i primi quattro possiedono tutti
ugualmente la qualità di essere passato rispetto ad E, ma non sono
sistemati in differenti gradi di passato l'uno rispetto all'altro...
In verità, nella vita astratta,
..., l'ordinamento temporale incontra grosse difficoltà, ed una larga
parte del nostro proprio passato non è suscettibile di una sistemazione
lungo la linea temporale in senso stretto>> (pag. 23).
La Sturt, inoltre, chiarisce molto
bene un aspetto su cui abbiamo non poco insistito:
<<La nostra esperienza è fatta
di una successione di stati mentali, e questi stati devono essere
compresi includere l'intero complesso della nostra consapevolezza in
ogni momento; i nostri pensieri, le nostre sensazioni corporee,
l'apparenza del mondo esterno. Come vissuto, un momento temporale, è uno
di questi stati. (...)
Il secondo elemento fondamentale
dell'esperienza temporale è che tali stati della coscienza non vengono a
noi disconnessi, ma come riempienti densamente un "luogo" dello schema
temporale. Ciascuna delle nostre proprie esperienze è colta come un che
che aggiunge un ulteriore elemento al nostro passato>> (pag. 141-142)
Anche se lontani dall'atmosfera
freudiana, qui ritroviamo quanto abbiamo ritenuto doversi ancorare a
quella teoria, cioè ogni momento temporale è il frutto dell'intero mondo
psichico e si salda con esso in modo inestricabile, il che dà luogo a
quella non reversibilità psichica di cui si è detto.
Inserito nella tradizione
freudiana, avente un peso notevolissimo nei lavori successivi
sull'argomento, è il libro di Marie Bonaparte intitolato Eros,
Thanatos, Chronos2. Due ci sembrano i punti rilevanti:
vengono sottolineate e classificate le fughe dinanzi al tempo. Esse
sono: la fuga fuori dal tempo, nel sogno, nella fantasticheria,
nell'ebbrezza tossica, nell'ebbrezza mistica. Oltre a ciò si dice che
l'uomo adulto - unico fra gli animali - vive il tempo inscrivendosi in
un intervallo temporale i cui estremi sono la sua nascita e la sua
morte.
Due anni dopo la pubblicazione del
lavoro della Bonaparte, nel 1941, Lucille Dooley pubblicò un articolo
intitolato "Tempo e difesa dell'integrità dell'Io" che credo essere
realmente un contributo centrale sulla questione. Molto schematicamente
l'opera della Dooley si riassume in questo:
<<in qual modo tener conto del
tempo serva all'io nella sua lotta contro la paura della distruzione e
per preservarne l'integrità contro le minacce di essere inghiottito,
schiacciato o di perdere la propria identità, è mostrato
dall'osservazione di vario materiale clinico analitico>>3
[...]
Il tempo quindi "serve" all'Io per
mantenere la sua identità: il presente è poi "un qualcosa che si può
riconoscere", mentre il futuro è ancorato al "perseguimento di un
obiettivo"; infine il presente è legato al bisogno "dell'Io di essere
consapevole di se stesso nelle sue funzioni di entità esperiente ed
agente" (ib., pag. 74).
Si vede cioè che la tripartizione
in passato, futuro e presente ha come baricentro il riconoscersi dell'Io
con l'Io medesimo. Di
notevole importanza è poi il lavoro di S. Arieti sull'"Attesa e
anticipazione" (1947).
<<Ci sono però anche altri
simbolici, di gran lunga meno conosciuti e meno studiati, che
determinano il nostro comportamento presente in virtù delle esperienze
future. Si tratta dei processi collegati alle funzioni dell'attesa e
dell'anticipazione. Queste due funzioni sono correlate, nel senso che la
seconda si sviluppa dalla prima...>> (pag. 130)4
Dopo aver sviluppato l'anticipazione e
l'attesa in rapporto a fenomeni come l'angoscia e alla crescita
dell'individuo, Arieti tocca poi un punto che per noi è di estremo
interesse: riporterò qui l'intero brano, anche perché l'Arieti mette in
campo due autori la cui presenza in tali considerazioni è senz'altro
notevole: <<I
picentara dell'Australia centrale non accumulano cibo benché vivano in
una terra in cui le carestie sono frequenti, non si curano del controllo
sfinterico dei bambini e non mostrano alcuna angoscia, ma bensì un
"fatale ottimismo" (*).
