" L'INQUIETANTE
MONDO DI EGON SCHIELE"
Se gli oggetti
che ci circondano fossero dotati di parola, o in qualche modo potessero
comunicare, saremmo in grado di instaurare un dialogo magico con il mondo
circostante.
Questo è quanto
accade nella persona psicotica, in cui frammenti di oggetti allucinati
appartenenti al mondo interno o contenuti del corpo, prendono dimora nel
paesaggio circostante, che include lo stesso corpo della natura.
Il corpo come
metafora viva rimanda alla nozione di “immagine del corpo” in Paul
Schilder. L’oggettualità interna - esterna rivitalizzata nell’esperienza
allucinatoria acquista carattere onirico, come se la scena del mondo
diventasse uno scenario iconografico animato. Per Schilder,
l’immagine del
corpo umano corrisponde all’immagine di ciò che la nostra mente é in grado
di esprimere figurativamente del corpo pro p r i o .
L’artista, il
pittore, lo scultore, sarà ciò che egli può esprimere attraverso le sue
opere plastiche. Attraverso i diversi soggetti inseriti o i modelli
l’artista si rivela. Nel caso dei pittori figurativi o astratti, la natura
della materia, la struttura e la tessitura dell’opera pittorica, può
essere compresa (seguendo ancora Schilder) non solo come proiezione di
sentimenti interiori ed inconsci del corpo proprio vissuto, ma anche come
proiezione della “superficie” e del contenuto profondo dello spazio
mentale.
Freud scrisse
nel 1932, che l’Io è prima di tutto un Io corporeo.
Non soltanto
un’entità di superficie, ma esso stesso “proiezione di una superficie”.
Aggiunse, in una nota a piè di pagina datata 1927, “ l’Io è in definitiva
derivato da sensazioni corporee, principalmente da quelle che scaturiscono
dalla superficie corporea. Può essere dunque concepito come proiezione
mentale della superficie del corpo, che rappresenta oltretutto la
superficie dell’apparato mentale”.
Egon Schiele mi
sembra artista in grado di esprimere impressioni tattili termiche e
dolorose come se urlassero vigorosamente per il tramite di uno stile
pittorico. Un artista come Schiele è in grado di rappresentare immagini
corporee distorte come parti di un processo creativo nello stesso modo in
cui un poeta o uno scrittore deve trasformare o deformare un’immagine per
imprimerle espressione aderente al suo pensiero metonimico o metaforico.
Potremmo dire
che gli artisti sviluppano in generale un modo molto “profondo”, direi
“viscerale”, di esprimere se stessi. Ho qui riprodotto un’opera di Schiele
che rappresenta la sua capacità di sviscerare i sentimenti. Oltre
all’intima relazione tra la massa corporea e i movimenti, ciò che risulta
notevole in Schiele è la manifestazione di un linguaggio corporeo; come se
egli fosse in grado di testimoniare e di sperimentare le linee
fondamentali intraprese dai movimenti del suo pensiero viscerale.
Il linguaggio
pittorico di Schiele è composto di sensazioni e sentimenti che mani, dita,
gambe, facce, occhi ed altre parti della sua personale maschera corporea
–che i suoi modelli illustrano- sono in grado di esprimere in modo
toccante e talora sconvolgente. Poeti come Isidore Ducasse (comte de
Lautreamont) e Gerard de Nerval erano anche in grado di trasmettere
attraverso la loro poetica l’ impatto estetico del sé eroico.
Nei suoi studi
di iconologia, Erwin Panofsky parla del significato profondo enigmatico
dell’ arte rappresentativa e figurativa e della sua connessione con i
simboli culturali. Possiamo presupporre che un artista come Schiele possa,
attraverso codici pittorici e allusioni narrarci quanto accadeva nel
background culturale della sua epoca?
Forse anche
anticipare gli eventi terribili del nostro tempo come i campi di
concentramento e l’olocausto? Questo è davvero il caso di quest’artista.
