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"Apeiron". Tra psicoanalisi e religiosità.

 

 

 

   FREUD E LE ORIGINI DEL GIUDAISMO.

 

 

 di Richard L. Rubenstein

 

 

 Il presente saggio è tratto dal libro "L'immaginazione religiosa. Studio sulla psicoanalisi e sulla teologia ebraica" (Astrolabio-Ubaldini editore, Roma, 1974, trad. ital. di Giuseppe Sardelli).

Si ringrazia la casa editrice Astrolabio per aver accordato l'autorizzazione alla pubblicazione del presente saggio su "Frenis Zero".

Richard L. Rubenstein ha insegnato all'Università di Pittsburgh ed è stato direttore della B'nai B'rith Hillel Foundation. Oltre ad essere stato rabbino, si è laureato in letteratura ebraica al Jewish Theological Seminary e ha conseguito il dottorato di ricerca presso la Harvard University.


                                  

       

La psicologia della religione è stata uno dei più vecchi e più costanti interessi della psicoanalisi. Questo interesse aveva il suo lato pratico. Quasi tutti  i primi psicoanalisti del circolo di Freud erano ebrei. Essi erano soggetti alle dolorose vicissitudini della vita degli ebrei nell'Europa Centrale durante la prima parte del ventesimo secolo. La religione che conoscevano meglio era la religione della loro eredità familiare. Il loro tentativo di comprendere analiticamente la religione rifletteva, in gran parte, il loro tentativo di raggiungere una più alta misura di autocomprensione1. Anche la pratica clinica li rese consapevoli dei rituali personali e dei sistemi deliranti di molti pazienti. C'era una straordinaria analogia fra questi sistemi privati e le credenze e pratiche ufficiali del giudaismo e del cristianesimo2. Lo 'scandalo' della religione, la sua evidente chiusura alle categorie del senso comune, rappresentava un altro stimolo alla ricerca psicoanalitica. Come le irrazionalità della vita personale, come i sogni, i lapsus linguae, i rituali del lavarsi, gli scherzi, le angosce relative al mangiare e defecare, si erano dimostrati le chiavi per comprendere gli sforzi inconsci dell'individuo, così le irrazionalità e le superstizioni della religione erano viste svolgere un ruolo analogo nella vita del gruppo3.

Il più comprensivo e autorevole tentativo di formulare una interpretazione psicoanalitica della religione fu fatto da Sigmund Freud, il maestro. Freud fu interessato alla psicologia della religione per tutta la sua carriera. Oltre a trattare di religione direttamente o indirettamente in un gran numero di scritti minori, Freud  scrisse diffusamente sulla religione in almeno quattro libri: Totem e Tabù (1913), Il futuro di una illusione (1928), Il disagio della civiltà (1930), Mosé e il monoteismo (1939). Benché altri analisti abbiano dato importanti contributi alla comprensione psicoanalitica della religione, i contributi di Freud si sono dimostrati i più influenti. Gli scrittori psicoanalitici di religione tendono a discutere con Freud sui dettagli piuttosto che sull'intera concezione.

L'interpretazione freudiana della religione era dominata da una singola prospettiva. Quella prospettiva infuse in un'opera più tarda come Mosé e il monoteismo la stessa forza che in un'opera anteriore, Totem e Tabù. La sua teoria sull'origine della religione poggiava su una estensione della metafora edipica da lui usata nella teoria della personalità. Freud sosteneva che il progetto edipico, l'ambivalente brama del figlio di diventare come il padre soppiantandolo violentemente negli affetti della madre, fosse la componente nucleare di tutti gli sforzi nevrotici4. Dai sentimenti di identificazione e di rivalità del figlio col padre per il possesso della madre, il primo e più prezioso oggetto d'amore, Freud trasse gli elementi del suo quadro delle origini della religione. Egli interpretò la religione come l'espressione di gruppo di una nevrosi facilmente identificabile. Il conflitto edipico rimaneva l'asse della ruota psicoanalitica in materia di religione. Dall'inizio alla fine della sua carriera Freud usò il conflitto padre-figlio quale metafora esplicativa dei dilemmi del comportamento umano religioso5.

In Totem e tabù Freud suggerì per la prima volta che la civiltà, la religione e la morale traevano la loro origine da un delitto primitivo, che ha continuato a tormentare profondamente e oscuramente gli esseri umani. Secondo Freud, l'umanità viveva, in origine, in orde primitive dominate da tirannici patriarchi. Il padre primitivo aveva l'esclusivo diritto di accesso sessuale alle femmine della sua orda. Categorie come madre, sorella e figlia, dovevano essere ancora formulate6. Non c'era ancora un tabù dell'incesto.  I maschi giovani, appena divenivano una potenziale minaccia al dominio del padre, erano uccisi, castrati o esiliati. Normalmente erano cacciati e costretti a trovare altrove le compagne sessuali.

Il maschio primogenito, secondo Freud, era considerato dal padre particolarmente pericoloso. Di conseguenza correva il grandissimo pericolo di diventare la vittima dell'omicida ostilità paterna7. La castrazione era la principale minaccia usata per allontanare la rivalità sessuale dei figli. Freud sosteneva che la minaccia era anche fin troppo frequentemente eseguita. L'inconscio ricordo razziale della tendenza dei padri primitivi a castrare i figli era così carico di angoscia da diventare parte dell'eredità filogenetica del genere umano. Questo ricordo aiuta a spiegare la presumibilmente schiacciante angoscia di castrazione, da cui Freud vedeva assillati i maschi in Europa e in America8. Freud, inoltre, metteva in rapporto l'arcaica violenza fallica con il rituale ebraico attuale. Il rito iniziatorio della circoncisione era considerato un compromesso rituale, in cui il padre umano e il padre divino rimangono soddisfatti del prepuzio come surrogato pars pro toto dell'intero organo9.

Secondo il 'mito scientifico' di Freud, la forzata privazione sessuale dei figli esiliati era destinata a non durare10. Spinti da intenso bisogno sessuale, alla fine i fratelli privati si riunivano per ottenere in gruppo ciò che non erano riusciti a ottenere singolarmente, la sostituzione violenta del padre primitivo. I fratelli ammiravano il padre e volevano essere come lui. Desideravano possedere le femmine dell'orda, come le possedeva lui. Per fare questo, era necessario sbarazzarsi di lui.

Questi contraddittori scopi poterono essere raggiunti solo consumando cannibalescamente il padre. Freud sosteneva che i figli si identificarono simultaneamente con la vittima e la distrussero mangiandola. Il parricidio cannibalistico fu, secondo Freud, il terribile atto con cui ebbero inizio le istituzioni sociali e religiose11. Ogni uomo è tentato di ripetere quel delitto. Sebbene nella realtà quel misfatto non sia mai commesso, pure l'esistenza dell'umanità nelle monadi familiari condanna ogni uomo a commetterlo nella fantasia e a soffrire intensi sentimenti di colpa per quel terribile desiderio.

La storia di Freud non finisce col parricidio.  La colpevole reazione dei fratelli al misfatto, più che il misfatto stesso, spiegava le peculiarità dell'organizzazione religiosa e sociale. Per infiniti spazi di tempo la natura era stata testimone indifferente di innumerevoli esempi di giovani che divorano i loro padri. L'uomo differiva da tutte le altre specie animali. Aveva raggiunto un livello di competenza verbale che gli permetteva di oggettivare i suoi atti e sentirsene profondamente rammaricato. Le origini del rimorso dei figli stavano nei loro contrastanti sentimenti di amore e di odio verso il padre. Le peculiarità della personalità umana sono in gran parte dovute al fatto che l'uomo è un animale creatore di simboli12 . Freud si figurava i fratelli afflitti da profondo rammarico dopo il misfatto. L'uomo era perseguitato dal ricordo.

Ma le donne, che cosa facevano durante la rivolta? Freud non ha nulla da dire tranne che erano l'oggetto del desiderio dei fratelli. La sua figurazione è di sesso maschile. Egli è stato criticato, con ragione, per non avere  allargato la sua prospettiva13.

