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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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LO SDOPPIAMENTO PAROSSISTICO COME SEPARAZIONE DAL MONDO NE "L'IDIOTA" DI DOSTOIEVSKI

di Claire Pluygers

Le immagini ed i videoclips a corredo di questo articolo sono tratti dalla mostra "D'Ombra" (a cura di Lea Vergine) che si è svolta a Siena, al Palazzo delle Papesse, dal 14 ottobre 2006 al 7 gennaio 2007. La traduzione dal francese è di Giuseppe Leo.

        Claire Pluyghers ha una formazione in psicologia ed in filosofia conseguita all'Università di Lovanio (Belgio) in cui ha ricoperto l'incarico di "Assistante". Appassionata di studi letterari, attualmente lavora in una casa editrice (Brepols Publishers) che pubblica testi latini antichi e medievali. Nel 1998 ha curato la pubblicazione del "Thesaurus" di Ildegarda von Bingen. E' anche scrittrice, ha scritto dei romanzi, come "Matriochkas", in cui tenta di dar forma artistica ad un lavoro di ricordo e di interpretazione di sogni che ella conduce da molti anni.

 

 

   

 

  NOTA INTRODUTTIVA DEL CURATORE:

In questo articolo l'autrice studia il rapporto tra la problematica 'epilettoide' e lo sdoppiamento di personalità - fenomeno che aveva occupato Dostoievski per tutta la sua esistenza - ne "L'Idiota". La trattazione fa ampio riferimento alla concettualizzazione di Szondi,  psichiatra e psicoanalista ungherese, fondatore della 'Schicksalsanalyse' , ossia dell''Analisi del destino'. Uno dei concetti szondiani è quello di 'vettore' inteso come 'tendenza', 'asse', 'direzione', di 'ciò che veicola, trasmette'. Nel sistema di Szondi  ci sono 4 vettori, basati sul 'test di Szondi'. Questo consiste nel presentare al soggetto delle foto di malati mentali, 6 serie di 8 malati: il soggetto deve scegliere le 2 foto più simpatiche (annotate con un '+') e le 2 più antipatiche (con un '-'). Questo test viene somministrato 10 volte in 3 settimane o in un mese perché il risultato sia significativo. I 'malati' presentati sono:

1. l'omosessuale (d) ed il sadico (s): vettore della sessualità (S);

2. l'epilettico (e) e l'isterico (hy): vettore della tendenza al parossismo, ossia alla crisi (P);

3. il paranoico (p) e lo schizofrenico (k - da 'catatonia'): vettore dell'io (Sch);

4. il depressivo (d) ed il maniaco (m): vettore del contatto (C).

Quindi la scelta di una foto di un isterico verrà annotata come hy+; il rifiuto della foto di un depresso verrà annotata come d- . Si potrebbe ad es. avere questo risultato:

          S                        P                        Sch                    C

      h        s              e          hy           p            k          m         d

      +        -               +          -             -             +          -           +

      +        +              +          +            -             +          -           +

Esiste una dialettica complessa tra i vettori pulsionali e, all'interno di ciascun vettore, tra i fattori (h, s, e,...). Si dà inoltre una sorta di tipologia che riprende le grandi malattie mentali della nosografia classica, con, tra gli altri, il tipo 'epilettoide', detto "E-mensch", per il quale il problema degli affetti (omicidi) e della legge etica (e) e morale (hy - concretizzazione sociale) è primordiale. [Szondi aveva fatto degli studi sugli alberi genealogici che gli mostrarono delle costanti nella scelta professionale attraverso le generazioni. Egli ha anche sviluppato la nozione di 'inconscio familiare' che si colloca tra l'inconscio individuale di Freud e quello collettivo di Jung. Ad es., nel tipo epilettoide, osservò una frequenza significativamente più rilevante di avvocati, di preti, di chirurghi, di piromani e di... pompieri, cioè di omicidi e di uomini di legge, uomini dell'ambito umanitario si potrebbe dire oggi]. Questo tipo è presente nell'opera di Dostoievski (omicidi, epilettici, santi errabondi, uomini di legge...), in cui ciascun eroe sembra essere una sfaccettatura della personalità dello scrittore, ed illustra un aspetto della problematica epilettoide.