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Quando Egon
Schiele intraprese la sua carriera aveva appena 8anni: concepire e
rappresentare treni e locomotive attraverso un suo personale stile
pittorico era già un modo attraverso il quale introdurre il suo mondo
immaginario negli oggetti familiari dell’ambiente circostante. Suo padre,
Adolf Schiele, era capostazione nella piccola città di Tulln, a 40miglia
da Vienna. Egon era nato a Tulln nel 1890, morì a Vienna nel 1918, a 28
anni.
Nel corso della
sua breve vita, ultimò circa trecento oli e alcune centinaia di acquerelli,
schizzi e disegni. Secondo Alessandra Comini, il piccolo Egon si
identificava a tal punto con il padre, nel suo paesaggio quotidiano di “
ferro rotabile”, da aver sognato di divenire un macchinista o
un frenatore o un
piccolo funzionario degli uffici della stazione di qualche cittadina
austriaca. Per due generazioni prima della sua nascita, le ferrovie erano
state fonte di sostentamento per la famiglia Schiele. Era motivo di orgoglio
che il nonno paterno, Ludwig, avesse diretto la costruzione e fosse stato il
primo ispettore generale della Ferrovia occidentale di Boemia (oggi parte
della Cecoslovacchia), riservata all’imperatore, dal nome così altisonante.
Egon era il sesto figlio, e l’unico ad essere sopravvissuto nel suo “campo
familiare”. Tuttavia l’eredità familiare era poco promettente visto che il
padre aveva contratto la sifilide appena prima del matrimonio,
ed aveva
contagiato la giovane moglie. Era un uomo taciturno, ma capace di violenti
scoppi d’ira. Mori’ pazzo a 54 anni quando Egon ne aveva appena 14 anni.
Come si può
apprezzare nella foto, il padre di Egon era un uomo attraente. Sua madre,
Marie Soukup, di origine boema, una cocciuta romantica. Sposò Adolf contro
il volere della famiglia a 16 anni.
Sin dalla più
tenera età, Egon fu una persona completamente appassionata, autosufficiente
e introspettiva. Era di bell’aspetto, con occhi neri che esprimevano uno
sguardo romantico, triste e indagatore. In una foto scattata quand’era un
ragazzino di 15 anni, lo vediamo reggere una tavolozza in mano con
l’espressione già sensibile dell’artista inspirato. Questa foto ha provocato
un profondo impatto estetico nella mia concezione della vita
nell’immaginario adolescente.
Il profilo
biografico di Egon Schiele evidenzia una vita densa di sofferenza dipesa dal
fatto di esser stato una persona autentica, un artista genuino sin
dall’inizio della sua vita. “La differenza tra un vero artista e un
dilettante consiste nel fatto che l’artista affronta la paura umana, invece
il dilettante ricerca unicamente il piacere”, sottolinea Odilon Redon, il
grande pittore onirico, nella sua autobiografia “ A soi meme”.
Schiele frequentò
le scuole elementari a Tulln, e poi si trasferì al“Ginnasio Reale” a Krems.
Non era un allievo particolarmente brillante, pertanto si trasferì in un
altro ginnasio. Sulla sua giovinezza pesò l’ombra della malattia del padre,
che morì a Capodanno del 1905. Tra differenti sensazioni, tra piacere e
paura, tra fantasia e routine quotidiana, l’espressione umana in Schiele
acquista il carattere di un sogno ispirato che diventa talora terribile
incubo. Nell’espressionismo di Schiele coesistono non comuni sensazioni
estetiche inquietanti e emozioni capaci di toccarci profondamente.
Egon Schiele
espresse la sua maschera corporea e la sua natura attraverso i suoi sogni
pittografici e le sue relazioni con i visitatori del fantastico – dai
controllori delle ferrovie e gli amici reali del padre alle sue figure di
fantasia.
La complicità lo
legava a Melanie, la più anziana delle sorelle, ma era affezionato in modo
speciale alla più giovane, Gertrude, che spesso posò come modella per lui.
