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   "MUSICA MAESTRO!"

" Paesaggi alpini".

di Alessio Visentin

 

 
 

 

                                             


 

 

 

Freud era una grande viaggiatore, soprattutto durante i mesi estivi, e raggiungeva molte località turistiche interessanti sotto vari aspetti: culturali, storici, paesaggistici. Questa sera ci soffermeremo su quest’ultimi. I luoghi alpini sono i preferiti da Freud.

Freud amava profondamente la montagna (Jones, 1953, vol. 2, p.32) e l’escursionismo anche se non lo si può definire un vero e proprio alpinista. Per Freud la montagna è parte integrante della sua 'Weltanschauung' (concezione dell’universo). Pensa che la gioia del bel paesaggio sia indispensabile alla vita stessa dell’uomo. Annota a 53 anni:”Ieri dopo aver trascinato le mie stanche ossa ancora una volta su per il pendio di una montagna - dove la natura con la regia più semplice, con rocce bianche, prati di rododendri rossi, una macchia di neve, una cascata e tutto questo molto verde, produce un effetto così grandioso – ho stentato a riconoscere la  mia persona

      Freud va in vacanza spesso con la famiglia. La famiglia Freud è composta da Sigmund, la moglie Martha, i figli Martin, Mathilde, Oliver, Ernst, Sophie, Anna. Immancabile è la cognata Minna Bernays  che vive con loro. La moglie Martha, presa dalle occupazioni di casa, difficilmente può allontanarsi per lunghi periodi. Freud quando è lontano dalla moglie, colto dallo scrupolo che sia ingiusto godere di esperienze così piacevoli senza di lei, spedisce a Martha quasi giornalmente una cartolina o un telegramma e (ogni tanto) delle lunghe lettere. Quando la famiglia non può spostarsi, dato che Freud aborrisce viaggiare da solo, si sceglie solitamente un compagno ( di solito il fratello Alexander oppure un amico e collega di lavoro).

Le vacanze estive sono freneticamente attese dall’intera famiglia e vengono organizzate con cura. Occorre la massima serietà: spesso Freud comincia a prendere accordi già all’inizio della primavera per trovare la località di villeggiatura più adatta, il villino più pittoresco delle Alpi.

L’intera famiglia lascia Vienna in giugno. A volte  Freud raggiunge i famigliari qualche settimana dopo. Il suo arrivo costituisce il momento più saliente della vacanza. Dopo il periodo di quiete (in sua assenza) comincia la vera vacanza: progetti, idee, pensieri, tutti attorno a lui che coordina le attività da fare, e c’è un gran da fare: escursioni, arrampicate, la ricerca dei funghi, la raccolta di lamponi e fiori, il tutto in un paesaggio alpino incontaminato e dolce.

Ma non è tutto qui; chi conosce quell’intrepido “escursionista di paesaggi interiori” che in estate cammina su e giù per le montagne (Freud non amava l’auto e preferiva camminare piuttosto che andare in carrozza) sa bene che nemmeno in villeggiatura abbandona le letture; il maestro fa nuovi studi in solitudine, nella quiete e nel silenzio del paesaggio attorno. Qui la vacanza si coniuga con il lavoro e attribuisce ad esso una insolita piacevolezza, che indurrà Freud a pensare e a scrivere alcune delle sue opere più interessanti, tanto che non posso fare a meno di pormi una domanda: il bel paesaggio dolomitico e del Trentino come fonte ispiratrice?

Sappiamo già delle doti non comuni di Freud nell’usare i vari linguaggi settoriali come metafora per esprimere altro rispetto a ciò che letteralmente dicono; ne è un esempio la neurologia usata da Freud (nel 1895) per scrivere il “Progetto per una psicologia” e quindi per inventare (codificare) la psicoanalisi e scoprire  l’inconscio. Potremo dire che in quell’opera di “neurologico” c’è solo il linguaggio, la spiegazione in termini di processi organici delle manifestazioni psicologiche; in realtà è una metafora riuscitissima della nuova scienza: la psicoanalisi, appunto.