Nel'articolo della Pluyghers l'accento è posto sul rapporto tra il vettore pulsionale (P) e quello del contatto (C), vale a dire il nostro modo di rapportarsi primariamente al mondo (nelle due tipologie di ricerca [d+] o attaccamento [d-]), all'"Umwelt", con la difficoltà di differenziazione incontrata da Myshkin. L'autrice, in questo articolo,   fa riferimento inoltre ai contributi della fenomenologia e della "Daseinanalyse" (Binswanger) ed al filosofo Henri Maldiney.

 

 

 

 

 

                                             

 

 
" Ethos ne signifie pas seulement disposition et caractère, mais demeure et séjour"

 

 

 

<<Il percorso espositivo suggerisce all'osservatore di intraprendere continue incursioni all'interno dello spazio fisico e mentale che si crea fra l'ombra e il suo datore. Il mondo fenomenologico dell'ombra si declina, infatti, secondo forme sempre diverse. Talvolta, assume le sembianze di una visione. In altre circostanze diventa 'concreta'. Infine, può apparire tangibile e reale, tanto da sembrare 'più vera del vero'. Negativa o speculare, sussidiaria o alternativa, l'ombra qui domina e la fa da padrona. Ribelle, perfino, come nel caso di "Untitled, Providence, Rhode Island" (1976) di Francesca Woodman. Qui, l'ombra si separa dal corpo. Rimane attaccata al pavimento, riversa di schiena, mentre il suo referente (il corpo nudo dell'artista) le siede accanto rinchiuso in un 'broncio' assorto e sconsolato. L'immagine aperta e turgida impressa sul suolo è ben più vigorosa della presenza bambinesca e incerta che l'ha prodotta>> ( Lorenzo Fusi, "The dark side of the moon", in "D'Ombra", catalogo della mostra, Silvana Editrice, 2006).

 

 

 

 

clicca qui per il videoclip dell'ingresso della mostra con l'installazione di Ann Hamilton "Filament II" (1996).

clicca qui per il videoclip dell'opera di  Doug Aitken "Lighttrain" (2005)

 

<<Già, già, ci sono soltanto le ombre dei raffi. Lo so, lo so. E' così che un francese ha descritto l'inferno: 'J'ai vu l'ombre d'un cocher qui avec l'ombre d'une brosse frottait l'ombre d'une carrosse'.>>

(F. Dostoievski, "I fratelli Karamazov", Einaudi, Torino, 1981)

 

<<[...] perché è pesante un'ombra dato che dentro non c'è niente? L'ombra è un deliquio della luce o dell'oscurità? L'ombra possiede o no uno spazio, un tempo, un corpo o è solo un qualcosa di virtuale allo stato puro? Desidera l'ombra di essere fraintesa? Credono le ombre alla nostra esistenza?>>

(Lea Vergine,  "Fatti d'ombra", Catalogo della mostra "D'Ombra", Silvana Editoriale, Milano, 2006)

clicca qui per il videoclip dell'opera di Annie Ratti "Shadow" (1996).

<<La consistenza di un'inconsistenza; la presenza d'un'assenza; la potenza del nulla. Insomma: l'ombra - dell'uomo, degli oggetti, della natura - come testimonianza d'un'"essenza" che proprio attraverso la sua incorporeità si manifesta.>>

(Gillo Dorfles, "I misteri dell'ombra", in "Simulacri e luoghi comuni", Tempo Lungo, Napoli 2002.

clicca qui per visualizzare il videoclip dell'opera di Mona Hatoum "Misbah" (2006)

<<All'ombra è legato il senso della nascita e della morte. L'ombra è il luogo occulto in cui immagini e idee prendono forma. L'ombra è la prima immagine speculare dell'uomo che significa all'uomo il suo stato di tutto e di nulla. L'ombra è il sangue della luce, la metafora della fine, il nulla e il nulla è l'unica stella.

[...] Un gioco dell'infanzia era, nei giorni assolati, voler afferrare o calpestare le ombre dei corpi in movimento, prendere per un orecchio un'ombra, catturare le ombre umane, sfuggire alla nostra stessa ombra sollevandoci invano in inutili salti.

