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  IL SEGRETO DI ESMA

 

 

Il segreto di Esma

(Grbavica)

Un film di Jasmila Zbanic. Con Mirjana Karanovic, Luna Mijovic, Leon Lucev. Genere Drammatico, colore, 90 minuti. Produzione Bosnia-Herzegovina 2006.

  Recensione di Nicole Janigro

 

La presente recensione è stata pubblicata sulla rivista "Eidos. Cinema e Sguardo"(N. 8, giugno 2007), la cui redazione si ringrazia sentitamente per aver concesso l'autorizzazione alla pubblicazione su "Frenis Zero".

 

                                             

 



 

Una lunga sequenza  scorre i volti, inquadra trucchi e fogge, segue le rughe,

 

 esita sulla bocca di quella che forse riuscirà a parlare. Hanno molte età,

 

 appartengono a differenti classi sociali, vestite all’ultima moda o con il

 

fazzoletto legato al collo: sono un insieme solo femminile, la macchina da

 

 presa porta ogni faccia in primo piano - anche un fenomeno collettivo come

 

 la guerra non riesce a cancellare ciò che ciascuno di noi ha di unico.

 

 

 Sommesse, accennano qualche strofa di una sevdalinka, canto tradizionale

 

 

 senza tempo che tutte conoscono. In uno dei numerosi centri di sostegno alle

 

 donne vittime, che fanno meno fatica a chiedere l’assegno di sussistenza che

 

 raccontare per elaborare il loro trauma come i terapeuti (stranieri)

 

 desidererebbero, l’atmosfera rimarrà sempre opprimente, in silenzio o in

 

 pianto, nessuna potrà mai dimenticare il motivo per il quale si trova lì.

 

 

Siamo a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, un anno indefinito di un

 

 dopo guerra infinito, il cielo scarica sulla città neve e pioggia, sull’asfalto si

 

 scivola sul fango, il ritmo metropolitano corre veloce, ma gli esseri umani e

 

 l’ambiente sono ancora pieni di lividi, i cimiteri che spuntano ovunque non

 

 permettono di dimenticare, basta un nonnulla per sentire aria di minaccia.

 

 Grbavica. Il segreto di Esma, Orso d’Oro al festival di Berlino 2006,

 

 sminuzza la coppia amico/nemico, il bianco/nero del conflitto, in storie

 

 individuali, in vicende quotidiane segnate dal passato recente ma che vivono

 

 oggi una loro urgenza e attualità.

 

Durante la guerra il quartiere di Grbavica è stato la linea del fronte, gli

 

 abitanti rimasti ostaggio dell’esercito serbo, esposti a soprusi grandi e

 

 piccoli. E chi ora ci passa sa che dentro gli edifici screpolati dell’edilizia

 

 popolare socialista spesso è andato in scena l’orrore. Ma Grbavica vuol

 

 dire anche donna con la gobba, metafora del peso che Esma non riesce a

 

 scrollarsi di dosso. La seguiamo nei suoi spostamenti, nella ricerca di un

 

 lavoro, i soldi che non bastano per mantenere Sara, la figlia dodicenne.

 

 

 Approda come cameriera in un night club dove ogni notte il ritmo metallico

 

 della turbo folk music si mischia con l’alcol e i soldi di chi si è arricchito,

 

 con l’alterarsi dei molti che non riescono più a fare a meno della violenza.

 

 Esma suda e sobbalza davanti ad ogni imprecazione che esce dai petti

 

 villosi, ricoperti di catene d’oro e giacche di finta pelle, vomita, fuma e si

 

 impasticca.

 

 

Chi vuole sottrarsi al machismo da branco è Pelda, che cerca di uscire dal

 

 giro paramafioso, vorrebbe poter corteggiare Esma senza che fra i due si

 

 levi l’ombra della violenza che lì accanto le donne hanno subito. Se

 

 nell’agognato estero Pelda potrà inseguire una normalità, Esma non se la

 

 sente di partire: “bisogna rimanere per i nostri morti”, per quelli che non

 

 sono stati ancora ritrovati, anche se ogni giorno in più di uno sbucano fuori

 

 da qualche fossa comune.

 

 

Fra madre e figlia il rapporto conosce solo gli alti e i bassi, gli abbracci

 

 sfociano in rissa, i gesti dell’amore trasmutano in odio  – e viceversa. La

 

 ragazzina ama i suoi capelli, pensa di averli simile al padre, la madre non

 

 racconta, non dà notizia né mostra fotografie. Sara è un maschiaccio,

 

 ribelle anche a scuola dove fa coppia con Samir, figlio di un martire della

 

 guerra. Per una gita scolastica i soldi non bastano, i parenti non aiutano,

 

 solo le amiche di Esma fanno una colletta. Come orfana Sara avrebbe

 

 diritto all’esonero, il documento necessario però non arriva. I compagni la

 

 sbeffeggiano, l’accusano di mentire, un padre caduto in guerra costituisce

 

 (come nella Jugoslavia di Tito) un pedigree. Provata ed esasperata la madre

 

 esplode e confessa: non c’è un padre, non ci sono eroi né martiri, solo

 

 uomini che hanno visto in lei, come in oltre ventimila donne bosniache,  il

 

 “nemico riproduttivo”- e l’hanno violentata. Stupro è la parola della

 

 vergogna, quella che fa tenere gli occhi bassi, vivere nel timore di

 

 incontrare per strada o al bar il proprio carnefice, è l’interrogativo

 

 

tragico se tenere il bambino della violenza, frutto del seme che l’altro ci ha

 

 ficcato in corpo, o abortire (e molto spesso a bambino già nato perché era

 

 troppo tardi per interrompere la gravidanza). Come sarà capitato alla

 

 protagonista che non riesce a guardare la figlia senza rivivere questa

 

 ambivalenza.

 

 

E sarà proprio lo sguardo di Esma (una intensa Mirjana Karanovic già vista

 

 nei film di Kusturica) che continuerà a perseguitare lo spettatore fuori dal

 

 cinema, mentre Sara parte per la gita scolastica, e sul pullman la classe

 

 canta “Sarajevo, mio amore”, motivo degli anni settanta, quando la città

 

 non avrebbe mai potuto immaginare di poter essere divisa.

 

 

Grbavica. Storia di Esma è il primo lungometraggio di Jasmila Zbanic,

 

 regista bosniaca che si è fatta conoscere per i suoi documentari e diversi

 

 corti che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali. Nata a Sarajevo nel

 

 1974, la guerra l’ha vissuta da adolescente, a due passi dal fronte, la

 

 scoperta dell’amore, per lei e le sue coetanee, è avvenuta in contemporanea

 

 alla scoperta della violenza sessuale. La duplicità dei sentimenti provati

 

 quando ha avuto una figlia, dice nelle interviste, l’ha avvicinata al segreto

 

 di Esma, ha voluto un titolo impronunciabile per trasmettere l’immagine

 

 sonora del suo mondo interiore. Così Grbavica non diventa un film

 

 didascalico, ma rivela scene di un’antropologia della sofferenza che per

 

 essere elaborata deve poter continuare a raccontarsi.

 

 

 

                                         Nicole Janigro


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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