Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

  Home Frenis Zero

        

 

 

    "Una stanza per due: omosessualità in letteratura e psicoanalisi"

di Nicole Janigro

 

 

Foto: Eleonora Ciroli, "Medoro e Tristano" (2003)

 

In occasione della mostra di Firenze "Arte e omosessualità. Da von Gloeden a Pierre et Gilles" (alla Palazzina Reale fino al 6 gennaio 2008), abbiamo il piacere di pubblicare, per gentile concessione dell'autrice e della Rivista di Psicologia Analitica (sito web: www.rivistapsicologianalitica.it ), il saggio di Nicole Janigro che è uscito sull'ultimo numero del periodico. Le foto a corredo del testo in questa pagina web sono tratte dalla mostra fiorentina.

Nicole Janigro,  nata a Zagreb (Croazia), vive e lavora a Milano. Psicoterapeuta, analista di formazione junghiana, fa parte dell’associazione “Laboratorio analitico delle immagini” (L.A.I.). Collabora a progetti di formazione legati al tema dell’ elaborazione del conflitto, rivolti a volontari e operatori attivi sul campo nelle aree di crisi della ex Jugoslavia. Ha in corso una ricerca su sogno e guerra. Ha svolto attività giornalistica ed editoriale, è autrice di L’esplosione delle nazioni (Feltrinelli 1993,1999), ha curato il Dizionario di un paese che scompare. Narrativa dalla ex Jugoslavia (manifestolibri 1994), l’antologia Accadde a Sarajevo (Edizioni Scolastiche B. Mondadori 1996), Vivere altrimenti, guida alle comunità alternative in Italia e nel mondo (con G.Ciuffreda, Pratiche 1997), l’antologia di narrativa Non troppo uguali. Storie di identità e differenze (con R.Cacciatori, Edizioni Scolastiche B.Mondadori 1999), La guerra moderna come malattia della civiltà, (Bruno Mondadori, Milano 2002), Casablanca serba. Racconti da Belgrado, (Feltrinelli, Milano 2003). Ha tradotto Il centro del mondo (il Saggiatore 1995) e Il divano orientale (il Saggiatore 1997) di Dzevad Karahasan e Il ruolo della mia famiglia nella rivoluzione mondiale di Bora Cosic (edizioni e/o 1997).

 

                                             

Perdere al gioco nervoso  dei dadi

                                    la vita. Lasciarla cadere come

                                    un battito tra le arrapate menadi

                                                      del sesso. Gridare al cuore il tuo nome…

 

Così fu il giorno in cui il ramo fiorì

nel tuo ventre  e gli inverni si bruciarono

sterpi e tra di noi divisi morì

il sospetto (l’arsura si svegliarono

                  

e la sete) stella viva e pianeta,

grido di vittoria al nervoso gioco

dei dadi. Ora siamo scultore e creta.

 

Ora gli animali  sono di fuoco.

Ora corrono senza paura e meta.

Ardere e restare ostinato invoco.

 

                                    Cesare Lievi, Ardore infermo

 


 


 

Per strada, al cinema, al ristorante, in libreria: salta all’occhio quel che (in Italia) muta ed è già mutato riguardo all’omosessualità maschile[1]. E per chi è donna, nata fra il boom dei Cinquanta e le ribellioni degli anni Sessanta, il ricordo ripassa in rassegna le proibizioni e le sconvenienze – fumare in pubblico, baciarsi sui tram, i jeans non ammessi né in chiesa né a scuola –, rievoca la sensazione di essere troppo visibili, troppo procaci, troppo loquaci. L’adeguamento giuridico al costume della società, quel che una volta si diceva “lotta per i diritti civili”, nel bel paese da sempre inestricabilmente intrecciato alla questione del rapporto stato/chiesa, si misura sul diritto alla parità del sesso che non è un sesso: alla convivenza formalmente riconosciuta, al matrimonio, alle possibilità di genitorialità e di procreazione che si danno (e altrove già si danno).

“Per questo la vera novità dei nostri giorni non è tanto la riproduzione assistita, da noi ancora sporadica, ma il fatto che sia in corso un’assunzione di genitorialità simbolica di proporzioni mai viste”[2].

Significativamente, il grado di tolleranza/libertà nei confronti dell’omosessualità rispecchia lo stato dei diritti nel mondo glocal[3] – molto evidente, per esempio, nell’Europa del cosiddetto ex-est, dove le culture tradizionali e le ideologie collettivistiche hanno sempre lasciato poco spazio alla diversità dell’individuo e dove le identità pubbliche e private temono ogni ulteriore apertura alle inquietudini degli amori liquidi.

“Curiosamente, la copia dell’Occidente che mettevamo in scena per certi aspetti era più vera del’originale. Più drammatica, soprattutto. Perché la libertà di quelle notti non sempre restava impunita”[4].

