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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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    "In costruzione: dialogo visuale"

Parlando delle identità nella transnazione armena

 

 

 

 

In occasione della Biennale Arte 2007 di Venezia un evento collaterale è stata la mostra all'isola di san Lazzaro degli Armeni dal titolo "In costruzione: dialogo visuale. Parlando di identità nella transnazione armena". Le opere esposte erano di Silvina Der-Meguerditchian,  di Achot Achot, di Emily Artinian, di Andrew Demirjian, di Dahlia Elsayed, di Archi Galentz e di Sophia Gasparian. Riportiamo il testo introduttivo di Barbara Höffer.A seguire i testi di Ali Akay, di Marc Wrasse, di Estela Schindel e di Silvina Der-Meguerditchian.

 

                                             


 

Foto:  un'opera di Sophia Gasparian

  La mostra "In costruzione" si propone come un gioco sperimentale. Presenta un dialogo aperto in cui si discute la questione dell'identità, la possibilità che esista un'identità armena che vada oltre determinate frontiere nonché oltre le nozioni trasmesse di generazione in generazione di nazionalità, di tradizione e di lingua. Nella mostra vengono esposte le opere di sette artisti di origine armena le cui biografie configurano un testo che trasmette una pluralità culturale. Tutti costoro sono cresciuti in un ambiente poliglotta ed in contesti culturali diversi. La natura nomade, ibrida delle loro esistenze   permette loro di muoversi con disinvoltura tra lingue diverse e mondi differenti in quanto artisti internazionali, ma al contempo di forgiare una cultura che intende il concetto di "identità" come un processo paradossale, effimero ed in continua evoluzione. A questo riguardo, per Achot Achot, Emily Artenian, Andrew Demirdjian, Silvina Der-Meguerditchian, Dahlia Elsayed, Archi Galentz e Sophia Gasparian è il ricordo delle proprie radici armene - la ricerca del paradiso perduto - ciò che spinge al dialogo visuale e all'opera creativa. La propria Armenia si converte così nell'idea di "transnazione", che si intende come un continuo sorgere e divenire, in costruzione. La ricerca delle ragioni soggiacenti della questione, lo sconvolgimento delle strutture nazionali da parte delle società transnazionali con il loro potenziale creativo acquisisce nel contesto della Biennale di Venezia, la grande piattaforma artistica di impostazione nazionale, un contorno ed una forza di attrazione ben definiti. Esponendo all'interno del Monastero Mekhitarista, gli artisti si rifanno alla lunga tradizione della ricca produzione culturale della diaspora. L'idea della mostra "In costruzione" si basa su un progetto su Internet che Silvina Der-Meguerditchian creò nel 2005 e che offrì agli artisti uno spazio virtuale in cui promuovere uno scambio vivo di carattere visuale. Questa piattaforma apre la possibilità di sperimentare nel segno di un processo già iniziato e permette di legare identità ibride. Questo metodo di lavoro specifico ed i protocolli visuali dei dialoghi tra gli artisti si presentano al visitatore della mostra in forma di video. Il denominatore comune delle opere selezionate è la mancanza di convinzioni ferme, l'assenza di identità chiaramente definite. L'anelito di qualcosa che si è perduto per sempre e, quindi, la ricerca di una maniera di ricordare questo qualcosa continuano ad essere la forza di propulsione rispetto alla questione dell'identità armena. Ciò si riferisce sia al contenuto artistico sia alla questione della forma o del mezzo scelto da ogni artista per la sua opera. In tale contesto, il trattare del genocidio degli armeni è d'importanza vitale. Lo sterminio e l'espulsione degli armeni dà luogo ad un vuoto, all'assenza in sé, che continua ad essere evidente ed a mantenersi tanto all'interno delle frontiere dell'attuale Armenia quanto nell'ambito della diaspora. Le opere che qui si presentano giocano con diversi mezzi espressivi e forme artistiche, fanno esperienze con frammenti di ricordi ed identità dell'inconscio individuale e collettivo. Elaborano nuove immagini e le decostruiscono. Perciò, l'identità si converte in un atto performativo, un atto che si muove al confine tra la presenza e l'assenza, tra la produzione e la disintegrazione del significato.  I testi di grande profondità, a corredo della mostra, elaborati da Estela Schindel, da Marc Wrasse e da Ali Akay sviluppano, ciascuno a proprio modo, prospettive molto differenti di avvicinarsi alla questione dell'identità armena  ed alle difficoltà potenziali che presenta una "transnazione" armena. Mentre il filosofo Marc Wrasse colloca l'Armenia in un ORA//:QUI - nel qui ed ora/in nessuna parte - ed analizza la possibilità di creare un'identità armena giocando con il passato ed il presente, il filosofo e curatore di mostre Ali Akay sostiene che i diritti civili sono fondamentali nella formazione dell'identità. In tal senso, egli si riferisce alla problematica situazione in cui si incontrano i migranti e le società multiculturali, così come alle difficoltà che derivano dal tentare di creare un'identità collettiva. Da parte sua, la sociologa Estela Schindel nel suo testo "L'interminabile tessuto della transnazione armena" pone in rilievo  gli aspetti dinamici e creativi degli armeni della diaspora, che costituiscono una comunità con una forza creativa propria. Secondo la sua opinione, il continuo processo di costruzione implica una certezza che va oltre la morte e la perdita.