Via via che si avvicina un tempo
storico, era possibile l'anticipazione di un futuro sempre più distante
per gli esseri umani. Bertrand Russell descrive bene questa
caratteristica differenziale fra ciò che chiama l'uomo selvaggio,
interessato solo ai problemi presenti, e ciò che chiama l'uomo civile,
che è capace di prevedere il futuro:
"L'uomo civile si distingue dal
selvaggio principalmente per la prudenza o, per usare un termine un poco
più ampio, per la previdenza. Egli preferisce prolungare le pene
presenti pur di assicurarsi dei piaceri futuri, anche se questi piaceri
futuri sono alquanto distanti"(**).
Russell descrive così il passaggio
da ciò che è conosciuto in psicoanalisi come il principio di realtà.
Sebbene sia stato scritto molto sul principio di realtà, è stata finora
trascurata l'importanza del processo di anticipazione per il
funzionamento di tale principio>> (pag. 135-136).
Il tessuto teorico su cui viene
costruito il concetto di "uomo civile", in contrapposizione a quello che
dà luogo all'"uomo selvaggio", come si vede, sembra imbevuto di tempo.
Questa questione è di estremo peso, ma credo che Freud, specificamente
su questo terreno, abbia sicuramente aderito all'idea secondo la quale,
in rapporto all'organizzazione della collettività umana, il futuro
pervade il presente, ma ha anche reso molto più problematica la
distinzione tra "civile" e "selvaggio".
Del lungo e complesso articolo di A.
M. Meerloo, "Il Tempo Padre" (prima e seconda parte, rispettivamente
1948, 1950), le affermazioni che più mi hanno colpito sono le seguenti:
<<Vi è un desiderio costante di
esperienze atemporali, per l'estasi in cui ci si sente unificati con
qualcosa di grande, senza alcun senso del tempo mortale e della durata
limitata. Ciò, noi sospettiamo, deve essere stato parte della
"concezione" organica generale ed inconscia del tempo. Vedremo che molte
altre concezioni del tempo soggettivo sono tentativi di liberare l'uomo
dal tempo e dalla sua ombra intrisa di morte>>5
Molto più interessante è la
distinzione fra il tempo del mondo fisico e il tempo interno:
<<Nel mondo materiale vi sono
separate alternative, vi sono sequenze di eventi fisici in cui i momenti
successivi escludono quelli precedenti. Nel mondo mentale il nuovo tempo
contiene quello più antico; nelle sequenze degli eventi mentali, i
momenti successivi includono quelli precedenti. Il tempo fisico
significa successione; il tempo mentale, continuità.
E' piuttosto tardi nello sviluppo
che l'uomo diviene consapevole del tempo come qualcosa diretto verso un
futuro, come una successione temporale irreversibile, come un processo
continuo>>.
Anche nell'articolo di H. W. Loewald
"Il super-Io e l'Ideale dell'Io. Super-Io e tempo", del 1962, ci
troviamo di fronte ad un discorso di estremo rilievo. Dato che le
relazioni fra l'Io e il Super-Io, come pure tra i differenti elementi
dell'Io, non sono pensabili come spaziali, l'autore si chiede se esista
un principio che possa ricostruire le necessarie relazioni fra le
differenti strutture psichiche:
<<Suggerisco che tale principio sia
il tempo, che le strutture psichiche siano temporali in natura.
Le strutture psichiche esistono nel
tempo ed in esso si sviluppano. Ma io qui non parlo di tempo come un
continuo lineare di durata o di successione di eventi nel tempo-spazio
fisico come osservato nella realtà oggettiva esterna. Il concetto di
tempo che qui si chiama in causa, il tempo psichico, implica una
relazione attiva fra i modi temporali quali passato, presente e futuro
>>6 (pag. 244)
Che significa quell'"attivo" che qui
compare?
<<... il presente psichico ha anche
un impatto sul passato psichico, esso attiva il passato psichico. La
memoria, per esempio come ricordo, manifesta il tempo psichico come
attività, essa rende il passato presente. Quando noi parliamo di
rappresentazione - d'oggetto, presentazione - d'oggetto ... è implicato
un concetto temporale in cui 'presente' è compreso come il processo
attivo di presentare qualcosa. Rappresentare o presentare significa
rendere o tener presente, presentare mantenere o ricreare presenza... E'
utile pensare alla funzione dell'Io di presentazione e rappresentazione,
di creare e di ricreare presenza, come aspetti temporali della sua
funzione sintetica o organizzante>> (pag. 264)
In rapporto alla relazione fra la
coscienza e il super-Io si dice poi molto chiaramente che:
<<la coscienza ci parla dal punto
di vista di un interno futuro, quando ci dice cosa dovremmo fare, oppure
come dovremmo comportarci nel futuro, oppure quando giudica fatti,
pensieri e sentimenti passati e presenti>>.