Quando parlo della
natura di Schiele, mi riferisco ai pensatori e agli artisti del
Rinascimento, e in particolare a Marsilio Ficino, un umanista italiano
ispirato dal neo-platonismo e dalla tradizione alchemica, che una volta
affermò che la Natura produce la forma estetica dall’ ”interno”(questa
visione era una critica al “Trattato sulla Pittura” di Leonardo da Vinci).
Leonardo affermava
che il vero pittore è chi “pensa con le sue mani”. Per quanto mi riguarda,
credo che nel caso di Schiele, siano veri entrambi i punti di vista. La sua
vita e la sua opera evidenziano una condensazione di natura profondamente
artistica e “mani parlanti” delicatamente espressive, come vediamo in foto.
Il mondo
enigmatico e realistico di Schiele mostra come la sua intimità e la sua
reverie diano corpo a una storia paurosa e fantastica, che si traduce in una
realtà visuale intricata e creativa.
Come accade nei
sogni più realistici, come dice Freud, Schiele subisce profonde e complesse
metamorfosi. Il suo linguaggio onirico appare talvolta come un crudo
realismo che acquista un tocco personale, tipico dei grandi maestri del
Rinascimento come Pontormo, Rosso Fiorentino, e così via.
Schiele ci fa
sentire che è difficile distinguere tra mondo onirico, poetico e realistico.
Macedonio
Fernandez, uno
scrittore argentino che
ispirò Jorge Luise Borges, scrisse:
“Come facciamo a
stabilire se siamo in uno stato di reverie, come facciamo a sapere che
l’uccello che vola all’altezza del lampione si avvicina se i miei occhi sono
aperti o chiusi ?”
Mi sembra che
Schiele ci inviti a viaggiare all’interno dei nostri sogni con i nostri
occhi che si aprono su un mondo delle meraviglie eccitante e talora
sconvolgente.
Nell’esperienza di
tutti i giorni, quando guardiamo un albero, un uccello in volo, un bambino
che gioca, o una scultura che incontriamo tutti i giorni di mattina presto
sulla strada verso l’ufficio o mentre andiamo a scuola, siamo davvero svegli
o non ancora addormentati? Questo stato intermedio tra sogni e stato vigile
ha un certo valore estetico.
Quest’esperienza
estetica ci desta dalla ripetitività della nostra vita.
Talvolta una
visione inaspettata dalla finestra di una stanza può colpirci –come nella
mia stanza a Parigi o a Venezia, dove vivo, od anche solamente una finestra
quando visitiamo il Louvre in una giornata di sole ci aiuta a scoprire una
prospettiva estetica che ci sembra parte essa stessa del museo.
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Una finestra
aperta su una mano che vola
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Per anni ho avuto il desiderio di
visitare o anche solamente di vedere un’immagine della stazione di
Schiele e cercare di immaginare da quale finestrella Egon avesse
potuto concepire il mondo rappresentato nei suoi primi lavori.
Posso
immaginare questo ragazzino curioso, spettatore di treni fantasma, che
venivano contemporaneamente spostati e influenzati dalle sue
contemplazioni fantastiche, intrecciare fantasie pittoriche e
pensieri, tracciare le sue avventure prodigiose in mondi a venire, in
un futuro completamente sconosciuto. Ma questo futuro complesso e
fatidico era in parte già tracciato dalla nascita -sappiamo che la sua
storia familiare era tragica. Se osserviamo la fotografia della
stazione, possiamo immaginare Egon come un ragazzino molto triste, che
solleva la mano in atto di saluto verso treni fantasma che scompaiono.
Penso a questo come a una sua aperta “ finestreità” della mente, con
lo stesso concetto utilizzato da Alberti come cornice tra il mondo
interno e il mondo esterno e che gli consente di concepire i suoi
primi disegni -che erano davvero di treni. Solo alcuni di questi erano
colorati dalla sua già fertile immaginazione. I suoi primi schizzi di
locomotive mostrano nuvole sbuffanti di fumo, che raccontano ombre
nostalgiche e ombre di significato…. Se guardiamo attentamente questi
schizzi – fatti solo a 10 anni – possiamo scoprire tra fantasia e
realtà ( e io spero che il lettore sarà in grado di
scoprirlo con me), la forma di una mano nel contorno del fumo della
locomotiva….
