Per strada, al cinema, al ristorante,
in libreria: salta all’occhio quel che (in Italia) muta ed è già
mutato riguardo all’omosessualità maschile.
E per chi è donna, nata fra il boom dei Cinquanta e le ribellioni
degli anni Sessanta, il ricordo ripassa in rassegna le proibizioni e
le sconvenienze – fumare in pubblico,
baciarsi sui tram, i jeans non ammessi
né in chiesa né a scuola –, rievoca la sensazione di essere troppo
visibili, troppo procaci, troppo loquaci. L’adeguamento giuridico al
costume della società, quel che una volta si diceva “lotta per i
diritti civili”, nel bel paese da sempre inestricabilmente intrecciato
alla questione del rapporto stato/chiesa, si misura sul diritto alla
parità del sesso che non è un sesso: alla convivenza formalmente
riconosciuta, al matrimonio, alle possibilità di genitorialità e di
procreazione che si danno (e altrove già si danno).
“Per questo la vera novità dei nostri giorni non è
tanto la riproduzione assistita, da noi ancora sporadica, ma il fatto
che sia in corso un’assunzione di genitorialità simbolica di
proporzioni mai viste”.
Significativamente, il grado di
tolleranza/libertà nei confronti dell’omosessualità rispecchia lo
stato dei diritti nel mondo glocal
– molto evidente, per esempio, nell’Europa del cosiddetto ex-est, dove
le
culture tradizionali e le ideologie
collettivistiche hanno sempre lasciato poco spazio alla diversità
dell’individuo e dove le identità pubbliche e private temono ogni
ulteriore apertura alle inquietudini degli amori liquidi.
“Curiosamente, la copia dell’Occidente che mettevamo in scena per
certi aspetti era più vera del’originale. Più drammatica, soprattutto.
Perché la libertà di quelle notti non sempre restava impunita”.
Dopo il gusto della liberazione oggi a
questa diversità tocca inseguire etimologie, ricostruire gli
slittamenti semantici che da invertito hanno condotto a gay,
ritrovare i manoscritti saccheggiati e proibiti, rivelare quel che
spesso si è celato dietro uno pseudonimo, ripercorrere la persecuzione
che ha punteggiato la grande Storia,
ridisegnare l’albero genealogico,
contestualizzare le biografie e le opere letterarie – dove i
protagonisti sono stati a lungo condannati ad una fine maledetta per
essere poi trascinati, per la forza del rovescio, verso un doveroso e
salvifico happy ending.
Foto: Mataro da Vergato, "Les demoiselles royales" (2001)
Anche l’editoria aiuta a fare mappa: la
condizione omosessuale diventa il prisma attraverso il quale scoprire
le celle castriste nei romanzi di Reinaldo Arenas e di Pedro Juan
Gutiérez, la repressione franchista in quelli di Eduardo Mendicutti,
le smanie cosmopolite e le repulsioni sessuofobiche della borghesia
latino americana nei romanzi di Jaime Bayly, oppure conoscere
un’infanzia nel Maghreb con Rachid O., ritrovare, nei racconti lunghi
di Philip Besson, Marcel Proust malato in una Parigi deserta di
giovani carne da cannone della Grande Guerra, Rimbaud assistito dalla
sorella durante i suoi ultimi giorni di vita, ricordare i campi di
prigionia in Italia e in Germania durante la seconda guerra mondiale
con lo scrittore Tatamkhulu Africa, seguire l’evoluzione del costume
dall’America di Eisenhower ad oggi con My Lives di Edmund White.