Dopo il gusto della liberazione oggi a questa diversità tocca inseguire etimologie, ricostruire gli slittamenti semantici che da invertito hanno condotto a gay[5], ritrovare i manoscritti saccheggiati e proibiti, rivelare quel che spesso si è celato dietro uno pseudonimo, ripercorrere la persecuzione che ha punteggiato la grande Storia[6], ridisegnare l’albero genealogico[7], contestualizzare le biografie e le opere letterarie – dove i protagonisti sono stati a lungo condannati ad una fine maledetta per essere poi trascinati, per la forza del rovescio, verso un doveroso e salvifico happy ending[8].

  Foto: Mataro da Vergato, "Les demoiselles royales" (2001)

 

Anche l’editoria aiuta a fare mappa: la condizione omosessuale diventa il prisma attraverso il quale scoprire le celle castriste nei romanzi di Reinaldo Arenas e di Pedro Juan Gutiérez, la repressione franchista in quelli di Eduardo Mendicutti, le smanie cosmopolite e le repulsioni sessuofobiche della borghesia latino americana nei romanzi di Jaime Bayly,  oppure conoscere un’infanzia nel Maghreb con Rachid O., ritrovare, nei racconti lunghi di Philip Besson, Marcel Proust malato in una Parigi deserta di giovani carne da cannone della Grande Guerra, Rimbaud assistito dalla sorella durante i suoi ultimi giorni di vita, ricordare i campi di prigionia in Italia e in Germania durante la seconda guerra mondiale con lo scrittore Tatamkhulu Africa, seguire l’evoluzione del costume dall’America di Eisenhower ad oggi con My Lives di Edmund White.

Il ritratto del giovane gay attraversa il romanzo di formazione contemporaneo come se quello omosessuale fosse una sorta di “terzo occhio” che permette di vedere il mondo con un grado maggiore di perspicuità. Così accade al ventenne Nick Guest, ospite di una ricca famiglia tory durante l’era Thatcher. E’ la La linea della bellezza di Alan Hollinghurst: quella che separa, ancora, classicamente e britannicamente, i bianchi dai neri, il potere dei ricchi da quello degli altri cittadini, le abitazioni private dagli esterni dove le foglie dei parchi londinesi svelano e nascondono come nelle pitture paesaggistiche di Gilbert&George. Il romanzo si presta ad essere letto come un ininterrotto coming out: tutto ciò che per il maestro ispiratore di Hollinghurst, Henry James[9], era ritiro, sospensione, anche di appetito sessuale, fughe e fantasmagorie di passi felpati nelle case inglesi che lui americano accoglievano, tutto ciò che in quel mondo e nell’esistenza di James è rimasto implicito, quasi inconscio potremmo dire, qui diventa esplicito: la sessualità, il vizio, la corruzione, il malessere. Nick, l’esterno estraneo, in queste dimore ha parassitato, in certi momenti ha avvertito il fremito dell’appartenenza, quando la parabola politica del padrone di casa si compie può anche fungere da capro espiatorio. Si ritrova fuori, in strada. E qui il romanzo si arresta: non sappiamo che uomo diventerà Nick Guest, se mai approderà all’agognata adultità, la sua diversità sfuma insieme al futuro che da qualche parte l’aspetta, si confonde con la condizione universale del maschio alle nostre latitudini, con la sua difficoltà di crescere, il suo timore di oltrepassare la linea della bellezza per entrare nella vita.

  Foto: Carlos Forns Bada, "Riccardo e Renato" (2001)

La figura dell’omosessuale ben si presta a  rappresentare stili di vita delle capitali del XXI secolo, dove i motivi dello stereotipo del dandy si mischiano al girovagare inesausto e tormentato del fla^neur e possono sfociare in una consapevolezza a tratti angosciata, a tratti più compiaciuta:

“Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità. Le mie reazioni sono standard, la mia diversità è di massa. Più intelligente della media, ma di un’intelligenza che serve per evadere. Anche questa civetteria di mediocrità è mediocre, come i ragazzi di borgata che indossano a migliaia le T-shirt con su scritto <<original>>; notano la contraddizione e gli sembra spiritosa. L’eccezionalità occupa i primi cinque centimetri, tutto il resto è comune. Se non fossi medio troverei l’angolatura per criticare questo mondo, e inventerei qualcosa che lo cambia”. Ma “Io sono l’Occidente: sia perché appartengo a quel tipo di omosessuali che hanno fornito il modello dell’Immagine come obiettivo del desiderio, sia perché come individuo singolare e irripetibile tendo a difendermi da ciò che mi ferisce mediante una sua trasposizione in immagine. Se mio padre muore, divento spettatore di una ‘morte del padre’. L’Europa non si sta forse trasformando in un continente di spettatori?” (…) Sono l’Occidente perché detesto i bambini e il futuro non mi interessa.

Sono l’Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di sciocchezze, e posso chiamare sciocchezze le forze oscure che non controllo. Sono l’Occidente perché il Terrore sono gli altri”[10].

              

                    Foto: Lily Salvo, "Le mie unghie sono come petali di rose" (2002)

 Questo mutamento d’epoca ammicca al mondo analitico. Spesso vi è entrato alla chetichella, come se anche per le psicologie del profondo la questione dell’omosessualità non potesse sfuggire alle ambiguità della doppia morale: qualcosa che nel privato della clinica si fa, ma in pubblico non si dice troppo.

