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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La scultura di Hare assembla oggetti che, ibridati in forme inquietanti, assumono nuove trame di senso. La loro perturbante1 primitività ben si adatta agli spazi della mostra, in cui le tracce di una civilizzazione che ha proceduto per strati successivi ci evocano la struttura della psiche umana che integra multipli livelli di funzionamento mentale. Non una città, ma un sovrapporsi di habitats che sono cresciuti utilizzando strutture poste all'interfaccia tra sistemi comunicanti: è questa la rappresentazione di una evoluzione urbana che evoca però anche l'ontogenesi della vita psichica.
Tali strutture però non sono liberamente rimpiazzabili tra di loro. Così come una nuova civiltà non può cancellare del tutto, pena la propria estinzione, le fondamenta culturali di quelle che l'hanno preceduta, così è per quelle fratture traumatiche che attendono il divenire psichico. Se residuano solo aggregati isolati, atolli di memoria incistata in se stessa, l'evoluzione si flette su di sé, si ri-flette, e compare l'inaccessibile. Sintomo di una clinica che fatica a riconoscerne il processo sottostante. I nuovi abitanti demolirono le preziose condutture idriche dei Sassi, pur di rifare le fondamenta delle loro case: ma sfuggì loro la preziosa continuità di agglomerati che per millenni avevano regolamentato lo sfruttamento delle energie naturali. Così le nuove case subirono gli insulti delle infiltrazioni d'acqua: una nuova civilizzazione, che aveva rimosso la memoria di quelle precedenti, aveva rotto equilibri strutturali ed energetici, consolidatisi nell'arco di millenni.
Ma, al pari della vita psichica dell'individuo, anche l'habitat antropico non può conservare e basta. L'energia che alimenta la città-organismo, se lasciata a se stessa, va a dissiparsi, le strutture si consumano in erosioni entropiche, cui l'uomo ha il compito di opporre la sua techné. Ciò che l'uomo, la sua coscienza tecnologica, riescono a fare, permette di alimentare quella circolazione energetica di cui ha incessante bisogno perché vivano quelle istituzioni culturali capaci di dar senso al suo essere nel mondo: la famiglia, la polis, la religione. L'energia sprigionata dalla luce del sole, dal movimento delle acque (che dagli anfratti delle profondità ctonie salgono al piano della domus) e dalla coabitazione cogli animali assicurava in passato, in luoghi oggi per noi inospitali e non familiari (un-heimlich), quella vita che, per farsi umana, si è da sempre dovuta confrontare con lo scambio simbolico tra vita e morte, tra natura e cultura, tra processo primario e secondario. La scultura di Hare è simbolica, nel senso che nel simbolo (syn-ballein) non viene persa la doppiezza originaria, la non univocità con cui il significante si rapporta al significato. E' questa ambivalenza primitiva che è perturbante, nel senso che ci fa intuire l'oscura inter-scambiabilità e la non contraddittorietà che vige nelle provincie della psiche più vicine al corpo. C'è una consonanza tra le creazioni ibride di Hare e il contesto 'primitivo' in cui le opere sono allocate. E' un principio di equivalenza simbolica, che proprio come nel sogno, utilizza la condensazione per costruire forme che non vogliono rispondere ad un principio ordinatore 'classico', ad un Bello ideale. Ma la condensazione crea oggetti la cui energia si situa all'intersezione di catene associative inconsce, e ne derivano figure ibride che sono <<queste figure-soglia>> che <<parlano di uno scambio>>, in cui <<l'umano ritrova la sua ferinità, l'animale raggiunge una sua elevazione concettuale (...) L'animale che pertiene così strettamente all'umano è assunto come alterità le cui ragioni vanno ricercate tra i fantasmi dell'inconscio (...)2>>. Giuseppe Leo
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Il percorso creativo di Hare spazia
dal momento della ricerca sugli Indiani d’America, per conto del Museo
di Storia Naturale di New York, alle fusioni dei primi anni Novanta, e
rappresenta il primo documento, a livello internazionale,
dell’importante presenza dello scultore nell’ambito del surrealismo,
utile per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati Uniti e l’Europa
nel corso del secolo appena trascorso. Hare, infatti, non solo fu presente
nelle più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate dopo
la seconda guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14
Americans” del 1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte
tra New York e Parigi, come sarà evidente nel 1976, nella mostra
“Paris-New York” tenutasi al Centre Pompidou.
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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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