Il ritratto del giovane gay attraversa
il romanzo di formazione contemporaneo come se quello omosessuale
fosse una sorta di “terzo occhio” che permette di vedere il mondo con
un grado maggiore di perspicuità. Così accade al ventenne Nick Guest,
ospite di una ricca famiglia tory durante l’era Thatcher. E’ la La
linea della bellezza di Alan Hollinghurst: quella che separa,
ancora, classicamente e britannicamente, i bianchi dai neri, il potere
dei ricchi da quello degli altri cittadini, le abitazioni private
dagli esterni dove le foglie dei parchi londinesi svelano e nascondono
come nelle pitture paesaggistiche di Gilbert&George. Il romanzo si
presta ad essere letto
come un
ininterrotto coming out: tutto ciò che per il maestro
ispiratore di Hollinghurst, Henry James,
era ritiro, sospensione, anche di appetito sessuale, fughe e
fantasmagorie di passi felpati nelle case inglesi che lui americano
accoglievano, tutto ciò che in quel mondo e nell’esistenza di James è
rimasto implicito, quasi inconscio potremmo dire, qui diventa
esplicito: la sessualità, il vizio, la corruzione, il malessere. Nick,
l’esterno estraneo, in queste dimore ha parassitato, in certi momenti
ha avvertito il fremito dell’appartenenza, quando la parabola politica
del padrone di casa si compie può anche fungere da capro espiatorio.
Si ritrova fuori, in strada. E qui il romanzo si arresta: non sappiamo
che uomo diventerà Nick Guest, se mai approderà all’agognata adultità,
la sua diversità sfuma insieme al futuro che da qualche parte
l’aspetta, si confonde con la condizione universale del maschio alle
nostre latitudini, con la sua difficoltà di crescere, il suo timore di
oltrepassare la linea della bellezza per entrare nella vita.
Foto: Carlos Forns Bada, "Riccardo e Renato" (2001)
La figura dell’omosessuale ben si
presta a rappresentare stili di vita delle capitali del XXI secolo,
dove i motivi dello stereotipo del dandy si mischiano al girovagare
inesausto e tormentato del fla^neur e possono sfociare in una
consapevolezza a tratti angosciata, a tratti più compiaciuta:
“Mi chiamo
Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità. Le mie reazioni sono
standard, la mia diversità è di massa. Più intelligente della media,
ma di un’intelligenza che serve per evadere. Anche questa civetteria
di mediocrità è mediocre, come i ragazzi di borgata che indossano a
migliaia le T-shirt con su scritto <<original>>; notano la
contraddizione e gli sembra spiritosa. L’eccezionalità occupa i primi
cinque centimetri, tutto il resto è comune. Se non fossi medio
troverei l’angolatura per criticare questo mondo, e inventerei
qualcosa che lo cambia”. Ma “Io sono l’Occidente: sia perché
appartengo a quel tipo di omosessuali che hanno fornito il modello
dell’Immagine come obiettivo del desiderio, sia perché come individuo
singolare e irripetibile tendo a difendermi da ciò che mi ferisce
mediante una sua trasposizione in immagine. Se mio padre muore,
divento spettatore di una ‘morte del padre’. L’Europa non si sta forse
trasformando in un continente di spettatori?” (…) Sono l’Occidente
perché detesto i bambini e il futuro non mi interessa.
Sono
l’Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di
sciocchezze, e posso chiamare sciocchezze le forze oscure che non
controllo. Sono l’Occidente perché il Terrore sono gli altri”.
Foto: Lily Salvo, "Le mie unghie sono come
petali di rose" (2002)
Questo mutamento d’epoca ammicca al
mondo analitico. Spesso vi è entrato alla chetichella, come se anche
per le psicologie del profondo la questione dell’omosessualità non
potesse sfuggire alle ambiguità della doppia morale: qualcosa che nel
privato della clinica si fa, ma in pubblico non si dice troppo.
“Da un lato
essa (la psicoanalisi) fece progredire la comprensione culturale della
sessualità femminile e della omosessualità, dall’altro e
contemporaneamente, si dimostrò a volte la nemica feroce e agguerrita
delle donne e degli omosessuali”.
