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David Hare Matera e la scultura di Hare.

 

Foto: David Hare Appunti di Giuseppe LEO 

 

(La mostra antologica di David Hare a Matera è stata visitata il 15 agosto 2005)

                                   La scultura di Hare assembla oggetti che, ibridati in forme inquietanti,  assumono nuove trame di senso. La loro perturbante1 primitività ben si adatta agli spazi della mostra, in cui le tracce di una civilizzazione che ha proceduto per strati successivi ci evocano la struttura della psiche umana che integra multipli livelli di funzionamento mentale. Non una città, ma un sovrapporsi di habitats che sono cresciuti utilizzando  strutture poste all'interfaccia tra sistemi comunicanti: è questa la rappresentazione di una evoluzione urbana che evoca però anche l'ontogenesi della vita psichica.          

 

 Tali strutture però non sono liberamente rimpiazzabili tra di loro. Così come una nuova civiltà non può cancellare del tutto, pena la propria estinzione, le fondamenta culturali di quelle che l'hanno preceduta, così è per quelle fratture traumatiche che attendono il divenire psichico. Se residuano solo aggregati  isolati, atolli di memoria incistata in se stessa, l'evoluzione si flette su di sé, si ri-flette, e compare l'inaccessibile. Sintomo di una clinica che fatica a  riconoscerne il processo sottostante. I nuovi abitanti demolirono le preziose condutture idriche dei Sassi, pur di rifare le fondamenta delle loro case: ma sfuggì loro la preziosa continuità di agglomerati che per millenni avevano regolamentato lo sfruttamento delle energie naturali. Così le nuove case subirono gli insulti delle infiltrazioni d'acqua: una nuova civilizzazione, che aveva rimosso la memoria di quelle precedenti, aveva rotto equilibri strutturali ed energetici, consolidatisi nell'arco di millenni.

 

 

Ma, al pari della vita psichica dell'individuo, anche l'habitat antropico non può conservare e basta. L'energia che alimenta la città-organismo, se lasciata a se stessa, va a dissiparsi, le strutture si consumano in erosioni entropiche,  cui l'uomo ha il compito di opporre la sua techné. Ciò che l'uomo, la sua coscienza tecnologica,  riescono a fare, permette di alimentare quella circolazione energetica di cui ha incessante bisogno perché vivano quelle istituzioni culturali  capaci di dar senso al suo essere nel mondo: la famiglia, la polis, la religione. L'energia  sprigionata dalla luce del sole, dal movimento delle acque (che dagli anfratti delle profondità ctonie salgono al piano della domus) e dalla coabitazione cogli animali  assicurava in passato, in luoghi oggi per noi inospitali e non familiari (un-heimlich),  quella vita che, per farsi umana,  si è da sempre dovuta confrontare con lo scambio simbolico tra vita e morte, tra natura e cultura, tra processo primario e secondario. La scultura di Hare è simbolica, nel senso che nel simbolo (syn-ballein) non viene persa la doppiezza originaria, la non univocità con cui il significante si rapporta al significato. E' questa ambivalenza primitiva che è perturbante, nel senso che ci fa intuire l'oscura inter-scambiabilità e la non contraddittorietà che vige nelle provincie della psiche più vicine al corpo. C'è una consonanza tra le creazioni ibride di Hare e il contesto  'primitivo' in cui le opere sono allocate. E' un principio di equivalenza simbolica, che proprio come nel sogno, utilizza la condensazione per costruire forme che non vogliono rispondere ad un principio ordinatore 'classico', ad un Bello ideale. Ma la condensazione crea oggetti la cui energia si situa all'intersezione di catene associative inconsce, e ne derivano figure ibride che sono <<queste figure-soglia>> che <<parlano di uno scambio>>, in cui <<l'umano ritrova la sua ferinità, l'animale raggiunge una sua elevazione concettuale (...) L'animale che pertiene così strettamente all'umano è assunto come alterità le cui ragioni vanno ricercate tra i fantasmi dell'inconscio (...)2>>.

Giuseppe Leo

Note:

1 Nel senso di unheimlich come nel saggio di Freud sul Perturbante (1919). Per Freud il perturbante, che <<è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare>> (pag. 82), è riconducibile a ciò che era una volta 'noto' e 'familiare', nella storia individuale (ad es., nell'infanzia) oppure culturale, e che poi è stato rimosso dalla coscienza, per diventare quindi fonte di sentimenti angosciosi.