Infine, riferendosi a Freud, Loewald
afferma che lo scienziato austriaco ha utilizzato più o meno in
sequenza, e alcune volte in maniera intercambiabile, tre differenti
termini quali: Io ideale, ideale dell'Io, super-Io. L'autore, "a rischio
di fare violenza alla fluidità di questi termini come usati da lui" (Freud)
(pag. 264) interpreta tali differenti termini come indicanti successivi
stadi nello sviluppo che porta alla formazione del super-Io.
"Brevemente, l'io ideale rappresenta la riconquista della originale
narcisistica primaria onnipotente perfezione del bambino mediante una
primitiva identificazione con le onnipotenti figure parentali>> (pag.
265).
Tale primitivo momento "diviene un
ideale per l'Io, in una forma molto più differenziata ed elaborata che
in precedenza, attraverso le figure parentali" (ib., pag. 266). Infine:
"noi parliamo di super-Io, di un futuro interno, non semplicemente per,
ma dell'Io" (ib.), essenzialmente dopo la fase edipica; allora il
super-Io diviene "il rappresentativo dell'avvenire dell'Io" (ib., pag.
267). Quindi: "La relazione fra io e super-io in termini di tempo
psichico, sarebbe una relazione tra un presente psichico ed un futuro
psichico" (ib., pag. 268).
Peter Hartcollis ha scritto tre saggi
sulla questione tempo in psicoanalisi ("Origini del tempo", 1972, "Il
tempo come dimensione degli affetti", 1972, "Tempo ed affetto in
psicologia", 1975), di cui solo gli ultimi due tradotti in italiano.
Questi articoli hanno tutti in comune
una estesa analisi di molta letteratura sull'argomento. Nel primo di
questi articoli si ripete che, dal punto di vista psicologico, passato e
memoria debbono essere ben distinti.
<<Nel considerare lo sviluppo della
prospettiva temporale, è ovvia l'importanza della memoria per come essa
rappresenta una esperienza passata. Ma la memoria, concepita come
condizionante, come immagazzinamento di antiche informazioni, oppure
come rappresentazioni mentali e relazioni con oggetti interni, non
necessariamente accompagnata dal senso del passato>>7
Hartcollis, in questo brano, è quindi
essenzialmente coerente all'impianto freudiano.
Nell'altro articolo, del 1972, ci
troviamo di fronte ad una serie di considerazioni di maggiore interesse:
<<Abrahm (1911) scrisse che "tra
angoscia e depressione c'è un rapporto analogo a quello tra paura e
lutto. Noi temiamo un male imminente; proviamo lutto per un male che è
accaduto" (pag.241). Ciò che, nella formulazione di Abrahm, mette in
rapporto questi affetti è uno schema di riferimento temporale.
L'angoscia, come la paura, si riferisce ad un "male imminente", la
depressione, come il lutto, ad un male "che è accaduto". In questo
articolo cercherò di dimostrare che il tempo psicologico o
dell'esperienza è una determinante qualitativa degli affetti>>8
(pag. 240)
Seguendo tale impostazione Hartcollis,
rifacendosi a Freud ed a Bibring, dà la sua propria definizione - credo
si possa utilizzare tale espressione - del tempo psicologico:
<< Secondo la mia tesi, ciò che
determina la posizione del tempo vissuto lungo il continuum futuro -
presente - passato, non è la cognizione che ha l'individuo della realtà
esterna, ma piuttosto il modo in cui percepisce il proprio stato di
adeguatezza (quella che Freud e Bibring chiamarono esperienza di
impotenza dell'Io) nei confronti di una realtà avversa o antagonistica,
interna o esterna, sulla quale finisce per investire in modo ossessivo
la sua attenzione>> (ib., pp. 241-242).
