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Socrate

Divergenza come ricerca di un nuovo sapere 

  

Tentare una lettura teoretica della domanda socratica significa cercare di capire in che senso, in che modo, essa ancora profondamente ci riguardi. Come essa abbia aperto, con la sua "alterità" (o divergenza) rispetto alla cultura del tempo (e anche al di là degli specifici intenti di Socrate), quel cammino culturale dal quale tutti noi siamo ancora segnati (in quanto pensiamo e parliamo a partire da esso), e come ne abbia - al contempo - chiusi ed esclusi altri.  

In questo senso, la lettura che si tenta è una lettura a sua volta filosofica in senso stretto, poiché indugia sulla domanda. E l'essenziale dello sguardo filosofico sta proprio nell'attitudine interrogativa. 

Quanto alla ragion d'essere di tale lettura, essa sta nella convinzione che la chiave della comprensione - di un pensiero, di una visione del mondo, di un'epoca - si possa trovare nelle domande da questi poste, molto più che nelle risposte poi fornite. 

Perché le domande sono traduzioni umane, storiche, dell'appello rivolto all'uomo dall'esperienza, che ci parlano ad un tempo di quell'appello (facendoci intuire le forme d'esperienza che lo possono aver generato) e del modo in cui, in un determinato contesto, è stato possibile "rispondere" ad esso, prima di tutto formulando certe domande (sicché le specifiche risposte a quelle domande non sono poi che risposte di "secondo grado"). 

 

 

Nel caso di Socrate, la lettura teoretica prima di tutto pone in risalto l'"alterità" della domanda fondamentale che egli poneva ai suoi interlocutori. 

Il che cos'è? era una domanda che non poteva trovare riposta, dentro i confini del sapere esistente. 

Non vi erano sapienti in grado di rispondere, semplicemente perché si trattava di una domanda "inaudita", almeno nel modo in cui Socrate la formulava. E cioè: non all'interno di discorsi lunghi e ammaliatori (come quelli dei Sofisti), ma all'interno di una dialettica stringente: "discorsi brevi, fatti di battute corte e veloci, volte ad obbligare l'avversario a risposte precise" (Abbagnano-Fornero, 1999).

Nell'Apologia (il dialogo platonico in cui si racconta che l'oracolo di Delfi aveva indicato in Socrate il più sapiente di tutti gli uomini), Platone fa dire a Socrate: "Andai dagli uomini politici e misi alla prova la loro sapienza; andai dai poeti e misi alla prova la loro sapienza; andai dagli artigiani, e tutti mi apparvero come tali che credevano di sapere ma non sapevano realmente". 

L'uomo politico infatti non ha la "scienza" politica, ma governa in base alle opinioni, in base all'indulgenza verso i desideri delle masse, cercando di sollecitare i piaceri della gente, e quindi non secondo principi rigorosi. 

Il poeta è poeta per ispirazione divina, e non perché sa quello che poeta, mentre l'artigiano, sì, ha una sua esperienza, nel senso che sa costruire una nave o un ponte e via dicendo, però, dal fatto di sapere queste cose, presume di conoscere anche le questioni più generali. 

Così conclude Socrate: "Forse l'unico senso in cui il responso del dio può essere vero è che mentre gli altri credono di sapere ma non sanno, io almeno una cosa la so: so di non sapere; e questo sapere di non sapere è appunto quella sophía, quella sapienza, che mi attribuisce la divinità".

Dunque, questo non sapere è superiore al sapere tradizionale, "irriflesso", proprio in virtù del suo essere invece "riflesso". Che vuol dire cosciente, consapevole. 

Consapevole sia dell'oggetto che conosce sia dell'atto di conoscere del soggetto conoscente, e - ancor prima - della loro distinzione (soggetto/oggetto).

 

In estrema sintesi... 

La domanda posta da Socrate circa qualunque argomento in discussione (che cos'è la giustizia? che cos'è la virtù? che cos'è il bene? che cos'è il bello? ecc.), metteva in crisi il dialogante e lo spogliava dalle formule acriticamente accettate, e poi lo conduceva verso una definizione soddisfacente dell'argomento trattato, che permettesse un accordo linguistico e concettuale tra le menti.

Tutto ciò non comportò una semplice innovazione, ma una vera e propria svolta epocale, consistente nel passaggio dai saperi di tipo "partecipativo" (cioè caratterizzati dalla convinzione irriflessa di poter conoscere/raggiungere/consumare il proprio oggetto) ai saperi di tipo "oggettivante" (che volontariamente "sospendono" la partecipazione, per porre l'oggetto a una distanza tale da assicurarne l'osservazione "disincantata"): filosofia, e poi storia, scienza. 

 

E probabilmente tutto ciò nacque come traduzione culturale delle potenzialità offerte da una nuova forma di scrittura: quella alfabetica greca, che - per la prima volta - permise di trascrivere il discorso orale in modo tale da renderne possibile l'esatta riproduzione, a distanza di tempo e in diversi contesti culturali. 

Fissando il discorso in una forma definitiva, indipendente dal narratore e dalla sua interazione col pubblico, quella scrittura fece sorgere l'idea stessa di identità (l'identità che la definizione intende cogliere).

Garantendo contro la perdita del patrimonio culturale (per la conservazione del quale erano precedentemente impegnate tutte le energie mentali), quella scrittura liberò in dosi massicce energie mentali, che divennero disponibili per compiti di innovazione e sperimentazione intellettuale, fino ad allora inibiti.

Ma questo discorso è un'altra via laterale che qui ci limitiamo ad accennare. 