Giorgio Verzotti, Il Bello e le bestie. Meditazioni sul "divenire animale", in "Il Bello e le bestie. Metamorfosi, artifici e ibridi dal mito all'immaginario scientifico", a cura di L. Vergine e G. Verzotti, catalogo della omonima mostra svoltasi al MART di Rovereto, ed Skira, Ginevra-Milano, 2004.

  Le foto che corredano questo articolo sono state scattare dall'autore durante la visita della mostra.

Biografia

1917. David Meredith Hare nasce a New York City il 10 marzo, da Elizabeth Manning Sage Goodwin (1870-1948) e dal suo secondo marito, Meredith Hare (1870-1932). Il padre è sostituto procuratore a New York, la madre, appassionata d’arte, attiva nei circoli dell’avanguardia, interessata alle questioni sociali, scrive libri di poesia per bambini. David Hare a Matera con Alberto Zanmatti

1923. Frequenta la scuola elementare a Great Neck in Long Island.

1924. André Breton pubblica il Manifeste du Surrèalisme.

1928. Si trasferisce con la famiglia a Colorado Springs.

1930. Trascorre molti mesi a Santa Fé, nel New Mexico, che, come Taos, è una prestigiosa colonia d’arte moderna. Stringe amicizia con gli indigeni indiani che vivono nelle riserve limitrofe.

1931. Parte con i genitori per un viaggio in Europa. Trascorre l’estate a Rapallo dove incontra la cugina Kay Sage e conosce il poeta Ezra Pound.

1933. Frequenta, fino al 1936, il collegio “The Fountain Valley School” e si interessa di materie scientifiche.

1936. Ottenuto il diploma, torna a New York dove, subito dopo, viene inaugurata, al Museum of Modern Art, la mostra Fantastic Art Dada and Surrealism. David Hare a Matera con Alberto Zanmatti

1937. Inizia a lavorare come fotografo per una agenzia di pubblicità. La madre lo aiuta nella sua crescita professionale pregando gli amici, politici e artisti, di posare per un ritratto. Tra questi, il Presidente Franklin Roosevelt. Conosce Susanna Perkins che sposerà nel 1938. Sperimenta la riproduzione fotomeccanica e i diversi processi chimici nell’ambito della fotografia.

1939. New York. Espone alla Walker Gallery 30 ritratti fotografici sperimentali.

1940. Compra una casa a Roxbury, nel Connecticut. La cugina, Kay Sage, intanto, è impegnata nella raccolta di fondi a sostegno degli intellettuali e degli artisti surrealisti parigini che vogliono lasciare l’Europa. Molti di questi personaggi sarà la stessa Kay ad ospitarli. Tra loro, Yves Tanguy che sposerà il 17 agosto. Accetta l’incarico dell’American Museum of Natural History per la realizzazione di un dossier fotografico a colori sui Pueblo Indians of New Mwxico as They Are Today.
L’album uscirà nel 1941, in 100 copie, e verrà esposto alla Weyhe Gallery. Intanto, espone le fotografie a colori e i ritratti alla Julien Levy Gallery di New York.

1942. Incontra André Breton e sua moglie Jacqueline Lamba con la quale, alcuni mesi dopo, andrà a vivere. Diventa “editor” della rivista surrealista “VVV” che ha Breton, Marcel Duchamp e Max Ernst come consiglieri editoriali. La rivista, tra il 1942 e il 1944, pubblica tre numeri. Peggy Guggenheim inaugura la sua galleria “Art of This Century” nella quale terrà mostre personali nel 1944, nel 1946 e nel 1947. Una sua fotografia viene inserita nella mostra First Papers of Surrealism, organizzata da Breton, Duchamp e Sidney Janis per annunciare l’arrivo dell’arte surrealista in America.

1945. Conosce, tramite André Masson, Jean Paul Sartre in visita a New York. Espone nella mostra Fourteen Americans, al Museum of Modern Art, insieme a Gorky, Motherwell, Noguchi e Tobey.

1946. Partecipa, alla Galerie Maeght, all’Exposition Internationale du Surréalisme:Le Surréalisme en 1947. Da questo momento trascorrerà, insieme a Jacqueline, molti mesi tra Parigi e New York.