Gli avvenimenti che seguirono all'uccisione, possono essere descritti come una tragedia sartriana. I figli non ebbero il coraggio di accettare la responsabilità del loro atto omicida. Il delitto fu negato, anzi fu seguito dall'apoteosi della vittima come Divinità vendicativa e onnipotente14. Il genitore terreno dei figli divenne il genitore e legislatore del cielo e della terra. Come in certe opere di Sartre, la mauvaise foi dei figli, la loro incapacità  di accettare la responsabilità dei loro atti, conteneva un'ironia. Negando di avere assassinato il padre, i figli rimuovevano ogni realistico impedimento all'espansione illimitata del suo immaginato potere o al terrore che quel potere suscitava nella loro fantasia15.

In contrasto con i contriti parricidi di Freud, Oreste, il protagonista del dramma Le mosche di Sartre, è un matricida che non conosce pentimento. Egli si redime, in un certo modo, nonostante l'orrore del suo delitto, perché ne accetta la piena responsabilità16. I parricidi di Freud condannano, senza speranza, se stessi e la loro progenie a una vita assillata dall'angoscia, dalla colpa e dallo sforzo vano di placare un Dio non-esistente, a causa del loro diniego del delitto.  L'umanità è incarcerata in una prigione di colpa che si è fatta con le sue stesse mani. Gli uomini si pentono e fanno penitenza attraverso la religione, a causa del 'ricordo inconscio' di un parricidio primitivo che pervade la loro psiche.  Il terribile misfatto non potrà mai essere esorcizzato.

Il padre assassinato era infinitamente più potente da morto che da vivo. I figli lo avevano rimosso da ogni misura e calcolo razionale. Ma non lo avevano rimosso dalla scena della loro vita psichica. Il ricordo inconscio del delitto e i sentimenti di colpa, che esso generava, accrescevano la profondità della loro angoscia di ritorsione. I figli sentivano il terrore della presenza del padre, dopo che era morto, come non l'avevano mai sentito, mentre era vivo.  I loro sentimenti di colpa e il loro desiderio di placare la sua collera adempiendo le norme ritenute sue divennero i moventi predominanti dei figli ironicamente vittoriosi. L'origine della credenza umana in un Dio onnipotente e onnisciente stava nel padre ucciso, ora proiettato nella sfera cosmica. Dio, secondo Freud, non è altro che il primo oggetto della criminalità umana.  la paura di Dio e il desiderio di obbedirgli erano motivati dal ricordo inconscio del primo delitto contro la sua persona17.

Ciò può sembrare forse una bislacca e paradossale concezione di Dio. Paradossale è. Cessa di essere bislacca, quando teniamo presente, come faceva Freud, che il cristianesimo celebra, nei suoi momenti più sacri, il ricordo della morte e della resurrezione del Cristo come Dio. Inoltre il simbolo decisivo di quella fede è lo strumento della sua esecuzione. Freud era acutamente consapevole della natura paradossale di gran parte della credenza ebraica e cristiana. Non era convinto della verità letterale delle due religioni. Era, però, colpito dalla loro verità psicologica18.

Il rituale religioso ebbe inizio negli ambivalenti sentimenti dell'umanità verso il delitto represso ma inconsciamente ricordato. Almeno due forze impedivano la repressione totale del ricordo del misfatto: in primo luogo, i sentimenti di colpa da parte dei fratelli esigevano la catarsi della confessione; secondariamente, i loro prometeici sentimenti di trionfo sulla molteplice autorità del padre esigevano la ripetuta celebrazione della vittoria. Il sacrificio totemico, nel quale prima un animale e poi una vittima umana erano offerti durante un banchetto comunitario, rendeva possibile la intersecazione dei contraddittori moventi del rammarico e del trionfo in un singolo atto, il rituale sacrificale della confessione e la riproduzione del parricidio primordiale19.

Freud interpretò l'arcaico sacrificio totemico come una ricapitolazione del delitto primitivo. Egli dimostrò che la vittima sacrificale era sacra e che normalmente era proibito consumarla. La vittima poteva essere consumata solo in particolari occasioni, durante le quali era permessa al gruppo una libertà normalmente proibita. Il gruppo condivideva una discendenza comune con la vittima. Ciò fornì a Freud l'anello di congiunzione col padre primitivo. Egli  considerò l'atto di consumare la vittima sacrificale una ripetizione inconscia del parricidio originario. Nelle tradizioni di molti popoli la vittima animale era considerata un surrogato per un'anteriore offerta umana20.

Freud dimostrò anche che la distinzione fra vita umana e animale è relativamente recente.  Se mai, l'uomo primitivo aveva molta più paura degli animali che dei suoi simili21. Il consumo di carne animale era una faccenda molto seria fra gli antichi. Nel giudaismo lo è ancora oggi. Fra gli ebrei di obbedienza religiosa il consumo di carne è permesso solo nelle regolatissime condizioni contemplate dalle leggi del Kashruth.

Con l'origine del totemismo gli uomini diedero inizio a quella paradossale mescolanza di prometeica arroganza e colpevole sottomissione, che Freud vedeva come una caratteristica perenne della religione. Il sacrificio totemico era anche un mezzo efficace per rafforzare le proibizioni con cui ebbe inizio la civiltà. La partecipazione alla vita sacerdotale della comunità non era permessa a chi avesse violato il suo interdetto contro l'incesto o altre sue norme22. Il sacrificio divenne, e rimane nella Chiesa Cattolica Romana, un efficace mezzo di controllo morale e sociale.

 

 
 La tesi di Freud è illustrata da Graham Green nel romanzo The Hearth of  the Matter. Un ispettore di polizia adultero sa che tenendosi lontano dalla Comunione si tradirebbe dinanzi alla moglie che ha già dei sospetti.  Egli  si trova di fronte alla scelta di alleviare i sospetti della moglie prendendo l'ostia in uno stato di colpa non perdonata, e perciò estraniandosi da Dio, oppure, tenendosi lontano dall'ostia, di mantenere la sua pace con Dio ma rivelare il suo adulterio.  Molto umanamente sceglie di ingannare la moglie e in questo atto trova la sua rovina spirituale23.

L'uso del sacrificio come strumento di controllo sociale era pertinente alla precarietà dei fratelli dopo la morte del padre. Col tempo essi vennero a capire che il delitto primitivo non poteva essere ripetuto. Tuttavia, finché non si giunse ad un ordinamento sociale di tipo espiatorio in virtù del quale la solidarietà del gruppo non fosse più minacciata dalla competitività sessuale,  ogni maschio che possedesse una femmina era minacciato da una eventuale ripetizione del delitto. I fratelli risolsero il problema con la rinuncia all'incesto e la legge esogamica24. Ciò era difficile a causa dell'attrazione particolarmente forte che i parenti stretti di sesso opposto sentivano l'uno per l'altro. La forza del tabù dell'incesto è un indice della forza di ciò che esso proibisce. Questa indispensabile rinuncia crea una continua instabilità in tutte le istituzioni umane. Almeno nella fantasia, ognuno torna al suo primo amore. Per l'immortale fanciullino che è in noi, i compagni sessuali realisticamente disponibili sono, al massimo grado, dei surrogati25.

C'erano volte in cui il sacrificio totemico era rimesso in esecuzione con un essere umano reale o un delitto esplicitamente affine a quello primitivo era ripetuto. In Mosè e il monoteismo Freud applicò la sua concezione delle origini della religione a una teoria delle origini del giudaismo. Ci sono due ipotesi in Mosè e il monoteismo.  La prima affermava che Mosé era un egizio, seguace del faraone monoteista Ikhnaton, che cercò di fare degli schiavi ebrei un popolo monoteista, dopo che gli egizi avevano ripudiato la religione di Ikhnaton. La seconda ipotesi non conseguiva necessariamente dalla prima. Secondo Freud, la religione di Mosé non fu accolta dagli ebrei come una benedizione. Essi si risentirono amaramente della rinuncia istintuale richiesta e alla fine uccisero il loro capo religioso. Come il padre primitivo, Mosé morto si rivelò infinitamente più potente di Mosé vivo. Solo dopo avere ucciso il loro capo il popolo ebraico si sentì colpevolmente obbligato a obbedire ai suoi insegnamenti26. Per Freud la nascita del giudaismo ricapitola la prima rappresentazione del conflitto edipico, il delitto primitivo.

