro scritto da Hans Prinzhorn e pubblicato nel 1923 intitolato 'L'artisticità del malato mentale' in cui lei può trovare alcuni di loro. DG: Ummm, tutto questo è molto interessante, ma per un minuto voglio tornare al tema di essere un giovane artista. Lei ha qualche contatto con artisti più giovani che stanno emergendo oggi? GB: Sì, sono professore alla scuola d'arte di Berlino. DG: E lei ha trovato che molti degli ostacoli che lei incontrò da giovane artista sono simili a quelli che questi giovani artisti devono oggi affrontare? GB: Sono sempre stato consapevole di differenti movimenti e direzioni nell'arte. Ma, in generale, mi sono sempre annoiato per ogni tipo di generalizzazione quando arriva agli artisti. Penso che ci siano solo singoli individui, che sono da valutare, e che essi lavorano fuori da qualsiasi gruppo. DG: Lei intende coloro che diventano dei grandi artisti. GB: Sì. DG: In alcuni circoli lei è ben noto come collezionista di arte africana. Mi chiedo in che modo quelle immagini, o quell'energia primordiale proveniente da esse, filtrino nel suo lavoro. Può lei descrivere il passaggio tra le due cose, il suo collezionare e il suo lavoro, e come mai il collezionare sia così importante per lei in quanto artista? GB: Ho sempre avuto la sensazione che gli altri fossero troppo stupidi per scoprire cose interessanti. E' per questo che lo faccio da me. Penso al collezionismo come ad un modo di mostrare che io comprendo quello che è importante meglio che in altri modi.
Frau
Paganismus DG: Quanti pezzi sono nella sua collezione? GB: Oh, ho collezionato tante cose differenti. DG: Sono sicura, e per molti anni, vero? GB: Sì. All'inizio ho cominciato a collezionare opere di artisti miei amici, artisti come me che nessuno aveva ancora scoperto. Credo di essere stato il primo a collezionare i primissimi dipinti di [A.R.] Penck. Tutti quelli che io colleziono, per coì dire, sono miei amici - amici artisti. Ora mi sto concentrando sulle sculture africane più o meno dell'area del Congo. Sto anche collezionando stampe del XVI secolo della Scuola di Fontainbleau. Non ho da nessuna parte nella mia collezione un dipinto di Renoir. Poiché tutti sanno che egli è un buon pittore senza che io debba dimostrarlo. DG: Vorrei parlare ora di qualcuno che è stato coinvolto nella sua carriera. Lei incontrò Michael Werner [che ha continuamente rappresentato Baselitz sin dall'inizio della carriera d'artista e che fu determinante nell'introdurre il suo lavoro in America, N.d.E.] molto presto. Vorrei sapere com'era l'atmosfera a quel tempo nei circoli artistici tedeschi, e cosa lei pensa che lei e Werner abbiate visto l'uno nell'altro per forgiare una così forte e lunga associazione. GB: Venivamo dalla stessa generazione e dalla stessa nazione. Nessuno aveva un soldo in tasca all'epoca. Era un tempo molto difficile, economicamente parlando. Quando Werner vide uno dei miei dipinti, in particolare "Die grosse Nacht im Eimer" (1962-1963), che allora nessuno voleva e che tutti pensavano fosse ridicolo, lui riconobbe che si trattava di una provocazione di lotta, che rappresentava il sentimento di quei tempi nel modo giusto.
Wir
besuchen den Rhein I DG: Lei ha delle storie particolari su come lei e Michael lavoravate insieme? GB: Michael era la prima persona con cui io lavorai che aveva a che fare con il mercato dell'arte. Questo avveniva ai primi degli anni '60. Ricordo che Michael mi disse qualcosa su un famoso collezionista, e Michael fissò un appuntamento per incontrarci con lui. Quest'uomo guardava tutt'intorno la stanza ed i miei quadri. Quindi disse "Giovanotto, perché fa delle cose così orribili? Guardi fuori dalla finestra. Ci sono ragazze carine là fuori. E' primavera. Guardi a come il mondo possa essere bello. Lei si rovinerà la salute fumando tanto e facendo simili cose tormentose". Quindi se ne andò, imbarazzato, senza comprare nulla. Ed una mezz'ora dopo, Werner venne ed io gli dissi quello che era accaduto. Concordammo che questo incontro era stato un successo. DG: Quale ritiene sia la situzione in assoluto migliore, la struttura fisica ottimale, perché il suo lavoro sia visto al meglio? GB: Se le mie immagini si ficcano nella testa della gente, se essi conoscono l'immagine senza nemmeno guardarla. DG: Bene, dovremmo probabilmente fermarci per il momento, dato che abbiamo un secondo incontro per questa intervista di persona quando lei verrà a New York la prossima settimana. Sa, l'ho vista a Berlino due volte. Mi ha fatto l'occhiolino per strada una volta. [al traduttore] Non glielo dica! [il traduttore lo dice a Baselitz] GB: In quale occasione? DG: La mostra "Metropolis" quattro anni fa. GB: E' sicura che non fosse qualcun altro? Perché non ho più la barba. DG: No, era lei. Ci vediamo lunedì.
Wagner malt einen Reiter
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