Proseguendo nella sua analisi sul
rapporto affetti-tempo, Hartcollis esamina la noia e il senso di colpa:
<<Quello che prova l'Io nella noia
è una sconfitta nel senso di inadeguatezza che ha tutti gli attributi di
un fallimento completo, ma che non è proiettato temporalmente né nel
futuro. ...L'Io non è capace di usare la sua energia in alcun modo, di
perseguire alcun obiettivo, essendo trattenuto da forze pericolose .
....Siccome la sua inadeguatezza - la breccia nei suoi confini - non può
essere in una prospettiva temporale, futura o passata, l'Io non prova né
angoscia, né depressione, ma un senso di impazienza nei confronti del
presente>> (Ib., pag. 245)
Rifacendosi parzialmente a Fenichel ed
a Van der Waals, a proposito del senso di colpa, si dice che
<<se il senso temporale è davvero
in grado di qualificare l'esperienza dell'Io quando questa viene
confrontata da un evento traumatico, riferirsi all'affetto che risulta
dal confronto dell'Io con il super-Io a proposito di una qualche
prestazione passata come senso di colpa, e dell'affetto che risulta
dall'avvertimento del super-Io a proposito di una qualche prestazione
futura dell'Io anche come senso di colpa, presenta un problema.
Suggerirei di riservare il termine senso di colpa all'esperienza che si
riferisce al futuro ed assomiglia all'angoscia, assegnando invece
all'esperienza che si riferisce al passato e che assomiglia alla
depressione il termine rimorso>> (ib., pag. 249).
Del terzo articolo di Hartcollis, il
punto più interessante mi sembra quello in cui viene messa in rilievo la
sensazione di immobilità temporale:
<<Quando invece il tempo non è più
vissuto in quanto tale, il sé è vissuto come un tutt'uno con il mondo,
il mondo come un'unità piena di profondi significati ma fuori del tempo,
e il tempo come un qualcosa di sospeso, come una beata eternità>>9
(pag. 151).
J. A. Arlow nel suo scritto "Disturbi
del senso temporale" (1978), nello svolgere le sue considerazioni sul
disturbo della temporalità, sottolinea due punti; da un lato l'atemporalità
è connessa ad <<una sensazione religiosa, mistica... La fusione con
l'oggetto è tipica dell'esperienza di atemporalità e di sentimenti
mistici ed oceanici>>10 (pag. 161).
L'altro punto è l'atemporalità come
fuga dinanzi alla morte:
<<Nega il tempo e si protegge dal
pericolo della morte ritirandosi nella fantasia di una madre protettiva
in un'età dell'oro. L'idea d'incorporazione nel suo corpo è esplicito,
ma incorporazione nella madre è anche parte del suo sogno rassicurante
sul futuro. La morte nel futuro è inconsciamente ridefinita in termini
di una felice unione con la madre, come nel passato>> (ib., pag.
170-171).
L'ambivalenza ineluttabile dello
psichico è evidente; per le nostre considerazioni è di particolare
interesse che poi Arlow si riferisca al lavoro di Freud sul tema dei tre
scrigni dato il ruolo che ha avuto questo scritto nel nostro lavoro.
Anche G. Masler, nel suo articolo "La
percezione soggettiva di due aspetti del tempo. Durata ed atemporalità"
(1973), sviluppa essenzialmente due punti: a livello antropologico è un
risultato che gli indigeni delle Trobriand non sono per nulla
consapevoli dell'identità delle piante attraverso le differenti fasi
della loro maturazione. Rifacendosi a Meyerhoff, si riporta che,
all'opposto:
<<Durata significa semplicemente
che viviamo il tempo come un flusso continuo. L'esperienza del tempo è
caratterizzata non soltanto da momenti successivi e da molteplici
cambiamenti, ma anche da qualcosa che all'interno della successione e
del cambiamento, rimane costante>> (Meyerhoff,1967, riportato in Masler11
, pag. 211).
A mio avviso giustamente, l'autore poi
sviluppa una serie di considerazioni sull'integrazione del tempo e
l'adattabilità dell'Io:
<<L'integrazione del tempo è un
meccanismo adattivo dell'Io. In condizioni ideali questo meccanismo può
garantire la distanza più adeguata con gli eventi del passato. Con
questo intendo dire che gli eventi del passato non sono percepiti con la
stessa intensità di quelli presenti, e tuttavia c'è abbastanza rapporto
con il passato da dare al paziente un senso di integrità e di continuità
con il suo passato... L'integrazione temporale ha una somiglianza
impressionante con la "continuità dell'essere" di Winnicott***.