Nella varie lettere e cartoline che Freud quasi giornalmente invia ad amici, familiari, colleghi dai luoghi montani di villeggiatura si evince quale interesse egli provi per questi luoghi.

Perché non pensare quindi al susseguirsi di dolci pendii, dossi, valli, austeri picchi, fonti minerali, riserve d’acqua inesauribili, freschi zampilli, fiori selvatici, colorata vegetazione, verdi radure fra folti boschi, luoghi impervi, inaccessibili, come agli elementi di un linguaggio estetico che, per via associativa, produce quella spinta, quel lavorio interiore, quel rigoglio di pensieri, spesso inconsapevole, che nella mente del maestro trova naturale sbocco, naturale meta in uno scritto, in un’opera fondamentale alla comprensione del misterioso ed enigmatico animo umano?

Bisogna comunque sempre ricordare che le vacanze montane rappresentavano sia un momento in cui Freud cambiava completamente stile di vita, sia il periodo adatto alla riflessione,  riorganizzazione e sintesi di lavori o di intuizioni avute durante il duro lavoro nel suo studio a Vienna. Il “paesaggio paradisiaco” delle Alpi sembra essere quell’elemento idoneo per rielaborare un’idea o portare a termine la gravidanza ed il parto di qualche scritto.

Ma c’è un altro paesaggio alpino. Quello caratterizzato dalle tradizioni, dalle usanze, dalle opere e dai monumenti locali, a cui Freud presta molta attenzione.

         Freud era solito trascorrere le vacanze in costume tirolese: pantaloni corti con vistose bretelle ed un cappello verde con un ciuffetto di 'Gamsbart' da una parte. Completavano l’equipaggiamento un solido bastone e, quando pioveva, una pelosa mantella da alpino. Più tardi tutto ciò fu sostituito  da un paio di pantaloni alla zuava o da un sobrio abito grigio da passeggio.

 Ma quali sono i luoghi che Freud sceglie per le sue vacanze? Va via da Vienna, perché fa troppo caldo, verso le frescure dei monti: le Alpi orientali (allora Sud Tirolo).

Ci racconta Martin (il figlio di Freud) nel suo “Sigmund Freud, uomo e padre": <<I progetti che la famiglia aveva architettato per le vacanze estive del 1906 erano alquanto ambiziosi: ci saremmo allontanati da Vienna più di quanto non fosse accaduto prima, e ciò per un duplice motivo: sia perché ci saremmo sistemati in un paese di montagna all’estremo sud del Tirolo, a Lavarone, sia perché probabilmente la nostra sarebbe stata la prima famiglia viennese a trascorrere colà le vacanze. Mathilde, mia sorella, mi ha spiegato il motivo per cui nostro padre scelse questo posto e mi raccontò una storia forse un po' sentimentale ma sicuramente vera. Or dunque, un amico dello zio Alexander, anch’egli ebreo di Moravia e coetaneo di nostro padre, era un poeta di grande talento ma di scarsa fortuna, che abitava in un modesto alloggio ed era gravemente ammalato. Un giorno nostro padre, insieme a Mathilde, gli fece visita proprio quando era così grave che ormai non gli restava molto da vivere. Durante la conversazione fra i due, il poeta esclamò in tono melanconico: “Se solo potessi per una volta ancora rivedere il citiso in fiore a Lavarone!” Nostro padre chiese dove si trovasse Lavarone, e il poeta improvvisò di quel paesino una descrizione così toccante che da allora Mathilde non poté  mai più scordare quelle parole >>.

  Nel 1900 Freud arriva a Lavarone, da Trento, dopo aver visitato l’incantevole castello di Toblino, per una strada di montagna “di una bellezza fantastica”. Avendo però trovato colà un clima piuttosto freddo, torna sul lago di Garda, a Riva da dove visita (a Sirmione) le rovine della “villa di Catullo”, fa anche varie gite sul lago in battello.   In   una   lettera   inviata  alla  famiglia decanta i magnifici boschi di conifere, la solitaria posizione sul lago, il paesaggio “paradisiaco”.        Nel 1906 Sigmund Freud ritorna a Lavarone con la famiglia per un lungo soggiorno (due mesi).  Freud ha una predilezione per questo luogo di montagna e da questo paesino la famiglia Freud si incammina lungo dolci sentieri per allegre escursioni sui monti circostanti, per gite verso pittoresche mete come Caldonazzo, Sirmione, il lago di Garda, Molveno, Trento. Anche l’anno successivo Freud torna a Lavarone, poi nel 1912 è a San Cristoforo sul lago di Caldonazzo (vicino a Lavarone), nel 1913 è a San Martino di Castrozza, dove “la sera è stupenda e l’aria inebriante come lo champagne!” A Lavarone poi  ritornerà nel 1923.