Il poderoso ascendente della Torah sugli ebrei era dovuto alla loro incapacità di ammettere consciamente il primitivo delitto contro Dio Padre e la loro posteriore violenza contro Mosé. L'interpretazione che Freud dà del giudaismo pone l'accento sull'inconscio senso di colpa attivo in ogni ebreo, sulle angosce di ritorsione che gli ebrei sentono per la paura di offendere ulteriormente il Dio che inconsciamente riconoscono come il padre assassinato, e sui loro tentativi di placare la Sua collera con una infinità di osservanze a Lui attribuite. Freud considerava il giudaismo un esempio quasi integro di religione 'superegoica'27.

Freud interpretò anche il cristianesimo alla luce del delitto primitivo. Egli vedeva la crocifissione come una ripetizione drammatica del primo parricidio e come il tentativo dell'umanità di alleviare i suoi sentimenti di colpa e le sue angosce punitive per il misfatto originario. Il duplice ruolo di Gesù come 'Figlio' e Deità Incarnata permetteva tanto la riparazione quanto la ripetizione del delitto primitivo28.

Freud usò anche la metafora edipica per interpretare il rituale religioso. Ciò risulta dalla sua interpretazione della Messa cattolica Romana. Freud considerava la Messa un atto simbolico di cannibalismo rituale, in cui la vittima divino-umana è consumata in una maniera che ricorda il delitto primitivo29. Il sacerdote offre al credente l'ostia. L'ostia è sostanzialmente trasformata nel vero corpo e sangue del Cristo. Il credente è fisicamente unito alla vittima divino-umana mediante l'incorporazione per via orale. Durante il medio evo gli ebrei furono spesso accusati di profanare l'ostia o di usarle violenza fino a farla sanguinare30. Psicoanalisti che hanno analizzato sacerdoti o pastori, hanno riferito sulla profondità dell'implicazione dei loro clienti nel rituale della Comunione. Sono state riportate fantasie di unione con Dio, di consumazione distruttiva di Dio e perfino della sua trasformazione in feci31. Tali fenomeni sarebbero interpretati da Freud come prove del permanente potere del ricordo del delitto nella vita religiosa dell'umanità.

Gli psicoanalisti hanno anche interpretato la circoncisione rituale alla luce del progetto edipico. Nella circoncisione c'è una doppia rinuncia32. Il padre rinuncia alla castrazione come deterrente punitivo e il figlio rinuncia al suo incestuoso desiderio della madre. Il dono, da parte del figlio, e l'accettazione, da parte del padre, del prepuzio come surrogato per l'intero organo sono simbolo di reciproca rinuncia. Le necessità del processo sociale trionfano sull'impulso anarchico.

Questa doppia rinuncia è anche implicita nella circoncisione ebraica dei bambini, sebbene avvenga nell'ottavo giorno dopo la nascita. Quando il bambino diviene consapevole di ciò che gli è stato fatto quando era appena un fanciullino inerme, la sua angoscia di castrazione è inevitabilmente esaltata33. Questa angoscia è resa più intensa dalle frequenti minacce di castrazione, scoperte e implicite, lanciate dai genitori o dai loro sostituti contro il bambino, specie durante l'attività masturbatoria34. L'angoscia può essere ulteriormente intensificata, quando i ragazzi vedono per la prima volta gli organi genitali femminili. Essi possono erroneamente credere che la femmina sia stata punitivamente privata dei suoi organi maschili35. L'angoscia di castrazione e la rimozione nevrotica dei desideri edipici possono reciprocamente rafforzarsi, senza perdere nulla della loro potenza.

Secondo Freud, il più profondo desiderio dell'uomo è di soppiantare il padre per possedere incestuosamente la madre. Il padre è, pertanto, il personaggio cardine ma non l'oggetto finale del desiderio.  Oggetto del desiderio rimane la madre. L'obbedienza alle norme sociali, dal tempo del primo gruppo totemico al presente, è stata possibile solo attraverso la rinuncia a brame incestuose.  Questa sottomissione è estremamente difficile. Può essere realizzata solo mediante il processo di identificazione, nel quale il figlio fa sua la volontà del padre.

In religione, questo è realizzato dalla sottomissione alla volontà di Dio, il padre proiettato nella sfera cosmica. Freud credeva che ogni individuo ricapitolasse l'esperienza della razza, che l'ontogenesi seguisse la filogenesi. L'immagine che l'individuo ha di Dio è composta del ricordo inconscio del padre assassinato e dei sentimenti dell'individuo concernenti i suoi genitori reali o i sostituti dei genitori. Gli stessi smodati sentimenti di colpa e il desiderio di placarli, che tormentavano i primi figli dopo il delitto primitivo, tormentano ciascun individuo per quanto riguarda il padre reale. Ogni individuo commette parricidio nella fantasia. Il Super-Io, la dura, punitiva, censoria facoltà della psiche, non fa alcuna distinzione tra fatti realmente commessi e fatti commessi nella fantasia inconscia. Punisce gli uni e gli altri con comparabile severità. Il Super-Io si appella a un bisogno senza fine di placare quegli elementi dell'immagine del padre che sono proiettati come Dio36.

L'altro modo di identificazione con la volontà del padre sorge nel normale sviluppo sociale. All'età di circa cinque anni il bambino rinuncia alla ricerca della madre. Cerca l'identificazione col padre introiettandone l'immagine. Il padre introiettato non è il padre reale. Il bambino è inconsciamente consapevole dei suoi ostili sentimenti verso il padre. E' assillato da angosce di ritorsione abnormemente crudeli. Il padre che ha dentro di sé è assai più inflessibile e implacabile dei più spietati tra i padri reali37.

Ciò è ben illustrato nel famoso saggio di Freud sul caso del 'piccolo Hans'. Hans non voleva uscire in strada per timore che i cavalli lo mordessero. All'analisi la sua paura dei cavalli si rivelò essere la sua inconscia paura che il padre lo castrasse per punirlo dei suoi incestuosi desideri. Questo caso era particolarmente significativo per l'uso che Hans faceva del cavallo come camuffamento simbolico del padre reale38.

Tali esempi tendevano a confermare la credenza di Freud che tanto i nevrotici attuali quanto gli uomini primitivi utilizzassero gli animali come sostituti simbolici di persone importanti, specialmente il padre.

Nella seconda parte della sua carriera Freud prese sempre più coscienza del ruolo della madre e della paura della perdita del suo amore come fonte di obbedienza sociale. Ciò non fu mai sottolineato con la stessa forza che la paura del padre nella sua interpretazione della religione39. Il ruolo del padre rimaneva decisivo tanto nella religione quanto nella vita sociale. Il padre era visto da Freud come la sorgente di tutte le norme. La paura della sua ritorsione era considerata il deterrente decisivo contro la deviazione del comportamento. Ciò fu espresso da Freud nei seguenti termini:

Il resto della nostra indagine è reso facile dal fatto che questo Dio-Creatore è chiamato apertamente Padre. La psicoanalisi conclude che egli è realmente il padre, rivestito della maestà in cui un tempo appariva al figlioletto. L'immagine che l'uomo religioso si fa della creazione dell'universo è identica all'immagine che si fa della propria creazione40.

"Il timore del Signore è il principio della sapienza". Nessun salmista, o profeta, o antico maestro religioso, compitò mai il contenuto di quella paura esplicitamente o spietatamente come fece Freud. Nello schema freudiano il progetto edipico è il progetto umano decisivo, almeno per gli uomini. Il membro virile infrangerebbe la volontà del padre; il membro virile deve essere punito per la trasgressione. L'uomo primitivo vedeva la ritorsione punitiva diretta contro l'organo offensivo secondo la legge del taglione. Il 'timore del Signore' è in definitiva l'angoscia inconscia motivata dalla paura che Egli castri coloro che mancano di obbedirGli41.