Erano inseguimenti accaniti con strumenti appuntiti, graffiando la terra nel tentativo di afferrare la pelle dell'ombra, di immobilizzarla per sempre trafitta dalla nostra spada.

C'è un'immagine, in un film di Tarkovskij, forse "Nostalghia" forse "Solaris", una bellissima immagine: l'inquadratura è quasi ferma - una mano solleva dal tavolo un bicchiere - così che lo sguardo può fissare a lungo l'alone di calore, l'impronta di vapore lasciata dal bicchiere, svanire, lentissimamente, dentro la retina, fino al nulla. Come un'agonia lentissima dentro lo sguardo, dentro il nulla. L'ombra leggera di un respiro, l'essenza di un corpo che si disperde, come un cuore, che continua a palpitare anche dopo la morte. [...]

Mi piace osservare il tempo che lascia il suo segno, che sia lui a disegnare, con la sua splendida immaginazione. Lavorare con tutto quello che si disperde, che è impalpabile, inafferrabile, con la parte più duratura: l'ombra, la polvere, la cenere. Fare dell'ombra il vero, non un riflesso>>

(Claudio Parmiggiani, "Stella Sangue Spirito", Actes Sud, Paris, 2003.)

 

<<L'air est ainsi l'ombre lumineuse qui accompagne le corps; et si la photo n'arrive pas à montrer cet air, alors le corps va sans ombre, et cette ombre une fois coupée, comme dans le mythe de la Femme sans Ombre, il ne reste plus qu'un corps stérile. C'est par cet ombilic ténu que le photographe donne vie; s'il ne sait pas, soit manque de talent, soit mauvais hasard, donner à l'ame transparente son ombre claire, le sujet meurt à jamais >>

(Roland Barthes, "La chambre claire. Note sur la photographie", Cahiers du cinéma, Gallimard, Paris, 1980)

 

clicca qui per il videoclip dell'opera di Fiona Tan "Downside Up" (2002)

 

    Ogni tentativo di delucidare la struttura psichica ed esistenziale dello sdoppiamento nell'opera di Dostoievski deve immancabilmente appoggiarsi sulla configurazione problematica generale di essa. Tale esigenza richiede un metodo al contempo strutturale e genetico: strutturale, nella misura in cui i vettori scelti per l'analisi non traggono il loro senso se non dal loro necessario intricarsi; genetico, dato che le correlazioni così stabilite devono mostrare a quale livello della sua formazione l'Io possa alienarsi nella posizione di un alter Ego. Questa dualità di approccio mi è sembrata feconda nell'utilizzazione del sistema szondiano, permettendo quest'ultimo di far incontrare la descrizione fenomenologica rigorosa dei caratteri e delle situazioni coi problemi fondamentali dell'esistenza che sottendono il lavoro di scrittura di Dostoievski. Nel quadro di una ricerca più vasta,  mi sono data per compito quello di verificare questa convergenza tra la problematica strettamente psicologica dello sdoppiamento e la visione del mondo propria dell'autore, convergenza che sono qui in parte costretta a presupporre. La presente comunicazione è interamente dedicata all'analisi di un'opera unica e, in questo caso, "esemplare", ossia de L'Idiota e, più precisamente in questa, del fenomeno dell'"appaiamento" (Paarung) formato dai personaggi di Myshkin e di Rogojin. Nell'unità impeccabile di questo racconto, unità che i nostri concetti non possono rivelare se non attraverso un ritagliare in modo sempre un po' arbitrario, Dostoievski è giunto a far risaltare la reciprocità vivente delle due dimensioni del "sacro" (ossia ciò a cui l'uomo è destinato dalla sua vocazione di essere-soggetto). Due dimensioni che si possono distinguere, da una parte, come costituzione del "contatto" che lega  l'uomo al suo mondo e, dall'altra, intrecciata con quest'ultima, come costituzione del "desiderio" grazie al quale l'altro è riconosciuto. In primo luogo, dunque, l'appartenenza dell'uomo a ciò che lo trascende, ad un Umwelt, ad un "fondo d'essere" che lo porta e lo supera, e dal quale trae il suo potere di esistere -  sia che si pensi al problema dell'attaccamento alla terra russa ed al significato che riveste per Dostoievski,  sia che si pensi all'importanza dei temi relativi all'esilio, allo sradicamento, alla vita errante, comprendendo  bene tanto la disperazione di tale o talaltro eroe dostoievskiano quanto l'ideale religioso del pellegrino incarnato, ad esempio, nella figura dell'errante Makar Dolgorouki, de "L'Adolescente".