Trattando l’omosessualità come
malattia e/o perversione, proibendo fino a tempi relativamente recenti
l’accesso alla professione a chi non fosse eterosessuale, sul discorso
analitico pesa la tradizione e la tradizione della teoria. Così oggi
la ricerca, che ben si riflette sui banchi in libreria, scorre su
binari diversi: quello di una ricostruzione storica,
che evidenzia il legame stretto fra gli intérieur della clinica e le
coordinate storico-geografiche; di una
rivisitazione teorica del rapporto fra omosessualità e psicoanalisi
(soprattutto in riferimento al mondo anglosassone);
e quello di una riflessione, a volte ancora timorosa ed
esitante, come se dovesse in primo luogo dare conto all’utenza che
incalza, altre volte più radicale, (come accade da tempo a partire
dalla ricerca femminista nel filone degli studi sul genere)
che ripensa il soggetto e la sua identità in relazione/superamento
delle categorie di maschile e di femminile.
Nelle
biografie dei padri, Freud e Jung, la questione fu diversamente ma
ugualmente problematica Per Freud, che inseguì nella sua vita l’Amico
Ideale, soprattutto nel rapporto con Fliess,
per Jung soprattutto nel rapporto con Freud, – e pesò non poco nel
loro conflitto.
Ci furono prese di posizione coraggiose (diversamente da Jones, Freud
si dichiarò contrario all’idea che l’omosessualità fosse un motivo di
discriminazione all’interno della comunità psicoanalitica), aperture
teoriche che oscillano tra il riferimento alla tradizione classica
ellenica e il moderno linguaggio medico e scientifico.
“E’ noto che
ci sono stati in tutte le epoche, e ci sono tuttora, individui i quali
possono assumere come proprio oggetto sessuale sia persone dello
stesso sesso sia persone dell’altro
sesso, senza
che uno di questi due orientamenti rechi pregiudizio agli altri.
Diciamo questi individui bisessuali e ne accettiamo l’esistenza senza
meravigliarcene troppo”.
Nel passo seguente
l’accento è ancora e di nuovo sul conflitto fra i due orientamenti -
“(…)d’altra parte non esiste pericolo
maggiore per la funzione eterosessuale
di un uomo del perturbamento che può
creargli la sua latente
omosessualità”.
Qui Freud dice anche il suo problema: se
(…) non ci può essere alcun sostituto per il contatto con un amico che
una particolare, quasi femminile, parte di me chiede,
questo significa incontrare “il fantasma
di essere anche
donna”,
immaginare il “mescolamento di due
fantasmi (…)
in cui sono presenti componenti maschili
e
femminili”.
Fachinelli vede nel rapporto Freud/Fliess un plot analogo a quello di
molte situazioni analitiche in lotta tra fusione e individuazione, in
tensione tra la passione e la ricerca di una forma per il desiderio.
In gioco è la propria identità, il pericolo è il sorgere dell’“immagine
di un riassorbimento nell’oceano materno”.
La ricerca del doppio, del gemello attraversa ogni incontro analitico.
“Abbiamo
bisogno di ulteriori dati – ottenuti mediante l’osservazione, mediante
la sperimentazione di pensiero introspettivo o con entrambi i metodi –
che posssano indicare
come
importanti esperienze gemellari (di alter ego) costituiscono un
sostegno per il Sé non soltanto, per esempio, dai quattro ai dieci
anni, (…) ma durante tutta la vita”.
Per Freud, la rottura con Fliess
rappresenta, anche, il superamento di questo rischio; che l’alter
sia un collega uomo porta a rafforzare compensativamente l’idea
dell’eterosessualità come qualcosa da solidificare, quasi la necessità
di un disegno dove il confine fra i generi si fa netto, e, nella
vulgata, attivo e passivo diventano sinonimi del maschile e del
femminile. Questa è la cornice entro la quale siamo abituati a
collocare anche il tema dell’omosessualità.
