Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

  Home Frenis Zero

        

 

 

    " IL PESO DEL PASSATO". Intervista a René Kaes .... con una rettifica di quest'ultimo

 

In occasione del congresso "Generi e generazioni. Ordine e disordine nelle identificazioni", René Kaes, che vi ha tenuto una relazione, ha rilasciato un'intervista a Luciana Sica di "Repubblica" (pubblicata il giorno 1.12.2007). Tuttavia lo stesso psicoanalista francese ci ha fatto pervenire una rettifica circa un grave errore contenuto nel testo dell'intervista. Qui nel seguito riportiamo dapprima la rettifica (in italiano ed in francese) scritta da René Kaes, quindi il testo dell'intervista.

(texte en français)

Protestation contre une falsification dans un entretien de La Repubblica

 Déclaration devant le Congrès* le 2 décembre 2007

 Mesdames et Messieurs,

Vous avez sans doute pu lire dans La Repubblica de ce samedi 1er décembre l’entretien  au cours duquel je réponds à la journaliste de ce journal à des questions en rapport avec le thème de ce Congrès. Le travail de la journaliste est appréciable jusqu’au moment où il se produit à la fin de l’entretien un événement très fâcheux que je ne peux accepter et dont je dois vous parler.

Une question m’est « posée » que je n’ai pas entendue m’être posée, et dans le texte je suis supposé y répondre par un mot que je n’ai pas prononcé. Dans le texte publié par La Repubblica, à la fin de l’entretien, la journaliste me demande s’il est vrai qu’une collègue connue et que j’estime a été ma patiente.

Outre le fait que cette question et que cette réponse n’existent que sur le papier, mais qu’elles existent maintenant dans l’esprit de ceux qui ont lu cet entretien, je veux protester publiquement contre le préjudice que leur publication représente pour cette personne, pour notre communauté psychanalytique, et pour moi. Une réponse comme celle qui m’est attribuée à une telle question transgresse en effet l’éthique qui nous interdit de livrer publiquement une telle information. J’ai parlé dès hier soir avec la journaliste de cet inacceptable incident, qu’elle-même considère ou comme une erreur ou comme un malentendu. Je l’ai avertie de mon intervention de ce matin.

 René Kaës

 *generi e generazioni

ordine e disordine nelle identificazioni

Società Psicoanalitica Italiana

Centro Psicoanalitico di Roma

1 et 2 décembre 2007

   (testo italiano)

Protesta contro una falsità contenuta in un'intervista di Repubblica

Dichiarazione fatta davanti al Congresso* il 2 dicembre 2007

Signore e Signori,

Avete certamente potuto leggere in "La Prpubblica" di sabato 1 dicembre l'intervista nel corso della quale rispondo alla giornalista di tale giornale a delle domande in rapporto al tema di questo Congresso. Il lavoro della giornalista è apprezzabile fino al punto in cui si produce alla fine dell'intervista un evento molto increscioso che non posso accettare e di cui vi voglio parlare.

Mi viene <<posta>> una domanda che non ho capito che mi venisse posta, e nel testo si è supposto che io vi abbia risposto con una parola che io non ho affatto pronunciato. Nel testo pubblicato da "La Repubblica", alla fine dell'intervista, la giornalista mi chiede se è vero che una collega a me nota e che io stimo fosse stata mia paziente.

Oltre al fatto che tale domanda e che tale risposta non esistono sulla carta, ma solo nello spirito di coloro che hanno letto l'intervista, io voglio protestare pubblicamente contro il danno che la loro pubblicazione rappresenta per tale persona, per la nostra comunità psicoanalitica, e per me. Una risposta, quella che mi è stata attribuita ad una tale domanda, che trasgredisce in effetti l'etica che ci fa divieto di diffondere pubblicamente una tale informazione. Ho parlato ieri sera con la giornalista di questo inaccettabile incidente, che lei considera o un errore o un malinteso. L'ho preavvisata del mio intervento di questa mattina.