Nel primo
disegno, potrei collegare in una fantasia surrealistica la sua mano
che si muove in segno di saluto con una che sta volando via, immersa
nella nuvola di fumo emergente dalla locomotiva e che lo saluta.
In parecchi
quadri di Egon Schiele riscontriamo questa duplicità della sua
personalità, in cui l’artista si raffigura simultaneamente in due
posizioni.
Nel disegno
intitolato ‘Through europe by night(1906)’, un’opera romantica in
inchiostro e acquerello , cambia il significato del fumo: espressione
diffusa del suo cupo sentimento ( il fumo scivola tristemente verso il
basso, come alla ricerca di trovare supporto dalla terra fertile
attraverso la quale la locomotiva divora le distanze). Di nuovo appare
il doppio qui, poiché il treno ha due “teste”illuminate, una che lo
spinge avanti verso il uso futuro, l’altra che lo riporta indietro al
suo pesante e cupo passato.
L’opera
“Della Pittura” di Leon Battista Alberti è il primo trattato moderno
sulla teoria della pittura; apparve nel 1435-1436, in un momento di
passaggio tra Medioevo e era moderna contraddistinta dal pensiero
umanistico fiorentino. In “ Della Pittura” che prepara la strada a una
nuova visione dell’arte strettamente intrecciata alle idee
umanistiche, Alberti parla del concetto di finestre aperte. In questo
senso una finestra aperta non è semplicemente un quadrangolo di angoli
retti, un’apertura, una cornice attraverso cui posiamo vedere e
contemplare da una nuova prospettiva, ma anche l’occhio stesso di una
sorta di “finestra mobile”. Da un lato egli sviluppa il concetto di
finestra che si identifica con la cornice di un quadro mentre
dall’altro egli concepisce l’occhio stesso –una finestra del corpo–
come la base di una piramide, le basi per la sua visione piramidale. I
lati della piramide sono i raggi che egli chiama “esterno”, la cuspide
(che Bion avrebbe chiamato ‘il vertice’) è il punto della piramide
collocato nell’occhio. Ogni angolo ha il significato di una nuova
prospettiva o sguardo, davvero Alberti, Brunelleschi, e il pittore
Paolo Uccello stavano diventando i pionieri di un fertile sviluppo del
concetto di“ prospettiva” nell’arte e nell’architettura.
Il filosofo
tedesco, Eugene Fink, allievo e collaboratore di Husserl (Studien zur
Phenomenologie 1930-1939, The Hague, 1966), scrisse sul“principio
della finestreità” (Feinsterhaftigkeit) nei sogni e nella vita
quotidiana: per entrare nei sogni interni o “esterni” abbiamo bisogno
di aprire una finestra speciale che ci consenta di scoprire mondi
sconosciuti e paesaggi, interni e estreni. Il termine inglese window “
finestra” contiene in sé wind, veloce movimento dell’aria –
dell’immaginazione artistica infantile di Egon Schiele ( le nuvole di
fumo ondeggianti).
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Il manierismo
di Schiele
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Se pensiamo
alle piccole mani ondeggianti di Schiele, che viaggiano nel tempo e
nello spazio, questo riporta alla mente l’importanza della posizione
espressiva delle mani all’origine di ciò che, nel tempo di
GiorgioVasari, era chiamata ‘l’arte della maniera’, la prima
descrizione di ciò che si sarebbe più tardi sviluppato nello stile dei
manieristi. Il termine ha il significato di stile-maniera di
dipingere: in questo senso Vasari fornì l’esempio di Giotto, come di
una vecchia concezione dell’arte (maniera vecchia) in opposizione a
quella di Leonardo Da Vinci (maniera moderna).