Foto:
Natalie Silva, "Me, Cindy and You" (2007)
Sfogliare l’album di famiglia vuol dire
ritrovare approcci censori e altri giustificazionisti, ritrovare i
paradigmi del pensiero psicoanalitico e della psicologia analitica: i
fondamenti freudiani, quelli junghiani di animus/anima, le letture
legate al narcisismo e degli studi sulle perversioni – una costruzione
non più adeguata. Inevitabilmente, lo psicodramma (borghese)
dell’analisi, un Kammerspiel recitato da un marito, una moglie e dei
figli è un copione storico che fatica oggi a nutrire la clinica. Il
singolo, però, è proprio con questa mitologia, con questa costruzione
sociale-psicologica che varca – come accade sempre più spesso - la
soglia della stanza dell’analisi. Non per convertirsi, né per scoprire
(nella maggior parte dei casi) ciò che sa già, vale a dire la sua
omosessualità, ma per poter vivere in modo meno lacerante una
diversità che declina aspetti fondanti la propria identità – pubblica
e privata. E qui la political correctness, sua e del terapeuta,
appare solo un punto di partenza per un viaggio in mare aperto.
In Italia l’omosessualità incontra
l’analisi non per un’emergenza epidemica come l’Aids, come è avvenuto
in parte negli Stati Uniti,
ma in una fase di maggiore visibilità e tolleranza sociale, di
accettazione diffusa, seppure con reattività ancora forti – e
tentazioni di sovrapposizioni del binomio Altro/Straniero. Si
inserisce, invece, in una meno gridata ma sorda crisi delle relazioni,
dove la lotta fra i sessi velocemente trasmuta,
accompagnata da una negoziazione continua, da costellazioni sociali e
familiari (come ben si vede al cinema) dietro le quali la psiche
arranca e la patologia insidia il corpo. Al centro della scena, come
indica la pubblicità posta più in alto
delle chiese e delle porte della città,
è la predominanza dei corpi. Desessualizzati, desimbolizzati, sono dei
composti: di ciglie unghie addomi glutei… , il volto qualcosa che
sempre più spesso non s’intona con il resto. Ogni pezzo, modellabile e
modificabile, è quell’insieme insormontabile e imperfetto di parti che
non riescono a comporre un intero, a corrispondere ad un’immagine. A
diventare corpo. Il corpo è un luogo creativo, ma anche il luogo dove
finisce ogni significato.
“Tutte le
parti del suo corpo hanno una curvatura che non è quella normale
dell’anatomia; la sua verità è la Terra, un bambino nudo su antiche
falde geologiche, tra canne di palude (…) Le pulsioni masochiste
diventano superiorità morale, autorità della debolezza. Non ha mai
saputo dire di no, ha sempre accettato qualunque degradazione
mettendosi dal punto di vista di chi lo degradava. Forse Marcello è
l’estrema reincarnazione dell’uomo “assolutamente buono” di cui
parlava Dostoevskij. Ha qualcosa, infatti, dell’idiota”.
E’ la dannazione del corpo, il
desiderio del “senza corpo”. Il mondo onirico agisce da camera di
compensazione. Donne che di giorno guidano scooter in tacchi a spillo
e caschi da astronauta, sognano case degli anni Cinquanta dove si può
finalmente soltanto lavare stirare cucinare, uomini manager che per
poter sentire devono violentare la propria parte emotiva, passiva e
depressa, donne che sognano di essere uomini ma …gay. Nel teatro del
sesso si rivela l’ingorgo dell’incontro, il timore della dipendenza
dall’Altro umano, la penetrazione è un contatto che spaventa,
l’intensità è sempre troppa.