Winnicott sostiene che la forza dell'Io del bambino è intensificata se
egli consegue una "continuità dell'essere", e che ogi interruzione di
questa continuità porta ad un senso di annientamento totale. Scrive:
<<Un particolare degno di nota, specialmente nei confronti dell'angoscia
che viene "contenuta", è che un'integrazione nel tempo viene ad
aggiungersi all'integrazione più statica degli stadi precedenti. Il
tempo è mantenuto in moto dalla madre, e questo è un aspetto della
funzione di io ausiliario svolto dalla madre stessa; ma l'infante giunge
ad avere un proprio senso del tempo, un senso che dapprima dura solo per
poco. Esso è tutt'uno con la capacità del bambino di conservare viva
l'immagine della madre in quel mondo interiore che contiene anche gli
elementi frammentari benigni e persecutori provenienti dalle esperienze
istintuali. Il periodo di tempo durante il quale un bambino può tener
viva l'immagine nella realtà psichica interna dipende in parte dai
processi maturativi e in parte dallo stato dell'organizzazione delle
difese interne>> (ib., pag. 214-215).
Foto:
D. W. Winnicott
Nell'articolo di E. A. Levenson
"Cambiamenti nel concetto di tempo in psicoanalisi", troviamo una
considerazione rilevante a proposito del rapporto tra tempo psichico e
tempo della fisica. Essenzialmente, viene detto, la "giovane scienza
della psicoanalisi" si trova concettualmente ad avere un piede nelle
concezioni del tempo dell'800, l'altro in quelle del '900. I due
riferimenti qui creati schematicamente sono quello newtoniano e quello
gibbsoniano-boltzmanniano: e la loro differenziazione ha luogo in
rapporto alla reversibilità. Nel sistema teorico newtoniano il tempo è
perfettamente reversibile. Con Gibbs - Boltzmann si introduce un punto
di vista statistico all'interno del quale la reversibilità newtoniana
diviene una questione discutibile (è chiaro che qui la termodinamica
sopravanza la dinamica come schema teorico in cui si svolgono le
argomentazioni). Il parere dell'autore è che Freud abbia di fatto
utilizzato lo schema newtoniano, connettendosi per di più alla
posizione kantiana, chiarendo che in questo non vi è conflitto perché
Kant non ha fatto altro che esporre filosoficamente la concezione
newtoniana del tempo.
<<Usando questo concetto di tempo
kantiano-newtoniano, Freud enunciò che il paziente può individualmente
invertire il tempo, via la memoria ...>>12 (pag. 64).
Nelle considerazioni successive si
trova, più articolato, il parere secondo cui il "via vai" che esiste
nella personalità a proposito degli elementi psichici individuali
attesta reversibilità, il che implica l'accettazione dello schema
newtoniano. Perché allora la "giovane scienza della psicoanalisi" ha
anche un piede che poggia sul differente terreno del XX secolo ? Ciò è
connesso allo sviluppo che la psicoanalisi ha avuto - su tale questione
- dopo Freud.
Dell'articolo di Ira Mintz, "La
reazione di fronte agli anniversari: una risposta al senso inconscio del
tempo" (1971), ci interessa un solo punto:
<<Chiaramente, il tempo rappresenta
sia la morte che la vita... Non è sorprendente che la reazione
all'anniversario, una specifica variante temporale della coazione a
ripetere, abbia a che fare con la morte...>>13 (pag.
720)
Nell'articolo di F.S. Cohn, "Il tempo
e l'Io"14 quel che ci interessa sottolineare è
l'interconnessione tra eternità, sentimento oceanico e narcisismo.
In quello di G. H. Pollock, "Sul
tempo, la morte e l'immortalità", l'elemento di maggiore originalità ai
fini delle nostre considerazioni sta nella connessione che viene fatta
tra il tempo misurato e il tempo privato:
<<Il tempo psicologico è privato,
personale, soggettivo ed esperenziale ... Il tempo misurato è usato per
sincronizzare le nostre personali esperienze con una base che può essere
validamente sostanziata da altri>> 15 (pag. 435).
L'ultimo autore che vorremmo
brevemente riportare è E. Fachinelli, per gli spunti offerti ne "La
freccia ferma" e "Claustrofilia".
Ci troviamo di fronte a due lavori
molto complessi, il cui materiale va ben al di là della sola
psicoanalisi; come si è fatto fin qui, ci soffermeremo solo sui punti
che possono essere di rilievo nel contesto da noi costruito.