Ma è durante il soggiorno del 1906 a Lavarone nei “giorni solatii” della vacanza “all’aria aperta” che nasce (cioè: viene ideato e scritto) un prezioso lavoro: "Il delirio e i sogni nella 'Gradiva' di Wilhelm Jensen". Questo studio freudiano prende in esame la novella di Wilhelm Jensen pubblicata con il titolo “Gradiva, una fantasia pompeiana”. Freud deve essere stato attratto da questa novella per il fatto di presentare il protagonista, un archeologo (tale Norbert Hanold) immerso in un mondo dove realtà, delirio, fantasia, attrazione e sogno trovano modo di fondersi e distinguersi. Egli, il protagonista, viene attratto fortemente da un bassorilievo marmoreo di un museo di Roma dove vi è l’immagine di una fanciulla (Gradìva, appunto) nell’atto di avanzare, di incedere con una grazia naturale, semplice e virginea che pareva donare vita al marmo stesso. L’archeologo comincia a fantasticare sulle possibili origini della fanciulla, la sua discendenza, i luoghi e i tempi in cui può essere vissuta paragonandola quasi ad una divinità. In un sogno angoscioso , dove si trova a Pompei il giorno dell’eruzione, la scorge camminare frettolosamente. Dopo qualche tempo l’archeologo si reca a Pompei quasi senza volerlo e lì nell’ondata di luce pomeridiana, in uno strano stato oniroide, scorge Gradiva nel suo incedere leggero, la incontra, ci parla. Comincia a pensare  di trovarsi in uno stato di follia. La novella termina con il riconoscimento che Gradiva in realtà è una fanciulla che egli conosce molto bene, l’amica del vicino di casa, compagna di cui si era innamorato.

La riscrittura che Freud compie della fantasia pompeiana è strettamente psicoanalitica, benché presentata in una versione da far invidia a qualsiasi analista e poeta. L’arte di Freud, narratore, consiste nella particolare sua capacità di far vivere tutta la nascosta vita interiore dei personaggi di cui si occupa, che (in questo caso) sono personaggi creati dalla fantasia altrui.

A Lavarone le letture e gli studi si alternano alle escursioni fra i monti.  Il figlio Martin ha descritto con un fine stile letterario una disgraziata escursione in cui accompagnò il padre durante quel soggiorno. Alle quattro pomeridiane del 14 agosto lasciarono Lavarone e percorsero i trenta chilometri che li separavano da Caldonazzo, da dove presero il treno per Trento. Lì trascorsero il resto del pomeriggio ammirando i monumenti e specialmente la Cattedrale. Freud illustrò al figlio quindicenne, avido si sapere, le particolarità stilistiche ed i riferimenti storici dei vari edifici. Dopo la frescura alpina che li aveva accompagnati nella discesa, l’aria di Trento sembrava soffocante e i tentativi di addormentarsi non erano certo favoriti dai continui canti sotto le finestre: il padre non riuscì a dormire che un’ora e il figlio non chiuse occhio per nulla. Al mattino seguente, però, imperterriti, (e senza nemmeno far colazione) partirono per un ambizioso giro. L’intenzione era di valicare il Monte Gazza e di scendere a Molveno allo scopo di vedere se quest’ultimo si sarebbe prestato alla villeggiatura per l’anno seguente. Proseguirono per Cadina, dove si fermarono a far colazione, si lasciarono alle spalle Terlago, ne costeggiarono il lago fino a Covello e poi attaccarono la salita. Ora, bisogna sapere che il Monte Gazza è una montagna particolarmente riarsa, senza la minima ombra, né vena d’acqua. In circostanze favorevoli un buon camminatore può valicarla in sei ore, ma tentare una simile impresa ad agosto sotto il sole dardeggiante, significa trascurare completamente le condizioni locali e le conseguenze che apportano.  Dopo un po' Martin, che procedeva faticosamente in testa, si accorse che suo padre non lo seguiva più, e, dopo una breve ricerca, lo trovò accasciato su un masso, sotto un basso cespuglio. Freud era “purpureo in volto, quasi violaceo” e non fece altro gesto che per chiedergli da bere. Il figlio, ben allenato a risparmiare le osservazioni superflue, non gli chiese neppure se si sentisse male, ma si limitò a tendergli il fiasco del Chianti. Suo padre era talmente mal ridotto che si attaccò al fiasco, senza neppure ricorrere al bicchiere di alluminio che portava in tasca e giunse ad una tale dimenticanza delle convenzioni, che si slacciò il colletto e si tolse la cravatta. Un simile provvedimento era tanto fuori dal comune che suo figlio comprese tutta la gravità della situazione. Per il resto, l’abituale calma di Freud non subì altri insulti. Dopo un momento di riposo il malessere, che probabilmente era dovuto ad un colpo di calore, passò. I Freud decisero saggiamente di rimandare l’ascensione a giorni migliori e tornarono sui loro passi fino a Terlago dove trovarono una carrozza che li ricondusse a Trento.