“Una seconda serie importante di
significati relazionali che spesso vengono espressi nelle fantasie e
nei comportamenti sessuali non riguarda il desiderio nei confronti
dell’oggetto ma la fuga dall’oggetto. Qui la sessualità assume
significato in quanto è l’unico ambito in cui è possibile
l’indipendenza dall’altro visto come invasore. Ci si arrende
all’oggetto primario, con il quale la sessualità possiede il carattere
attutito, ritualizzato e artificiale che caratterizza ogni dimensione
della resa. L’impotenza o la frigidità con il coniuge legittimo spesso
rispondono proprio a queste caratteristiche, a una situazione in cui
tutte le interazioni sono rivestite di rispettabilità e conformità
alle norme sociali. Ciascuno sente di essersi già mostrato troppo
arrendevole di fronte all’altro, al punto che trattenere l’eccitamento
sessuale diventa un segreto punto d’orgoglio, un modo per trattenere
una traccia della propria individualità”.
Le
girandole del rapporto uomo/donna influenzano i triangoli amorosi,
come è evidente nei rapporti “idillici” fra donne e uomini gay.
La figura omosessuale si presta a rappresentare in modo più
estremizzato l’aria del tempo, dove l’imperativo è
l’estetica e tutto è fugace, a
incarnare il soggetto senza lacci e lacciuoli, che chiede di vedere ed
essere visto - è’ la costrizione del mondo psichico a tenere ancorati
a terra. L’omosessuale, tradizionalmente interrogativo sulla propria
mascolinità, non ha oggi un modello virile dal quale prendere le
distanze, si presta anzi a delineare una nuova genealogia maschile -
come se quello gay potesse essere l’unico spazio per soli uomini, uno
spazio tutto al maschile, che non teme la presenza del femminile,
perché ne è, per definizione aprioristica, al riparo. L’omofobia
attuale non esprime solo inquietudine e disprezzo, si alimenta anche
dell’invidia per chi può allontanarsi dal mondo e scrivere una nuova
pagina dell’epica western come nei Segreti di Brokeback Mountain.
Foto: Alberto Lanteri, "Ti aspetterò in questi
lunghi giorni, dove il mio respiro non ha tempo" (1989)
Per capire, per poter empatizzare, per
riuscire a collocare il materiale della clinica ho raccolto immagini,
dialoghi, situazioni che mostrassero uno stesso tema da questo
altro punto di vista. Ho cercato romanzi e racconti, seguiti da
letture e riletture psicoanalitiche spesso contraddistinte dalla
difficoltà di trovare griglie interpretative adatte. La mia mappa
insegue la storia di un caso con i suoi passaggi di vita che, seppure
generazionalmente segnati dall’anno di nascita, incontrano la
scoperta, attraversano la zona del segreto, vivono l’incontro
occasionale del sesso, in modo diretto o indiretto conoscono la
malattia, mortale o cronica, coltivano il sogno d’amore di una
relazione romantica.
L’esperienza di vita del singolo si ritrova intrecciata a tappe (forse
ancora per poco) obbligate, ai percorsi derivati dalla storia
dell’omosessualità. Una condizione esistenziale che potenzia la
dimensione solitaria dell’epoca, esalta l’indefinirsi delle età – tra
il puer e il senex si fatica a riconoscere l’impronta
dell’adulto. L’analisi può essere un processo di iniziazione, l’uscita
da una situazione edipica dove il tabù sta nell’incontro con la figura
maschile, e la terra della Grande Madre è diventata, dopo la scoperta
della
propria caratteristica, il rifugio dal
mondo del padre. Le madri sanno quello che al padre non è consentito
dire a voce, è questo il nuovo segreto fra madre e figlio, questo che
li unisce dentro e li separa fuori casa – dove il tabù agisce da freno
alla possibilità di amare altri uomini. La ricerca della causa della
propria diversità, tradizionalmente letta come il prodotto di troppa
madre-poco padre, incrocia la passione investigativa tipica della
psicoanalisi.
“A dodici
anni ero innamorato di un ragazzo che si chiamava Domenico. Due anni
più di me. Il suo corpo era già quello di un uomo quando il mio non lo
era ancora. C’era fra noi questa differenza fondamentale, ma che non
mi dispiaceva. I suoi genitori abitavano in una dimora immensa, con
molti annessi. In una soffitta, ho toccato un sesso maschile per la
prima volta. Mi è sembrato una cosa tenera. Questa tenerezza, non ho
masi smesso d’inseguirla. Fino a quel momento, tutto era stato puro.