1948 Con Baziotes, Motherwell, Barnett Newman e Mark Rothko, fonda la scuola d’arte “The Subjects of the Artist”. Tiene una mostra personale alla Kootz Gallery ed è presente alla Biennale di Venezia nell’ambito dell’omaggio dedicato a Peggy Guggenheim.

1949. Espone sculture in bronzo e in gesso alla Julien Levy Gallery.

1952. Mostra personale alla Kootz Gallery dove esporrà anche nel 1953, nel 1955, nel 1956, nel 1958 (con Ferber e Lassaw), nel 1959.

1954. Espone al Whitney Museum of American Art nell’ambito della mostra: Modern American Painting and Sculpture.

1955. Con Gorky, De Kooning, Pollock e Tobey, espone nella mostra Modern Art in the United States, itinerante in Europa.

1957. Fa un viaggio nella terra deserta del Wroming e compra una fattoria dove trascorrerà l’estate per oltre venti anni. Inizia la serie dedicata a Rodin.

1960. Comincia a dedicarsi alla pittura. Viene incluso nella mostra Aspects de la Sculpture Américaine organizzata a Parigi dalla Galerie Claude Bernard.

1961. Presenta 25 sculture degli ultimi due anni alla Saindeberg Gallery di New York.

1964. Riceve il premio Ford Foundation Grant

1965. Il “Philadelphia College of Art” organizza la sua prima retrospettiva.

1966. L’Isaac Delgado Museum of Art di New Orleans presenta un gruppo di suoi lavori.

1968. Magician’s Game viene inserita in Dada, Surrealism and Their Heritage al Museum of Modern Art di New York.

1969. Mostra personale alla Staempfli Gallery di New York che lo ripresenterà nel 1990.

1970. Espone le sue opere alla Maeght Foundation di St. Paul di Vence.

1972. Si dedica alla litografia nel “Tamarind Lithography Workshop” di Albuquerque.

1974. Espone alla Tibor de Nagy Gallery di Houston, in Texas. Torna a far visita agli indiani conosciuti nel 1940.

1976. “Arts Magazine” dedica la copertina alle sculture presentate all’Alessandra Gallery di New York, in contemporanea con la grande mostra storica del Whitney Museum of American Art dedicata a 200 Years of American Sculpture.

1977. La Series Cronus viene presentata al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.

1978. Espone i nuovi dipinti alla Zolla/Lieberman Gallery di Chicago e alla Hamilton Gallery di New York. Nella seconda galleria presenterà dipinti e disegni anche nel 1979 e nel 1980.

1982. Two Installation: Frederick Kiesler and David Hare alla New York University’s Grey Art Gallery.

1984. Il Whitney Museum of American Art include le sue opere nella mostra The Third Dimension Sculpture of the New York School.

1985. David Hare New Paintings alla Gruenebaum Gallery di New York. Tornerà ad esporvi nel 1987 e nel 1988.

1989. Mostra personale alla Galerie Andy Jllien di Zurigo. Vi esporrà anche nel 1991.

1990. Con Louise Bougeois, Joseph Cornell, Ibram Lassaw e Philip Pavia è a Matera per la seconda Biennale dedicata a Scultura in America.

1991. Viene incluso nella mostra del Museum of Modern Art di New York: Art of the 40’s e in quella del Grand Palais di Parigi dedicata alla Continuité Surréaliste.

1992. 21 dicembre: muore a Jackson Hole, nel Wyoming.

 

Comunicati stampa sulla mostra:

  (da "La Stampa Web")

David Hare e Matera
matrimonio di sculture
 
di Lea Mattarella
 
22 luglio 2005
 
David Hare
Matera, Chiese rupestri Madonna delle Virtù
e San Nicola dei Greci; Circolo La Scaletta
Orario: 10-22
Fino al 9 ottobre 2005
 
Esistono inaspettati incontri tra persone, luoghi, oggetti lontani. Per esempio lo scultore americano di matrice surrealista David Hare e Matera, la città dei sassi. Hare arriva qui nel 1990 per partecipare ad una collettiva di scultura made in Usa. Vede le chiese rupestri e vi riconosce il luogo ideale per ospitare le sue opere. Anzi, una specie di spazio primordiale da cui tutto sembra avere origine. Dice convinto di voler donare a Matera «una scultura che possa vivere qui per sempre. La mia opera è nata per essere qui. La scultura stessa è stata concepita qui».