“Da un lato essa (la psicoanalisi) fece progredire la comprensione culturale della sessualità femminile e della omosessualità, dall’altro e contemporaneamente, si dimostrò a volte la nemica feroce e agguerrita delle donne e degli omosessuali”[11].

Trattando l’omosessualità come malattia e/o perversione, proibendo fino a tempi relativamente recenti l’accesso alla professione a chi non fosse eterosessuale, sul discorso analitico pesa la tradizione e la tradizione della teoria. Così oggi la ricerca, che ben si riflette sui banchi in libreria, scorre su binari diversi: quello di una ricostruzione storica[12], che evidenzia il legame stretto fra gli intérieur della clinica e le coordinate storico-geografiche; di una rivisitazione teorica del rapporto fra omosessualità e psicoanalisi (soprattutto in riferimento al mondo anglosassone[13]); e quello di una riflessione, a volte ancora timorosa ed esitante, come se dovesse in primo luogo dare conto all’utenza che incalza, altre volte più radicale, (come accade da tempo a partire dalla ricerca femminista nel filone degli studi sul genere[14]) che ripensa il soggetto e la sua identità in relazione/superamento delle categorie di maschile e di femminile.

Nelle biografie dei padri, Freud e Jung, la questione fu diversamente ma ugualmente problematica Per Freud, che inseguì nella sua vita l’Amico Ideale, soprattutto nel rapporto con Fliess[15], per Jung soprattutto nel rapporto con Freud, – e pesò non poco nel loro conflitto[16]. Ci furono prese di posizione coraggiose (diversamente da Jones, Freud si dichiarò contrario all’idea che l’omosessualità fosse un motivo di discriminazione all’interno della comunità psicoanalitica), aperture teoriche che oscillano tra il riferimento alla tradizione classica ellenica e il moderno linguaggio medico e scientifico.

“E’ noto che ci sono stati in tutte le epoche, e ci sono tuttora, individui i quali possono assumere come proprio oggetto sessuale sia persone dello stesso sesso sia persone dell’altro

sesso, senza che uno di questi due orientamenti rechi pregiudizio agli altri. Diciamo questi individui bisessuali e ne accettiamo l’esistenza senza meravigliarcene troppo”[17].

Nel passo seguente l’accento è ancora e di nuovo sul conflitto fra i due orientamenti - “(…)d’altra parte non esiste pericolo maggiore per la funzione eterosessuale di un uomo del perturbamento che può creargli la sua latente omosessualità”[18]. Qui Freud dice anche il suo problema: se (…) non ci può essere alcun sostituto per il contatto con un amico che una particolare, quasi femminile, parte di me chiede[19], questo significa incontrare “il fantasma di essere anche donna, immaginare il “mescolamento di due fantasmi (…) in cui sono presenti componenti maschili e femminili”[20]. Fachinelli vede nel rapporto Freud/Fliess un plot analogo a quello di molte situazioni analitiche in lotta tra fusione e individuazione, in tensione tra la passione e la ricerca di una forma per il desiderio. In gioco è la propria identità, il pericolo è il sorgere dell’“immagine di un riassorbimento nell’oceano materno”[21]. La ricerca del doppio, del gemello attraversa ogni incontro analitico.

“Abbiamo bisogno di ulteriori dati – ottenuti mediante l’osservazione, mediante la sperimentazione di pensiero introspettivo o con entrambi i metodi – che posssano indicare

come importanti esperienze gemellari (di alter ego) costituiscono un sostegno per il Sé non soltanto, per esempio, dai quattro ai dieci anni, (…) ma durante tutta la vita”[22].

Per Freud, la rottura con Fliess rappresenta, anche, il superamento di questo rischio; che l’alter sia un collega uomo porta a rafforzare compensativamente l’idea dell’eterosessualità come qualcosa da solidificare, quasi la necessità di un disegno dove il confine fra i generi si fa netto, e, nella vulgata, attivo e passivo  diventano sinonimi del maschile e del femminile. Questa è la cornice entro la quale siamo abituati a collocare anche il tema dell’omosessualità.

Foto: Natalie Silva, "Me, Cindy and You" (2007)

Sfogliare l’album di famiglia vuol dire ritrovare approcci censori e altri giustificazionisti, ritrovare i paradigmi del pensiero psicoanalitico e della psicologia analitica: i fondamenti freudiani, quelli junghiani di animus/anima, le letture legate al narcisismo e degli studi sulle perversioni – una costruzione non più adeguata. Inevitabilmente, lo psicodramma (borghese) dell’analisi, un Kammerspiel recitato da un marito, una moglie e dei figli è un copione storico che fatica oggi a nutrire la clinica. Il singolo, però, è proprio con questa mitologia, con questa costruzione sociale-psicologica che varca – come accade sempre più spesso - la soglia della stanza dell’analisi. Non per convertirsi, né per scoprire (nella maggior parte dei casi) ciò che sa già, vale a dire la sua omosessualità, ma per poter vivere in modo meno lacerante una diversità che declina aspetti fondanti la propria identità – pubblica e privata. E qui la political correctness, sua e del terapeuta, appare solo un punto di partenza per un viaggio in mare aperto.