<<L'"annullamento" consiste in
questo: rifare in senso inverso tutte le azioni che ha compiuto dal
momento in cui ha estratto i documenti da sotto il settimanale. Uscito
dallo studio dell'avvocato, scenderà le scale voltato all'insù, farà
retromarcia con la macchina fino a casa sua ... Finalmente arriverà allo
scaffale da dove ha preso i documenti e ve li riporterà, esattamente
nella posizione in cui si trovavano prima e con un gesto inverso a
quello con cui li ha presi. A quel punto l'azione peccaminosa sarà stata
"annullata".>>16 (pag. 10)
Dopo aver chiarito che con questo
atteggiamento non si ottiene altro che la <<segmentazione del tempo
concreto, del tempo come flusso e forma individuale dell'azione, in una
serie di tempuscoli tendenzialmente sempre più piccoli>> (ib., pag.13),
Fachinelli conclude che
<<le operazioni volte alla più
perfetta esecuzione dell'agire comportano in realtà la sua tendenziale
esclusione, la riaffermazione di uno stato di immutabilità e immobilità
nel presente. Non c'è né futuro né passato, c'è una condizione
"stazionaria" nella permanente irrequietezza>> (ib., pag. 15).
Ancor più:
<<L'insieme di queste operazioni
tende a stabilire un tempo seriale, senza storia, collezione infinita di
"ora"; ad esso si oppone in continuazione la forza del male, che a
questo tempo segmentato oppone debolmente, ma senza interruzione, un
tempo unitario, in cui il presente dell'"ora" è collegato al futuro del
"dopo". ...Il primo tipo di tempo è reversibile, meccanico, preciso; il
secondo irreversibile, tendenzialmente dilagante e angosciante>> (ib.,
pag. 18).
Infine due punti: Fachinelli, sulla
base dell'interpretazione di tale ossessione, reinterpretando i fenomeni
freudiani dell'"annullamento" e della coazione a ripetere, dichiara:
"attraverso un rito di sparizione - riapparizione, il bambino si è reso
padrone del tempo" (ib., pag. 38). La coazione a ripetere viene così
intrecciata al tempo; in secondo luogo si sottolinea l'esistenza di due
tempi:
<<L'alternanza di "ora", "non ora"
implica un tempo non cumulativo, in cui un presente precipita nel nulla
e si rigenera, istantaneamente oppure no, ma senza che intervengano il
carico del passato e la tensione del futuro. Un tempo dunque
qualitativo, occupato unicamente da "specie di azioni" con una forma di
tempo peculiare; un tempo ciclico, non lineare; una ruota del tempo,
insomma, anziché una freccia>> (ib., pag. 40).
Nel suo libro più recente,
Claustrofilia, Fachinelli sviluppa delle considerazioni il cui
baricentro non è più il tempo anche se però, seppure perifericamente,
tale ingrediente si ritrova nell'opera. La domanda, il problema che
viene posto è la classica questione sulla terminabilità dell'analisi.
Molto giustamente, credo, Fachinelli si chiede se l'estrema dilatazione
della cura non trovi la sua origine all'interno della cura stessa.
Sembra con ciò che nella relazione analitica si introduca un doppio
tempo: <<Il tempo della seduta analitica freudiana è senza dubbio un
tempo definito... Ad esso si congiunge il tempo indefinito della durata
del trattamento...>>17 (pag. 43).
Di questo lato "temporale" dell'opera,
quanto più ci interessa si trova alla fine del testo:
<<Tra l'analista e l'analizzato,
tra queste due persone in stato di attesa inquieta, il tempo passa.
Certo il tempo cronologico, il tempo misurato in ore ed anni. Ma quale è
la faccia interna di questo tempo? Di che tempo si tratta? Non saremo
sorpresi di apprendere che, al di là della situazione apparente, nulla è
atteso dal futuro, come succede di solito. Il futuro è una minaccia,
perché implica separazione e sviluppo. L'attesa è invece rivolta al
passato: è il passato che deve risorgere nel presente, immagine di
identità duale e anche, lontanamente, di fusione reciproca. ...
Oltre l'attesa inerte, si scopre
dunque un presente immobile. Ma non inerte. Questo presente è in
tensione verso il passato. Si ricrea così nella situazione analitica
qualcosa che si avvicina alla temporalità pura dell'inconscio, qualcosa
che ne afferma il privilegio contro ogni temporalità successiva... E'
nota l'affermazione freudiana: l'inconscio non conosce il tempo...