Se l'analisi di Freud è esatta, il deterrente d'obbligo nella vita religiosa è la minaccia esplicita o mascherata della castrazione. E' facile comprendere perché Freud e i suoi seguaci abbiano accentuato l'importanza della circoncisione nel giudaismo e l'abbiano interpretata, secondo me un po' toppo frettolosamente, come una forma di castrazione simbolica. Ciò sembrerebbe, a prima vista, confortare l'ipotesi che gli ebrei religiosi siano principalmente legati al loro Signore dalla paura della castrazione punitiva.

Lo sviluppo dell'interpretazione freudiana della religione è dominato, a ogni sua svolta, dagli ambivalenti sentimenti del figlio verso il padre. Non si fa quasi nessuna menzione della madre se non come il distante oggetto del desiderio. Freud si confessò incapace di inserire significativamente nel suo schema, e al posto giusto, i culti delle divinità materne42

  Foto: Bruno Bettelheim

Ciò ha indotto Bruno Bettelheim e alcuni altri analisti a dividere le religioni in raggruppamenti matriarcali e patriarcali. Bettelheim limita la pertinenza degli insights freudiani alle religioni patriarcali. Alcuni pensatori analitici considerano l'interpretazione freudiana della religione particolarmente appropriata al giudaismo. Il giudaismo, per molti analisti, rimane un esempio di sistema rigidamente coatto, composto di elementi di colpa, subordinazione, angoscia e inconscio risentimento verso un Dio non-esistente43.

La teoria di Freud tentava di spiegare le origini religiose. Bettelheim sostiene che Freud può avere offerto un insight nelle origini della religione patriarcale, ma non nella religione in sé. Inoltre, se la religione è in gran parte una proiezione della situazione familiare, come Freud sosteneva, i rapporti del bambino con la madre sono almeno emotivamente importanti quanto quelli col padre.

Un esame della leggenda ebraica offre considerevoli testimonianze, le quali suggeriscono che i dilemmi dei primi incontri dl bambino con la madre sono una parte decisivamente importante del contesto psicologico e culturale, dal quale si formò la religione ebraica. Ciò è particolarmente significativo a causa della tendenza a considerare il giudaismo come la più patriarcale delle religioni.

L'immaginativa ricostruzione freudiana delle origini della religione e la sua speciale applicazione alle origini del giudaismo si basava su una limitata conoscenza di prima mano delle fonti delle tradizioni ebraiche. Questa mancanza di conoscenza di prima mano ha frequentemente caratterizzato anche i suoi seguaci44. Gli psicoanalisti si sono dati ben poca pena di applicare gli insights della loro speciale competenza all'esame di importanti fonti nella psicologia della religione45. La storia della religione è piena di personaggi e movimenti che chiedono di essere interpretati psicoanaliticamente. Le carriere di Paolo, Agostino, Calvino, Wesley e il Baal Shem Tov sono fra quelli che attendono un disciplinato commento psicoanalitico. Fino a oggi lo studio di Erik Erikson sul giovane Lutero spicca come uno dei pochi studi comprensivi e disciplinati in direzione di una interpretazione psicoanalitica di fenomeni e personaggi religiosi46. Invece gli psicoanalisti hanno mostrato una certa tendenza a raccogliere e scegliere teorie religiose e antropologiche che sembrano più congeniali alle loro ipotesi indipendentemente dalla stima che è stata accordata o non accordata a queste teorie dagli specialisti. Freud, per esempio, confessava di essere ricorso alla teoria del totemismo di Robertson Smith, perché si accordava con le proprie teorie, anche se sapeva che antropologi più recenti respingevano molte delle scoperte di Robertson Smith47.

Il motivo che spingeva Freud a respingere ipotesi inaccettabili aveva qualche merito. La sua ricostruzione delle origini religiose era basata sull'assunto di un'analogia fra il comportamento degli individui e dei gruppi. Egli, come abbiamo visto, aveva concluso in base ai dati delle sue scoperte cliniche che il progetto edipico era decisivo per l'individuo. Era convinto che il gruppo dovesse necessariamente esibire tendenze analoghe. Siccome le teorie  di Robertson Smith sembravano congeniali alla sua ipotesi, le preferì ad altre teorie. Concluse che solo una scienza che illuminasse il ruolo dell'inconscio era in grado di valutare adeguatamente la dinamica del comportamento umano. Freud e i suoi colleghi si aspettavano che la loro disciplina assumesse una funzione di misura e di critica riguardo alle altre scienze sociali. Teorie in disaccordo con le scoperte psicoanalitiche erano considerate inesatte o logici a ristretti livelli di insight48. E ciò non era senza qualche giustificazione. La psicoanalisi ha migliorato enormemente la nostra comprensione dei fattori dinamici operanti nell'azione e nella fantasia umana. Non c'è disciplina nell'ambito delle scienze sociali che non ne sia stata fortemente influenzata.

A lungo andare l'interpretazione della religione di Freud si sarebbe trovata in disaccordo non solo con la ricerca nel campo dell'antropologia e della storia della religione, ma anche con le sue stesse teorie sullo sviluppo della personalità. Questo era un problema di gran lunga più grosso dal punto di vista di una valida sistematizzazione. Si potevano respingere le scoperte di altre scienze del comportamento, purché la psicoanalisi offrisse una coerente teoria delle sorgenti dell'azione e delle credenze religiose. L'interpretazione freudiana della religione, tracciata nel 1913 in Totem e tabù, divenne sempre meno sostenibile via via che egli sviluppava la sua teoria della responsabilità.

Le posteriori scoperte di Freud nella teoria della personalità ridussero l'importanza del conflitto edipico nello sviluppo dell'individuo. Quel conflitto fu visto in un ampio contesto di sviluppo49. Si comprese sempre più che la personalità decisiva per il bambino nei primi anni era la madre. Le vicissitudini degli ambivalenti rapporti del bambino con la madre culminano nella risoluzione del conflitto edipico e nella formazione del Super-Io fra i cinque e i sei anni. Nei primi e più decisivi anni, i più importanti progetti psichici del bambino si concentrano sulla madre. Il bambino nella prima infanzia dipende assai più dalla madre che dal padre. I desideri e le angosce del bambino riguardo a lei sono modificati molto meno dall'esperienza che dai suoi sentimenti verso il padre. Se si cercano le radici della credenza religiosa nella bio-sociogenesi della personalità umana, il rapporto della madre col bambino è assai più 'divino', per il bene e per il male, di quello del padre.

L'importanza della madre fu notata da Freud mentre studiava i problemi relativi alle bambine. La sua interpretazione della sessualità femminile fu dapprima in gran misura legata alle ipotesi che accentuavano la centralità del conflitto padre-figlio. Freud arrivò a rendersi conto che uno dei primi progetti della bambina è di mettere incinta la madre. Più tardi essa sviluppa l'equivalente del complesso di castrazione, quando si rende conto che le manca l'organo appropriato. Le sue successive preferenze per la maschilità risalgono al desiderio di ingravidare la madre e alla delusione che ne è seguita. A quell'epoca il ruolo del padre è del tutto secondario e derivativo50.

Fin dal tempo in cui scrisse L'Io e l'Es (1923), Freud riconosceva che gli ambivalenti sentimenti verso il padre, ritenuti responsabili della formazione del Super-Io, possono anche svilupparsi verso la madre. Questo insight è stato approfondito da psicoanalisti più recenti, i quali hanno accentuato la paura della perdita dell'amore pre-edipico per la madre in quanto decisivo nel creare i rudimenti del Super-Io prima dello stadio fallico51. Non era più necessario far derivare le istituzioni della società dal fatto che l'ostilità omicida del figlio verso il padre viene agita. Le stesse istituzioni potevano svilupparsi senza alcun riferimento al genitore maschio52.