In Italia l’omosessualità incontra l’analisi non per un’emergenza epidemica come l’Aids, come è avvenuto in parte negli Stati Uniti[23], ma in una fase di maggiore visibilità e tolleranza sociale, di accettazione diffusa, seppure con reattività ancora forti – e tentazioni di sovrapposizioni del binomio Altro/Straniero. Si inserisce, invece, in una meno gridata ma sorda crisi delle relazioni, dove la lotta fra i sessi velocemente trasmuta[24], accompagnata da una negoziazione continua, da costellazioni sociali e familiari (come ben si vede al cinema) dietro le quali la psiche arranca e la patologia insidia il corpo. Al centro della scena, come indica la pubblicità posta più in alto delle chiese e delle porte della città, è la predominanza dei corpi. Desessualizzati, desimbolizzati, sono dei composti: di ciglie unghie addomi glutei… , il volto qualcosa che sempre più spesso non s’intona con il resto. Ogni pezzo, modellabile e modificabile, è quell’insieme insormontabile e imperfetto di parti che non riescono a comporre un intero, a corrispondere ad un’immagine. A diventare corpo. Il corpo è un luogo creativo, ma anche il luogo dove finisce ogni significato.

“Tutte le parti del suo corpo hanno una curvatura che non è quella normale dell’anatomia; la sua verità è la Terra, un bambino nudo su antiche falde geologiche, tra canne di palude (…) Le pulsioni masochiste diventano superiorità morale, autorità della debolezza. Non ha mai saputo dire di no, ha sempre accettato qualunque degradazione mettendosi dal punto di vista di chi lo degradava. Forse Marcello è l’estrema reincarnazione dell’uomo “assolutamente buono” di cui parlava Dostoevskij. Ha qualcosa, infatti, dell’idiota”[25].

 E’ la dannazione del corpo, il desiderio del “senza corpo”. Il mondo onirico agisce da camera di compensazione. Donne che di giorno guidano scooter in tacchi a spillo e caschi da astronauta, sognano case degli anni Cinquanta dove si può finalmente soltanto lavare stirare cucinare, uomini manager che per poter sentire devono violentare la propria parte emotiva, passiva e depressa, donne che sognano di essere uomini ma …gay. Nel teatro del sesso si rivela l’ingorgo dell’incontro, il timore della dipendenza dall’Altro umano, la penetrazione è un contatto che spaventa, l’intensità è sempre troppa.

“Una seconda serie importante di significati relazionali che spesso vengono espressi nelle fantasie e nei comportamenti sessuali non riguarda il desiderio nei confronti dell’oggetto ma la fuga dall’oggetto. Qui la sessualità assume significato in quanto è l’unico ambito in cui è possibile l’indipendenza dall’altro visto come invasore. Ci si arrende all’oggetto primario, con il quale la sessualità possiede il carattere attutito, ritualizzato e artificiale che caratterizza ogni dimensione della resa. L’impotenza o la frigidità con il coniuge legittimo spesso rispondono proprio a queste caratteristiche, a una situazione in cui tutte le interazioni sono rivestite di rispettabilità e conformità alle norme sociali. Ciascuno sente di essersi già mostrato troppo arrendevole di fronte all’altro, al punto che trattenere l’eccitamento sessuale diventa un segreto punto d’orgoglio, un modo per trattenere una traccia della propria individualità”[26].

Le girandole del rapporto uomo/donna influenzano i triangoli amorosi,  come è evidente nei rapporti “idillici”  fra donne e uomini gay[27]. La figura omosessuale si presta a rappresentare in modo più estremizzato l’aria del tempo, dove l’imperativo è l’estetica e tutto è fugace, a incarnare il soggetto senza lacci e lacciuoli, che chiede di vedere ed essere visto - è’ la costrizione  del mondo psichico a tenere ancorati a terra. L’omosessuale, tradizionalmente interrogativo sulla propria mascolinità, non ha oggi un modello virile dal quale prendere le distanze, si presta anzi a delineare una nuova genealogia maschile - come se quello gay potesse essere l’unico spazio per soli uomini, uno spazio tutto al maschile, che non teme la presenza del femminile, perché ne è, per definizione aprioristica, al riparo. L’omofobia attuale non esprime solo inquietudine e disprezzo, si alimenta anche dell’invidia per chi può allontanarsi dal mondo e scrivere una nuova pagina dell’epica western come nei Segreti di Brokeback Mountain.