  Ch. Boltanski, "The Candles", 1986.

Ora, dicevo, questo primo carattere costitutivo del sacro non appare tuttavia se non a favore di un secondo, più esplicito nell'opera, quello del conflitto etico. Ricordiamo qui la frase celebre di Ivan Karamazov: "Se Dio non esiste, tutto è permesso", frase che annuncia la problematica nietzschiana della doppia separazione, quella della cesura rispetto ad ogni fondamento e quella dell'abolizione di ogni legge incondizionata: l'uomo privato del terreno sotto i piedi è anche sprovvisto di ogni legge etica trascendente, suscettibile di orientare il suo destino. Ciò che rivela Dostoievski, in altri termini, è che la negazione assoluta al livello della profondità va di pari passo con il rifiuto di ogni altezza, e che l'uomo rischia, per questo duplice estremismo, di non mantenersi più tra cielo e terra, di fallire in questa qualità essenziale dell'essere "tra-due" che fondamentalmente lo definisce.

  Susanne Simonson, "Hapseis XXVIII" (2004)

Perciò, l'idea direttrice del mio svolgimento sarà la seguente: mettere in evidenza le incidenze del vettore "basale" del Contatto, nell'incarnazione singolare che riceve nei due personaggi citati, sulla costituzione deficitaria dell'io sdoppiato, strutturata dagli altri tre vettori. Lo sdoppiamento, che si manifesta  come una strategia di fuga davanti alle esigenze inerenti alla corporeità del desiderio o come una sintesi facile di un antagonismo etico, mai veramente integrato né superato, riveste quindi l'aspetto di una lacerazione, di uno sradicamento. In quanto tale, esso segna lo scacco del soggetto, tanto nella costituzione del proprio io quanto in quella dei rapporti di presenza e di assenza che lo legano all'"altro" del suo mondo. E' sul fondo dell'impossibilità di assumere la violenza implicata dalla perdita di una mondanità primordiale ed immediata, che si determina contemporaneamente l'incapacità di assumere la violenza del desiderio e quella degli affetti, tutt'e due presenti nella dipendenza intersoggettiva dell'io. Questo stesso traumatismo nel processo di appropriazione dell'orizzonte del mondo si ritrova in Myshkin nei tentativi sempre falliti di stabilirsi in un io autonomo, e di annodare un rapporto mediato col proprio destino.

 

Per .

 

Tellenbach ha mostrato che a questo istante di suprema armonia (attrazione dell'altezza) deve far seguito la caduta nella a-temporalità del nulla, quando Myshkin, affascinato dalla profondità abissale, non può sottrarsi al vuoto della pura assenza. Allora si ricollegano, in una continuità paradossale, "l'istante come vittoria della beatitudine che fugge il mondo verso l'altezza del sogno dell'eternità, con l'istante come vittoria della profondità orrenda". Accade lo stesso per la costituzione della sua spazialità: Myshkin oscilla eternamente tra la presenza piena, non accettabile, di ciò che è vicino all'eccesso, e l'estremo allontanamento da ciò che è estraneo ed inaccessibile. La metafora dell'opposizione tra altezza e profondità esprime dunque il modo d'essere al mondo specifico di Myshkin. Questa elaborazione dell'orizzonte spazio-temporale di Myshkin è legata ad una difficoltà di appropriazione della sua corporeità. In effetti, l'analisi dei rapporti tra Myshkin, Nastassia e Rogojin ci mostra in che modo questa alterazione nel contatto sanzioni l'impossibilità di mediare il desiderio al di fuori dell'alternativa pericolosa della fusione-esclusione. Di fronte a Nastassia Filippovna, alla quale  Dostoievski conferisce il ruolo di "incarnare la bellezza", l'amore è in preda, nei due uomini, ad una duplicazione interna decisiva per il loro destino. Per quanto riguarda Rogojin, la frenesia, la sete di possesso che lo portano verso Nastassia sono di colpo in tensione con il fascino identificatorio che lo lega a Myshkin, elevato al rango di ideale. Incapace di stabilire una qualsiasi distanza tra sé e la donna che egli ama, egli non se ne distingue più, si "perde" in lei, e rinuncia alla padronanza autonoma del proprio destino. Così egli non può dominare la violenza distruttiva del suo desiderio. Solo chi è vicino senza pertanto essere identico, può essere veramente desiderato, senza essere distrutto, senza che la violenza del desiderio ne elimini l'alterità. Myshkin, al contrario, spinto verso Nastassia per la singolare affinità che egli riconosce tra se stesso e lei, testimonia al contempo per costei il sentimento più lontano, che egli qualifica come compassione; e questo tirarsi indietro di fronte alla reale differenza che lo oppone a Nastassia, si rivelerà ugualmente mortifero della passione non contenuta di Rogojin. D'altronde questa antinomia che essi portano in se stessi, e che si rivela più aggirata che superata, Myshkin e Rogojin la destano anche negli altri: è per questo che Nastassia va e viene senza fine tra loro due, lacerata tra un ideale di innocenza e la tendenza morbosa a scegliere la propria perdizione.