Scrittori psicoanalitici più recenti hanno allargato e migliorato la nostra comprensione del primo rapporto del bambino con la madre e della particolare importanza del suo arcaico modo di mettersi in rapporto col mondo mediante la bocca53. Siccome la teoria psicoanalitica tende fondamentalmente a ricondurre gli sviluppi mentali alla loro prima origine, c'erano buone ragioni per risalire oltre lo stadio edipico. Il principio che il bambino è padre all'uomo non consentì alla psicoanalisi di rimanersene paga di aver localizzato l'origine dei conflitti nevrotici nel relativamente tardo conflitto edipico.

Il volgersi dal padre alla madre come cardine intorno al quale si sviluppavano in origine i dilemmi dell'individuo, avrebbe dovuto condurre Freud a dare un accresciuto risalto all'importanza della madre nello sviluppo della religione e della società. Purtroppo ciò non avvenne.

  Foto: C. G. Jung

I seguaci di Jung furono i primi a sottolineare l'importanza della Grande Madre nella psicologia della religione54. L'incapacità di Freud di vedere al di là dell'elemento paterno in religione fu compresa, non senza qualche malignità, da alcuni seguaci di Jung. Essi tendevano a considerare il sistema di Freud ebraico tanto nell'origine quanto nella pertinenza. Quel sistema, affermavano, non era applicabile al cristianesimo e al paganesimo. Le religioni non-ebraiche erano descritte come più intonate ai bisogni degli spiriti liberi e autonomi che non il giudaismo, 'legalistico', 'non spontaneo', 'freddo'55. Sebbene i seguaci di Jung impiegassero il linguaggio della psicologia 'scientifica', pure tendevano a rispolverare una vecchia polemica teologica, in cui i cristiani mettevano in antitesi la loro fede, quale religione della libertà e dell'amore, col giudaismo, la religione dell'asservimento alla legge56.

Questa tendenza trasformò una disputa psicologica in un conflitto teologico. Ciò è evidente nell'opera di Peter J. R. Dempsey, uno studioso cattolico, il quale respingeva la caratterizzazione freudiana della religione in sé come ossessiva e limitava la pertinenza delle osservazioni di Freud al giudaismo. Come abbiamo visto, Bruno Bettelheim suggeriva un'analoga limitazione della pertinenza delle osservazioni di Freud per altre, meno polemiche ragioni. Dempsey sosteneva che Freud errava a causa del suo background. Egli negava che le sue prospettive fossero in qualche senso applicabili al cattolicesimo57.

  Foto: C. G. Jung

Una tendenza analoga pervadeva l'opera di C. G. Jung. Egli spesso si faceva un obbligo di mettere in contrasto le sue prospettive ariane con l'inclinazione mosaica del suo rivale. Considerava l'intera immagine freudiana dell'uomo un derivato del giudaismo 'legalistico' e, come tale, senza speciale pertinenza per la religione ariana (!). Scartava il Super-Io freudiano come dipendente da immagini ebraiche piuttosto che da investigazione clinica. Jung scriveva: "Quanto all'idea del 'Super-Io' di Freud, è un tentativo furtivo di contrabbandare la sua veneranda immagine di Jeova sotto i panni della teoria psicologica"58. Evidentemente Jung considerava le proprie formulazioni 'ariane' di carattere scientifico, ma vedeva quelle di Freud come teologia mascherata. Victor White, un domenicano inglese di forti simpatie junghiane, si è trovato cordialmente d'accordo con la valutazione di Jung nel suo stranamente interessante libro God and the Unconscious59.

Gli junghiani avevano una tesi che neppure la loro cattiva volontà avrebbe potuto nascondere. Per diretta ammissione di Freud la sua teoria della religione non spiegava le religioni della Grande Madre. Non aveva senso far vedere le origini della religione in un atto di parricidio cannibalistico, quando non si faceva quasi alcuna menzione dell'enorme corpo di dati religiosi e storici, in cui predominavano le Madri Divine e i loro Figli. Jung non fu il solo psicologo di talento a sottolineare l'importanza dell'elemento materno nella religione. Un analogo risalto appariva negli scritti di Otto Rank ed Erich Fromm.

  Foto: Erich Fromm

Inoltre gli junghiani non erano del tutto sleali, quando insinuavano che l'incapacità di Freud di trattare l'elemento materno nella religione aveva a che fare con la sua disposizione. C'è una singolare opacità nel pensiero di Freud sulle origini della religione. Per molto tempo, dopo che si fu reso conto della decisiva importanza dei primi anni di vita del bambino con la madre, continuò a sottolineare la sua preferenza per l'elemento paterno nei suoi scritti sulla religione e la società. Ciò è reperibile in Psicologia di massa e analisi dell'io (1921) e in Mosé  e il monoteismo (1937). Scrivendo in prima persona in Il disagio della civiltà (1930), Freud diceva: "Non sapevo indicare nessun bisogno nell'infanzia così forte come quello della protezione paterna"60. Evidentemente Freud non fu mai capace di vedere un elemento materno alla radice della deità, neppure quando la sua ricerca puntava in quella direzione. Detto in termini psicoanalitici, quella sua incapacità sarà stata forse uno dei residui non analizzati della sua personalità61.

Per alcuni la questione della priorità dell'elemento materno nella religione divenne un test della teoria freudiana. Molti freudiani ortodossi continuarono a ripetere l'asserzione di Freud del carattere paterno della deità a dispetto della critica junghiana e neo-freudiana. C'erano coloro che pensavano, secondo me erroneamente, che la validità dell'interpretazione psicoanalitica della religione stesse in piedi o cadesse col mito del delitto primitivo. Essi erano comprensibilmente restii a deviare dalle conclusioni del maestro. Ciò nondimeno, ignorando un importante corpo di testimonianze empiriche allo scopo di salvare la teoria di Freud, facevano qualcosa che raramente Freud fece nel suo lavoro critico. Oltre a rivalutare l'importanza della madre nel periodo pre-edipico, Freud operò altre grandi revisioni nella sua teoria, a mano a mano che nuove  e più particolareggiate testimonianze empiriche diventavano disponibili. Nel Problema dell'angoscia (1927), Freud rivide la sua primitiva teoria sulla natura dell'angoscia. Dapprima egli aveva considerato l'ingorgo della libido rimossa come la causa dell'angoscia. Nella sua teoria riveduta sosteneva che era più probabile che fosse l'angoscia a produrre la rimozione che non il contrario62. In Al di là del principio del piacere (1920), rivide la sua primitiva ipotesi che i sogni erano soprattutto al servizio del principio del piacere. Invece di interpretare i sogni in termini di esaudimenti di desiderio, come quelli, cioè, che impedivano che il sonno fosse disturbato, postulò l'azione di una tendenza conservativa, comune a tutta la vita istintuale. Nei sogni l'organismo ritorna a stati o avvenimenti anteriori, anche quando quegli avvenimenti sono radicalmente traumatici, come nell'esperienza di soldati traumatizzati da esplosioni dopo la prima guerra mondiale. Quegli uomini ricapitolarono i tormenti della battaglia nella fantasia notturna molto tempo dopo la cessazione delle ostilità63.

In L'Io e l'Es (1922), Freud rivide la sua anteriore e piuttosto brutale divisione della mente in funzione conscia e inconscia, e postulò una topografia tripartita della psiche, vedendo il funzionamento mentale come il risultato dell'interazione dell'Io, dell'Es e del Super-Io, e rifinendo così i suoi anteriori modelli del rapporto fra la coscienza e l'inconscio64.

Nessuna di queste revisioni fu mai una negazione della teoria psicoanalitica fondamentale. Tutte servirono a chiarificare e a dare maggiore precisione alla ricerca psicoanalitica. In ogni caso, il conflitto edipico fu visto come parte di un disegno genetico più ampio, benché conservasse una reale misura di importanza. L'area della religione fu il principale campo in cui non si annunciò mai una revisione. Si riceve un'impressione di scarsa originalità leggendo l'opera della maggior parte dei discepoli di Freud sulla religione. Essi tendono a ripetere il maestro senza molto acume critico. Questa mancanza di originalità è stata notata dagli stessi psicoanalisti. In successivi numeri di The Annual Survey of Psychoanalysis, Almansi, Tarachow e Arlow hanno concluso i loro quadri della ricerca attuale nel campo della religione e della mitologia con commenti sul continuo risalto dato al conflitto edipico in questo dominio. Arlow allude anche a un 'ritardo' fra gli studi psicoanalitici della religione e altre branche della ricerca psicoanalitica65.

