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    IN MEMORIA DI MAURO MANCIA

 

 

 

  Un ricordo del grande neurofisiologo e psicoanalista, scomparso il 25 luglio 2007,  a firma di Mario Rossi Monti uscito il 29.07.2007 sul Domenicale de "Il Sole 24 Ore".

 

 

 

       Il primo capitolo del volume Psicoanalisi e Neuroscienze, curato da Mauro Mancia per Springer (2007), si intitola: <<Come le neuroscienze possono contribuire alla psicoanalisi>>. Un tema al quale Mancia ha dedicato una vita di ricercatore, psicoanalista e studioso. Dopo gli interventi di Eric Kandel (Cortina, 2007) e dopo la fondazione di una Società Internazionale di Neuropsicoanalisi, il rapporto tra  psicoanalisi e neuroscienze è diventato un problema emergente con il quale tutti gli psicoanalisti devono fare i conti. Non è più possibile pensare, ad esempio, che le conoscenze della "infant research" non aggiungano niente a ciò che la psicoanalisi già sapeva dell'infanzia. O ancora, che le neuroscienze non impongano una revisione del tradizionale sapere analitico. Non è possibile fare a meno delle distinzioni tra vari tipi di memoria, né ignorare che esse costringono a ripensare la nozione di inconscio.

Mauro Mancia lo ha affermato con chiarezza all'ultimo congresso della Società psicoanalitica italiana (Siena, 2006): <<La scoperta di un doppio sistema di memoria permette ora di ipotizzare due forme di inconscio... l'inconscio non rimosso, che si struttura precocemente entro i primi due anni di vita e l'inconscio rimosso, che si organizza più tardivamente>>.

La scomparsa di Mauro Mancia avviene paradossalmente nel momento in cui i temi di riflessione, ricerca e lavoro clinico ai quali ha dato un fondamentale contributo diventano davvero patrimonio di tutti gli psicoanalisti. Non è stato sempre così. Gli psicoanalisti hanno assunto vari atteggiamenti verso le neuroscienze. In Italia Maria Ponsi (2007) ha tracciato con grande chiarezza le coordinate di questo rapporto: alcuni hanno guardato le neuroscienze con sufficienza cullandosi nell'idea che il pensiero freudiano ne avesse anticipato le scoperte; altri si sono compiaciuti del fatto che venivano confermate molte intuizioni freudiane; altri hanno sentito il rischio della dispersione del patrimonio clinico della psicoanalisi; altri ancora si sono barricati nel loro modello sostenendo che la psicoanalisi non ha bisogno di conferme dall'esterno.

In questa lunga storia, Mancia ha svolto, soprattutto in Italia, un ruolo centrale: a partire da un'epoca (la fine degli anni 50) nella quale non era così ovvio mettere in comunicazione ambiti tanto diversi. Ciò nonostante il suo lavoro si è sempre mosso in una prospettiva binaria: da un lato neurofisiologo, giovane ricercatore al Karolinska Institutet, all'Istituto di Pisa, al National Institute of Health e (dal 1975) professore di Fisiologia nella facoltà di Medicina dell'Università di Milano; dall'altro psicoanalista nella Società psicoanalitica italiana, clinico di grande esperienza ma anche analista con funzioni di training. Tra questi due ambiti Mancia ha sempre stabilito una integrazione creativa gettando con tenacia una serie di ponti. Ponti non facili da percorrere: irti di problemi, ostacoli e distinzioni. Un'operazione che Mancia ha sviluppato con grande intelligenza e audacia: senza perdere la consapevolezza della diversità metodologica dei due strumenti di indagine che in lui convivevano.

Il sogno ha costituito il fulcro del suo interesse. Tra i tanti lavori (molti dei quali in lingua staniera) ricordo solo il titolo di un libro, Il sogno come religione della mente (Laterza, 1987): dove religione viene usato nella accezione di re-ligare , cioé mettere in relazione <<gli elementi emotivamente più significativi che nel mondo interno dell'individuo hanno acquisito un significato sacrale>>. Negli ultimi anni Mauro Mancia aveva cercato di mostrare come le conoscenze neuroscientifiche avessero una ricaduta diretta nel lavoro clinico dell'analista. Là dove ad esempio non conta soltanto il contenuto dell'intervento dell'analista in seduta, ma anche (e forse soprattutto) il ritmo, il tono, il timbro della voce o addirittura la musicalità della frase. Tutti elementi che si collegano, secondo Mancia, all'inconscio non rimosso e che permettono di ripensare l'azione terapeutica della psicoanalisi come tentativo di trasformare simbolicamente e rendere verbalizzabili le strutture implicite precoci e inconsce della mente del paziente.

La strada aperta da Mauro Mancia perde oggi il suo principale punto di riferimento. A lui il merito di averla inaugurata. A noi il dolore della perdita ma anche il compito di continuare a percorrerla.

                                      

 



 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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