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Anche il pensiero divergente ha i suoi maestri:

Socrate

Divergenza come ricerca di un nuovo sapere 

 

Hegel vede in Socrate un individuo "cosmico-storico", ossia uno di quei personaggi che chiudono e aprono un'epoca, condensandola in sé, e lasciando alla storia un messaggio imperituro. 

E non è certo l'unico a pensarla in questo modo. 

Sono numerosissime le testimonianze che, in ogni epoca, dall'antica Grecia ai giorni nostri, presentano Socrate come "uno di coloro che non sono vissuti solo per la loro età e per il proprio popolo, né soltanto per qualche secolo, ma che conserveranno la loro importanza finché ci saranno uomini" (H. Maier, Socrate. La sua opera e il suo posto nella storia, La Nuova Italia, Firenze, 1978). 

 

Il mito-Socrate deve probabilmente molto anche all'uccisione di questo filosofo - che la sua epoca trovò divergente al punto da condannarlo a morte, per le sue idee e per il suo insegnamento. 

L'accusa che gli venne mossa fu principalmente quella di empietà/ateismo (che per gli antichi non significava tanto non credere negli dèi, quanto rifiutarsi di compiere quegli atti di culto che facevano della religione una precisa funzione politica della città) - e, conseguentemente, quella di corrompere i giovani con gli insegnamenti impartiti. 

La difesa di Socrate consistette nell'esaltazione del compito educativo che si era assunto nei confronti degli Ateniesi.

La scelta di Socrate, quando giunse infine la condanna a morte, fu quella di non sottrarsi ad essa (come facilmente avrebbe potuto fare), ma di testimoniare con il sacrificio della vita la piena fedeltà ai suoi princìpi teorici. 

Tutto ciò ne ha appunto fatto "il primo martire del pensiero occidentale e della sua esigenza di porsi come libera ricerca", e ha fatto del suo nome, "attraverso i tempi (...) un appello alla salvaguardia dell'autonomia dell'intellettuale nei confronti del potere" (Abbagnano-Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, Paravia, Torino, 1999).

 

 

Naturalmente vi sono retroscena storico-politici che spiegano la condanna di Socrate. 

Dato però il ruolo cruciale rivestito da questo filosofo non solo nella filosofia greca, ma nell'intera storia culturale dell'Occidente, si può tentare anche una lettura teoretica del significato di tale condanna (che sancì appunto l'"alterità" di Socrate, rispetto alla sua epoca e rispetto a una cultura di carattere ancora prevalentemente mitico). 

Tale lettura - caratterizzandosi come "domanda sulla domanda" (ossia interrogandosi sul significato profondo della domanda fondamentale di Socrate: tì ésti? che cos'è?) - permette di sottolineare come dal modo socratico di interrogare gli interlocutori sia scaturita, per la prima volta, la definizione (cioè la determinazione, la delimitazione esatta del significato di parole o concetti): qualcosa che prima non esisteva.

Qualcosa che, allora, invalidò le altre forme di pensiero, e che, ancora oggi, a distanza di secoli (e di innumerevoli trasformazioni storico-culturali), è alla base della nostra mentalità, anche grazie al peso che ha assunto nell'indagine scientifica. 

Ma non solo. 

La lettura teoretica, applicata alla domanda socratica, permette anche di indagare il "progetto culturale" che essa portava - non del tutto consapevolmente - con sé (e così ci offre una chiave per meglio comprendere la portata rivoluzionaria del pensiero di Socrate). 

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Nietzsche

Divergenza come inattualità  

 

Nelle sue Considerazioni inattuali (Einaudi, Milano, 1981), Nietzsche svolge una critica radicale della cultura e dell'apparato educativo della sua epoca, capaci solo di produrre "filistei": uomini di scienza utilizzabili il più presto possibile, eruditi che interpretano la verità come convenzione e possesso, invece che come ricerca e disvelamento

L'università stessa non è altro, a suo parere, che la fabbrica del sistema della cultura "attuale", che addestra i giovani per gli scopi dell'epoca: "Essi devono lavorare nella fabbrica delle utilità generali prima di essere maturi, anzi perché non diventino affatto maturi - in quanto questo sarebbe un lusso che sottrarrebbe una quantità di forze al mercato del lavoro." 

A questo modello Nietzsche oppone una pedagogia dell'inattualità, che insegni ai giovani come combattere lo spirito del tempo (in altre parole, che insegni loro a divergere). 