 

 

LA TRANS-INDIVIDUALITA' E LA DISIDENTIFICAZIONE

di Ali Akay

Foto del video "Underconstruction online dialogues"

L'identità dell'individuo è un problema centrale della nostra epoca. Abbiamo ereditato tale situazione sin dalla creazione dello Stato-nazione, ma anche, ancor prima, dalla creazione dei regni d'Europa. Il Secolo dei Lumi in Europa è uno dei fattori grazie al quale l'individuo è stato considerato come una persona appartenente ad una collettività. Fu quello il momento nella storia in cui abbiamo cominciato a discutere di politica in termini nuovi, ed il soggetto, il popolo è divenuto un elemento centrale. Abbiamo utilizzato l'idea di "cittadinanza" a partire dalla creazione dello Stato-nazione, ed essa è diventata una formulazione molto positiva con delle forti connotazioni di libertà.

Hobbes colloca "il popolo" prima della nozione di "cittadinanza", eliminando il concetto di moltitudine, cosa che è molto pertinente per noi oggigiorno riguardo all'uso sociologico contemporaneo di questi termini. L'eredità dello Stato-nazione è un serio problema per noi, a causa dei numerosi crimini di cui questa entità è stata responsabile nel corso della sua storia, una storia che subiamo ancora e dalla quale dobbiamo assolutamente uscire se vogliamo progredire in una nuova situazione, e nella creazione di nuovi generi di pluralità.

Lo sviluppo storico di questa idea, dell'appartenenza dell'individuo ad una comunità collettiva, possiede un certo numero di biforcazioni. Il sociologo francese Gabriel Tarde (1843-1904) ha interpretato il tema dell'individualità secondo le idee di Leibniz sulla monade. Tarde ha aggiunto alla monade di Leibniz il concetto di porta aperta e di finestre. Ciò significa che la stanza di Leibniz non ha né porta né finestra. E' una monade, mentre l'individualità di Tarde è porosa e non chiusa in se stessa. E' una trans-individualità porosa e perciç possiamo chiamare questa situazione individuale di incrocio della persona una disidentificazione a causa della relazione aperta alla possibilità dell'individuazione globale nella sua interezza.

E' un momento nella storia della filosofia in cui abbiamo un soggetto indivisibile di coscienza. Tale sviluppo dell'indivisibilità della persona fa sì che egli appartenga a se stesso. La sociologia ha sviluppato poi la differenza tra la società e l'individuo, come un lungo processo di separazione dell'individuo dal sociale. Più tardi, all'inizio del XX secolo, nel lavoro di Durkheim, l'individuo è stato separato dal collettivo ed è esistito in quanto parte della società.