Perché lungo la via principale che abbiamo seguito, ci siamo nel frattempo imbattuti nella parola che sembra racchiudere in sé quel nostro "destino culturale" che col domandare socratico si è venuto a delineare. La parola è, ovviamente, "sospensione". Estraniazione.

 

La filosofia nel suo apparire "sospende": 

sospende le evidenze sensibili, le cosmogonie mitiche, i culti dionisiaci. 

E così facendo pone il soggetto "puro", cioè caratterizzato dal puro pensare, dall'indagine disinteressata (nel senso di: interessata solo al sapere). 

 

Nasce in tal modo lo spirito critico - che afferma i diritti dell'obiezione, della ragione, della critica. 

Nasce in tal modo l'antidogmatismo  - che afferma la libertà di ricerca, di indagine.

Come sottolinea Giannantoni l'atteggiamento di Socrate verso la divinità è in questo senso molto eloquente: egli non le riconosce la ragione perché è divinità. Semmai, le riconosce prestigio e sacralità, perché in base al proprio esame, riconosce che in quanto ha detto c'è una ragione (Socrate tra mito e storia).

 

Resta una domanda da porsi: cosa comporti questo atteggiamento critico; che ricadute abbia sul nostro modo di entrare in rapporto con la vita, e di pensarla. 

 

In apparenza, l'indagine pura procede verso 

"la Verità" dell'oggetto (la risposta definitiva al che cos'é?). Ma poiché questa Verità risulta poi inattingibile, la ricerca non ha mai fine, e l'oggetto viene sempre più distanziato: come sottolinea Sini, la sospensione è l'unica "pratica" che nella nostra cultura non si può sospendere.

E infatti sia l'atteggiamento scientifico che quello storiografico (che da quello filosofico sono nati, per quanto possano esserne ignari, e possano tentare di definire se stessi in opposizione alla filosofia), hanno messo in atto la medesima strategia di pensiero, disponendo il proprio oggetto d'indagine all'infinito, sotto il segno di una perfettibilità infinita.

La storiografia lo ha fatto distanziando l'oggetto nel passato, separandolo dal presente per ricostruirlo oggettivamente; la scienza lo ha fatto distanziandolo nel futuro, come ciò cui ci si potrà infinitamente approssimare, grazie al metodo (Carlo Sini, La tradizione del pensiero).

Ma per entrambe valgono ancora parole di Spinoza: 

 

"Non piangere, non ridere, ma intendere".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui dovremmo indicare le opere di Socrate, ma Socrate non scrisse nulla!

Naturalmente ci sono numerose fonti antiche che ci permettono di conoscerlo, 

per quanto risultino talvolta tra loro contraddittorie. 

Le principali sono:  Aristofane (Le Nuvole), 

Policrate (Accusa contro Spcrate), Aristotele e soprattutto Platone. 

I due primi periodi dell'attività filosofica di Platone sono infatti dedicati all'illustrazione 

e alla difesa dell'insegnamento di Socrate, contrapposto a quello dei Sofisti. 

Tra i dialoghi platonici più significativi in questo senso:

 Apologia,

Critone,

Protagora,

Gorgia.

 

Ma la possibilità di conoscere Socrate attraverso queste opere non deve farci dimenticare il fatto che egli, pur avendo dedicato l'intera esistenza alla filosofia, non scrisse nulla: 

 "E' questo indubbiamente il più gran paradosso della filosofia greca. Non può trattarsi di un fatto casuale. Se Socrate non scrisse nulla, fu perché ritenne che la ricerca filosofica, quale egli la intendeva e praticava, non poteva essere condotta innanzi, o continuata dopo di lui, da uno scritto (...) 

Lo scritto può comunicare una dottrina, non stimolare la ricerca, l'esame incessante di sé e degli altri"

 (Abbagnano-Fornero)

 

 

I motivi della sfiducia socratica nei confronti della scrittura si possono trovare adombrati nel Fedro di Platone, nelle parole che il re degli Egizi rivolge all'inventore della scrittura: 

"Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza ma la presunzione della sapienza".

...Il che è tra l'altro una grande attestazione di fiducia nei confronti che quella oggi chiameremmo pedagogia della mediazione. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per chi si volesse inoltrare ulteriormente lungo questa strada, doppiamente paradossale (dal momento che mette in luce come il pensiero socratico rispondesse alla trasformazione culturale indotta da quella scrittura che egli coscientemente svalutava), ecco alcune interessanti tracce da seguire: 

E.T. Hall, 

Il linguaggio silenzioso, Milano, Bompiani, 1969,

E.A. Havelock, 

Dalla A alla Z. Le origini della civiltà della scrittura in occidente, Genova, Il Melangolo, 1987,

H.M. McLuhan, La galassia Gutenberg. Nascita dell'uomo tipografico, Roma, Armando Ed., 1976,

W.J. Ong, 

Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino, 1986,

P. D'Alessandro, 

Il linguaggio della scrittura, Milano, Cuem, 1990, 

C. Sini, 

Etica della scrittura, Milano, Il Saggiatore, 1992.

 

 

 

Per approfondire la lettura teoretica di Socrate:

C. Sini,

La tradizione del pensiero, Milano, Cuem, 1990. 

e naturalmente quasi tutta l'opera di Nietzsche.

 

Per approfondire la conoscenza di Socrate:

 numerosissime opere!

Ricordiamo quindi solo i testi qui citati, nelle bibliografie dei quali si potranno trovare molti altri riferimenti.

Abbagnano-Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, Paravia, Torino, 1999,

G. Giannantoni, Socrate tra mito e storia, 28/10/1997, in Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, www.filosofia.rai.it,

H. Maier,

Socrate. La sua opera e il suo posto nella storia, La Nuova Italia, Firenze, 1978.

 

 

 

 

 

 

 

 

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