 

                          Foto: Alberto Lanteri, "Ti aspetterò in questi lunghi giorni, dove il mio respiro non ha tempo" (1989)

Per capire, per poter empatizzare, per riuscire a collocare il materiale della clinica ho raccolto immagini, dialoghi, situazioni che mostrassero uno stesso tema da questo altro punto di vista. Ho cercato romanzi e racconti, seguiti da letture e riletture psicoanalitiche   spesso contraddistinte dalla difficoltà di trovare griglie interpretative adatte. La mia mappa insegue la storia di un caso con i suoi passaggi di vita che, seppure generazionalmente segnati dall’anno di nascita, incontrano la scoperta, attraversano la zona del segreto, vivono l’incontro occasionale del sesso, in modo diretto o indiretto conoscono la malattia, mortale o cronica, coltivano il sogno d’amore di una relazione romantica[28]. L’esperienza di vita del singolo si ritrova intrecciata a tappe (forse ancora per poco) obbligate, ai percorsi derivati dalla storia dell’omosessualità. Una condizione esistenziale che potenzia la dimensione solitaria dell’epoca, esalta l’indefinirsi delle età – tra il puer e il  senex si fatica a riconoscere l’impronta dell’adulto. L’analisi può essere un processo di iniziazione, l’uscita da una situazione edipica dove il tabù sta nell’incontro con la figura maschile, e la terra della Grande Madre è diventata, dopo la scoperta della propria caratteristica, il rifugio dal mondo del padre. Le madri sanno quello che al padre non è consentito dire a voce, è questo il nuovo segreto fra madre e figlio, questo che li unisce dentro e li separa fuori casa – dove il tabù agisce da freno alla possibilità di amare altri uomini. La ricerca della causa della propria diversità, tradizionalmente letta come il  prodotto di troppa madre-poco padre, incrocia la passione investigativa tipica della psicoanalisi.

“A dodici anni ero innamorato di un ragazzo che si chiamava Domenico. Due anni più di me. Il suo corpo era già quello di un uomo quando il mio non lo era ancora. C’era fra noi questa differenza fondamentale, ma che non mi dispiaceva. I suoi genitori abitavano in una dimora immensa, con molti annessi. In una soffitta, ho toccato un sesso maschile per la prima volta. Mi è sembrato una cosa tenera. Questa tenerezza, non ho masi smesso d’inseguirla. Fino a quel momento, tutto era stato puro. Soltanto dopo s’è sciupato. Il disprezzo, naturalmente, impossibile non subirlo, le ingiurie, impossibile non sentirle, le posture caricaturali, impossibile ignorarle”[29].

Negli ebrei e negli omosessuali si presenta regolarmente un determinato disturbo dell’adolescenza. All’accorgersi della tendenza omosessuale e più che mai durante il coming out, che nei miei analizzandi si era verificato senza eccezione durante gli anni dell’adolescenza, non si dà un ritorno temporaneo nella famiglia. Proprio come gli estranei reagiscono con il rifiuto palese o latente ma comunque percepibile e con l’aggressione alle caratteristiche del giovane, egli si aspetta adesso di essere trattato anche nella sua famiglia come un reietto o come uno che deve essere bandito”[30].

Il mondo familiare diventa estraneo, il tradimento delle proprie origini conduce lontano, spesso costringe a mettersi in viaggio[31], a cercare nella comunità di simili un’appartenenza, senza riuscire però a liberarsi dal mal di casa.

In un sogno: si apre la porta ad un estraneo, ma è grande prima lo stupore poi lo sgomento nello scoprire che l’altro siamo ancora noi. Quei due che si fronteggiano con sguardo di sfida, sempre pronti a battersi, metter mano al coltello, sono pressoché identici uno all’altro. Sono due gemelli che finalmente si possono incontrare, possono ricevere in casa il cattivo che è l’altro. Si sono combattuti a lungo, di giorno e di notte, nel mondo diurno potevano avanzare insieme psichicamente scissi.

“Invece di arrivare, nella fase del riorientamento dell’adolescenza, ad un consolidamento delle rappresentazioni d’oggetto buone e cattive, era nata una tendenza alla scissione di tutti gli oggetti, una dissociazione. Davanti all’immagine fidata, si inseriva l’immagine dell’estraneo; nell’estraneo veniva cercato il fidato,, per poi trovare nuovamente la minaccia dell’estraneo”[32].

“Non appena un oggetto erotico è ‘investito’, e il rappresentante del familiare, del fidato e dell’affidabile è personificato, compare allo stesso tempo il rappresentante dell’estraneo, con il quale non è possibile alcun rapporto positivo di fiducia”[33].

L’analista è uno sconosciuto, forse è l’estraneo che può diventare fidato.

“<<Sto pensando di dirlo ai miei genitori. Di noi due. Il che, evidentemente, implica che gli racconti di me.>>

Eliot non disse niente.

<<Sto pensando di dirglielo questa domenica>> disse Philip. <<Pensi che sia una buona idea?>>

<<Non conosco i tuoi genitori>> disse Eliot.

<<Ma io sì. E posso dirlo fin da adesso, non credo che per loro sarà un grosso trauma. Penseranno, “Ma certo”. E finalmente capiranno come mai non ho mai  avuto una ragazza e tutto il resto. Insomma, i miei genitori sono gente aperta. Non resteranno annientati dalla notizia.>>

<<Probabilmente no>> disse Eliot.

Philip annui tra sé. <<No>> disse, <<il problema non sarà tanto il fatto che io sia gay, ma tutto il resto. Perché non basta, capisci, dirglielo una volta per tutte e poi non parlarne mai più. Sento che dovrei fargli sapere che cosa ha significato per me – cosa significa, crescere, tenendosi dentro questo segreto. Sento che dovrei fargli capire che cosa significa, fare la vita che faccio io, avere te. In fondo meritano di saperlo.>> [34].