René Kaës

 

*generi e generazioni

ordine e disordine nelle identificazioni

Società Psicoanalitica Italiana

Centro Psicoanalitico di Roma

1 et 2 décembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

               Intervista con l'analista francese René Kaës
Il peso del passato
di Luciana Sica

A nostra insaputa spesso siamo eredi dei traumi irrisolti di chi ci ha preceduti
Romanzi familiari tinti di nero ma anche fratture irreversibili come la Shoah


 


 

ROMA. È possibile o impossibile dimenticare? All´origine di biografie disastrate, ma anche di grandi tragedie collettive, ci sono i traumi di un passato che non passa. Non solo ferite individuali, romanzi familiari tinti di nero, ma fratture irreversibili con i genocidi del Novecento di cui la Shoah è stato il paradigma più osceno. Siamo comunque eredi, spesso servitori, non sempre allegri beneficiari della vita di chi ci ha preceduto.
È il tema centrale di questa intervista con il francese René Kaës, mente brillante della psicoanalisi contemporanea. Ha settantadue anni, è professore emerito presso l´università Lumière di Lione, ha scritto numerosi saggi tradotti in italiano - quasi tutti - da Borla (il più recente è Un singolare plurale, legato al suo lavoro clinico con i gruppi, «lo spazio in cui l´Io può avvenire»).
In questi giorni René Kaës è il protagonista di un convegno su "Generi e Generazioni" - voluto principalmente da Patrizia Cupelloni, l´attuale segretario scientifico del Centro psicoanalitico di Roma. La sua dotta relazione su "la trasmissione delle alleanze inconsce" è senz´altro destinata agli studiosi, ma qui l´analista francese tenta di comunicare il suo pensiero a un pubblico colto, forse semplicemente curioso, senz´altro più ampio.
«Ciò che permane non è il ricordo, ma le tracce», scrive Pontalis. Sono queste tracce, che diventano sintomi, angoscia senza nome?
«L´inconscio non dimentica nulla, conserva tutto quello che ha percepito, provato, può compensare i punti ciechi e le sordità, o anche creare delle rappresentazioni di ciò che ad esempio non è stato attraverso allucinazioni o gesti, "passaggi all´atto". Il ricordo può in effetti svanire, ma non la traccia che resta senza figura né senso quando prevalgono la negazione e il rigetto. Sono queste tracce senza memoria che diventano sintomi, terrori senza nome, pensieri bianchi».
Cosa sono i pensieri bianchi, professore?
«Alludono alla psicosi quando si esprime appunto nell´incapacità di pensare, generando una forma di vuoto. Ma quello che è traccia senza senso per un soggetto può attivare tracce in un altro, accade spesso attraverso il sogno. È quanto osservo nelle terapie di gruppo o anche nelle terapie familiari fondate su un dispositivo psicoanalitico, e che le giustifica ampiamente come una modalità di accesso all´inconscio».
All´inizio degli anni Novanta, lei, la Faimberg e un altro paio di analisti firmavate un libro ormai considerato un classico: s´intitola Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Un tema che implica un interrogativo di fondo: è davvero impossibile dimenticare?
«Intanto non è solo la vita psichica che viene trasmessa, vale a dire quanto sostiene e assicura una continuità positiva dell´esistenza umana come il mantenimento dei legami intersoggettivi. Spesso si tratta di formazioni mortifere. È anche la morte psichica che si trasmette, una condizione che impedisce di "simbolizzare" gli stati interni e i rapporti con gli altri. Nelle mie ricerche, sono stato particolarmente attento alla "trasmissione del negativo", a tutto quel che non si contiene, non si trattiene, non si ricorda: gli oggetti perduti di cui non si è elaborato il lutto, il senso di colpa o della vergogna, i traumi rimasti tali e quali... Comunque, sì, ci sono delle situazioni in cui è impossibile dimenticare».
In che senso allora si considera l´oblio la forza viva della memoria?
«L´oblio non è solo la forza viva della memoria, ne è la condizione. Vede, ogni lutto che segue a un trauma è un lavoro doloroso, ma nel segno della creazione: in genere bisogna identificarsi con le parti "buone" e riconoscere quelle "cattive" dell´altro. Si tratta di una faticosa ricostruzione assolutamente necessaria per rigenerarsi, per non rimanere appunto inchiodati al lutto... Questo però non toglie che esiste la dimensione dell´indimenticabile».