I ritratti ufficiali di Freud lo presentano come un uomo austero e riservato, un intellettuale distaccato dalle cose di questo mondo. Ma va ricordato che egli posava cercando di farsi riprendere con molta cura. Qualche sua immagine, invece,  colta dai parenti, come in quest’ultima escursione descritta dal figlio, lo rivela intensamente umano. Freud mancava completamente  di senso di orientamento e non riusciva mai a trovare la strada giusta. I figli raccontano che nelle sue lunghe passeggiate rimanevano allibiti vedendolo prendere la via del ritorno in direzioni assolutamente assurde. Egli ne era però perfettamente conscio e si affidava subito alla loro guida.                                 Benché Freud prendesse grandi precauzioni per trovare il treno giusto, arrivando alla stazione con irragionevole anticipo, non era raro che riuscisse ugualmente a perdere il bagaglio o a spedirlo in direzioni errate. Altri ritratti ce lo rendono a volte ardente a volte triste, molto triste. 

Questi episodi “fuori controllo”, questa disgraziata escursione, questa tristezza, sono forse le tracce di qualche al di là del piacere? Possiamo lasciare insoluto questo interrogativo e procedere oltre.

Qualche anno dopo, a Pasqua del 1911, Freud compie una fugace gita nei dintorni di Trento e Bolzano, per trovare una felice sistemazione per le vacanze estive. Le ricerche danno eccellenti risultati.

 Così, il 9 luglio Freud raggiunge la famiglia a Collalbo, un paesino dell’altopiano del Renon, nell’Alto Adige, non molto lontano da Bolzano, dove il 14 settembre 1911 i coniugi Freud festeggiano le nozze d’argento. La gioia della vacanza si accende di affetti e amore.

Anche qui non mancano le escursioni, le lunghe camminate e le immancabili ricerche di funghi di fine estate che ci danno un Freud più vicino agli affetti familiari, ad una benevola dedizione ai figli, in un ruolo paterno di guida e in qualche misura anche ludico.

Scrive ancora Martin, il figlio maggiore, che nella rituale ricerca dei funghi assieme ai figli, Freud andava sempre a fare una ricognizione. Si fingeva di entrare nella foresta senza fare il minimo rumore, senza chiacchierare, con la borsa attentamente arrotolata sotto il braccio e tutto questo  perché i funghi non fossero avvertiti (del suo arrivo). Prosegue Martin: “Quando aveva trovato un punto buono, mio padre vi conduceva la sua piccola truppa, disponendo i giovani soldati a intervalli, poi facendoli avanzare in ordine sparso come una sezione di fanteria ben addestrata che attacchi attraverso i boschi. Fingevamo di cacciare una selvaggina leggera quanto inafferrabile; c’era un concorso per nominare il miglior cacciatore. Nostro padre vinceva sempre”. Dopo questa manovra d’attacco, Freud sembrava mimare una scena primitiva precipitandosi su un bell’esemplare che subito copre col suo cappello tirolese. Fa prigioniero il fungo, poi lancia un segnale di vittoria con un fischietto d’argento che trae dalla tasca del gilet. Di fronte ai suoi figli, complici del suo piacere, leva il copricapo ed esibisce la palla bruno chiara. In queste occasioni riusciva ad essere veramente fanciullesco.