“Quando Philip ricordava la sua adolescenza, ne ricordava le parti nascoste. Nascondere era stata una parte così importante, così essenziale della sua vita, che persino ora – che era cresciuto, più o meno, e viveva da solo – teneva nascosti tutti i libri con la parola ‘omosessuale’, persino nel proprio appartamento. (…) Si vedeva invece sempre e soltanto sdraiato sul pavimento del bagno a masturbarsi, col vapore che saliva dalla doccia, la carta da parati che s’arricciava ai bordi. Non riusciva a ricordare nient’altro, nient’altro che questa attività proibita, come se la sua memoria ora fosse capace di creare solo un’immagine negativa, mettendo a nudo solo quelle cose che allora erano nell’ombra”[35].

“La sua vita sessuale si era nutrita in segreto; non ne aveva mai parlato con nessuno, neppure con se stesso. Poteva essere reale qualcosa di così privato, si chiedeva?”[36].

“L’amicizia erotica maschile e il vizio privato condividevano la segretezza sessuale che divenne un elemento caratteristico della coscienza moderna. Alla fine del secolo XX l’omosessualità e la masturbazione condividevano l’outing”[37].

Si incontrano ad un crocevia, omosessualità e la sessualità, nel momento già problematico dell’avanzare della pubertà.

“Il difficile con l’omosessualità consiste nel fatto che l’unica sua specificità sembra essere sessuale. Il sessuale non è

ulteriormente scindibile”[38].

 Qualcosa che spezza il corpo in due, sopra ci sono le parti nobili, il logos e il raziocinio, la sensibilità e il gusto estetico, sotto la cintura ci sono le parti basse, la dannazione di un serpente tentatore che porta il peso della colpa, che rende difficile riconciliarsi con il proprio essere figlio dell’uomo.

“Si augurò che un giorno Philip si accorgesse di quanto lui lo avesse amato – in silenzio e a distanza – e apprezzasse il modo discreto in cui, da dietro le quinte e senza mai dichiararlo apertamente, lo aveva seguito e capito e protetto, e forse gli aveva reso la vita migliore. (…) In realtà temeva che se si fosse avvicinato troppo a suo figlio, avrebbe potuto trasmettergli delle cose – delle cose a cui preferiva non dare un nome. E così la distanza tra loro anziché diminuire, crebbe sempre più man mano che Philip diventava grande (…)”[39].

“Quanto della mia natura e del mio comportamento percepiva o indovinava mio padre? Questa domanda me la posi soltanto dopo la sua morte, quando non poteva avere risposta. Lui era un uomo perspicace e di segnali dovevano essercene a bizzeffe”[40].

“Sulla base della mia esperienza, perciò, posso dire che la descrizione abituale che un gay fa di suo padre come distaccato, assente, o ostile, deriva dal bisogno di alterare il ricordo del suo precoce attaccamento erotico alla figura paterna, e dall’effettivo allontanamento del padre da lui: allontanamento che avviene o nel momento in cui il padre diventa consapevole che il suo bambino non si comporta come gli altri bambini della sua età, o in seguito all’ansia suscitata dall’intensità dell’attaccamento del figlio. L’allontanarsi della figura paterna, che dal figlio è immancabilmente sentito come un rifiuto, può essere una

causa della scarsa autostima e della sensazione di inadeguatezza provata da alcuni gay”[41] .

Con la sua reitirazione di psicodrammi familiari, con le sue lungaggini, il film Crazy dice bene il tempo lungo dell’accettazione, la lacerazione dei padri, la invadente disponibilità delle madri a credere di avere un figlio speciale. Quale che sia originariamente stato il rapporto fra madre e figlio, il segreto li unisce, diventa un nuovo patto di sangue che ri-crea la diade.

<<Paul,! lascia che ti aggiusti la cravatta!>>

Detto fatto, sua madre gli fu addosso, le mani sul collo.
Mamma, per favore, la cravatta va bene così com’è,,,>>

<<Lasciami solo stringere il nodo, caro, non vorrai presentarti con la cravatta allentata al tuo debutto.>> (…)

<<Va bene così, mamma.>>

<<Solo un piccolo ritocco.>>

<<Ho detto che va bene così!>>[42].

“Facevano i turisti insieme. Passeggiavano per le strade in un’orgogliosa e provocante anonimità. (…) Mary infilava la mano nell’incavo del gomito di Billy e gli parlava di sereni eventi quotidiani. Erano molte fra loro le cose che rimanevano non dette.

 

 

 

 

 

Lei sapeva di lui, benché lui non le avesse mai detto niente e lei non avesse mai fatto domande dirette. Non avrebbe saputo dire con precisione quando l’aveva capito”[43].

La pornografia può rappresentare un mondo proibito,

una controeducazione sessuale, segnare la storia con il proprio sesso, ma anche rassicurare paradossalmente sulla propria normalità. Il successo del film Shortbus sta forse in questo: l’importante è farlo tutti insieme appassionatamente, tutti insieme disperatamente.