Nel nostro attuale approccio della sociologia, dovuto in parte all'influenza delle posizioni di Durkheim, la società e l'individuo non sono capaci di comprendere, ritengo, la posizione dell'individuo d'oggi. Nel corso di questi ultimi due decenni la nozione di multiculturalismo ha cominciato a giocare un ruolo centrale nel dibattito delle scienze sociali e delle arti. Ma, purtroppo, ciò è accaduto, principalmente, unicamente nel contesto del tema polemico dell'immigrazione. I migranti hanno la possibilità di creare delle nuove forme di cultura in società in cui essi sono coinvolti, e possono scegliere di accettare tale assimilazione o tale differenze culturali (una nuova esigenza dei giovani cittadini, soprattutto nei paesi di vecchia colonizzazione). Possiamo chiamare questa la cultura dei migranti. Su questo punto, l'idea di "un popolo" è molto problematica, dato che ciò che chiamiamo popolo è, secondo Hobbes, è dato da coloro che appartengono ad una Nazione-stato.  Come possiamo parlare di "un popolo" quando i migranti sono solo dei migranti e non dei cittadini? Avere la cittadinanza esige una naturalizzazione dell'individuo proveniente da un'altra cultura. In Europa, è possibile essere membro di una nazione unicamente se si possiede la cittadinanza di questa nazione.

 

"ARMENIA ORA//:QUI"

di Marc Wrasse 

Foto:  un angolo della mostra con opere di Achot Achot, di Emily Artinian e di Archi Galentz

Ecco i sei artisti armeni, tutti molto secolarizzati, in questo celebre monastero armeno situato al di là delle rive dei loro paesi, a Venezia, in Italia: il mondo sembra essersi abituato al fatto che i popoli vivano nei loro paesi natali, oppure che esistano degli altri popoli che hanno preso coscienza di se stessi dato che la hanno perduta. 

Se si guarda questo paradosso, i pensieri tendono a provenire da due versanti: rivolgendosi indietro, attraverso il dolore ed il lutto per la perdita, in avanti, reclamando il ritorno dell'identità perduta, sognando una sorta di unità che permetterebbe a ciascuno che la propria identità si integri senza conflitti con l'identità collettiva, una fusione di entrambi in un luogo armeno - bandiere, musica, funzionari. Tuttavia, le due correnti di pensiero sono un'illusione: non si può essere in lutto per sempre, e la bellezza della bandiera e della musica gioca il ruolo di camuffamento della violenza che è sempre stata associata alla nazionalità. Non esistono nazioni senza un esercito, nessuna che non contenga uno squilibrio umiliante tra ricchi e poveri, nessuna che non ricorra alla forza per punire quelli che sfidano le forze delle sue istituzioni e che non obbediscono alle sue leggi - un tentativo inutile. Dunque, questi armeni a cui non resta nulla se non il sogno, se non delle speranza svanite sono considerati dal mondo come dei fortunati.

Tutto ciò che resta tra passato e futuro, è la presenza di una stretta cresta tra il qui e l'ora, così come il bisogno di determinare con esattezza ciò che significa armeno- al di là di qualsiasi illusione retroattiva e futura. L'arte si presta meravigliosamente a tale esperienza: la sua natura principalmente non violenta e gioviale si sviluppa non solo come dialogo tra gli artisti, ma anche come dialogo con un pubblico che non sospetta di nulla.

In nessun altro luogo il vuoto ed il bianco potrebbero essere riempiti con tutto ciò che è stato o avrebbe potuto essere, se ci fosse stata tutta questa violenza distruttiva. L'arte può essere un tale nulla, e tutti coloro che si lasciano toccare dall'arte scoprono questo nulla che è alla radice della propria esistenza. Come un vettore, "Armenia Ora//:qui" rappresenta l'interazione tra passato e futuro, il periodo durante il quale la nostra breve vita si dispiega. "Armenia Ora//:qui" agisce come un motore per la creatività reciproca.

Possiamo chiederci, come i tre quarti degli armeni che non hanno un paese che possano chiamare il loro paese, quale sia l'essenza della loro esistenza, se noi vediamo oltre il lutto e l'illusione o se consideriamo virtuosamente l'identità come una cosa che non può essere vista se non in modo critico e nel contesto della sua formazione; allora la sola risposta plausibile sarà una commemorazione fruttuosa ed un'immaginazione che si evolve storicamente. L'Armenia è il luogo in cui la gente colleziona dei fili per tessere tappeti, il motivo vago che manifesta il loro ardente desiderio di un'esistenza senza abnegazione. L'Armenia è il luogo in cui la materia e la tessitura di questi fili rende visibile ciò che può essere inteso ascoltando le voci degli antenati: un amore di un colore e di un gusto inimitabili.