Ritorniamo
al significato della mani nel primo manierismo. Trovo affascinante
guardare "L’uomo con i guanti di Tiziano", conservato al Louvre; vi
possiamo cogliere un' emozionante relazione tra lo sguardo della
faccia e ciò che esprimono le mani.
All’epoca di
Vasari, vi fu molta confusione quando, da un lato, la gente parlava di
un nuovo artista che dipingeva alla maniera di Michelangelo, Raffaello
o Tiziano, e d’altro canto, il modo in cui i cosidetti
“manieristi”come Pontormo, Rosso, Bronzino e Beccafumi dipingevano,
con uno stile molto personale e originale, per certi versi
anti-accademico, perciò rendendosi indipendenti dai loro maestri.
Il termine
manierismo contiene l'idea di manuale - il modo in cui
facciamo le cose con le nostre mani.
Schiele non
è unicamente un pittore espressionista figurativo ma un moderno
manierista nel suo profondo significato. Da artista in erba, già
possedeva una sua originale maniera di dipingere – di mettere le sue
mani nella natura per sentire il vento… Molto spesso pensiamo al
concetto ellenistico di arte come mimesis della natura. Verdenius
parla del concetto platonico di imitazione nell’arte come qualcosa di
irrazionale e intuitivo in cui l’artista, posseduto dalle muse, imita
lo spirito dell’oggetto piuttosto che l’oggetto in sé. Un' imitazione
creativa dello spirito, o essenza delle cose, sarà un modo originale
di percepire e esprimere l’esperienza estetica.
Vorrei
sviluppare in questo lavoro il concetto di manierismo in Schiele come
definizione di un aspetto della vita dell’artista.
Fu
contemporaneo di Arnold Schoenberg e Sigmund Freud, e mostrò il
medesimo interesse per gli aspetti sconosciuti o irrazionali del ritmo
del self profondo nel clima sociale della comunità viennese del tempo.
Il
significato della sua vita, del suo modo di esprimere sensazioni
attraverso la sua arte – la sua maniera – introdusse l’idea di uno
spazio ambiguo in cui i paesaggi interni ed esterni si incontrano e
talora si fondono e si muovono insieme. Arrivare a conoscere
l’intimità dell’artista e la sua condizione di uomo nell’intimo è
sempre una sorta di trasgressione che richiede cautela e buone
“maniere”, come in ogni setting etico, come per esempio, l’atmosfera
intima della psicoanalisi stessa.
Vasari era
solito parlare di primi manieristi come di persone che usavano le
“buone maniere”, delle buone maniere, forse in tono canzonatorio o
forse critico.
Per me, Egon
Schiele è il pittore espressionista che appartiene storicamente al
movimento che porta quel nome; ma allo stesso tempo egli è un
“manierista” nel modo in cui esprime la sua gestualità interiore, al
di là di tutti i giudizi formali o non convenzionali dei suoi
contemporanei.
Come l’uomo
con i guanti di Tiziano, Schiele affronta il contenuto intimo del self
rendendolo manifesto attraverso forma, materia e gesti. Il manierismo
ha anche un significato nel campo della psichiatria, come spiegato da
Ludwig Binswanger, che seguiva la tradizione di Husserl e le visioni
freudiane. Per Binswanger, il manierismo differisce dagli stereotipi;
non è questione di quei movimenti meccanici apparentemente ripetitivi,
che vediamo negli schizofrenici cronici. E’ un modo di esprimere un
codice peculiare o un linguaggio segreto. La gente come me che lavora
con bambini autistici e altri psicotici trova utile pensare
all’esistenza di un bizzarro idioma manieristico che richiede
rispettosa decodificazione. Un linguaggio manieristico è ovvio nella
maggior parte dei lavori di Schiele e in alcune foto che lo
ritraggono. Esso rivela in modo assolutamente chiaro il suo codice di
linguaggio artistico, esoterico e gestuale –che talora mi fa ripensare
ai pazienti catatonici.