Soltanto dopo s’è sciupato. Il disprezzo, naturalmente, impossibile
non subirlo, le ingiurie, impossibile non sentirle, le posture
caricaturali, impossibile ignorarle”.
“Negli ebrei e negli
omosessuali si presenta regolarmente un
determinato disturbo dell’adolescenza.
All’accorgersi della tendenza omosessuale e più che mai durante il
coming out, che nei miei analizzandi si era verificato senza
eccezione durante gli anni dell’adolescenza, non si dà un ritorno
temporaneo nella famiglia. Proprio come gli estranei reagiscono con il
rifiuto palese o latente ma comunque percepibile e con l’aggressione
alle caratteristiche del giovane, egli si aspetta adesso di essere
trattato anche nella sua famiglia come un reietto o come uno che deve
essere bandito”.
Il
mondo familiare diventa estraneo, il tradimento delle proprie origini
conduce lontano, spesso costringe a mettersi in viaggio,
a cercare nella comunità di simili un’appartenenza, senza riuscire
però a liberarsi dal mal di casa.
In un sogno: si apre la porta ad un
estraneo, ma è grande prima lo stupore poi lo sgomento nello scoprire
che l’altro siamo ancora noi. Quei due che si fronteggiano con sguardo
di sfida, sempre pronti a battersi, metter mano al coltello, sono
pressoché identici uno all’altro. Sono due gemelli che finalmente si
possono incontrare, possono ricevere in casa il cattivo che è l’altro.
Si sono combattuti a lungo, di giorno e di notte, nel mondo diurno
potevano avanzare insieme psichicamente scissi.
“Invece di
arrivare, nella fase del riorientamento dell’adolescenza, ad un
consolidamento delle rappresentazioni d’oggetto buone e cattive, era
nata una tendenza alla scissione di tutti gli oggetti, una
dissociazione. Davanti all’immagine fidata, si inseriva l’immagine
dell’estraneo; nell’estraneo veniva cercato il fidato,, per poi
trovare nuovamente la minaccia dell’estraneo”.
“Non appena
un oggetto erotico è ‘investito’, e il rappresentante del familiare,
del fidato e dell’affidabile è personificato, compare allo stesso
tempo il rappresentante dell’estraneo, con il quale non è possibile
alcun rapporto positivo di fiducia”.
L’analista è uno sconosciuto, forse è
l’estraneo che può diventare fidato.
“<<Sto
pensando di dirlo ai miei genitori. Di noi due. Il che, evidentemente,
implica che gli racconti di me.>>
Eliot non
disse niente.
<<Sto
pensando di dirglielo questa domenica>> disse Philip. <<Pensi che sia
una buona idea?>>
<<Non
conosco i tuoi genitori>> disse Eliot.
<<Ma io sì.
E posso dirlo fin da adesso, non credo che per loro sarà un grosso
trauma. Penseranno, “Ma certo”. E finalmente capiranno come mai non ho
mai avuto una ragazza e tutto il resto. Insomma, i miei genitori sono
gente aperta. Non resteranno annientati dalla notizia.>>
<<Probabilmente no>> disse Eliot.
Philip annui
tra sé. <<No>> disse, <<il problema non sarà tanto il fatto che io sia
gay, ma tutto il resto. Perché non basta, capisci, dirglielo una volta
per tutte e poi non parlarne mai più. Sento che dovrei fargli sapere
che cosa ha significato per me – cosa significa, crescere, tenendosi
dentro questo segreto. Sento che dovrei fargli capire che cosa
significa, fare la vita che faccio io, avere te. In fondo meritano di
saperlo.>>
.