In questo soggiorno Freud ha sicuramente l’occasione di leggere alcune delle leggende che numerosissime fioriscono lungo i pendii dei monti, sul Renon. Le guglie, i pinnacoli, i torrioni, i campanili hanno sempre acceso la fantasia popolare su castelli incantati, magiche dimore, esseri misteriosi, gnomi e giganti, cavalieri e folletti, re e regine. Le fiabe narrano di spiriti che si radunano in luoghi di incantesimi e malie, frequentati da streghe malvagie che, la notte, danzano col diavolo e insieme ordiscono sortilegi e riti sacrificali.

E’ in questo clima che Freud, in vacanza a Collalbo, scrive gran parte di “Totem e Tabù”, una delle sue opere fondamentali nella quale si  muove, anche con un intento sperimentale, fra i tabù, l’ambivalenza emotiva, l’orrore dell’incesto, l’animismo, la magia e l’onnipotenza dei pensieri. E’ uno studio sulla storia delle religioni, è peraltro un tentativo di far luce sull’origine delle comunità primitive e sulla preistoria individuale.

Il 20 agosto 1911 Freud scrive a Jung:”Voglio rimanere in questo posto di una bellezza tutta particolare fino al 14 settembre. Da quando le mie energie mentali si sono risvegliate, lavoro in un campo nel quale Lei sarà sorpreso di trovarmi

In un’altra lettera a Ludwig Binswanger  precisa:”La frequenza delle immagini del Signore Iddio qui in Tirolo, più numerose di quanto non fossero i Signori Pellegrini fino a poco tempo fa, mi ha spinto a studi religioso-psicologici, da cui forse qualcosa verrà alla luce. Dopo la pubblicazione non sarò certamente più ammesso in Tirolo.

Con più precisione , “Totem e Tabù” è un lavoro iniziato da lontano. In una corrispondenza del febbraio 1911 Freud anticipa a Jung: ”Da alcune settimane sono gravido del seme di una grande sintesi che vorrei partorire in estate; a questo fine ho bisogno di un posto in cui possa essere solo e di un bosco nelle vicinanze.” Il luogo sarà appunto Collalbo.

Lavarone, Collalbo, ma anche San Cristoforo sul lago di Caldonazzo, il lago di Garda, Trento, Bolzano, San Martino di Castrozza e numerose altre località delle nostre Alpi hanno attirato l’attenzione e l’interesse di Freud e ne hanno ricevuto da lui un grande ri-conoscimento, nel senso etimologico di un conoscere di nuovo dell’altro, qualcos’altro. Riprendendo la frase finale del ritornello della Gilbert potremmo dire che Freud arrivava molto vicino a quel “certo non so che” d’altro.

Siamo dunque tornati al discorso fatto precedentemente circa il procedimento conoscitivo metaforico di Freud. Tale ri-conoscimento traspare chiaramente nelle lettere, nelle cartoline, nelle confidenze ad amici, e quindi, se mi concedete questo sentimentalismo, perfino, vorrei dire,  poeticamente, nelle sue opere.

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Cheloni R. (2006). Ambiente e ambiente psichico. Estratto dagli Atti e Memorie dell’Ateneo di Treviso. Anno accademico 2004/2005

 

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Jones E. (1953). The Life and Work of Sigmund Freud. Basic Books, Inc., New York. (tr.it. Vita e opere di Sigmund Freud. Il Saggiatore, Milano 1962)

 

 

Marchioro F. (1990). Passi di sogno. Edizioni U.C.T. Trento 1990

 

 

 

 

 

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