Il corpus
dell’opera di Schiele è un corpus dolente, un corpo che soffre,
carnale e ironico; si deve anche dire che la sua ironia – come nella
foto di Anton Josef Treka –è patetica e dolente. Il pathos si colloca
sempre in uno spazio tra penoso, tragico e comico.
Come tutti i
grandi artisti, Schiele ha un gran senso dell’allegria che è anche
penoso, e che assume la forma di un gioco patetico.
Secondo me,
il suo codice plastico parla frequentemente di un bambino che ricco
all’interno, tuttavia è sulla linea di confine con la morte come se
stesse cercando di rinascere o di indurre la sua nascita in un mondo
aperto. Uscire all’aperto – attraverso la finestra del suo “Io”/occhio
- è già chiaramente espresso nel dipinto dell’eviscerazione, come
vediamo qui sotto.
In contrasto
con l’aspetto ossessionante e mostruoso del suo self, Schiele era in
grado di creare un dipinto risplendente “solare” della gonna
svolazzante di sua moglie Edith –che ci pare come un parasole magico e
raggiante.
Dall’opacità
oscura del dolore per suo padre, è nata una nuova materia cromatica,
vestita di mille colori, come un prisma newtoniano alchemicamente
trasformato in un abito color arcobaleno nel corpo della sua modella
–nel caso specifico sua moglie.
Quando Egon
Schiele fece la conoscenza di Klimt era uno studente diciassettenne
d’arte con un retroterra d’artista ricco, che impressionò lo stesso
Klimt. All’International Art Show tenutosi a Vienna nel 1909, sotto la
presidenza di Klimt, furono presentate quattro opere di Schiele, e
tutte mostravano l’influenza dello stile di Klimt. Ma Schiele si
allontanò dall’espressionismo decorativo per sviluppare un suo
speciale manierismo. Nel 1910, l’architetto Otto Wagner fu a tal punto
impressionato dai suoi lavori da introdurlo a note personalità
viennesi.
La prima
monografia pubblicata su Schiele è del 1911; autore ne era il pittore
e poeta Albert Paris von Gutersloh. Arthur Roessler analizzò l’opera
di Schiele nel periodico mensile "Bildende Kunz". Nel periodo tra
Aprile-Maggio, Schiele espose la sua prima personale, alla famosa
galleria Moethke a Vienna.
Oltre a sua
sorella Gertrude, Wally Neuzil, che era diventata la sua ragazza, era
una delle modelle favorite di Schiele finché non sposò Edith.
Nel 1913, la
lega degli artisti austriaci, di cui Klimt era presidente, nominò
Schiele suo membro. Nel 1914, fu arruolato. Durante la guerra scoprì
il potenziale della fotografia e produsse con il fotografo AntonJoseph
Trenka una serie di curiosi ritratti. Nonostante le limitazioni
imposte dalla guerra, Schiele seguì la sua carriera artistica fino
alla tragica morte nel 1918.
Nel
complesso, l’opera di Schiele esprime con eloquenza la forza della sua
lotta con la vita e la morte in parecchie suoi dipinti, come nel
Lottatore. Stava lottando per la sua vita.
Nelle opere
in movimento di Schiele c’è sempre un gioco di forze tra istinti di
vita e di morte. Arthur Roessler suggerisce che dietro la maschera
timorosa e selvaggia di Schiele ci sia uno spazio interiore ricco ed
antinomico. “Egon dagli occhi neri grandi e penetranti” dice Roessler“
spesso guarda al di là del suo interlocutore”, come se stesse cercando
di fuoriuscire dal suo mondo interno grazie alla sua peculiare
ipersensibilità.
Dunque
scopriamo in lui un poeta tragico trascendentale che scopre eventi
inaspettati nella vita quotidiana.
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LA SCOPERTA DI
NUOVE REALTÀ È ANCHE
UN’ANTICIPAZIONE
DI UNO SGUARDO SURREALISTICO
SULLA VITA.
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Nel corso
del suo itinerario artistico fu in contatto con Kokoschka.