“Quando Philip ricordava la sua
adolescenza, ne ricordava le parti nascoste. Nascondere era stata una
parte così importante, così essenziale della sua vita, che persino ora
– che era cresciuto, più o meno, e viveva da solo – teneva nascosti
tutti i libri con la parola ‘omosessuale’, persino nel proprio
appartamento. (…) Si vedeva invece sempre e soltanto sdraiato sul
pavimento del bagno a masturbarsi, col vapore che saliva dalla doccia,
la carta da parati che s’arricciava ai bordi. Non riusciva a ricordare
nient’altro, nient’altro che questa attività proibita, come se la sua
memoria ora fosse capace di creare solo un’immagine negativa, mettendo
a nudo solo quelle cose che allora erano nell’ombra”.
“La sua vita
sessuale si era nutrita in segreto; non ne aveva mai parlato con
nessuno, neppure con se stesso. Poteva essere reale qualcosa di così
privato, si chiedeva?”.
“L’amicizia erotica maschile e il vizio
privato condividevano la segretezza sessuale che divenne un elemento
caratteristico della coscienza moderna. Alla fine del secolo XX
l’omosessualità e la masturbazione condividevano l’outing”.
Si incontrano ad un crocevia,
omosessualità e la sessualità, nel momento già problematico
dell’avanzare della pubertà.
“Il difficile con l’omosessualità
consiste nel fatto che l’unica sua specificità sembra essere sessuale.
Il sessuale non è
ulteriormente scindibile”.
Qualcosa che spezza il corpo in due,
sopra ci sono le parti nobili, il logos e il raziocinio, la
sensibilità e il gusto estetico, sotto la cintura ci sono le parti
basse, la dannazione di un serpente tentatore che porta il peso della
colpa, che rende difficile riconciliarsi con il proprio essere figlio
dell’uomo.
“Si augurò
che un giorno Philip si accorgesse di quanto lui lo avesse amato – in
silenzio e a distanza – e apprezzasse il modo discreto in cui, da
dietro le quinte e senza mai dichiararlo apertamente, lo aveva seguito
e capito e protetto, e forse gli aveva reso la vita migliore. (…) In
realtà temeva che se si fosse avvicinato troppo a suo figlio, avrebbe
potuto trasmettergli delle cose – delle cose a cui preferiva non dare
un nome. E così la distanza tra loro anziché diminuire, crebbe sempre
più man mano che Philip diventava grande (…)”.
“Quanto
della mia natura e del mio comportamento percepiva o indovinava mio
padre? Questa domanda me la posi soltanto dopo la sua morte, quando
non poteva avere risposta. Lui era un uomo perspicace e di segnali
dovevano essercene a bizzeffe”.
“Sulla base della mia esperienza,
perciò, posso dire che la descrizione abituale che un gay fa di suo
padre come distaccato, assente, o ostile, deriva dal bisogno di
alterare il ricordo del suo precoce attaccamento erotico alla figura
paterna, e dall’effettivo allontanamento del padre da lui:
allontanamento che avviene o nel momento in cui il padre
diventa consapevole che il suo
bambino non si comporta come gli altri bambini della sua età, o in
seguito
all’ansia suscitata dall’intensità
dell’attaccamento del figlio. L’allontanarsi della figura paterna, che
dal figlio è immancabilmente sentito come un rifiuto, può essere una
causa della scarsa autostima e
della sensazione di inadeguatezza provata da
alcuni gay”
.
Con la sua reitirazione di psicodrammi
familiari, con le sue lungaggini, il film Crazy dice bene il
tempo lungo dell’accettazione, la lacerazione dei padri, la invadente
disponibilità delle madri a credere di avere un figlio speciale. Quale
che sia originariamente stato il rapporto fra madre e figlio, il
segreto li unisce, diventa un nuovo patto di sangue che ri-crea la
diade.