Due anni dopo scompare, ma il seme che ha lasciato da queste parti gli sopravvive. Il suo dono diventa il punto di partenza per il nuovo museo di scultura contemporanea della città, la cui apertura è imminente negli ambienti di Palazzo Pomarici, con l'impegno sempre entusiasta del Circolo La Scaletta e della Fondazione Zétema. Ora le opere di David Hare tornano qui in un bel gruppo: 80 sculture, 55 carte, 24 fotografie in una mostra curata da Giuseppe Appella e Ellen Russotto che ripercorre l'intero itinerario dell'artista, dagli esordi al 1992, anno della sua scomparsa. Hare nasce a New York nel 1917.

Si può dire che durante la sua vita sono soprattutto due le suggestioni espressive che riceve: da una parte ci sono gli indiani d'America con i loro riti e le loro tradizioni; dall'altra l'arte dell'avanguardia europea, incarnata soprattutto dalla figura di André Breton che arriva negli Stati Uniti dalla Francia occupata dai nazisti insieme a un'agguerrita pattuglia di artisti europei, guidati dalla leggendaria Peggy Guggenheim. Hare sposerà in seconde nozze l'ex moglie di Breton che gli indicherà la strada espressiva della scultura (di mogli, per inciso, ne colleziona quattro).

E tra gli «arrivi eccellenti» va ricordato anche quello di Yves Tanguy, non foss'altro perché è marito di una cugina dello scultore. Le Edizioni della Cometa hanno pubblicato in occasione di questa mostra un piccolo libro di Milton Gendel intitolato Quando i surrealisti sbarcarono a New York che racconta incontri e scambi densi di sviluppi futuri. Anche per Hare questo «sbarco all'incontrario» è molto proficuo: gli permette di indirizzare il suo immaginario verso l'automatismo, le possibilità creative dell'inconscio ma anche verso il gioco, l'ironia, l'accostamento inconsueto di figure e immagini. come L’elefante albero, L’elefante cappello qui esposti. Non è la scultura la prima musa di Hare.

La sua iniziale attività è infatti quella del fotografo. Nel 1940, per conto del Museo americano di storia naturale, realizza una serie di ritratti degli indiani della riserva del New Mexico. Raccolti in parte qui, per la prima volta in Italia, sono scatti ancora oggi sconcertanti per quella malinconia di sguardi, volti e corpi di antichi guerrieri mortificati. Il passo successivo è il superamento dell'elemento realistico. Gli viene in aiuto il fuoco con cui interviene sulla pellicola, dando vita ad immagini visionarie di un mondo cangiante sotto i nostri occhi.E poi eccolo riconoscere nella scultura la sua vera vocazione. Prima si serve del gesso, poi, alla fine della guerra, comincia a sperimentare bronzo e acciaio. La sua prima mostra «chez Peggy Guggenheim» è del 1944. Ed è con un'opera di questa data che inizia il percorso, sempre affascinante, tra le grotte delle chiese rupestri di Matera.

Ci sono immagini potenti e solide come le Teste, la serie dedicata a Leda e il cigno, la Bestia di primavera, ma anche la Figura che corre, come se fosse controvento. Accanto ecco leggerezze e incanti come sospesi nello spazio: è il caso di Pioggia, nuvola e sole, Il prestigiatore, Finestre delle lune, Sole e montagne. Il punto di partenza di Hare è sempre un brano di realtà: può essere un paesaggio, un mito o una leggenda, una figura. Poi però avviene una trasfigurazione: tutto viene reinventato e dato per sintesi. Hare sperimenta fino alla fine tecniche e materiali. Spesso si serve del disegno e della pittura per rendere immediatamente visibile la sua idea. Il processo della scultura è infatti lento e complesso.