L'incapacità dei freudiani di estendere i loro insights oltre l'immagine di Dio quale patriarca assassinato fu considerata da alcuni una conferma dell'affermazione secondo cui la psicoanalisi è una 'scienza ebraica'. Fin dall'inizio del movimento, Freud fu assillato dal timore che la sua opera fosse respinta a causa del preponderante numero di ebrei fra i suoi discepoli.

  Foto: C. G. Jung

 La scelta di Jung, un non ebreo, come primo presidente della Società Psicoanalitica Internazionale fu in gran parte dettata da quelle paure66. Ironia volle che Jung, più tardi, si desse da fare come nessun altro per sfruttare l'antisemitismo come uno strumento per favorire il ripudio del movimento psicoanalitico. Non si trattò affatto di un semplice espediente propagandistico, sebbene il passato di Jung, per quanto concerne il nazismo e l'antisemitismo, sia stato, come minimo, molto dubbio67. Jung postulava che l'opinione e il sentimento conscio fossero determinati dalla memoria razziale e dall'inconscio collettivo. Ciò implicava che i gruppi 'razziali', come gi ariani e i semiti (o junghiani e freudiani, generalmente parlando), disegnavano i loro mondi secondo i loro differenti backgrounds. Questo era, a sua volta, un bel modo di psicologizzare un vizio razzistico che avrebbe ridotto in cenere milioni di persone nel ventesimo secolo.

Si sono dati dei casi in cui un patrimonio mitologico ha svolto un ruolo importante nella formazione di teorie 'scientifiche'. In nessun campo il ruolo formativo del mito nel creare la 'scienza' è stato più in evidenza che nella psicologia della religione. La vecchia immagine teologica dell'ebreo servo timoroso di un Padrone tirannico e legislatore sta dietro l'immagine psicologica di Dio patriarca imperioso e tirannico (il Super-Io proiettato). Questa visione del giudaismo e del suo dio è stata un elemento perennemente importante nella teologia cristiana. E' imparentata con l'immagine dei farisei (leggi rabbini) quali conformisti eccessivamente meticolosi che sottolineavano l'acquiescenza formale alla Legge, mentre interiormente facevano violenza al suo spirito. Non deve sorprendere che l'interpretazione psicoanalitica del giudaismo abbia seguito le linee della generale valutazione culturale. Per fortuna uno dei frutti della moderna ricerca critica in religione è stato il riconoscimento del carattere distorto di questa polemica da parte di autorevoli studiosi cristiani come George Foote Moore e R. Travers Herford68.

Sebbene la teoria della religione di Freud non fosse soggetta allo stesso grado di revisione o perfezionamento come l'altra sua opera, il suo durevole contributo allo studio scientifico della religione deve essere riconosciuto. Gli stessi termini 'matriarcale' e 'patriarcale' rivelano un tessuto freudiano. Questi termini ci dicono se sia la madre o il padre la personalità centrale su cui sono proiettati fondamentali dilemmi di un dato sistema religioso. Alcuni ricercatori contemporanei vorrebbero mettere in dubbio la basilare affermazione di Freud che le radici psicologiche del credo religioso sono reperibili, a un grado significativo, nelle complessità della situazione della famiglia umana. Dimostrare che il ruolo della madre è più decisivo di quello del padre nella formazione della religione è perfezionare la teoria freudiana, non negarla. La situazione nella psicologia della religione non è dissimile da quella dell'antropologia. Gli antropologi potranno mettere in dubbio la teoria freudiana delle origini religiose, ma non mancano di prendere attenta nota di pratiche di puericultura come l'alimentazione e l'igiene infantili nei loro studi di altre culture69.

Nonostante i suoi difetti, Totem e tabù rimane un classico nella psicologia della religione. Forse non dice tutto, ma dice molto. Pone le fondamenta per ogni successivo lavoro in materia. Frequentemente la critica all'ipotesi del delitto primitivo di Freud tende a ignorare l'imponente, tragica grandiosità dell'edificio teorico di Freud.

Ovviamente non si potevano ricostruire con certezza i fatti di un inaccessibile passato arcaico. Nella misura in cui Freud credeva di essere riuscito a farlo, se veramente lo credeva, è difficile prenderlo sul serio. Tuttavia, se Freud ci ha dato una storia problematica, certamente ci ha dato uno dei più potenti miti etiologici del ventesimo secolo. Inoltre, in virtù di questo mito, creò la spettrale e profetica immagine del capo in Psicologia delle masse e analisi dell'Io. Scrivendo prima che Hitler divenisse la coscienza e la volontà assolute del suo popolo, Freud tracciò un quadro del modo in cui gruppi sotto stress tendono a identificare i loro ideali e le loro norme morali con quelli dei loro capi. C'è una qualità spaventosamente profetica nell'analisi che Freud fa del divino potere accessibile al capo come pure nella sua descrizione della diserzione del capo da parte della sua volubile comunità, una volta che egli ha fallito. Talvolta è difficile ricordare che Freud scrisse questa sua opera prima che Adolf Hitler divenisse Fuehrer del Reich tedesco.

Né lo scienziato dovrebbe essere tenuto in poca stima per il fatto che mostra uno strano e quasi magico potere come mitopoieuta. Il mito delle origini primordiali ci dice sullo stato contemporaneo della religione forse più di quello che ci dice sui suoi inizi. Uno dei più significativi insights suggeriti da Freud è che la religione è un inevitabile oscillare di prometeica arroganza e abietta umiltà. Se Freud è fondamentalmente esatto sulla religione, e io sono convinto che lo sia, c'è una tragica e ironica inevitabilità che destina gli uomini a celebrare la loro natura asociale e demoniaca nella stessa istituzione in cui vengono a cercare una (impossibile) cessazione della colpa e del male.

Infine il mito di Freud è estremamente utile alla comprensione di oscuri e irrazionali rituali religiosi. Prima di Freud non era disponibile alcuna spiegazione di rituali come la circoncisione ebraica e la Messa Cattolica che fosse euristicamente compatibile con gli insights psicodinamici contemporanei. Freud ha dimostrato che il rito religioso è più della grossolana e ingannevole superstizione e che è, in realtà, radicato nelle più profonde ironie della condizione umana. Ha dimostrato che inevitabili dilemmi come i conflitti fra genitore e figlio sono riflessi in molte discipline e istituzioni delle religioni giudaiche, e le generano. Dopo Freud si può rifiutare la religione come un patetico tentativo di perpetuare e dotare di significato cosmico i dilemmi dell'infanzia oltre il loro periodo di pertinenza. Si può anche trovare un significato più alto nella religione come decisiva e fondamentale espressione della precarietà umana. Freud pensava di aver trovato la chiave intellettuale per la comprensione psicologica delle origini della religione. La dottrina contemporanea può solo parzialmente condividere la sua affermazione. Tuttavia è difficile andare avanti nella psicologia della religione senza appoggiarsi a lui.

 

 

 

 

 
 
 
 
 

Note dell'autore:

(1) David Bakan ha seguito le tracce del ruolo del misticismo ebraico nella formazione e nelle idee dominanti della carriera psicoanalitica di Freud. Cfr. il suo Sigmund Freud and the Jewish Mystical Tradition, Van Nostrand, New York, 1958. Cfr. Earl Grollman, Judaism in Sigmund Freud's World, Appleton-Century-Crofts, New York, 1965; cfr. Richard L. Rubenstein, "Freud and Judaism: a Review Article", Journal of Religion, vol.47, n.1, Gennaio 1967.