Una dimensione che si traduce in un uso ossessivo della memoria?
«Non si dimentica ciò che rimane incollato al trauma, inelaborato, che esige quindi la ripetizione, e senz´altro un uso ossessivo della memoria. Una scena ci assedia, ci invade, occupa il nostro spazio psichico. E´ lì stampata nella mente, e nulla mai si trasforma. Così si conserva la presenza costante dell´avvenimento traumatico, con tutto il suo terrore devastante ma forse anche con una forma di parossistico godimento».
"Transgenerazionale": è un termine difficile, seppure ormai di uso comune nel linguaggio psicoanalitico. Allude a un processo di natura inconscia attraverso cui entriamo in contatto con un´esperienza non vissuta in prima persona, estranea alla coscienza. È così che lei lo intende?
«Sottoscrivo pienamente questa definizione di transgenerazionale, del tutto distinta dalla nozione di intergenerazionale che rimanda invece alle relazioni dirette tra due generazioni o all´interno di una stessa generazione... Qui si parla di ciò che ereditiamo a nostra insaputa: episodi reali e spesso traumatici, che sono stati oggetto di negazione o di rigetto da parte di chi li ha vissuti, si depositano nella psiche dei discendenti creando quelle che Nicolas Abraham e Maria Torok hanno chiamato "cripte", luoghi che accolgono fantasmi, oggetti grezzi, enigmatici, bizzarri, inassimilabili, impensabili, indicibili... Sono questi i processi più arcaici che formano lo zoccolo originario dell´inconscio».
In stanza d´analisi o nei gruppi, come si affronta una materia così oscura, misteriosa?
«Dal punto di vista clinico, il problema è comprendere come il soggetto s´impadronisca di quanto gli viene trasmesso in questo modo, di quel che eredita senza poterne diventare realmente l´erede, perché non ha potuto iscriverlo nella propria storia. Cito spesso una frase di Goethe che piaceva molto anche a Freud: "Quello che hai ereditato dai tuoi padri, allo scopo di possederlo, devi guadagnartelo". Appropriarsi dell´eredità è possibile solo quando s´intraprende un processo profondo di soggettivazione, sciogliendo quelle che definisco "alleanze inconsce". È un uso vivo della memoria che dice: ricorda, recupera il tuo passato, fai di te una persona tra le altre, ma che rimane singolare e distinta. Strada facendo, potrai separare ciò che è tuo da ciò che non lo è. Tuttavia, dovrai ammettere che questa memoria ritrovata è una costruzione e ti parla dell´avvenire: è anche una memoria del futuro».
In che rapporto sta la memoria individuale con quella collettiva?
«È una questione davvero complessa: storici, antropologi, psicoanalisti l´affrontano da diverse angolazioni. Assolutamente centrale è il valore della testimonianza: la messa in forma di racconto d´immani tragedie epocali, come nel caso della Shoah o delle dittature genocide. La memoria collettiva, come quella individuale, è selettiva: si forma sulla base delle rimozioni dei membri di un gruppo proteggendo i loro interessi. Ciò che definiamo revisionismo è la faccia emersa di questi patti di negazione collettiva che mutilano la memoria. Anche se quello che viene cancellato, "torna nel reale", secondo la concezione di Lacan».
«I morti non sono degli assenti, sono degli invisibili»: Anne Schutzenberger ricorre a una citazione di Sant´Agostino ne La sindrome degli antenati (Di Renzo), un libro che lei conoscerà senz´altro... Ma è un´immagine convincente?
«Francamente la trovo molto ambigua, fuorviante. I morti non sono degli spettri che non possiamo percepire con i sensi, vanno accettati - integrati - come assenti perché sono "passati", e non possono tornare. Sono però anche molto presenti dentro di noi e tra di noi, sul piano della memoria, dell´eredità, delle identificazioni...».
Ricordare per dimenticare è un´immagine che la convincerà di più. È anche il titolo di un librino bellissimo a firma Janine e Vahram Altounian (anticipato su queste pagine il 3 novembre scorso): il diario di un padre sfuggito al genocidio armeno, la dolorosa testimonianza di sua figlia, un´intellettuale molto in vista - è lei che ha supervisionato la traduzione delle opere complete di Freud in Francia. Ma è vero che è stata sua paziente?
«Sì... Janine Altounian è una persona che mi è davvero carissima».

 

 
 
 
 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007