Hare cerca di rintracciare la forza primitiva della materia, un'idea archetipica delle forme. Non a caso tra i suoi temi privilegiati si incontra Cronus, il Titano. Nonostante questo, a volte, il mondo di Hare ci scorre davanti, si muove, non ha la retorica dell'eternità della scultura. Quel sole potrebbe tramontare, la mezzaluna diventare piena. E alla domanda su cosa sia l'arte, la sua risposta in versi è di disarmante semplicità: «Quasi tutto ciò che cerchi di fare è che sia libero e vero il più possibile».
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come da tradizione ormai venticinquennale, la grande scultura internazionale, grazie all’impegno congiunto del Circolo La Scaletta e del curatore Giuseppe Appella, torna a “misurarsi” con lo scenario mozzafiato dei Sassi di Matera e con gli incredibili spazi, scolpiti nel tufo, delle chiese rupestri: “nozze d’argento” dunque con le opere dei più significativi scultori italiani e stranieri, in un appuntamento estivo, che, ormai dal 1978, ha visto accogliere, in un connubio perfetto e sempre sorprendente tra ambiente e arte, i capolavori di Pietro Consagra, Fausto Melotti, Arturo Martini, Duilio Cambellotti, Andrea Cascella, Pericle Fazzini, Roberto Sebastian Matta, Umberto Milani, Libero Andreotti, Stanislav Kolibal, Mario Negri, Leoncillo, Antonietta Raphaël, Marcello Mascherini, oltre che di scultori di primo piano inseriti nelle mostre dedicate alla “Scultura in America”, “Scultura in Francia”, “Periplo della scultura italiana contemporanea” 1 e 2, “Vanni Scheiwiller e la scultura”.
     La mostra di quest’anno, nelle chiese rupestri Madonna delle Virtù e S. Nicola dei Greci, è dedicata all’artista newyorkese David Hare, grande interprete e protagonista del Surrealismo “sbarcato” in America, , e comprende 80 sculture (in bronzo, acciaio, ottone, alabastro, pietra, legno), datate 1946-1992; 55 opere su carta (acrilici, inchiostri, collage, acquarelli) datate 1945-1992;  24 fotografie del 1940-1943,  tra le quali le celebri immagini dedicate nel 1941 da Hare ai Pueblo Indians as they are today, con il  commento di Clark Wissler;  un gruppo di litografie del 1972, pubblicate dalla Tamarind Press di New York. Le opere provengono dall’Estate of David Hare, da diversi musei e gallerie degli Stati Uniti (Whitney Museum of American Art, New York, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Grey Art Gallery New York University, Ubu Gallery, New York, American Museum of Natural History, New York), oltre che dal Museo Guggenheim di Venezia, dalla Fondazione Maegth di Saint Paul de Vence e da alcuni collezionisti svizzeri.
     Come ci dice Appella, curatore della mostra insieme ad Ellen Russotto, si è inteso coprire l’intero percorso creativo di Hare, dal momento della ricerca sugli Indiani d’America, per conto del Museo di Storia Naturale di New York (Hare è stato anche un importante fotografo), alle fusioni dei primi anni Novanta, e rappresentare così il primo documento, a livello internazionale, dell’importante presenza dello scultore nell’ambito del surrealismo, utile per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati Uniti e l’Europa nel corso del secolo appena trascorso. Hare, infatti,  non solo fu presente nelle  più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate dopo la seconda guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14 Americans” del 1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte tra New York e Parigi, come sarà evidente nel 1976, nella mostra “Paris-New York” tenutasi al Centre Pompidou.
     Certamente, non bisogna dimenticare le credenziali di partenza: Nato nel 1917 a New York, sua madre, che aveva studiato con Brancusi a Parigi, era stata nel 1913 tra gli espositori dell’Armory Show (di cui, guarda caso, era segretario Joseph Stella, nato a Muro Lucano e trasferitosi in America nei primi anni del secolo) ed era sposata con il fratello dell’architetto che aveva costruito il Museum of Modern Art; sua cugina, Kay Sage, era la moglie di Yves Tanguy; i suoi migliori amici erano André Breton, Marcel Duchamp e Max Ernst, con i quali dirigeva la rivista surrealista “VVV”.
     Con un tale capitale di amicizie e di cultura, Hare entra ed espone, a più riprese, nella galleria “Art of this Century”, aperta a new York da Peggy Guggenheim, allora moglie di Max Ernst, e a Parigi, dove vive dal 1948 al 1953, nella Galerie Maeght.
La cronologia completa della sua vita, chiusasi a Jackson Hole nel 1992, e la bibliografia aggiornata al 2005, vengono ricostruite per la prima volta nei dettagli da Ellen Russotto nell’occasione di questa mostra che nasce dal contatto avuto  da David Hare e dalla moglie Terry nel 1990 con la città lucana, in occasione della mostra “Scultura in America”. In quell’occsione l’affetto di Hare per Matera fu testimoniato dalla donazione di una sua scultura in acciaio, Mountaine Moonrise, del 1986, che andrà ad arricchire il Museo della Scultura Contemporanea di prossima apertura in Palazzo Pomarici per iniziativa della Fondazione Zétema di Matera.
     La mostra, allestita con la ben nota sensibilità e competenza da Alberto Zanmatti, mette in evidenza la concezione di Hare di un’opera né astratta né rappresentativa, comunque non aliena dal raffigurare elementi naturalistici disegnati nello spazio con arguzia e senso ironico. Il disegno di un’idea tradotta in tre dimensioni, dunque, attraverso molteplici materiali che coinvolgono la base della scultura nell’opera costruita per correlazioni di linee, di colori e di tensioni. Queste ultime aumentano o diminuiscono a mano a mano che il lavoro procede, determinandone alla fine il carattere fondamentale dei piani e delle masse. Di fondamentale supporto all’evento espositivo, che resterà ben oltre l’effimero dell’esposizione materana (che rimarrà aperta al pubblico fino al 10 ottobre, salvo proroghe), è un importante catalogo monografico, pubblicato dalle Edizioni della Cometa, con contributi dei due curatori e di Jean-Paul Sartre, Robert Goodnough, Rufus Goodwin, Milton Gendel, la riproduzione di tutte le opere esposte e un ampio regesto dedicato alla vita e alla fortuna critica dell’artista.  