(2) Cfr. Sigmund Freud, Moses and Monotheism, trad. Katherine Jones, Vintage Books, New York, 1955, pagg. 117 e segg. Trad. it.: Mosé e il Monoteismo, Pepe Diaz, Milano, 1952. L'opinione di Freud sul carattere nevrotico della religione ha trovato eco in molti suoi seguaci. Cfr. Theodore Reik, Dogma and Compulsion: Psychoanalytic Studies of Religion and Myth, trad. Bernard Miall, International Universities Press, New York, 1951; Reik, Myth and Guilt, George Braziller, New York, 1957, pag. 381; Hanns Sachs, "The Transformation of Impulses Into Obsessional Ritual", American Imago, Febbraio 1946, pagg. 67-74; Karl Abraham, Clinical Papers and Essays on Psychoanalysis, a cura di Hilda Abraham, trad. Hilda Abraham e D.R. Ellison, Basic Books, New York, 1955, pag. 138.

(3) Cfr. Freud, The Future of an Illusion, trad. W. D. Robinson, Liveright Publishing Corp., New York, 1949. Trad. it.: "L'avvenire di un'illusione", in Il disagio della civiltà ed altri saggi, Boringhieri, Torino, 1971.

(4) "Infatti, secondo la nostra opinione, il complesso di Edipo è il nucleo effettivo della nevrosi, e la sessualità infantile, che culmina in quel complesso, è la vera determinante della nevrosi". Sigmund Freud, "A Child is Being Beaten", in CP, vol. II, 188-189. Cfr. Freud, "Notes on a Case of Obsessional Neurosis", in CP, vol. III, 345; Freud, "Obsessive Acts and Religious Practices" in CP, vol. II, 25-35.

(5) Freud, Totem and Taboo, trad. James Strachey, W. W. Norton & Co., New York, 1962, pagg. 146 e segg., e Freud, Moses and Monotheism, pagg. 101 e segg.

(6) Freud, Totem and Taboo, pagg. 125 e segg.

(7) Stranamente Freud non sottolinea il sacrificio infanticida e il pericolo sacrificale del primogenito, sebbene ci sia molto materiale su questo soggetto. Cfr. Bakan, op. cit., pagg. 59-60, 210-213, 219. Theodore Reik, Ritual: Psychoanalytic Studies, trad. Douglas Bryan, Hogarth Press, Londra, 1931, pagg. 70 e segg. Erich Wellisch, Isaac and Oedipus, Routledge & Kegan Paul, Londra, 1954, pagg. 17-23.

(8) Freud, Moses and Monotheism, pag. 127. Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego, The Hogarth Press & The Institute of Psychoanalysis, Londra, 1959, pagg. 54-60; trad. it.: "Psicologia delle masse e analisi dell'Io", in Il disagio della civiltà, op. cit.

(9) Cfr. Bruno Bettelheim, Symbolic Wounds, The Free Press, Glencoe, Ill., circoncisione come surrogato pars pro toto dell'intero organo virile. Tuttavia, cfr. D. Schendler, "The Signature of Pain", in Psychoanalysis, vol. 2, n. 3, Winter, New York, 1954. L'articolo di Schendler è una recensione critica di Bettelheim. Cfr. Freud, New Introductory Lectures, W. W. Norton & Co., New  York, 1933, pagg. 120-121 (trad. it. in Introduzione allo studio della Psicoanalisi, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1947); e Freud, An Autobiographical Study, W. W. Norton & Co., New York, 1952, pag. 129. Cfr. Hermann Nunberg, Problems of Bisexuality as Reflected in Circumcision, Imago Publishing Co. Ltd., Londra, 1949, per una riesposizione del punto di vista freudiano.

(10) Freud allude alla sua teoria del delitto primitivo come "mito scientifico" in Group Psychology and the Analysis of the Ego, pag. 112.

(11) Freud, Totem and Taboo, pagg. 141 e segg.

(12) Cfr. Freud, Moses and Monotheism, pagg. 102 e segg.

(13) Cfr. Bettelheim, op. cit. pagg. 144 e segg. Norman O. Brown, Life Against Death - The Psychoanalitic Meaning of History, Vintage Books, New York 1959, pagg. 121 e segg. (trad.: La vita contro la morte, Adelphi, Milano, 1964). Cfr. Erich Fromm, The Forgotten Language, specialmente pagg. 196 e segg., Grove Press, New York 1951. L'interpretazione data da Fromm alla leggenda di Edipo è particolarmente interessante.

(14) Freud, Totem and Taboo, pag. 143.

(15) I fratelli parricidi mentiscono a se stessi negando il delitto primitivo. Essi sono colpevoli di mala fede nel senso in cui Sartre usa questo concetto. Cfr. Jean-Paul Sartre, Being and Nothingness - An Essay on Phenomenological Ontology, pagg. 47 e segg.

(16) Cfr. Sartre, The Flies, trad. Stuart Gilbert in No Exit, Vintage Books, New York, pagg. 126 e segg. Ed. originale Les Moudres, Gallimard, Paris, 1943.

(17) Freud, op. cit., pag. 143.

(18) Cfr. Ernest Jones, The Life and Work of Sigmund Freud, Basic Books, New York 1955, vol. III, 367; trad. it.: La vita e l'opera di Freud, vol. III, Il Saggiatore, Milano, 1962.

(19) Freud, op. cit. pag. 147.

(20) Freud, op. cit., pagg. 133 e segg.

(21) Freud, op. cit., pagg. 126 e segg.

(22) Cfr. Richard L. Rubenstein, After Auschwitz,  pagg. 104 e segg.

(23) Graham Greene, The  Hearth of the Matter, Viking Press, New York, 1948.

(24) Freud, op. cit. pag. 146.

(25) Cfr. Freud, The Most Prevalent Form of Degradation in Erotic Life, in CP, vol. IV, 203 e segg. Trad. it. in La vita sessuale, Boringhieri, Torino, 1970.

(26) Freud, Moses and Monotheism, pagg. 113 e segg.

(27) Freud, op. cit., pagg. 148 e segg.

(28) Freud, Totem and Taboo, pag. 154.

(29) Cfr. Freud, loc. cit.

(30) Margaretta K. Bowers ha discusso l'accusa di profanazione dell'ostia dal punto di vista della psicoanalisi. Ella ha scritto la più appassionata e penetrante spiegazione della psicodinamica dell'Eucaristia che io conosca. Cfr. il suo Conflicts of the Clergy, pag. 51.

(31) Bowers, op. cit.

(32) Cfr. Reik, Ritual, pagg. 105 e segg.

(33) Cfr. Bettelheim, op. cit., pagg. 46 e segg., 105-114, 128-133. Cfr. Freud, New Introductory Lectures, W. W. Norton & Co., New York, 1933, pagg. 120-121: "Abbiamo congetturato... che, nei primi tempi della famiglia umana, la castrazione fosse realmente eseguita sul bambino dal padre geloso e crudele e che la circoncisione, che è un elemento così frequente nei riti della pubertà, ne sia una traccia facilmente riconoscibile".

(34) Cfr. Calvin S. Hall, A Primer of Freudian Psychology, Mentor Books, New York, 1954, pagg. 109 e segg. (trad. it.: Breviario di psicologia freudiana, Astrolabio, Roma, 1970).

(35) Freud, "The Infantile Genital Organization of the Libido" in CP, vol. II, 244-49 (trad. it. in La vita sessuale, citato). Freud, "Some Psychological Consequences of the Anatomical Distinction Between the Sexes", in CP, vol. V, 186-197 (trad. it., ibidem). Freud, "Female Sexuality", in CP, vol. V, 252-272 (trad. it. ibidem).

(36) Reik, Mystery on the Mountain, Harper & Brothers, New York, 1959, pagg. 167-170. "Nella vita collettiva Dio corrisponde a un Super-Io deificato proiettato nel mondo esterno" (pagg. 167 e segg.).

(37) Freud, The Ego and the Id, W. W. Norton & Co., New York, 1960, pagg. 21 e segg.

(38) Freud, "Analysis of a Phobia in a Five-Year-Old Boy", in CP, vol. III, 149-289 (trad. it. in Casi clinici, Boringhieri, Torino, 1952). Cfr. Freud, Totem and Taboo, pagg. 128-132.

(39) Cfr. Brown, Life against Death, pagg. 126 e segg.