Ciò che è in causa in questa duplicazione dell'amore è, prima ancora di ogni relazione oggettuale di situazione, la questione "basale" ed ontologica della relazione come tale, della possibilità di "relazionarsi", che permette all'io di instaurare una dialettica vivente e desiderante del vicino e del lontano, che permette al poter-essere di definirsi come un polo, mai fisso, ma sempre in movimento verso ciò che lo chiama. Ora, incapace di accettare in maniera positiva la violenza fondatrice - per cui l'essere si stabilisce come mondo, e l'istante apparizione-sparizione come orizzonte - Myshkin non può sentire l'appello dell'altro se non come minaccia di annientamento dell'identità del proprio io; così egli non ha altro rimedio che fuggire l'esigenza del contatto che sottende il suo desiderio. E bisogna interpretare allo stesso modo la specie di tolleranza indifferenziata con qui egli si sottrae alle sollecitazioni del suo ambiente. Se, per parlare come A. Kraus, "manca alla sua struttura di Dasein la possibilità di una risposta aggressiva" - così come gli manca la possibilità di una risposta amorosa - è così poiché il suo Dasein non è autenticamente posto come tale. Non è il caso di sorprendersi, quindi, che è nella relazione ambigua che lo lega a Rogojin che questa duplice alterazione del contatto e del desiderio sia particolarmente evidente.

 

Ho già avviato lo studio di questa relazione sottolineando che ognuno dei personaggi incarna più particolarmente una delle due parti derivate dalla duplicazione dell'amore, e suggerendo che ognuno di essi trova sul suo cammino la tentazione di uccidere.

Quando è certo della "purezza" del suo sentimento per Nastassia, Myshkin vede ugualmente bene che l'amore sensuale di Rogojin per la giovane donna al contrario non può che spingerlo inevitabilmente a sgozzare quest'ultimo. Ma è a questo punto, in cui essi sono diventati più distinti, che allo stesso tempo i due uomini sono anche più simili. La passione morbosa di Rogojin non è che l'inverso del "distacco" di Myshkin. E la lucidità del principe al confronto con Rogojin ha come prezzo il suo accecamento sui propri impulsi. Si riconosce in questo scambio una forma tipica di meccanismo di proiezione. Come dice Sami-Ali, "questa si sostiene su una forma di conoscenza dell'altro la cui acutezza dipende dal grado di alienazione". Ciò significa che "l'altro non è l'altro, ma è il riflesso  di ciò che io sono e che io ignoro", cioè non ci sono veramente, in questo caso, dei soggetti, né degli altri, messi a confronto alla maniera di due ipseità autonome. In effetti, che Rogojin sia animato realmente da intenzioni violente non esclude in alcun modo che Myshkin proietti su di lui. Al contrario, il fatto che la percezione sia esatta non porta ad altro che ad accrescere l'alienazione, essendo la "realtà" qui assicurata dal parallellismo e dalla complementarità dei loro comportamenti estremi. Rogojin non può rispondere alla bellezza di Nastassia se non con l'esacerbazione di una passione mortifera. Myshkin da parte sua, nell'indietreggiare da un sentimento di fascinazione così folle, negando a questa bellezza il potere di suscitare la violenza del desiderio, con ciò si proibisce a sua volta ogni possibilità di accettare quest'ultima e di sublimarne la contraddizione o, come scriveva Szondi, di "servire Dio con la pulsione cattiva".