Questa è dunque per Freud sia mancata iscrizione del tempo
nell'inconscio, in senso generale; sia indifferenza al tempo da parte
dei desideri inconsci o dei loro derivati di compromesso, i sintomi >> (ib.,
pag. 189).
Nella letteratura psicoanalitica sul
tempo a me nota, tutto quello che si è riportato sin qui è quanto mi è
sembrato meglio intrecciarsi con ciò che è stato fatto nei capitoli
precedenti. Infatti schematicamente, ci sembra di poter raggruppare
quanto citato come segue.
Una delle questioni più importanti del
discorso freudiano è la complessificazione della tradizionale
tripartizione della dimensione tempo: il futuro (l'Avvenire cioè) si
trova ad aver un ruolo molto più rilevante. Questo è quello che si è
cercato di estrarre e porre in rilievo nella concezione freudiana.
Ebbene questo aspetto lo troviamo indubbiamente in alcuni degli autori
citati.
In Arieti ed in Loewald l'azione del
futuro sul presente la si trova espressa esplicitamente: in Arieti è
connessa all'esame dell'attesa e dell'anticipazione, ed in termini
antropologici essa consta nel "fatale ottimismo" inerente
l'organizzazione sociale di alcune società primitive. In Loewald tale
aspetto è posto all'interno delle relazioni stesse fra i differenti
luoghi in cui si struttura la personalità freudiana: in
particolare fra l'Io e Super-Io la relazione esistente è parallela a
quella in cui il futuro influenza il presente. A me sembra che anche ne
"La Freccia ferma" di Fachinelli sia possibile rintracciare un che di
simile: se il tempo, nella sua rappresentazione, è una ruota anziché una
freccia, un tale rapporto tra futuro e presente sembra inevitabile.
Anche nella "Claustrofilia", ci si trova di fronte a qualcosa di
analogo: nel momento in cui il futuro diviene minaccia perché implicante
una separazione, esso diviene un elemento che determina ciò che è
presente.
Nell'articolo di Hartcollis ci
troviamo di fronte allo stesso rovesciamento. E' notevole inoltre quanto
viene detto a proposito della noia e del senso di colpa. Nella prima ci
troviamo di fronte ad un Io che rifugge da qualsiasi obiettivo, da
qualsiasi prospettiva, precipitando così in un senso di impazienza nei
confronti del presente, ma senza angoscia né depressione. Infine nella
distinzione suggerita fra senso di colpa e rimorso è molto chiara
l'influenza determinante del futuro sul presente.
Un secondo aspetto che deriva da
quanto riportato (Meerloo, Levenson) riguarda la distinzione fra un
tempo newtoniano ed uno freudiano. In effetti Meerloo mi sembra molto
vicino alla Sturt, cioè a quanto già detto nel capitolo precedente
discutendo delle distinzioni che è necessario fare fra quei due modi
diversi di concepire il tempo. La posizione di Levenson mette a fuoco la
distinzione fra un tempo newtoniano (reversibile) ed uno gibbsoniano
(irreversibile). Anche questo, credo, lo si è discusso in dettaglio,
chiarendo come il tempo freudiano non può che essere irreversibile;
credo che sia la Sturt che Meerloo possano essere utilizzati per
rafforzare tale tesi.
Il terzo blocco di considerazioni
riguarda essenzialmente l'articolo della Dooley. Qui troviamo espresso a
chiare lettere come il tempo sia strettamente legato alla preservazione
dell'integrità dell'Io. In tal senso ad esso si connettono le difese
dell'Io stesso. Anche Masler parla del tempo come fonte del senso di
integrità e di continuità della coscienza. Ovviamente queste
sottolineature, specialmente quella della Dooley, ritengo siano
perfettamente coerenti a tutto ciò che si è fatto.
Pollock affronta una questione di cui
non si è praticamente discusso, ma che comunque rimane sullo sfondo come
problema aperto: che rapporto esiste fra il tempo dell'individuo e
quello della collettività degli individui? La sua risposta, come
riportato, è che il ponte fra questi due mondi è il tempo misurato che
svolge la funzione di sincronizzazione. Non credo che questa risposta
sia sufficientemente articolata, per cui il problema rimane aperto anche
se distante dall'asse portante del nostro discorso.