 

"L'INTERMINABILE TESSUTO DELLA TRANSNAZIONE"

di Estela Schindel

 

Foto: un'immagine dell'ingresso alla mostra "In costruzione" con opere di Andrew Demirjian e Sophia Gasparian

 A partire dalla prima grande dispersione, nell'anno 1045, il popolo armeno ha subito delle molteplici forme di migrazione e di esilio. Secondo Khachig Tölölyan, le testimonianze ed i frutti di queste diverse esperienze nel corso di questi dieci secoli sono ben resi dalle parole variegate usate nella lingua armena per qualificare la diaspora. "Spurk", "ardekir", "tz'ronk", "gharib", "gaghut" - che può essere imparentato al termine ebraico 'galut' - ogni parola si collega a differenti momenti e modi di vita all'estero. L'abbondanza lessicale è un'indicazione della complessità e della diversità storica. Tale pluralità evoca la vitalità ed il dinamismo della condizione nella diaspora, ancor prima di qualificare la mancanza o la nostalgia.

La dispersione, come ogni disseminazione, acquisisce col linguaggio un contenuto fecondo. Come dei chicchi di grano seminati, la migrazione permette l'espansione dei valori e delle creazioni culturali, trasformando la diaspora in uno spazio fertile. La parola, questo tesoro portatile, capace di essere intesa e di produrre dei frutti su delle terre lontane, rende possibile periodi di splendore culturale. Il primo giornale in armeno apparso a Madras nel 1794 è un esempio di questa vitalità e dimostra come una cultura condivisa offra uno spazio che consente di ricreare i propri valori e con essi delle sfere simboliche da abitare.

Tale creazione continuamente rinnovata dell'esistenza armena nella diaspora, come anche la rimessa in questione sempre maggiore dei concetti di 'nazione' e di 'identità',  rimpiazzati da altre nozioni come quelle di deterritorializzazione globale e di ibridità culturale, hanno portato a questa idea nuova dell'Armenia come transnazione. La diaspora non può più essere considerata come un esilio, una condizione orfana, una periferia mancante della terra natale, ma piuttosto una rete che include e forse travalica l'Armenia territoriale.

La "patria" non è solo un territorio delimitato geograficamente, ma un tessuto collettivo orizzontale ed interminabile. Non è una promessa futura, ma una costruzione permanente e produttiva oggi. Riconoscere il potenziale creativo dell'esistenza in diaspora non significa ignorare il peso distruttore in essa, dovuto alle sterminazioni ed alle persecuzioni. La memoria del genocidio è, insieme alla parola, un marchio indelebile nel tessuto permanente della  transnazione. E proprio come l'esperienza nella diaspora e l'importanza della tradizione letteraria, l'esperienza armena si avvicina a quella del popolo ebraico. E come per la Shoah, il dovere della memoria si pone in parallelo alla sfida consistente nel non limitare l'identità collettiva all'evocazione della morte, ma nel riuscire a trovare dei mezzi positivi che permettano di combinare un senso di appartenenza culturale.

Il lavoro di curatore di "In costruzione" tratta in modo responsabile questa eredità ricca e complessa. Il lavoro degli artisti funziona già come una piattaforma sul web - una risorsa potente e, di fatto, una metafora di questa costruzione rizomica della transnazione - immagini proposte che non aspirano né alla solidità né all'univocità dei simboli nazionali, ma che sono i fili della trama composta.

 Le loro opere non avrebbero potuto trovare un migliore riparo dei muri di un monastero che fu la sede della rinascita culturale armena. E nessuna città più bella di Venezia che ha accolto una comunità prospera in accordo col suo spirito mercantile ed il suo carattere di porta girevole tra due mondi distanti. Come Venezia, l'identità collettiva è meno una terra ferma che un archetipo in cui si intrecciano i canali, i fili di una tela infinita.