E' a causa della sua stessa incapacità di una tale sublimazione, che Myshkin si sdoppia. Qui si verifica l'ipotesi szondiana che fa della proiezione un mezzo di difesa dell'Io contro il pericolo pulsionale degli affetti cainici. Piuttosto che portare a compimento in lui le conseguenze della propria non integrazione, Myshkin proietta fuori di sé ciò che non può accettare. "Ciò che è stato abolito dentro ritorna fuori": Myshkin è ossessionato da Rogojin, fino a sentirsi "perseguitato" da lui.

Ciò che è importante dunque da penetrare, è la correlazione che unisce il meccanismo della proiezione con quello della dissociazione del desiderio. Da una parte, in effetti, la proiezione interviene nella strategia di difesa dell'Io contro gli affetti mortiferi. Il doppio non è allora che il "pretesto" per l'evacuazione al di fuori di ciò che non può essere accettato dal di dentro: così l'episodio del coltello dal manico di piede di cervo, in cui Myshkin e Rogojin apparivano uno alla volta, sebbene in modo oscuro, come soggetti ed oggetti di una stessa intenzione omicida. Ma, d'altra parte, questa alternanza nell'insorgenza degli affetti è essa stessa sottesa da ribaltamenti simmetrici del desiderio: l'ambiguità estrema della loro comune relazione nei confronti di Nastassia Filippovna, in cui la rivalità è ora affermata, ora negata, si complica per l'eccesso alienante e nuovamente sdoppiante di una rinuncia non elaborata mentalmente, non dialettica e per così dire astratta. Così, se Myshkin non vede in Rogojin che il simile, scotomizzando la contraddizione che si cela in questa similitudine, reciprocamente Rogojin non può che vedere  il rivale in Myshkin, mascherando il riflesso che lo costituisce nella sua dipendenza al suo doppio. L'interdipendenza così stabilita tra la funzione del desiderio e quella degli affetti in questi due personaggi conferma l'ipotesi che R. Girard aveva verificato a proposito del doppio in Dostoievski: che gli amanti in Dostoievski sono sempre messi a confronto con la tentazione dell'omicidio. I momenti d'attrazione più estrema si alternano con quelli di odio più fratricida. Il carattere sempre più precipitoso di questi ciclici ribaltamenti non può condurre, come confermato dalla logica del romanzo, che alla loro violenta interruzione: i due rivali si ritrovano, con la loro connivenza alla fine rivelata, attorno al cadavere della donna amata. In effetti, perché il maleficio della relazione a specchio venga rotto, è necessario che scompaia ciò che al contempo lo motiva e lo dissimula. Che il soggetto di questa doppia funzione sia allo stesso tempo l'oggetto del desiderio prova che quest'ultimo non è semplicemente il pretesto della proiezione, ma più esattamente ciò che la fonda senza pertanto causarla.

Ad ogni modo, questa reciprocità non è puramente assiomatica ma rinvia alla natura stessa di ciò che è determinato nel conflitto degli affetti, ossia la presa in carico etica della violenza da parte del soggetto. Si è così portati a verificare un'altra correlazione: quella che lega la possibilità di vivere il  desiderio come proprio alla possibilità di far propria la violenza. La simultaneità di queste due questioni nella personalità di Myshkin è resa manifesta con evidenza nelle "fasi critiche" in cui egli allontana con lo stesso rifiuto sia la chiaroveggenza rispetto alla corporeità del desiderio che lo porta verso Nastassia sia il riconoscimento dell'aggressività che di conseguenza lo oppone a Rogojin. Bisogna sottolineare a questo punto l'alternativa di fuga che rappresenta la crisi epilettica di fronte all'imminenza di tale conflitto. Non è d'altronde indifferente   a favore di una crisi (opportuna all'occorrenza) il fatto che Myshkin fugga dal coltello omicida di Rogojin. Paradossalmente,  l'epilogo interiore coincide dunque con l'evento che concretamente doveva mettere fine all'intrigo, non per accrescerne l'efficacia, ma al contrario per neutralizzarla.