<<Paul,!
lascia che ti aggiusti la cravatta!>>
“<<Ho incominciato ad
andare al Bijou e ad altri cinema porno quando avevo trent’anni>>
disse. <<Ragazzi, come ero spaventato la prima volta – ma anche
eccitato. Perché quello che stavano facendo quegli uomini su quello
schermo – era esattamente quello che volevo fare io, quello che avevo
sempre voluto fare. (….) E’ strano, ma quei film porno erano una
specie di cura per me. Tutti pensano che la pornografia sia
allettante, e immagino che lo sia, ma per un uomo spaventato come lo
ero io, be’, mi dicevo che quel che provavo non era poi così
sbagliato, e che non ero il solo a provarlo”.
“Così nella promiscuità coatta,
l’elusività della persona viene sostituita dalla concretezza dei
genitali, nel tentativo interminabile e futile di aggirare o di
penetrare al di sotto dell’intricata rete di regioni accessibili e
inaccessibili che costituisce il carattere umano”.
Uno che cucina, l’altro che guarda la
televisione,: questo è il paradiso. I luoghi invisibili dove si va a
battere – internet come metafora della clandestinità – sono l’inferno.
Lì si sperimentano stati mentali altri, lì c’è tutto ciò che
rappresenta il proibito, la liberazione disperante di essere solo un
genitale, la possibilità di compensare tutto ciò che è vissuto come
mancanza, lì c’è la prova provata della propria mascolinità.
“Quando l’omosessuale va a battere la
sua identità può farsi sospesa, in un clima di transitional-sexuality
a metà strada tra l’angoscia causata dal timore della perdità del Sé
e la ricerca di un contenitore che ne favorisca il consolidamento. In
questo processo, probabilmente anche la mancanza di un’identità
socialmente riconosciuta e la ricorrente esperienza di emarginazione e
segreto legata alla propria sessualità giocano un ruolo non
secondario”.
“Essere bestiali significa liberarsi
dalle costrizioni della relazione oggettuale, spersonalizzare l’altro,
a volte per raggiungerlo più profondamente, a volte come mezzo per
eludere le sue richieste”.
“Quando la sessualità assume questo
tipo di significato relazionale, l’intensità passionale spesso
raggiunge gradi estremi. La passione non nasce da un accumulo di
bisogni sessuali in quanto tali, ma da una sorta di angoscia di
soffocamento. Nella resa primaria all’oggetto c’è la sensazione di
cedere troppo, e che la propria identità venga soffocata; la
sfida rivolta contro l’oggetto, avvenga
essa nella antasia, nella masturbazione o nelle relazioni clandestine,
viene cercata disperatamente. Spesso ciò che si avverte come
un’impellente necessità sessuale riflette una crescente angoscia di
perdita del Sé, e il bisogno della fuga e della sfida che la
sessualità può fornire”.
Oggi,
però, l’incontro è più libero, la sessualità al buio non è più l’unica
possibilità, la vergogna dell’omosessualità si concentra in zone e
non-luoghi. Le relazioni stabili
normalizzano, ma costringono a fare i conti con il normale caos
dell’amore, portano a credere che anche per
Il terzo gemello
sia possibile coniugare l’altro, il sesso e l’amore.
“D’un
tratto, il corpo dell’altro non fu più un corpo estraneo. Ci parve che
le dita febbrili avessero già lasciato la loro impronta sulla grana
della pelle, che gli odori del desiderio e
della stanchezza fossero odori
familiari, che gli stessi gemiti fossero già stati sussurrati alle
nostre orecchie, che i colli avessero già accolto quei baci salsi e
furtivi, che l’andirivieni dei fianchi avesse già avuto una simile e
ipnotica lentezza, che l’apertura di braccia dell’uno avesse
l’ampiezza del petto dell'altro. E, al tempo stesso, sapevamo di
esplorare un territorio del tutto sconosciuto, sapevamo che la nostra
era l’ansia dei principianti, che il nostro era il nervosismo dei
novizi. Questa duplice sensazione, della verginità e dell’abitudine,
ci portò al piacere nello stesso istante. Bisogna aver vissuto la
contemporaneità degli spasmi per esserne assolutamente estasiati.”.
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