Ma nei primi
lavori di Schiele l’influenza dello stile di Klimt appare importante
fintanto che egli non scopre il suo personale modo o maniera di
esprimersi. L’espressione dei suoi sentimenti è inquietante e
profondamente disturbante, manifestazioni della sua vita intensamente
dialettica–tra il lato sinistro e quello meraviglioso della vita
stessa; Schiele mi ricorda famosi poeti romantici francesi come
Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e, come ho già detto, Gèrard de Nerval.
Ciò che
Schiele esprime attraverso la sua pittura e il suo stile di vita si
confronta con la dimensione di vita che Freud descrive in "Das
Unheimlich" (1919), il ‘non familiare’, la parte sconosciuta della
nostra esistenza. Al di là della routine della quotidianità ciò
interessa l’aspetto magico e poetico delle cose.
Nel suo
poetare, allo stesso tempo morbido e creativo, Schiele, come
Lauteramont, crea metafore poetiche inaspettate. Pittore, egli compose
anche poesie, che io ho letto, raccolte sotto il titolo "The eternal
child". Schiele nelle sue poesie si descrive come una figura quasi
invisibile, che ascolta e vede ogni cosa. Frequentemente contempla e
parla alla sua immagine allo specchio; come Alice attraverso lo
specchio magico, anche lui si sforzava di viaggiare al di là del
significato della sua insaziabile curiosità.….
Nelle sue
poesie parla di “corpi viventi”, allo stesso modo in cui lo fa
attraverso i dipinti –questo è ciò che intendo quando dico che sembra
anticipare i campi di concentramento e l’Olocausto. Nei suoi scritti
Aristotele parla già di ciò che più tardi Bion chiama “memoria del
futuro”, ciò che disvelano a noi i sogni anticipatori.
“Coloro i
quali credono che il dipingere sia qualcosa di concettuale sono in
errore” disse Schiele a Roessler “Dipingere è un’abilità. Sto pensando
ai colori più caldi disposti uno dopo l’altro, colori che si
mescolano, si sciolgono, si frantumano, appaiono in rilievo. Un terra
di Siena steso grossolanamente con grigio e verde e dietro una stella
di un freddo blu, bianco, bianco-blu…Il pittore può anche guardare.
Vedere, comunque è qualcosa di più”.
Schiele è un
artista disperatamente labirintico, un divoratore di ombre, ricreatore
di fantasmi umani viventi e trasformatore di paesaggi e realtà
misteriose. Fino a un certo punto, egli anticipò nuove realtà
dell’arte moderna.
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SCHIELE: GLI
ULTIMI ANNI
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Voglio
evidenziare in questo articolo la relazione tra la prima infanzia di
Schiele, la sua curiosità creativa, i suoi anni di “finestreità”, la
sua mano svolazzante e la sua intensa vita adulta con il suo stile di
pittura.
Immagino la
manina di Egon Schiele che cerca di tendersi a raggiungere quella
immaginaria del padre –forse la mano di Dio , come nei disegni della
Cappella Sistina di Michelangelo. Questo sforzo di cercare la mano
accogliente di un padre idealizzato, comunque, fu al contempo
deluso/deludente e infelice. Stava cercando un self ideale, un ideale
che aveva bisogno di inventare per avere un modello da cui poter
raggiungere e accettare la paternità della sua vita. Possiamo
immaginare che avendo già un’immagine d’un padre precaria, Schiele
avesse bisogno di sognare un altro mondo: una figura idealizzata di
padre.
La mano
interiore dell’artista cerca di ricreare un’immagine nuova e migliore
nel suo sistema di convinzioni. Sfortunatamente, l’ombra di
un’intrusiva morte per influenza spagnola epidemica ritorna come un
vecchio avversario che stavolta si dimostra troppo forte per lui. In
contrasto con la morte inesorabile nella sua biografia familiare e il
suo difficile processo di lutto, un aspetto erotizzato della vita
appare nei suoi dipinti come un modo di essere eccitantemente vivi
nonostante il suo cupo destino.