Il tentativo di neutralizzazione è visibile in questa scena in cui, tutt'a un tratto fuori di lui, Myshkin lascia esplodere in un discorso acceso  la sua aggressività contro il cattolicesimo  ed il papato all'inizio, contro i commensali della serata in seguito, per invitarli infine, come se si trattasse di una cosa da nulla, a realizzare con lui, nonostante la loro grande mediocrità, la società ideale che egli vede nell'avvento del messia russo e del panslavismo. Non si riconosce qui un altro momento nello sviluppo dell'Io, come lo presenta Szondi, ossia quello in cui entra in gioco la funzione di inflazione? La soppressione dei contrari, cioè l'onnipotenza a cui egli aveva indirettamente partecipato nella fusione primaria con l'oggetto, l'Io tenta di ritrovarla dopo la rottura, lasciando coesistere in se stesso gli opposti: "La risoluzione degli opposti nell'inflazione consiste nel fatto che l'Io non sente semplicemente le coppie di opposti come contraddizioni. L'Io sopprime le antinomie e si sbarazza così del doloroso lavoro di complementarizzazione, di totalizzazione".  Sostenere, come fa Szondi, che questo tipo di difesa dell'Io faccia direttamente seguito alla partecipazione e tenti di colmare la breccia aperta dalla rottura originaria, non è privo di significato per il nostro proposito. La coppia degli opposti in causa in Myshkin, e la cui contraddizione gli impedisce di ritrovare l'unità senza disturbo, è precisamente quella degli affetti cattivi da una parte, e della tendenza a fare del bene dall'altra. In questo tipo di inflazione, così come incarnato da Myshkin, è una volta ancora la violenza inerente alla lacerazione generatrice del mondo che è neutralizzata. L'io parossistico ha lasciato qui il posto al suo complemento, l'io inflativo, sotto forma di una "possessione epilettiforme" accompagnata da un delirio caratteristico in cui si conciliano l'aggressione e l'onnipotenza religiosa. Szondi scrive ancora: "Il bisogno pulsionale appare allora in una fase estrema; la soppressione della dualità interiore delle tendenze antagoniste mette in pericolo la coscienza dell'individuo". In effetti, sotto l'influenza di questa possessione, di questo desiderio di essere tutto, l'io di Myshkin si sottrae al conflitto di cui egli è la posta in gioco e si esonera così da ogni presa di posizione, incapace com'è di mettere in modo autentico le sue aspirazioni alla prova della realtà.

L'aura della crisi segna il culmine di questa esaltazione. Questa si risolve, se così si può dire, nel "vuoto dell'io" della crisi. L'ultimatum a cui è costretto Myshkin da parte dell'afflusso degli affetti consiste, secondo l'espressione di V. von Weizsaecker, in una "costrizione all'impossibile", esplicita nell'abolizione dello scorrere del tempo in un istante folgorante, e nella soppressione dell'opposizione tra altezza e profondità spaziali. Posto in questa situazione limite, l'io del principe si annienta, sotto la pressione dell'alternativa assoluta alla quale egli si trova confrontato. Egli è incapace di una trasformazione attiva, integrativa della dualità che al contempo lo immobilizza e lo divide. Resta solo l'uscita con "un balzo nel vuoto". E' per questo motivo che, come notava Kraus, si può vedere in Myshkin un "inesperto congenito", chiamato a ricominciare continuamente gli stessi tentativi per ritrovare un legame con se stesso e con il mondo. La crisi testimonia sia un'incapacità di conciliare i contrari sia una lacerazione irrimediabile a livello del contatto, continuamente rinviato all'immediatezza senza fondo del subitaneo, all'"estraneità dell'esistenza per l'esistenza", che frammenta quest'ultima in presenze puntiformi e, in quanto tali, inaccettabili.

