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        E' DECEDUTA SUSAN SONTAG (1933-2004)

   

"Every work  of art can be looked upon as a certain handling of the ineffable (...) interpretation is the revenge of the intellect upon feeling" (Susan Sontag).

 

30.12.2004 

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Questo il messaggio di 'error' che questa mattina compariva sullo schermo del computer digitando l'indirizzo www.susansontag.com .

 

 

Susan Sontag si è spenta il 28 dicembre a New York, al Memorial Sloan Kettering, dove era ricoverata per una leucemia. Proprio l'esperienza vissuta alle prese con un'altra patologia oncologica, un cancro al seno contro cui aveva lottato negli anni 70, è alla base di uno dei suoi libri più conosciuti "La malattia come metafora" (1978). Quando alla Sontag fu comunicata quella diagnosi "La mia prima reazione fu il terrore, ma non è del tutto un'esperienza brutta sapere che dovrai morire". In quel libro vennero studiate le metafore con cui la cultura occidentale ha approcciato malattie sociali come la tbc, nell'800, o il cancro, nel '900.  <<My subject is not physical illness itself but the uses of illness as a figure or metaphor. My point is that it is not a metaphor, and that the most truthful way of regarding illness--and the healthiest way of being ill--is one most purified of, most resistant to, metaphorical thinking>> (p. 3). Nel 2002, la Sontag proseguì questo filone di ricerca, pubblicando "Aids and its metaphors". Ci sono delle intuizioni sullo 'stigma sociale' connesso a certe malattie che in "La malattia come metafora" possono interessare anche il campo delle malattie mentali: la Sontag sottolineava come , da un punto di vista sociale, lo stigma faccia apparire una persona meno 'umana'. Il cancro, ad es., è culturalmente associato al male ed al concetto che colui che se ne è ammalato abbia avuto la 'colpa' di indulgere in comportamenti a rischio. Ciò vale anche per l'AIDS. Ma lo stigma viene usato ed accettato socialmente anche quando le sue 'origini' (ad es. i comportamenti a rischio) non sono ben definibili: è il caso dei disturbi psicotici. Questi solo perché sono indesiderabili possono far sì che chi ne soffra si senta insicuro e rifiutato dagli altri.

Il concetto di 'stigma' viene connesso, nell'opera della Sontag, a quello di 'controllo sociale della malattia'. E' il mito del controllo che fabbrica la colpa, la vergogna, e l'umiliazione che la gente avverte quando diventa cronicamente malata o permanentemente disabile. 'Demistificare le metafore', o meglio de-mitizzare le concezioni che la società costruisce intorno alla malattia, è l'intento programmatico del suo libro, che l'autrice spiega con queste parole:

"As long as a particular disease is treated as an evil, invincible predator, not just as a disease, most people with cancer will indeed be demoralized by learning what disease they have. The solution is hardly to stop telling cancer patients the truth, but to rectify the conception of the disease, to demythicize it" (pp. 6-7).

Pur non essendosi mai occupata direttamente di psichiatria e di psicoanalisi, nella sua pur sterminata bibliografia che comprende oltre 17 libri tradotti in 32 lingue, e pur avendo scritto tra le sue prime opere "Freud: the mind of the moralist" (1959, con Philip Rieff), ha scritto opere che hanno influenzato psicologi, psichiatri, psicoanalisti. Intanto il concetto di 'metafora è stato indagato nel campo psicoanalitico in una gran quantità di lavori, anche rifacendosi all'opera della Sontag (cfr. Donald L. Carveth, "The Analyst's metaphors: A Deconstructionist perspective, 2004). Anche in  "Against interpretation and other essays" (1968) è dato cogliere qualche riferimento alla psicoanalisi. Si tratta di saggi che spaziano tra campi difformi e disomogenei tra di loro: filosofia, sociologia, religione, psicoanalisi, estetica, ecc. A proposito di estetica, proprio in questa raccolta di saggi (in "Notes on Camp, 1964) si trova per la prima volta il concetto di "così brutto che è quasi bello", applicato alle produzioni della cultura di massa. La sua bibliografia comprende saggi e pubblicazioni che concernono campi davvero variegati, 

dal cinema (fu regista anche di un film, alla fine degli anni '60), teatro (scrisse su Ionesco, su Sartre, ma anche curò la pubblicazione di scritti di Artaud, "Selected Writings", New York, Farrar, Straus & Giroux, 1976)), danza (su Balanchine) e letteratura (scritti su Simone Weil, Albert Camus, Walter Benjamin, Roland Barthes). A quest'ultimo ha dedicato una delle sue più importanti opere ("A Barthes Reader", 2000) di critica sull'opera del semiologo francese. Il riferimento a Barthes per la Sontag fu uno strumento culturale imprescindibile nelle sue analisi sul senso dell'opera artistica. <<I read, I receive (and probably even first and foremost) a third meaning — evident, erratic, obstinate. I do not know what its signified is, at least I am unable to give it a name, but I can see clearly the traits, the signifying accidents of which this —consequently incomplete — sign is composed. >> (Sontag 2000, 318)  Questo scriveva a proposito dello scritto di Barthes "The third meaning", in cui il semiologo francese prendeva spunto dall'immagine di Ivan il Terribile.

Inutile, infine, ricordare le battaglie civili e l'impegno politico di questa donna straordinaria. Dalle battaglie contro la guerra in Vietnam (dove si recò nel 1968), agli appelli negli anni '90 perchè le potenze occidentali intervenissero nei Balcani per bloccare le aggressioni della Serbia, alle manifestazioni di solidarietà in favore delle popolazioni di Sarajevo, città nella quale lavorò nella produzione teatrale di un "Aspettando Godot" di Beckett. Uno degli ultimi libri da lei pubblicati era dedicato alla fotografia di guerra ed agli orrori che tutte le guerre inevitabilmente comportano.

 

G.L.


 

 

Editor : Giuseppe Leo

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