Foto: Emily Artinian, "An instant and secret treasure"

 

WWW.UNDERCONSTRUCTIONHOME.NET

di Silvina Der-Meguerditchian

 

Foto: Installazione "Dispread but together" di Silvina Der-Meguerditchian

La costruzione dell'identità è profondamente legata all'ambiente circostante che è una sorta di specchio in cui si riflette il sé. Quali specchi hanno gli armeni della terza generazione? "In costruzione" è un dialogo visuale on line creato da artisti armeni della diaspora. Il suo tema principale è la creazione di un'identità nazionale e transnazionale in quanto atto performativo della vita quotidiana. Al mondo non esiste alcuna entità politica che riunisca tutti gli armeni. Ci sono circa 10 milioni di armeni sulla terra e solo 3 milioni vivono in Armenia - i restanti 7 milioni essendo dispersi in più di 70 differenti paesi. Abbiamo due versioni della nostra lingua materna: l'armeno orientale e quello occidentale. Gli emigrati della seconda generazione non sanno comunicare in armeno. Delle eredità diverse dividono la nostra mentalità in tre direzioni nel mondo - turca, persiana e sovietica - secondo il luogo d'origine e l'epoca in cui il trasferimento della popolazione ha avuto luogo. La vita nella diaspora offre troppo poche linee di ispirazione di identità per le più giovani generazioni. L'interpretazione largamente diffusa che prevale nella maggioranza delle 'enclaves' armene, al di fuori dell'Armenia, è favorita da una spinta conservatrice di sopravvivenza. La vita in Armenia non è un'alternativa migliore: il paese attraversa una grave crisi identitaria, rendendolo un modello incerto da seguire. Tuttavia, un'esperienza nazionale forte alimenta il senso della comunità: il trauma del genocidio. Tale trauma comporta un'eredità di paura ed una sfida lanciata dalle vecchie generazioni alle nuove che assume un posto centrale: <<non permettete che noi scompariamo!>>. Ci sono altri temi o mezzi per comprendere la vita che ci lega gli uni agli altri? Sì, ma all'ombra del genocidio la maggior parte di essi riveste una minore importanza. Gli obiettivi di "In costruzione" sono:

1) creare un processo di riconoscimento,

2) identificare un punto di partenza per la costruzione di una coscienza di gruppo e

3) mediante un dialogo visuale tra artisti armeni della diaspora, costruire una coscienza per il futuro.

Il linguaggio costruisce la coscienza. Come abbiamo già detto, la lingua armena non fornisce più la struttura grammaticale comune dell'identità.

In questo dialogo visuale gli artisti creano un nuovo codice. Guardando l'altro, lo riconosco ed io mi riconosco. Se trasferisco questo atto di coscienza in immagini ed in parole,  contribuisco alla costruzione di un linguaggio che, in partenza, potrà sembrare soggettivo ed individualista, ma che, in un contesto di comunicazione, potrà funzionare come un semantema, una "frase collettiva": sparpagliati ma legati. Il sito presenta gli artisti partecipanti al progetto - i quali hanno delle strategie artistiche, un linguaggio visivo e delle tematiche differenti - in un dialogo concernente l'identità. Nel corso di un anno ogni artista ha inviato ogni mese del materiale visivo o dei testi agli altri artisti su dei temi liberi di sua scelta, e gli altri artisti hanno risposto con del materiale visivo o dei testi. Esiste anche sul sito una sezione di forum di discussione in cui ognuno, compresi gli stessi artisti, può aggiungere informazioni, riflessioni, ispirazioni ed osservazioni. E' possibile costruire un'identità permeabile che permetta di essere aperti senza perdere se stessi? E' possibile ricreare e rivivere l'esperienza di un sentimento di comunità nazionale attraverso la comunicazione virtuale nella transnazione? Nel processo di "In costruzione", dopo un breve periodo, gli artisti hanno cominciato ad incorporare delle regole di discussione e la loro "conversazione visiva" è diventata fluida. Nel corso dei primi quattro mesi, dei nuovi partecipanti della diaspora si sono uniti al gruppo, ed i partecipanti che provenivano dalla Repubblica d'Armenia hanno abbandonato il progetto. La mostra attuale possiede un carattere costitutivo. Essa intensifica l'esperienza virtuale grazie all'esperienza reale. La strada è lunga, i primi passi sono fatti. "In costruzione" diviene la fonte di una struttura galleggiante, una strategia per affrontare la molteplicità dell'essere umano contemporaneo.

 

  Foto: un'opera di Archi Galentz

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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