Quanto detto da Masler sulla
continuità dell'Io, ed in particolare il suo riferimento a Winnicott, è
senz'altro coerente con ciò che si è cercato di costruire, anche se il
nostro discorso è stato svolto in un contesto dinamico-pulsionale più
vicino all'impianto teorico freudiano.
Nelle ricerche citate emerge infine un
ultimo elemento, assente nelle nostre considerazioni: lo si può chiamare
rapporto fra tempo e sentimento oceanico. Si è trovato cioè
ripetutamente espresso il desiderio di uscire dal tempo, il desiderio
dell'atemporale, dell'unione con la sfera dove regna la "chiara quiete"
(Sturt), con il mondo inteso come una unità piena di profondità (Hartcollis),
oppure dove diviene possibile il fondersi con l'oggetto (Arlow) o con
qualcosa di grande (Meerloo).
E' nel suo "Il disagio della civiltà"
che Freud ha discusso dell'intreccio fra l'Io e quello che, seguendo R.
Rolland, egli chiamò sentimento oceanico.
<<In tal modo, dunque, l'Io si
distacca dal mondo esterno, anzi per essere più esatti, in origine l'Io
include tutto, e in seguito separa da sé un mondo esterno. Il nostro
presente senso dell'Io è perciò soltanto un avvizzito residuo di un
sentimento onnicomprensivo che corrispondeva ad una comunione quanto mai
intima dell'Io con l'ambiente. Se possiamo ammettere che - in misura più
o meno notevole - tale senso primario dell'Io si sia conservato nella
vita psichica di molte persone, esso si collocherebbe, come una sorta di
controparte, accanto al più angusto e più nettamente delimitato senso
dell'Io della maturità, e i contenuti rappresentativi ad esso conformi
sarebbero precisamente quelli dell'illimitatezza e della comunione con
il tutto, ossia quelli con cui il mio amico spiega il sentimento
"oceanico">> 18 (10, pag. 561).
Per Freud il sentimento oceanico è
quella situazione psicologica in cui l'Io (qui Freud evidentemente usa
il termine che riguarda la fase più matura della personalità), si
connette all'ambiente (per noi), all'esteriorità (per noi), al tutto
attraverso una intima comunione in cui si scolorano i limiti dell'Io
stesso; in questo stato fusivo quello che sarà l'Io della maturità si
tuffa in un mondo in cui viene messa da parte la sua riproduzione, ed è
per questo che a tale stato psichico riteniamo si connetta l'atemporalità
segnalata. Insomma non mi sembra estranea alla nostra analisi
l'interconnessione fra il senso di atemporalità e quello di sentimento
oceanico. Anzi nelle pagine freudiane de "Il disagio della civiltà"
troviamo l'affermazione che l'Io inizialmente vive nell'atemporale stato
inclusivo, nel tutto; per cui il sentimento oceanico e il senso di
atemporalità ad esso relato è un qualcosa che "viaggia accanto", che è
sempre presente compagno di strada del più angusto Io della maturità: l'atemporalità
dell'Io che è in comunione con il tutto è primaria rispetto alla fatica
dell'Io che si riproduce e che produce il tempo.
Nella letteratura riportata non mi
sembra però che emerga uno degli aspetti centrali della intera
"faccenda": il tempo della personalità psichica è un costrutto,
metapsicologico, di quella individualità.
In questi scritti il continuum
temporale è già stato dato. Ritengo che ciò comporti un netto
allontanamento dalla complessità che deriva dalla rinunzia a porre come
dato tale continuum. Il che non è semplicemente questione di metodo:
abbandonare la garanzia di un tempo bello e dato ci costringe a dover
affrontare la questione da una diversa angolatura: essa, a mio avviso,
ruota tutta attorno al problema delle condizioni attraverso cui l'Io si
riproduce avendo compagna e nemica la realtà in cui interviene,
modificandola e ricreandola per i suoi fini, nel suo "guardare davanti".
Per di più, credo che proprio in
questo agire producente le condizioni atte alla sua stessa riproduzione,
si possa intravedere il modo in cui il momento storico e sociale si
inscrive nello psichico; da questo punto di vista gli elementi storici e
culturali messi in campo sono di più che fenomeni, manifestazioni del
modo in cui i singoli maneggiano i problemi inerenti la loro internità:
essi rappresentano l'opera di Sisifo dell'Io.
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