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 "L'INCONSCIO SULLO SCHERMO" 

Recensione di Mauro Mancia del libro di Lella Ravasi Bellocchio "GLI OCCHI D'ORO. Il cinema nella stanza dell'analisi".

 

 

Lella Ravasi Bellocchio, "GLI OCCHI D'ORO. Il cinema nella stanza dell'analisi", pp.255, € 12, Moretti & Vitali, Bergamo 2004.

 

La presente recensione è apparsa su "L'Indice di libri del mese", anno XXII, n.3, marzo 2005. Si ringrazia oltre che l'autore della recensione anche "L'Indice" per aver concesso l'autorizzazione alla pubblicazione su "Frenis Zero".

                                             

"Gli occhi d'oro" sono quelli che possono vedere nello schermo del cinema, il potente motore di immagini e di analogie con lo schermo del sogno e con la sua drammatizzazione. Come il sogno, lo schermo del cinema ospita personaggi in relazione tra loro (la dimensione intrapsichica del sogno) e si offre alle nostre identificazioni di spettatori (la dimensione interpersonale del sogno).  Come in questo schermo, gli "occhi d'oro" possono vedere ciò che è invisibile, così nel sogno l'analisi può offrire al paziente gli "occhi d'oro" per cogliere, dietro alla realtà, la metafora che è alla radice del suo transfert.

Il cinema è uno dei mezzi più adatti a trasmettere all'esterno le immagini del mondo interno. Il regista cerca gli attori più adatti a rappresentarle. E con questi personaggi dello schermo noi ci identifichiamo al punto da poter fare del cinema l'uso che facciamo del sogno. In questa misura va intesa l'affermazione di Lella Ravasi che il film cura, come cura il sogno nella misura che permette al sognatore di oggettivare affetti ed emozioni proiettando sullo schermo le rappresentazioni dei propri oggetti interni. In questa misura il cinema, come il sogno, permette di storicizzare il nostro inconscio facendoci rivivere emozioni rimosse o dimenticate per sempre.

Se volessimo ricercare ulteriori analogie tra il cinema e il sogno potremmo rivolgerci al concetto di simmetria e asimmetria come caratteristiche dell'inconscio, elaborato da Matte Blanco, che possono essere ritrovate nella doppia logica che sottende le due forme di rappresentazione. 

  Foto: Ignacio Matte Blanco

  A questa doppia logica partecipano l'immagine, la fotografia, il contesto, il commento musicale, la stessa narrazione e la storia nel suo complesso.  Sono gli elementi contenitori di nostre parti del sé scisse e identificate proiettivamente nei personaggi del cinema e del sogno. Al punto da far dire all'autrice: "Ci si sente in gioco, un pezzetto di noi è in gioco in ogni personaggio". E con questa modalità possiamo sentirci simili ad altri, un destino condiviso.

Nel passare a uno sguardo gettato in profondità in alcuni film, Lella Ravasi mostra tutta  la sua sensibilità di analista che le permette di portare un contributo non solo all'analisi di quello specifico film, ma alla stessa teoria psicoanalitica. Ad esempio, nel capitolo Meraviglioso come noi sottolinea il ruolo imprescindibile della voce, quale nostra "musica sconosciuta" nel rivelare emozioni e sentimenti che appartengono alla nostra infanzia e parti strutturanti di quell'"ombelico del sogno", come lo definisce l'autrice, che è il nostro inconscio più arcaico non rimosso. Nel film si assiste a una sequenza parola-immagine-parola che ha una profonda analogia con il sogno, in cui la parola che nasce dall'immagine permette la verbalizzazione di esperienze preverbali che diventano pensabili.

Nel film Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti, Ravasi coglie quella "memoria arcaica" che caratterizza le donne che gestiscono la vita e la morte, quelle donne - dice Alberto Bellocchio - "dalle lunghe gonne tremolanti/ che hanno il ritmo della ninnananna", quelle donne di paese che abitano case - come dice Lucio Piccolo - "che erbose hanno le soglie".

Il film Intimacy di Patrice Chéreau, tocca il tema della sessualità, nostra "dolce follia", e il problema della (possibile o impossibile) scissione tra sesso e sentimenti. La passione - si dice nel film - è vivibile senz'altro, se diventa altro non è più vivibile. 

Nell'altro film di Patrice Chéreau, Son frère, viene rappresentato il dolore, quel dolore che fa parte della vita, che si collega alla separazione e diventa indicibile: Infandum regina jubes renovare dolorem!

Non poteva mancare in questa raccolta un'analisi del film di nanni Moretti La stanza del figlio. Qui "la stanza" è il luogo della sofferenza psichica, del lutto inelaborabile. Ma il film ci dice che il lutto è elaborabile. E viene in mente a Ravasi, come a me, il dolore che si vive e non si può non elaborare quando si deve accompagnare un paziente verso la morte, l'ultimo passo di addio. E' necessario in questi casi condividere ciò che accade nella mente dell'altro, contenerlo, colmare con la presenza e le parole il vuoto di ciò che non può essere rappresentato.

Per ultimo, Prendimi l'anima di Roberto Faenza, la tormentata storia di Sabina Spielrein e Jung, una storia che ripropone un tema sempre presente in analisi: l'amore di transfert. 

  Foto: Sabine Spielrein

Questo amore è vero o di transfert? , si domanda Ravasi. Come diceva anche Freud, l'amore di transfert è reale ma non è realizzabile e, pur rivolgendosi all'analista, è impersonale e rappresenta l'unico modo con cui il/la paziente può esprimere la sua affettività e il suo erotismo. L'amore in analisi può guarire ma può anche ammalare. Esso è comunque al centro di ogni relazione terapeutica.

In sintesi, questo piccolo libro è denso di emozioni, un romanzo dell'anima che percorre sentieri dolorosi e attraverso vari film ci fa vivere, come nella stanza d'analisi, i nostri affetti e pensieri più intimi e profondi.

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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