La comprensione dello stato di crisi appare così come la chiave di questa correlazione enigmatica che lega l'impossibilità per l'io di formarsi alla carenza "dialettica" del soggetto, impotente a padroneggiare la violenza che, a questo livello di fissità, appare come semplice opposizione all'aspirazione etica. Come abbiamo visto, le linee di forza stabilite da questo rapporto si intrecciano in modo inestricabile. L'indecisione dell'io rende conto di ciò che nessun rapporto nei confronti della legge permette la sintesi. L'assenza di quest'ultima è essa stessa causa di ciò che nessun progetto ne può assicurare la continuità di un mondo, di un orizzonte da riempire o di uno scopo da perseguire: "senza la pulsione cattiva, nessun obbligo può essere assolto", ricorda Szondi, citando il rabbino Nachmann di Bratislava.

A sua volta, questa discontinuità "intenzionale" è l'origine di un'analoga mancanza nella dinamica del desiderio. La separazione astratta del corpo e dello spirito, della passione e della compassione, vissuta da Myshkin sotto la forma fuorviante di un distacco altruista, è la ripetizione della stessa scissione che impedisce la sublimazione del suo conflitto parossistico.

Ad ogni modo, sarebbe possibile rovesciare la concatenazione del ragionamento. Non è in effetti l'avvento del desiderio che condiziona la conversione della violenza in un'utilizzazione sociale positiva degli affetti negativi, e la pratica di quest'ultima non è già presupposta da ogni presa di posizione autentica dell'io? E' il rapporto del vettore "Sch" col vettore "C" che nella configurazione psichica di Myshkin sembra godere di una primordialità radicale, decisiva per il destino delle dimensioni designate negli altri vettori.

Ciò che è circoscritto in questa relazione intervettoriale è il rapporto del soggetto con ciò che lo fonda. Essendo tale fondamento, come dice ancora Weizsaecker, inoggettivabile, non può essere designato se non per mezzo di ciò grazie al quale si manifesta come "rapporto fondamentale". "Solo la potenza egoistica del fondamento, di ciò che vuole se stesso, assicura una realtà all'atto etico che la supera", scrive Maldiney. La tensione creatrice che, da questa potenza, fa nascere un mondo, e nella quale si radica ogni differenziazione ontica derivata, al posto d'essere assunta da Myshkin sotto forma di un progetto di esistenza, di un disegno fondatore o di un'intenzione di giustizia, è sentita da lui come una "sorpresa" minacciosa per l'integrità del proprio io, troppo presto spossessato. Il momento di questo contatto mancato è l'oggetto di una ripetizione sempre nuova e lo investe con tutta la sua forza ogni volta che il suo io è intimato a rispondere all'estraneo, scalzando le radici del suo desiderio attraverso l'abolizione di ogni rapporto mediato.

Perciò, se è ora possibile comprendere meglio il significato dell'angoscia provata da Myshkin alla vista della bellezza, che si tratti della bellezza naturale del paesaggio o di quella umana del viso di Nastassia, è perché la bellezza porta in sé questa lacerazione fondamentale del contatto, lacerazione che non è autenticamente compresa e padroneggiata se non nel gioco della violenza reciproca che fa corrispondere l'essere del mondo ed il desiderio autonomo del Dasein. Myshkin, da parte sua, non può che sottrarsi a questo ultimatum. "La bellezza è un enigma", egli intuisce. Ma invece di essere la penetrazione di essa  per lui l'occasione di accedere al proprio essere-soggetto, essa non fa che risvegliare un'angoscia regressiva, annunciatrice dello sprofondamento fatale che incombe su di lui. Poiché se egli ha solamente subito la decisione omicida senza veramente prenderla, l'evidenza della sua complicità passiva ha avuto come risultato di condurlo alla follia. Tutta la complessità di questo circuito è condensato in questa frase di  Maldiney: "La violenza del fondo1 non è esistenza se non per la presenza dell'Io che si può  esso stesso e che rimette in causa tutto il sistema delle predestinazioni del campo pulsionale aprendo il campo della transpossibilità".

 

 

 

 Bibliografia dell'Autrice:

Henri Maldiney, Aîtres de la langue et demeures de la pensée, L’Âge d’Homme, 1975.

Mahmoud Sami-Ali, De la projection, Une étude psychanalytique, Dunod, 2004 (2e édition).   

 

Note esplicative:

1) Il 'fondo' rimanda al concetto di 'Grund' in Eckhart o in Jakob Böhme.

 

 

 

   

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

 

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