“<<Ho incominciato ad andare al Bijou e ad altri cinema porno quando avevo trent’anni>> disse. <<Ragazzi, come ero spaventato la prima volta – ma anche eccitato. Perché quello che stavano facendo quegli uomini su quello schermo – era esattamente quello che volevo fare io, quello che avevo sempre voluto fare. (….) E’ strano, ma quei film porno erano una specie di cura per me. Tutti pensano che la pornografia sia allettante, e immagino che lo sia, ma per un uomo spaventato come lo ero io, be’, mi dicevo che quel che provavo non era poi così sbagliato, e che non ero il solo a provarlo”[44].

“Così nella promiscuità coatta, l’elusività della persona viene sostituita dalla concretezza dei genitali, nel tentativo interminabile e futile di aggirare o di penetrare al di sotto dell’intricata rete di regioni accessibili e inaccessibili che costituisce il carattere umano”[45].

 

 

 

 

 

Uno che cucina, l’altro che guarda la televisione,: questo è il paradiso. I luoghi invisibili dove si va a battere – internet come metafora della clandestinità – sono l’inferno. Lì si sperimentano stati mentali altri, lì c’è tutto ciò che rappresenta il proibito, la liberazione disperante di essere solo un genitale, la possibilità di compensare tutto ciò che è vissuto come mancanza, lì c’è la prova provata della propria mascolinità.

“Quando l’omosessuale va a battere la sua identità può farsi sospesa, in un clima di transitional-sexuality a metà strada tra l’angoscia causata dal timore della perdità del Sé  e la ricerca di un contenitore che ne favorisca il consolidamento. In questo processo, probabilmente anche la mancanza di un’identità socialmente riconosciuta e la ricorrente esperienza di emarginazione e segreto legata alla propria sessualità giocano un ruolo non secondario”[46].

“Essere bestiali significa liberarsi dalle costrizioni della relazione oggettuale, spersonalizzare l’altro, a volte per raggiungerlo più profondamente, a volte come mezzo per eludere le sue richieste”[47].

“Quando la sessualità assume questo tipo di significato relazionale, l’intensità passionale spesso raggiunge gradi estremi. La passione non nasce da un accumulo di bisogni sessuali in quanto tali, ma da una sorta di angoscia di soffocamento. Nella resa primaria all’oggetto c’è la sensazione di cedere troppo, e che la propria identità venga soffocata; la sfida rivolta contro l’oggetto, avvenga essa nella antasia, nella masturbazione o nelle relazioni clandestine, viene cercata disperatamente. Spesso ciò che si avverte come un’impellente necessità sessuale riflette una crescente angoscia di perdita del Sé, e il bisogno della fuga e della sfida che la sessualità può fornire”[48].

Oggi, però, l’incontro è più libero, la sessualità al buio non è più l’unica possibilità, la vergogna dell’omosessualità si concentra in zone e non-luoghi. Le relazioni stabili[49] normalizzano, ma costringono a fare i conti con il normale caos dell’amore, portano a credere che anche per Il terzo gemello[50] sia possibile coniugare l’altro, il sesso e l’amore.

D’un tratto, il corpo dell’altro non fu più un corpo estraneo. Ci parve che le dita febbrili avessero già lasciato la loro impronta sulla grana della pelle, che gli odori del desiderio e della stanchezza fossero odori familiari, che gli stessi gemiti fossero già stati sussurrati alle nostre orecchie, che i colli avessero già accolto quei baci salsi e furtivi, che l’andirivieni dei fianchi avesse già avuto una simile e ipnotica lentezza, che l’apertura di braccia dell’uno avesse l’ampiezza del petto dell'altro. E, al tempo stesso, sapevamo di esplorare un territorio del tutto sconosciuto, sapevamo che la nostra era l’ansia dei principianti, che il nostro era il nervosismo dei novizi. Questa duplice sensazione, della verginità e dell’abitudine, ci portò al piacere nello stesso istante. Bisogna aver vissuto la contemporaneità degli spasmi per esserne assolutamente estasiati.”[51].

 

 

                                  

 

NOTE

     

* Questo testo deve molto agli scambi, di libri e di idee, con Daniela Bonelli Bassano, Luca Ghirardosi, Alessandra Orsi, Davide Secchi, Uber Sossi.

(1)   M. Barbagli,  A. Colombo, Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, il Mulino, Bologna, 2001-2007.

(2)   T. Giartosio, Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, Milano, 2004, p.195.

(3) Si veda il numero monografico, Il secolo gay, della rivista <<Diario>>, anno VI, n.1, 2006.

(4) A. Makine, (2004), La donna che aspettava, trad. di A.M. Ferrero, Einaudi, Torino, 2006, p.19.

(5) P. Zanotti, Il gay. Dove si racconta come è stata inventata l’identità omosessuale, Fazi, Roma, 2005.

(6) G. Robb, (2003), Sconosciuti: l'amore e la cultura omosessuale nell'Ottocento, trad. di M. Baiocchi,  Carocci, Roma, 2005.