La mostra è promossa e organizzata, come le precedenti edizioni, dal Circolo La Scaletta insieme al Comune di Matera, con il sostegno della Regione e dell’APT di Basilicata, della Provincia e della Camera di Commercio di Matera.
È resa possibile grazie ai contributi della CALIAITALIA, della Fondazione Zétema di Matera, di Attilio Caruso Agente Generale SAI di Matera, dell’ Istituto Banco Napoli – Fondazione, di Resolvis di Matera, e,  come  sponsor ufficiale,  nell'ambito del progetto "Sviluppo Sud" promosso dall' ACRI , dalle Fondazioni bancarie Cariplo di Milano, Carisbo di Bologna e Casse di Risparmio di Piacenza e Vigevano.  
La mostra è stata inserita nell’elenco dei grandi eventi dell’Azienda di Promozione Turistica di Basilicata e sarà realizzata con il contributo dell’Unione Europea; sarà inaugurata il 9 luglio e rimarrà aperta fino al 9 ottobre 2005. 

Orario: tutti i giorni: 10.00 – 21.00            Ingresso: € 5,00 – ridotto € 3,50
Gestione della Mostra: InCongress – Via Don Minzoni, 38 – 75100   MATERA
Telefono 0835337220 fax 0835240198   e-mail: info@incongressmatera.it
Segreteria mostra 0835319825 

Ufficio Stampa: De Luca Comunicazioni - Via Livorno, 36  - 00162  ROMA
tel. e fax  06 44237540 – cell. 333 8264292  e-mail :  m.deluca33@virgilio.it

  (da www.materacultura.it )

 

 

Il percorso creativo di Hare spazia dal momento della ricerca sugli Indiani d’America, per conto del Museo di Storia Naturale di New York, alle fusioni dei primi anni Novanta, e rappresenta il primo documento, a livello internazionale, dell’importante presenza dello scultore nell’ambito del surrealismo, utile per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati Uniti e l’Europa nel corso del secolo appena trascorso. Hare, infatti, non solo fu presente nelle più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate dopo la seconda guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14 Americans” del 1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte tra New York e Parigi, come sarà evidente nel 1976, nella mostra “Paris-New York” tenutasi al Centre Pompidou.
David Hare nacque nel 1917 a New York. Sua madre, che aveva studiato con Brancusi a Parigi, era stata nel 1913 tra gli espositori dell’Armory Show (di cui, guarda caso, era segretario Joseph Stella, nato a Muro Lucano e trasferitosi in America nei primi anni del secolo) ed era sposata con il fratello dell’architetto che aveva costruito il Museum of Modern Art; sua cugina, Kay Sage, era la moglie di Yves Tanguy; i suoi migliori amici erano André Breton, Marcel Duchamp e Max Ernst, con i quali dirigeva la rivista surrealista “VVV”.
Con un tale capitale di amicizie e di cultura, Hare entra ed espone, a più riprese, nella galleria “Art of this Century”, aperta a New York da Peggy Guggenheim, allora moglie di Max Ernst, e a Parigi, dove vive dal 1948 al 1953, nella Galerie Maeght.

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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