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  "VERGOGNA ED ABUSO: una prospettiva relazionale contemporanea basata sulla psicologia del sé"

 

 

 

 di Elizabeth M. Carr

 

  Questo articolo è una rielaborazione di un intervento dell'autrice ad un "panel" nel corso del 45° Congresso dell'I.P.A. (Berlino, 2007). L'articolo nella sua interezza verrà proposto in un libro di prossima uscita curato da Frenis Zero. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

Elizabeth Carr è una psicoanalista dell'I.P.A. e vive a Washington (U.S.A.). Si ringrazia sentitamente l'autrice per aver accordato il permesso alla pubblicazione su Frenis Zero della versione italiana del suo articolo.

    Foto: un fotogramma del video "Signora la Violenza" realizzato da Uccio Biondi per il Convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" (Lecce, 5.04.2008)


 

Nel 1933 Ferenczi descrisse l'impatto del maltrattamento genitoriale in un modo che risuona con la nostra esperienza contemporanea: un bambino abusato "si sente enormemente confuso, innocente e colpevole allo stesso tempo - e la fiducia nella testimonianza del proprio giudizio si è rotta... Quasi sempre il perpetratore si comporta come se non sia accaduto nulla [pag. 201]". Quindi, il bambino traumatizzato viene ferito dalla persona che si suppone debba fornirgli una protezione amorevole e viene lasciato a se stesso, senza alcun sostegno o guida, nel far fronte ad emozioni altamente stressanti mentre cerca di dare un senso a ciò che gli è accaduto. Come è stato descritto da Lichtenberg: "Il bambino sconvolto dal trauma rimane non solo  vittima dell'aggressione contro i propri sensi, ma è anche incapace di stabilire un senso di realtà, di attualità, di significatività dell'evento [pag. 414]".

Con cosa ha a che fare un bambino abusato? Come può far fronte con una tale confusione e con una tale sofferenza? Il bambino è come se fosse  programmato per contare sui suoi genitori - il bambino necessita letteralmente di loro per sopravvivere. Inoltre, egli vuole credere che i suoi genitori siano affettuosi e buoni. Eppure, il bambino abusato viene lasciato con un senso persistente e penoso di essere stato ferito proprio dalla persona o dalle persone da cui aveva necessità di essere curato e protetto. Ciò crea un dilemma: aver bisogno del genitore per sentirsi sicuro mentre, allo stesso tempo, lo si trova spaventoso.

Questo dilemma, per inciso, è un segno specifico della categoria dell'attaccamento disorganizzato che è stata scoperta da Mary Main (Main e Solomon, 1990). Nella sua ricerca trovò che alcuni bambini di 12 mesi erano disorganizzati nelle loro strategie di attaccamento nel corso della "strange situation" della Ainsworth. Ad esempio, i lattanti nella categoria disorganizzata avrebbero mostrato un'ampia varietà di comportamenti strani, conflittuali o apprensivi in presenza del genitore, come ad es. l'avvicinarsi al genitore per poi cadere a terra o sembrare come paralizzati e intontiti (Hesse e Main, 1999). Nella meta-analisi delle loro ricerche, Main ed i suoi colleghi sono riusciti a collegare un comportamento di attaccamento disorganizzato del bambino all'esperienza con un particolare genitore piuttosto che al risultato di un particolare temperamento o costituzione del bambino. Inoltre, Main e Cassidy (1985) hanno riportato un'altra importante scoperta: molti bambini che erano stati trovati con un 'pattern' disorganizzato di attaccamento con un particolare genitore all'età di 12 mesi avevano sviluppato, all'età di 6 anni, un 'pattern' di inversione dei ruoli con lo stesso genitore: questi bambini sarebbero o puntivi-controllanti (ossia, dando ordini ai loro genitori) oppure controllanti-"caregiving" (cioè, eccessivamente solleciti nei loro confronti).

Per risolvere il conflitto tra il bisogno di sicurezza da ricevere dai genitori ed  il viverli all'opposto come minacciosi, il bambino tipicamente si autocolpevolizza. L'autocolpevolizzazione a seguito dell'abuso subito dà un senso al bambino - i genitori si suppone che siano capaci di educare e di proteggere i loro bambini. Wurmser (1999) sostiene che il bambino si assume una "responsabilità onnipotente" per il maltrattamento subito da parte di un'altra persona per proteggersi nei confronti di un sentimento di intollerabile impotenza.

Così, come io stessa ho descritto, gli ingredienti centrali dell'esperienza soggettiva di un bambino abusato sono la confusione, l'auto-colpevolizzazione ed un sentimento di essere stato ferito da qualcuno che si suppone lo debba amare e proteggere. Qual è il legame tra esperienza dell'abuso e vergogna? Lansky (1999) descrive la vergogna in questo modo: "La vergogna riguarda il sé. La parola, da quando siamo giunti a comprenderla, si riferisce non semplicemente ad un solo tipo di conflitto, bensì ad un sistema emozionale complesso che regola il legame sociale, cioè segnalando il disturbo dello stato del sé all'interno dell'ordine sociale: ciò che una persona è davanti se stessa e gli altri; la reputazione di una persona, l'importanza o la mancanza che si dà ad essa; la capacità della persona di essere amabile e simpatica, il sentimento di essere accettato dagli altri o il senso di essere immediatamente respinto, come percepito davanti allo sguardo dell'altro o in relazione al senso di auto-valutazione del sé [ p. 347, corsivo aggiunto]". La definizione di Lansky chiarisce ciò che attiva la vergogna: il disprezzo o il disgusto da parte di un altro emozionalmente significativo per il soggetto e l'esperienza di un qualche difetto all'interno del sé (Pulver, 1999). Entrambe queste cose si possono collegare all'esperienza di una persona vittima di abuso. L'abuso ai danni di un figlio è la forma estrema di disprezzo che possa essere percepita da un bambino. Ed oltre all'auto-colpevolizzazione per l'abuso, il bambino può concludere che le azioni abusanti, di per se stesso, lo rendono "danneggiato", significando ciò un sentimento di profonda manchevolezza all'interno del senso di sé del bambino. In sostanziale accordo con tale punto di vista, Morrison (1989, 1999, Morrison & Stolorow, 1997) afferma che il solo esito dell'avere dei genitori umilianti e non responsivi è quello di una significativa vulnerabilità narcisistica.

Nell'arena clinica dobbiamo far fronte alla sfida di cercare di aiutare gli individui che sono stati abusati - molti di loro dai propri genitori. Ognuno che cerca un trattamento porta con sé la propria unica e preformata organizzazione psicologica nella stanza di consultazione. Pensiamo tipicamente a questo come all'aspetto intrapsichico dell'organizzazione psicologica che comprende il proprio senso di sé e le proprie aspettative nei confronti degli altri. Oltre all'unicità di ogni individuo che cerca aiuto, dobbiamo aggiungere la complessità dell'esperienza intersoggettiva che implica una valutazione dei processi interattivi in cui entrambi i partners della terapia si influenzano simultaneamente e ne vengono influenzati nella loro esperienza del sé e dell'altro.

             

Fine della prima parte dell'articolo:nella seconda parte l'autrice presenta la vignetta clinica di un paziente, Aaron, e quindi espone le sue conclusioni. La versione integrale dell'articolo verrà pubblicata su un libro curato da Frenis Zero.

 

                    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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