"State attenti, - dice Emerson, - quando il gran Dio fa venire sul nostro pianeta un pensatore. Allora tutto è in pericolo. E' come se in una grande città sia scoppiato un grande incendio e nessuno sa sicuramente che cosa sia e come andrà a finire (....). Tutte le cose che in quel momento sono care e preziose per l'uomo, lo sono soltanto in base alle idee che sono salite sul loro orizzonte spirituale e che sono la causa dell'attuale ordinamento delle cose. Un nuovo grado di cultura sottoporrebbe istantaneamente a un rovesciamento l'intero sistema delle aspirazioni umane". Ma, allora, se pensatori del genere sono pericolosi è ben chiaro il motivo per cui i nostri pensatori accademici sono innocui; perché i loro pensieri crescono così pacificamente nella tradizione (...). Diogene obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: "Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?" Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia delle università: "Non ha mai turbato nessuno". Ma questo è certo più l'elogio di una vecchia comare che di una dea della verità (...).

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Heidegger

Filosofia come divergenza  

 

Il problema del senso e del valore del filosofare nel mondo attuale è posto con particolare lucidità e profondità da Martin Heidegger. 

 

In un mondo dominato dalla tecnica, dall'esplorazione e dallo sfruttamento scientifico dei singoli settori dell'essente, si tende a parlare fin troppo facilmente di "fine della filosofia", in senso negativo, come cessare, venir meno di un processo; come decadimento e impotenza. 

Come se la filosofia, e l'approccio conoscitivo al mondo che rappresenta, potessero semplicemente essere liquidati, in quanto ormai privi di utilità, ossia di effetti immediati, e perciò anche di necessità. 

Come se la ricerca di una  conoscenza globale, non settoriale, opponendosi alla razionalizzazione tecnico-scientifica che domina l'epoca attuale (e risultando perciò profondamente divergente) non potesse che essere bollata come "irrazionale", e di conseguenza condannata.

 

Ma - dice Heidegger - il diramarsi della filosofia nelle scienze non è necessariamente da considerarsi come l'esaurimento di tutte le possibilità di pensiero (e se è una "fine", lo è non in un senso puramente negativo, ma nel senso del "compimento" di un cammino). 

Perché la stessa scienza, la stessa tecnica devono essere pensate. E non è un pensiero scientifico, settoriale, che le può pensare, che può interrogarsi sul senso e l'origine del progetto - di conoscenza e asservimento del mondo - da esse propugnato. 

E non solo: fino a che la Ratio, il razionale, non vengono interrogati in ciò che è loro proprio, anche parlare di irrazionale è senza fondamento.

 

Perciò, come leggiamo in Tempo ed essere (Guida Editori, Napoli, 1987): "Tutti noi abbiamo ancora bisogno di un'educazione al pensiero e, prima ancora di questo, di un sapere di ciò che nel pensiero significa educazione e non educazione. Su questo ci dà un cenno Aristotele nel IV libro della sua Metafisica (1006 a ss.). Esso suona:

E' in verità assenza di educazione non avere occhio per ciò in riferimento a cui è necessario cercare una prova e ciò per cui non lo è." 

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Storielle yiddish                           

Divergenza, perché no?  

 

Scrive Ovadia, nelle prime pagine del libro Perché No? (Bompiani, Milano, 1996): "Il titolo nasce da una sotriella ebraica fra le più classiche. Ma ha un significato che si protende ben al di là di quello della semplice storiella.

Un gentile, cioè un non ebreo, domanda a un ebreo: Perché voi ebrei rispondete sempre a una domanda con una domanda?

E l'ebreo: E perché no?

Perché questa storiella per me è estremamente importante? Perché muove una questione centrale nell'ebraismo: la domanda. 

(....) Essere umano è colui che sa porre domande. Non chi dà risposte, ma chi sa porre domande. Poiché chi pone domande apre alla produzione di senso, apre al futuro (...). La domanda sollecita una risposta anche su questioni già apparentemente chiuse: si trova sempre una nuova domanda." 

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Del resto mi è odioso tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immedia-

tamente 

la mia attività.  

Goethe

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Divergiamo Insieme?

Socrate

Divergenza come ricerca di un nuovo sapere

Nietzsche

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Heidegger

Filosofia come divergenza

Storielle yiddish

Divergenza, perché no?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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