(40) Freud, New Introductory Lectures, pag. 222.

(41) Cfr. Bettelheim, op. cit., pag. 132. Per Bettelheim il passaggio dal giudaismo al cristianesimo, avvenuto con l'eliminazione della circoncisione, è dovuto al fatto che il "Dio minaccioso, castrante" del giudaismo assume "gli elementi supplementari di un Cristo tenero e amoroso", pag. 137. Freud vedeva l'angoscia di castrazione come una radice dell'antisemitismo. Egli suggerì che la circoncisione è provocata dalla paura che i pagani avevano della castrazione che si credeva essere stata praticata dal padre primitivo in un remoto passato. Moses and Monotheism, pag. 116.

(42) Freud, Totem and Taboo, pag. 149. "Non so suggerire a che punto di questo processo di sviluppo possano trovar posto le grandi dee-madri, che forse hanno preceduto gli dei-padri".

(43) Bettelheim, op. cit., pagg. 132 e segg.

(44) Questo è specialmente evidente nell'opera di Theodore Reik. Decisivo per la sua analisi del significato psicoanalitico delle leggende concernenti Eva è un midrash che afferma che Eva fu creata dalla "parte pudica dell'uomo, perché, anche quando egli è nudo, quella parte rimane coperta". Questa tradizione appare in BR 80.5 nell'edizione Theodor-Albeck. Non è l'edizione corrente. Reik cita quella tradizione come se citasse la fonte rabbinica. In realtà cita il sommario di Ginzberg in The Legends of the Jews, vol. I, pag. 66. Se avesse controllato la fonte, si sarebbe reso conto che l'espressione di Ginzberg "la parte casta del corpo" è una circonlocuzione. In questa tradizione la fonte suggerisce con forza che Eva è creata dal pene di Adamo. Per tutta la trattazione dei temi ebraici Reik si affida, poco criticamente, a fonti secondarie. Per la sua trattazione della tradizione che abbiamo citata, cfr. il suo The Creation of Woman, George Braziller, New York, 1960, pag. 39.

(45) Cfr. Jacob Arlow in The Annual Survey of Psychoanalysis, vol. II, 553.

(46) Erik H. Erikson, Young Man Luther, W. W. Norton & Co., New York, 1958.

(47) Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego, pagg. 54 e segg. Totem and Taboo, pag. 139, nota 1.

(48) Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego, pagg. 54 e segg.

(49) Patrick Mullahy, Oedipus: Myth and Complex,  Grove Press, New York, 1955, pagg. 30-50.

(50) Freud, "Female Sexuality" in CP, Vol. V, 252-272.

(51) Freud, The Ego and the Id, pagg. 40-44. La diade madre-figlio è la matrice da cui traggono origine tutte le relazioni interpersonali. Cfr. René A. Spitz, The First Year of Life, International Universities Press, New York, 1965, pagg. 296 e segg. (trad. it. : Il primo anno di vita, Armando, Roma, 1973).

(52) Brown, op. cit., pag. 124.

(53) Cfr. Marie Langer, Maternidad y Sexo, Editorial Nova, Buenos Aires, 1951, riassunto in The Annual Survey of Psychoanalysis, vol. II, 645-653; Emilio Servadio, "Le Role des Conflits Pre-Oedipiens", in Revue Française de Psychanalyse, Vol. 18, 1-45; René A. Spitz, "Genèse des premières relations objectales: Observations directes sur le nourisson pendant sa premiere année", in Revue Française de Psychanalyse, vol. 18, 479-575; P. J. van der Leeuw, "The Preoedipal Phase of the Male", in The Psychoanalytic Study of the Child, International Universities Press, New York, 1958, vol. XIII, 352-374; Ruth M. Brunswick, "The Preoedipal Phase of the Libido Development", in The Psychoanalytic Quarterly, vol. IX, 239-319;  Otto Fenichel, The Psychoanalytic Theory of Neurosis, W. W. Norton & Co., New York, 1945, pagg. 83 e segg. (trad. it.: Trattato di psicoanalisi, Astrolabio, Roma, 1951); Freud, "Female Sexuality", in CP, vol. V, 252-272; Brown, op. cit., pagg. 119 e segg.

(54) C. G. Jung, The Archetypes and the Collective Unconscious, Pantheon Press, New York, 1959, Bollingen Series, XX, 75-110; Jung, Two Essays on Analytic Psychology, Meridian Books, New York, 1956, pagg. 120, 241; Erich Neumann, The Origins and History of Conscioussness, Pantheon Books, New York, 1954, Bollingen Series, XLII, 39-101; Erich Neumann, The Great Mother, Pantheon Books, New York, 1955, Bollingen Series, XLVII, specialmente pagg. 89-210; Joseph Campbell, The Masks of God: Primitive Mythology  , Viking Press, New York, 1959, 313-333. Un rilievo analogo apparve più tardi negli scritti di Otto Rank ed Erich Fromm. Cfr. Fromm, The Forgotten Language, pagg. 195-235, e Rank, "Forms of Kinship and the Individual's Role in the Family", in The Myth of the Birth of the Hero and Other Writings, a cura di Philip Freund, Vintage Books, New York, 1959, pagg. 298-315.

(55) Cfr. Bettelheim, op. cit., pag. 137. Norman O. Brown, Love's Body, Random House, New York, 1966, pagg. 209-215 e segg. (trad. it.: Corpo d'amore, Il Saggiatore, Milano, 1971).

(56) Jung, Modern Man in Search of a Soul, Harcourt Brace, New York, 1933, pag. 122.

(57) Peter J. R. Dempsey, Freud, Psychoanalysis and Catholicism, Henry Regnery, Chicago, 1956, pag. 45.

(58) Jung, loc. cit.

(59) Victor H. White, God and the Unconscious, Meridian Books, Cleveland, 1961, pag. 45.

(60) Freud, Civilization and Its Discontents, The Hogarth Press, London, 1930, pag. 21 (trad. it. in Il disagio della civiltà, cit.).

(61) La madre di Freud aveva novantacinque anni quando morì nel 1930. A quel tempo Freud ne aveva settantacinque. Nelle migliori analisi i problemi che sorgono dai primi incontri del paziente con la madre sono i più difficili da risolvere. Freud si era auto-analizzato. Settantacinque anni non erano un'età che gli potesse permettere di indagare sul significato della vita e della morte di Amalie Freud per il suo proprio sviluppo.

(62) Freud, The Problem of Anxiety, trad. di Henry A. Bunker, W. W. Norton & Co., New York, 1936.

(63) Freud, Beyond the Pleasure Principle, trad. di James Strachey, Boni & Liveright, New York, 1924.

(64) Freud, The Ego and the Id.

(65) Arlow, op. cit., Renato Almansi in The Annual Survey of Psycho-analysis, Vol. IV, 355; S. Tarachow in op. cit., The Annual Survey of Psychoanalysis, Vol. II, 567.

(66) Cfr. Ernest  F. Jones, The Life and Work of Sigmund Freud, Vol. II, 69 e segg. (trad. it. cit., vol. II).

(67) Cfr. Jones, op. cit., Vol. III 186; Edward Glover, Freud or Jung?, Meridian Books, Cleveland, 1956, pagg. 150 e segg.

(68) George Foote Moore, Judaism, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1927, 3 voll.; R. Travers Herford, The Pharisees, Macmillan, Londra, 1924.

(69) Il particolare valore di Childhood and Society di Erikson sta negli interrogativi che egli si pone circa le culture che ha studiato, piuttosto che in un pedissequo tentativo di imporre le categorie di Freud ad altre culture. Cfr.  Clyde Kluckhohn, "The Influence of Psychiatry on Anthropology in America during the Past One Hundred Years", in One Hundred Years of American Psychiatry,  a cura di Gregory Zilberg e J. K. Hall, Columbia University Press, new York, 1944. Cfr. margaret Mead, "Some Relationships between Social Anthropology and Psychiatry" in Dynamic Psychiatry, a cura di Franz Alexander, University of Chicago Press, Chicago, 1952.

 

 

 

 

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