"Gli
occhi d'oro" sono quelli che possono vedere nello schermo del
cinema, il potente motore di immagini e di analogie con lo schermo
del sogno e con la sua drammatizzazione. Come il sogno, lo schermo
del cinema ospita personaggi in relazione tra loro (la dimensione
intrapsichica del sogno) e si offre alle nostre identificazioni di
spettatori (la dimensione interpersonale del sogno). Come in
questo schermo, gli "occhi d'oro" possono vedere ciò che
è invisibile, così nel sogno l'analisi può offrire al paziente
gli "occhi d'oro" per cogliere, dietro alla realtà, la
metafora che è alla radice del suo transfert.
Il
cinema è uno dei mezzi più adatti a trasmettere all'esterno le
immagini del mondo interno. Il regista cerca gli attori più adatti
a rappresentarle. E con questi personaggi dello schermo noi ci
identifichiamo al punto da poter fare del cinema l'uso che facciamo
del sogno. In questa misura va intesa l'affermazione di Lella Ravasi
che il film cura, come cura il sogno nella misura che permette al
sognatore di oggettivare affetti ed emozioni proiettando sullo
schermo le rappresentazioni dei propri oggetti interni. In questa
misura il cinema, come il sogno, permette di storicizzare il nostro
inconscio facendoci rivivere emozioni rimosse o dimenticate per
sempre.
Se
volessimo ricercare ulteriori analogie tra il cinema e il sogno
potremmo rivolgerci al concetto di simmetria e asimmetria come
caratteristiche dell'inconscio, elaborato da Matte Blanco, che
possono essere ritrovate nella doppia logica che sottende le due
forme di rappresentazione.
Foto: Ignacio Matte Blanco
A
questa doppia logica partecipano l'immagine, la fotografia, il
contesto, il commento musicale, la stessa narrazione e la storia nel
suo complesso. Sono gli elementi contenitori di nostre parti
del sé scisse e identificate proiettivamente nei personaggi del
cinema e del sogno. Al punto da far dire all'autrice: "Ci si
sente in gioco, un pezzetto di noi è in gioco in ogni
personaggio". E con questa modalità possiamo sentirci simili
ad altri, un destino condiviso.
Nel
passare a uno sguardo gettato in profondità in alcuni film, Lella
Ravasi mostra tutta la sua sensibilità di analista che le
permette di portare un contributo non solo all'analisi di quello
specifico film, ma alla stessa teoria psicoanalitica. Ad esempio,
nel capitolo Meraviglioso come noi sottolinea il ruolo
imprescindibile della voce, quale nostra "musica
sconosciuta" nel rivelare emozioni e sentimenti che
appartengono alla nostra infanzia e parti strutturanti di
quell'"ombelico del sogno", come lo definisce l'autrice,
che è il nostro inconscio più arcaico non rimosso. Nel film si
assiste a una sequenza parola-immagine-parola che ha una profonda
analogia con il sogno, in cui la parola che nasce dall'immagine
permette la verbalizzazione di esperienze preverbali che diventano
pensabili.
Nel
film Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti, Ravasi coglie
quella "memoria arcaica" che caratterizza le donne che
gestiscono la vita e la morte, quelle donne - dice Alberto
Bellocchio - "dalle lunghe gonne tremolanti/ che hanno il ritmo
della ninnananna", quelle donne di paese che abitano case -
come dice Lucio Piccolo - "che erbose hanno le soglie".
Il
film Intimacy di Patrice Chéreau, tocca il tema della
sessualità, nostra "dolce follia", e il problema della
(possibile o impossibile) scissione tra sesso e sentimenti. La
passione - si dice nel film - è vivibile senz'altro, se diventa
altro non è più vivibile.
Nell'altro
film di Patrice Chéreau, Son frère, viene rappresentato il
dolore, quel dolore che fa parte della vita, che si collega alla
separazione e diventa indicibile: Infandum regina jubes renovare
dolorem!
Non
poteva mancare in questa raccolta un'analisi del film di nanni
Moretti La stanza del figlio. Qui "la stanza" è il
luogo della sofferenza psichica, del lutto inelaborabile. Ma il film
ci dice che il lutto è elaborabile. E viene in mente a Ravasi, come
a me, il dolore che si vive e non si può non elaborare quando si
deve accompagnare un paziente verso la morte, l'ultimo passo di
addio. E' necessario in questi casi condividere ciò che accade
nella mente dell'altro, contenerlo, colmare con la presenza e le
parole il vuoto di ciò che non può essere rappresentato.
Per
ultimo, Prendimi l'anima di Roberto Faenza, la tormentata
storia di Sabina Spielrein e Jung, una storia che ripropone un tema
sempre presente in analisi: l'amore di transfert.
Foto: Sabine
Spielrein
Questo
amore è vero o di transfert? , si domanda Ravasi. Come diceva anche
Freud, l'amore di transfert è reale ma non è realizzabile e, pur
rivolgendosi all'analista, è impersonale e rappresenta l'unico modo
con cui il/la paziente può esprimere la sua affettività e il suo
erotismo. L'amore in analisi può guarire ma può anche ammalare.
Esso è comunque al centro di ogni relazione terapeutica.
In
sintesi, questo piccolo libro è denso di emozioni, un romanzo
dell'anima che percorre sentieri dolorosi e attraverso vari film ci
fa vivere, come nella stanza d'analisi, i nostri affetti e pensieri
più intimi e profondi.
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