(7) V. Lingiardi, Compagni d’amore. Da Ganimede a Batman. Identità e mito nelle omosessualità maschili, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997.

(8) C. Toibin, (2001), Amore in un tempo oscuro. Vite gay da Wilde ad Almodovar, Fazi, Napoli, 2003; P. Zanotti, <<Il paese al di là dello specchio>>, in AA.VV., Classici dell’omosessualità, (a cura di P. Zanotti), Bur, Milano, 2006, pp.5-30.

(9) C. Toibin, (2004), The Master, trad. di M.Bartocci, Fazi, Roma, 2004.

(10) W. Siti, Troppi paradisi, Einaudi, Torino, 2006, p.186.

(11) E. Zaretsky, (2004), I misteri dell’anima. Una storia sociale e culturale della psicoanalisi, a cura di A. Bottini, Feltrinelli, Milano, 2006, p.15.

(12) V. Lingiardi, M.Luci, <<L’omosessualità in psicoanalisi>>>, in Gay e lesbiche in psicoterapia (a cura di P.Rigliano e M. Graglia), Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.

(13) F. Bassi e P.F.Galli (a cura di) L’omosessualità nella psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2000.

 (14) M. Dimen, V. Goldner (2002), (a cura di), La decostruzione del genere, il Saggiatore, Milano, 2006. Si veda in particolare Ken Corbett, <<Il mistero dell’omosessualità>>, pp.49-63.

(15) E. Fachinelli, <<Sorsi di punch al Lete>>, in La mente estatica, Adelphi, Milano, 1989, pp.153-180.

(16) C. Downing, (1989), Amore per lo stesso sesso. Miti e misteri., Vivarium Milano 1998; K. Lewes, Psychoanalysis and Male Homosexuality, Jason Aronson, Northvale, New Jersey 1995.

(17) S. Freud, (1937), Analisi terminabile e interminabile, Costruzione nell’analisi, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, p.58.

(18) Ibid.

(19) E.Fachinelli, op. cit., p.178.

(20) Ivi, p. 177.

(21) Ivi, p.180.

(22) H. Kohut, (1984), La cura psicoanalitica, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 252.

(23) B. Shapiro, L’intruso, Feltrinelli, Milano, 1993 è il primo che riesce a parlare, in italiano, di amore, figli, Aids e psicoanalisi.

(24) R. Màdera, <<La psicoanalisi come sintomo della crisi del patriarcato>>, in Rivista di psicologia analitica, giugno 1966, nuova serie n.1, pp.37-51.

(25) W.Siti, La magnifica merce, Einaudi, Torino, 2004, p.71.

(26) S. A. Mitchell, (1988), Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pp.104-105.

(27) V.Lingiardi, <<“Diversi come due gocce d’acqua”>>, in Il sesso, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, pp.79-108.

(28) R. Isay (2006), Commitment and Healing: Gay Men and the Need for Romantic Love, Wiley, New York.

(29) P. Besson, (2003), Un ragazzo italiano, trad. di F. Bruno, Guanda, Parma, 2007, pp.97-98.

(30) P. Parin, <<The Mark of Oppression>>, in F. Bassi e P.F.Galli (a cura di) L’omosessualità nella psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2000, p.21.

 (31) J.Baldwin (1956), La stanza di Giovanni, trad. di A.Clericuzio, Le Lettere, Firenze, 2001.

(32) P.Parin, op. cit., p.28.

(33) Ivi, p.22.

(34) D. Leavitt, (1986), La lingua perduta delle gru, trad. di D. Vezzoli, Mondadori, Milano, 1987, p.74.

(35) Ivi, p.76.

(36) Ivi, p.80.

(37) T.W. Laquer, (2003), Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione, a cura di V. Lingiardi e M. Luci, il Saggiatore, Milano, 2007, p.215.

(38) F. Morgenthaler, L’omosessualità, in F. Bassi e P.F.Galli (a cura di), op. cit., p.171.

 (39) ) D. Leavitt, op. cit., pp. 125-126.

 (40) J. R. Ackerley, (1968), Mio padre e io, trad. A. Busi e G.     A. Mella. Adelphi, Milano, 1981, p.133.

(41) R. A. Isay, (1989) Essere omosessuali. Omosessualità maschile e sviluppo psichico, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p.33.

(42) D. Leavitt (1998), Il voltapagine, trad. D. Vezzoli, Mondadori, Milano,1999, p.9.

(43) M. Cunningham, (1995), Carne e sangue, trad. di E. Capriolo, Bompiani, Milano, 2002, p. 284.

(44) D. Leavitt, op. cit., p. 292-293.

  (45) S. A. Mitchell, op. cit., p. 104.

(46) V. Lingiardi, op. cit., p.123.

(47) S. A. Mitchell, op. cit., p. 112.

 (48) Ivi, p. 108.

(49) P. Paterlini, Matrimoni, Einaudi, Torino, 2004.

(50) N. Janigro, Il terzo gemello, L. Ghirardosi, Il caso dell’uovo, in preparazione per Bollati Boringhieri.

(51) P. Besson, op. cit., pp. 92-93.

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007