Giocare con
il proprio destino è un modo di esercitare libertà e dare significato
alla vita.
Quando parlo
di destino e significato della vita, penso a una forza che lavora
contro il destino in Egon Schiele, una lotta contro il suo fatale
destino. Questa è anche una lotta tra procreazione/ricreazione e
tenebre o morte. La poetica mistica di William Blake e i suoi dipinti
sono altre illustrazioni, attraverso le quali possiamo sentire che
c’era in Egon Schiele un combattimento mistico e tragico tra bene e
male, Dio e diavolo –forse Schiele stava cercando di riunire insieme
le due forze per creare un vero matrimonio tra vita e istinti di
morte. Il destino, comunque, si dimostrò più forte del suo desiderio
di vita e di riparazione. All’orizzonte del suo breve futuro, il
“diavolo” era l’epidemia di influenza spagnola che lo aspettava.
Questo diavolo vestiva l’uniforme –forse di un ufficiale delle
ferrovie che lo perseguitava– e con la sua maschera divorante, giaceva
in atteggiamento di aspettativa e tentazione.
Egon
traslocò il 5 di luglio nel suo nuovo studio di Wattmanngasse 6 a
Vienna. Sua moglie Edith, che aspettava un bambino, morì di spagnola.
La luce radiosa della gonna luminosa di Edith era divenuta opaca e si
estingueva per sempre. Tre giorni dopo anche la vita di Schiele si
spegneva. E così il poco cresciuto Egon ritornò alle sue tenebre, alla
sua caverna primordiale, allo stesso abisso materno che gli aveva dato
vita.
Tra notte e
giorno, luce ed ombra, il lavoro dell’artista Egon Schiele continua a
vivere. Nasce nuovamente attraverso ogni sua pittorica“illuminazione”
(per parafrasare Rimbaud), che viaggia attraverso la notte come un
treno fantasma, l’itinerario di Schiele ci mostra un’artista
tormentato a livello ontologico dell’esistenza, parte dell’avventura
di essere vivi fino all’ultimo momento.
La morte
come la vita è parte di un certo vagabondare…. Un modo di viaggiare
nella vita senza prevedere una fine peculiare. Nel suo stile di vita,
Schiele mostrò una maniera coerente e personale (manierismo) di essere
e cessare di esistere.
Attraversare
la vita e l’opera di un artista tanto complesso e dotato mi ha
permesso di vagabondare, tra strade e angoli di un mondo utopico, dal
quale Schiele era capace di ritornare di tanto in tanto e di dipingere
un altro quadro….
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CONCLUSIONE
Ho cercato
con questo scritto, attraverso l’esplorazione della vita di Egon
Schiele e il suo manierismo enigmatico, che richiama quello dei
bambini autistici e dei pazienti schizofrenici, di lavorare per
impostare un dialogo sull’impatto che i suoi dipinti straordinari e
turbanti possono avere su di noi, anche come esperienza estetica.
Ho scelto di
utilizzare un approccio biografico o itinerante, che rivela Schiele
artista come bambino già di gran talento ma disturbato.
Parte del
materiale che uso si riferisce a opere della sua prima infanzia;
questo mi consente di sviluppare la mia ricerca nel significato del
suo modo estetico e personale, di esprimere fantasie dolenti ma
creative, in cui parti diverse del corpo ( le mani in modo
particolare), si proiettano nei suoi dipinti, formano parte di un
linguaggio intimo, creativo, in movimento e turbante.
Wilhelm
Dilthey, nello scorso secolo, era solito dire che l’artista rivela
attraverso la sua opera più di quanto la sua realtà interiore intenda
concedere.
Parlava di
sensazioni e di impressioni estetiche (1892) con cui il visitatore
motivato di una mostra può mettersi in comunicazione. Questo mi
suggerisce un livello dialogico di sensazioni e forme in cui la
comunicazione creativa si stabilisce tra conscio e inconscio –
spontaneamente, attraverso l’impatto estetico di due persone umane o
ombre…
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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo |