Tesi di Laurea - L'Acquacoltura in Italia - Autore: Gianluca Paniccia

II. I PRODOTTI ITTICI IN EUROPA E NEL MONDO

1. IL PESCE PER L'ALIMENTAZIONE DEL MONDO

Secondo la Fao, oltre 120 milioni di persone nel mondo dipendono dalla pesca per tutto o parte del loro reddito, con una netta prevalenza nei paesi più poveri del globo: ciò significa che in molti paesi la produzione ittica è essenziale per l'apporto di proteine animali e per le entrate di valuta estera attraverso le esportazioni.

Figura II.1: contributo delle proteine ittiche sul totale di proteine animali (1987-89)

Fonte: FAOSTAT

La Fao stima che le proteine di origine ittica costituiscano l'85% del totale di proteine animali nel Ghana, il 79% nel Congo, il 72% nello Zaire, il 60% nelle Filippine, il 61% in Indonesia; tra i paesi industrializzati solo la Corea (61%) e il Giappone (49%) hanno dei rilevanti apporti proteici da pesca e acquacoltura.

2. PRODUZIONE

La produzione mondiale da pesca e acquacoltura è arrivata nel 1995 a quasi 113 milioni di tonnellate ai quali andrebbero aggiunti 8 milioni di tonnellate di alghe, portando il totale a 120 milioni.

Tabella II.1: produzione ittica mondiale (pesca + acquacoltura) nel 1995

Fonte: FAO (1997)

Mentre la pesca sfrutta quasi esclusivamente le risorse marine, l'acquacoltura si concentra soprattutto sulle acque interne, con gli allevamenti che coprono il 66% della intera produzione in acque dolci. Rispetto al 1990 il tasso medio annuo di crescita della pesca è stato appena dell'1,5% mentre l'acquacoltura ha proceduto ad un tasso dell'11% annuo, conquistando 6 punti percentuali sul totale del pescato. Già nel 1990 la produzione mondiale di pesce (alghe escluse) era stata di 98 milioni di tonnellate, quasi 5 volte superiore a quella del 1950 (19,77 milioni di tons); addirittura 6 volte era cresciuta la produzione in acque interne per effetto dell'acquacoltura. Nell'ultimo decennio le catture in acque marine si sono attestate sulle 80 milioni di tonnellate mentre nelle acque interne (senza l'acquacoltura) sono ferme a circa 7 milioni.

Figura II.2: andamento produzione ittica mondiale (pesca + acquacoltura)

Fonte: FAO (1996)

Il prodigioso incremento della pesca è stato stimolato da due ragioni principali: la crescente domanda di pesce (per l'alimentazione e per altri usi) connessa alla esplosione demografica mondiale e la scomparsa di vincoli tecnologici all'attività di pesca, esercitata ormai da potenti pescherecci dotati di larga autonomia, celle frigorifere per lo stoccaggio del pescato a bordo e sofisticati mezzi di scansione delle acque.

Ogni anno circa il 70% del pesce catturato viene destinato alla alimentazione umana: nel 1994 il 26% è stato consumato fresco, il 22% congelato, il 10% salato o affumicato, il 12% conservato. Il restante 30% del pescato è destinato al trattamento industriale per fare oli e mangimi.
 Nel corso dei decenni è aumentata l'incidenza dei consumi industriali sul totale (dal 24% al 30%) mentre nell'ambito dell'alimentazione il prodotto fresco sta gradualmente sostituendo quello salato e affumicato. I consumi alimentari pro-capite sono passati dai 9 Kg. del 1960 agli 11 del 1980 fino agli attuali 13 chilogrammi.

Tabella II.2: destinazione dei prodotti ittici nel mondo (quantità in migliaia di tonnellate)

Fonte: Fao (1991) e ISMEA (1996)

Il futuro della pesca non appare certo: imbarcazioni e flotte sempre più grandi e tecnologicamente avanzate, l'inquinamento e i frequenti disastri ambientali, hanno creato una pressione insostenibile per le risorse naturali. Molte specie (ISMEA, 1996) sono completamente sfruttate (il 44% dello stock censito dalla FAO), sovra-utilizzate o addirittura in via di estinzione: ciò provoca crisi di produzione, periodi di forzata inattività, variazioni notevoli nelle catture da un anno all'altro (con gravi perturbazioni sull'andamento dei prezzi).

Attualmente il maggior produttore mondiale (ISMEA, 1997) è la Cina con 20,7 milioni di tonnellate, seguita dal Perù con 11,6 , dal Cile con 7,2 e dal Giappone con 6,7; i primi 10 paesi producono il 65,6% del totale mondiale. Le specie maggiormente catturate sono l'acciuga del Cile (11,9 milioni di tons), il merluzzo dell'Alaska e il sugarello cileno. In termini assoluti i mari più pescosi sono il Pacifico nord-occidentale (28% del totale), il Pacifico sud-orientale (22%) e l'Atlantico nord-orientale (12%) ma in relazione alla sua dimensione anche il Mediterraneo è uno dei mari più produttivi. Le ultime due aree costituiscono la principale fonte di produzione per la pesca dei paesi dell'Unione Europea, rispettivamente contribuendo per il 70% e il 12%.

Nel 1995 la produzione totale in acque marine e interne, acquacoltura compresa, ha superato nell'Unione Europea gli 8 milioni di tonnellate, equivalente a circa il 7,2 % della produzione mondiale; il 12,6% proviene da allevamenti, i quali, tra il 1988 e il 1995 hanno avuto un tasso di crescita medio annuo dell'1,7 % contrapposto ad un calo della catture dell'1,2 %, a ulteriore prova dell'importanza acquisita dall'acquacoltura nel nostro continente. Il maggiore produttore comunitario resta la Danimarca con quasi 2 milioni di tonnellate di prodotti ittici, per la quasi totalità frutto di catture in mare, nonostante una flotta composta da appena 5.300 imbarcazioni contro le 19.000 della Spagna e le 16.400 dell'Italia.

Nella Unione Europea le catture da pesca sono giunte a 7 milioni di tonnellate, metà della quali realizzate dai primi tre paesi.

La Grecia (21% sul totale delle imbarcazioni), Spagna (20%) e Italia (17%) sono i paesi con la flotta più numerosa anche se in termini di stazza la Spagna (34%) sopravanza nettamente l'Italia (12,5%) e tutti gli altri paesi; in generale le flotte pescherecce europee hanno una spiccata prevalenza di piccole imbarcazioni (il 76% non supera le 25 tonnellate di stazza lorda) con una elevata età di esercizio (il 32% supera i 25 anni), a scapito quindi dell'efficienza e della economicità (ISMEA, 1996).

Tabella II.3: produzione ittica nei paesi dell'Unione Europea nel 1995, quantità in migliaia di tonnellate

Fonte: nostra elaborazione su dati FAO (1997)

3. SCAMBI COMMERCIALI

Nel 1994 le esportazioni di prodotti ittici hanno superato i 47,2 miliardi di US$ contro i 17,2 miliardi del 1985, con una netta prevalenza del pesce fresco, refrigerato e congelato sia in quantità (46%) che in valore (41%) seguito, in termini di valore, da crostacei e molluschi (33%) e prodotti di pesce e preparati (10%) e, in quantità da farine e mangimi (23%). Nell'ambito del pesce il 56% del valore è costituito da pesce congelato, il 22% da fresco, il 15% da filetti congelati (rispettivamente 40, 28 e 19 percento in valore). Il maggior esportatore mondiale è la Tailandia con un fatturato di 4,2 miliardi di US$, seguita da Stati Uniti d'America, Norvegia e Danimarca. Tra i paesi importatori, i primi 11 cumulano un valore di 41 miliardi di dollari pari al 79% mondiale: dietro a Giappone (31%) e USA (13%), vi sono 8 paesi della Unione Europea e la Cina (compresa Hong Kong). Dal 1991 al 1994 Giappone (+33%) e Cina (+49%) sono i paesi che hanno fatto segnare il tasso di crescita più elevato per le importazioni. Aggregando i paesi per continente, nel 1993 avevano una bilancia commerciale in attivo l'Asia senza Giappone (+8,5 miliardi di US$) e il Sud America (+3,3) mentre Giappone (-13,4) e Unione Europea (-5,6) registravano il deficit più elevato.

Per soddisfare la domanda interna, l'Unione Europea nel 1994 ha importato dall'estero 4,3 milioni di tonnellate (equivalente a metà della sua produzione) per un valore complessivo di 7.830 milioni di ECU (circa 15.000 miliardi di lire), con una prevalenza di pesci freschi, refrigerati e congelati (3.051 milioni di ECU) e di molluschi e crostacei non in conserva (2.151 milioni di ECU). Tra i maggiori importatori di prodotti ittici figurano Francia (2.393 milioni di ECU), Spagna (2.208), Germania (1.959) e Italia (1.898) che occupano i posti dal terzo al sesto a livello mondiale con un peso del 20% sul totale mondiale dell'import. Le esportazioni invece sono nettamente inferiori, pari a 1,53 milioni di tonnellate per un valore di 1.660 milioni di ECU, per la metà procurato da pesce fresco o refrigerato.

I maggiori esportatori sono Danimarca (2.029 milioni di ECU) e Olanda (1.215), gli unici paesi, insieme all'Irlanda, ad avere una bilancia commerciale ittica in attivo.

Peraltro solo l'Irlanda ha un bilancio positivo negli scambi con paesi non-UE mentre Danimarca, Olanda, Regno Unito, Irlanda e Grecia hanno degli attivi commerciali intra-comunitari: questa situazione, seppur con valori differenti, è stata confermata in tutti gli ultimi 5 anni .

Italia e Francia sono i paesi con il peggiore saldo nella bilancia commerciale, nell'ordine dei 1.600 milioni di ECU, la metà dei quali dovuti a scambi interni all'Unione Europea.

Secondo la FAO, nel triennio 1991-93 la disponibilità di alimenti ittici pro-capite nell'Unione Europea è stata di 22,6 Kg./anno, stazionaria rispetto al triennio precedente: l'Italia, è in leggera crescita e ormai ha raggiunto la media comunitaria, pur restando lontana dai consumi del Portogallo (quasi 60 chili a persona) e della Spagna.

Figura II.3: consumo (disponibilità) pro-capite di prodotti ittici nell'Unione Europea

Fonte: ISMEA (1996 e 1997) su dati FAO

 

4. IL RUOLO DELL'ACQUACOLTURA

A livello mondiale l'acquacoltura copre ormai oltre il 18% dell'intera produzione di organismi acquatici: in 10 anni ha raddoppiato il suo peso percentuale (da 8,3 % a 18,5%) e il suo valore assoluto (da 6,94 milioni di tonnellate a 18,55) con un incremento medio annuo dell'11%.

Figura II.4: andamento della produzione mondiale da acquacoltura

Fonte: ISMEA (1997) su dati FAO

Particolarmente importante è stato lo sviluppo dell'allevamento in acque interne, passato da 4,5 milioni di tonnellate alle 13,2 del 1995: attualmente 2 chili su 3 di pesce d'acqua dolce provengono da allevamenti. Anche il prodotto marino d'allevamento è triplicato in 10 anni, pur rimanendo appena il 6% sul totale delle catture e la metà di quanto realizzato nelle acque interne. Il maggiore produttore mondiale è la Cina con 12,8 milioni di tonnellate nel 1995, seguita dall'India (1,6 milioni), Giappone (820mila), Indonesia (611mila), Tailandia e Stati Uniti d'America. I primi 5 paesi cumulano l'80% dell'output globale. La Francia e la Norvegia sono i primi due paesi europei (al decimo e undicesimo posto) con 281 mila tonnellate.

Se invece della quantità, indicative del potenziale apporto proteico dell'acquacoltura, si utilizzasse il valore della produzione, indicativo del reddito che procurano, i valori cambiano notevolmente. La Cina, ad esempio, copre il 57% della produzione mondiale ma in valore raccoglie solo il 32%, al contrario del Giappone che ha il 3,9 % in quantità ma l'11,6% in valore. Più in generale è evidente che l'Asia, maggiore produttore mondiale, è orientata su specie commercialmente povere ma capaci di soddisfare la richiesta di cibo per la popolazione, mentre in altri continenti, tra i quali Europa e Sud America, si punta più sull'allevamento di crostacei e pesci marini, i gruppi più redditizi sul mercato mondiale.

Tabella II.4: composizione, per specie e continenti, della produzione mondiale da acquacoltura nel 1994 (quantità in migliaia di tonnellate, valore in milioni di dollari, prezzo medio in US$/Kg.)

Fonte: FAO (1997)

Il gruppo più allevato è quello dei pesci d'acqua dolce (carpe, tilapie) con oltre 11 milioni di tonnellate (61% del totale) seguito da molluschi (24%), pesci d'acqua dolce e salata (trote, salmoni, anguille) con il 7% e crostacei con il 6%.

Il valore unitario dei vari gruppi presenta notevoli differenze: mentre i gamberi hanno avuto nel 1994 un prezzo medio di 6,87 dollari, trote e salmoni (tipici di Europa e Nord America) hanno avuto un valore superiore ai 4 dollari per chilo mentre carpe e tilapie, ampiamente diffuse in Asia e Africa, non arrivano al dollaro e mezzo. Ciò è causato solo in parte dall'elevata offerta di queste ultime specie, ma piuttosto è legato allo scarso interesse commerciale attribuito loro dai paesi industrializzati, che restano i principali importatori di prodotti ittici.

Tabella II.5: produzione mondiale da acquacoltura per gruppi di specie nel 1994 (quantità in migliaia di tonnellate, valori in milioni di US$, prezzi medi in US$/Kg.)

Fonte: ISMEA (1997) su dati FAO

Nel 1995 la produzione da allevamento ha superato il milione di tonnellate nell'Unione Europea (allargata ai 15), pari al 12,6 % della produzione ittica complessiva: come mostrato nella Tabella II.7 l'incidenza però varia da paese a paese, in quanto alcuni hanno una spiccata propensione alla pratica dell'allevamento (Francia, Italia, Spagna), altri sono pressoché inattivi.

La composizione per quantità non appare significativamente diversa da quella per valore: gli scostamenti più evidenti riguardano la Grecia (3,2 % in quantità e 6,5 % in valore) e l'Olanda (rispettivamente 8,1 e 2,8), a causa del diverso mix produttivo realizzato nei due paesi.

Figura II.5: composizione (per quantità a sinistra, per valore a destra) della produzione da acquacoltura nei paesi dell'Unione Europea nel 1995

Fonte: nostra elaborazione su dati Fao (1997)

A differenza di quanto avviene a livello mondiale, nella Unione Europea la categoria più allevata sono i molluschi con una quota del 62% (contro il 24% mondiale), seguiti dai pesci d'acqua dolce e salata (32%), dai pesci di mare (4%) e dai pesci d'acqua dolce (3%). Leggermente differente appare l'andamento delle produzioni analizzando il trend degli ultimi anni: infatti i pesci marini (essenzialmente orate e branzini) sono passati dalle 7.100 tonnellate del 1988 alle 39.800 tonnellate attuali; i pesci d'acqua dolce e salata (trote, salmoni) sono cresciuti da 207mila tonnellate a 317mila mentre sono leggermente calati i molluschi (da 659mila a 632mila) e ancor di più i pesci d'acqua dolce (-7%).

Tabella II.6: composizione, per gruppi di specie, della produzione da acquacoltura nella unione europea (quantità in tonnellate)

Fonte: nostra elaborazione su dati FAO (1997)

In modo analogo alcuni paesi hanno realizzato notevoli exploit produttivi, in particolare la Grecia e la Francia, proprio grazie all'allevamento di orate e branzini. Ciò si è verificato anche in Spagna, ma è stato controbilanciato dal notevole calo dei molluschi, passati dalle 250mila tonnellate dell'88 alle 107mila del '95, a causa della legislazione comunitaria che richiede stringenti requisiti alle acque dedicate alla mitilicoltura, pena l'impossibilità di accedere ai mercati nazionali e internazionali. L'Italia è diventato il secondo produttore comunitario, facendo registrare un incremento considerevole della produzione (+66%, pari al 7,5% medio annuo). Buone performance sono state realizzate anche dal Regno Unito e dall'Irlanda in seguito all'introduzione del salmone atlantico.

Tabella II.7: produzione da acquacoltura nell'Unione Europea (quantità in migliaia di tonnellate)

Fonte: nostra elaborazione su dati FAO (1997)

5. LE POLITICHE DI INTERVENTO NEL SETTORE

1. A livello mondiale

La FAO ha individuato alcune priorità per lo sviluppo del settore pesca e acquacoltura nel mondo, con particolare riguardo per i paesi in via di sviluppo, nei quali è maggiormente sentita la necessità di un progresso umano e tecnologico: rafforzare la pianificazione e la gestione della pesca, supportare la pesca artigianale, espandere la produzione d'acquacoltura, incrementare il commercio di pesce e di prodotti ittici, ridurre le perdite e le inefficienze nella cattura e nei trasporti, proteggere e risanare gli ambienti acquatici, rafforzare ricerca e sviluppo, promuovere aiuti e investimenti, migliorare le risorse umane (FAO, 1991).

La volontà di gestire lo sfruttamento delle risorse del mare a livello internazionale è stata sancita nel 1982 con la Terza conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, poi tradotta nella Convenzione ONU sul diritto del mare del 16-11-94, firmata da 150 paesi, ratificata da 67 e applicata al 70% della superficie terrestre. Uno degli sviluppi più rilevanti è la normativa sulla delimitazione delle acque marittime, al di là dei limiti della acque territoriali, per lo sfruttamento delle risorse biologiche e minerali delle acque e dei fondali. Con la istituzione delle Zone Economiche Esclusive nella fascia di mare compresa nelle 200 miglia dalla costa, lo Stato costiero esercita diritti sovrani sulle risorse ivi presenti e di conseguenza può negoziare l'accesso a tali aree con le flottiglie o gli operatori di altri paesi: quasi il 95% delle catture mondiali avviene infatti all'interno della fascia di 200 miglia.

Nella Conferenza di Kyoto (FAO, 1996) nel 1995 invece la FAO ha predisposto un Codice di Condotta per una Pesca Responsabile al fine di un utilizzo sostenibile delle risorse che garantisca la sicurezza alimentare, l'occupazione e gli scambi commerciali agli abitanti del pianeta terra, attuali e futuri; il Codice ha carattere volontario, con la semplice indicazione di indirizzi generali per una gestione razionale delle risorse marine, l'espansione dell'acquacoltura, l'intensificazione delle attività di ricerca. Sempre secondo la FAO (ISMEA, 1997), ai prezzi attuali, la domanda mondiale di pesce nel 2010 per il consumo umano sarà di 110-120 milioni di tonnellate (contro le 80 attuali) mentre la pesca, se non verranno posti rimedi alla sovra-utilizzazione delle risorse e al degrado ambientale (e se questi rimedi non daranno risultati nel prossimo decennio), sarà capace di offrire tra 80 e 105 milioni di tonnellate (attualmente sono 90). Considerando anche gli usi non alimentari (circa 30 milioni di tons), la differenza dovrà essere coperta dall'acquacoltura, dalla quale ci si aspettano 27-40 milioni di tonnellate (contro i 19 milioni del 1994). E' pertanto evidente che solo nelle ipotesi più ottimistiche la offerta di pesce potrà compensare la domanda, fermi restando i prezzi ai livelli attuali.

2. A livello europeo

La Unione Europea ha avviato e sviluppato una politica comune europea sui temi della pesca e dell'acquacoltura al fine di regolamentare la gestione e lo sfruttamento delle risorse, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti ittici in una ottica unitaria. La P.C.P. (politica comune della pesca), attuata con il Reg. CEE 170/83 e il Reg. CEE 3760/92, fissa degli obiettivi che vengono perseguiti attraverso la esecuzione di iniziative strutturali (SFOP) o programmi pluriennali (POP).

Lo SFOP (Strumento finanziario di orientamento alla pesca), istituito nel 1993, è stato adottato in Italia con una delibera del CIPE che ha deciso le misure per le quali è possibile concedere contributi: rinnovo e ammodernamento della flotta, sviluppo dell'acquacoltura, gestione di zone marine protette, ristrutturazione di aree portuali, organizzazione e sviluppo per la trasformazione e commercializzazione dei prodotti ittici, adattamento agli sforzi di pesca (cessazione attività, sospensione temporanea, riorientamento). Approvato il piano settoriale e stanziati i fondi da parte della Commissione Europea, i progetti vengono valutati dagli organi ministeriali italiani.

Attraverso i POP vengono concertate le misure per il contenimento dello sforzo di pesca attraverso il ridimensionamento delle flotte pescherecce: vengono agevolate le dismissioni di vecchie imbarcazioni e la costruzione di nuove è ammessa solo previo disarmo di barche di equivalente tonnellaggio. Peraltro l'obiettivo della riduzione dello sforzo di pesca non è l'unico modo per la gestione delle risorse naturali.

Infatti nel mare del Nord e nel Baltico vengono contingentate le catture con la definizione di TAC (total allowable catches): si è però constatato che i limiti fissati sono sempre stati superiori alle catture effettive degli anni precedenti e inoltre resta irrisolta la pratica del rigetto in mare di quegli organismi non ammessi alla pesca (per specie o dimensione) e che pur non essendo computati tra le catture, sono stati distrutti (ISMEA, 1996). Le organizzazioni di categoria hanno quindi proposto altre soluzioni quali il fermo biologico in determinati periodi dell'anno, l'adozione di strumenti che consentano una pesca più selettiva e mirata (i quali appaiono più facilmente applicabili a imbarcazioni di nuova costruzione) e la restrizione dell'uso di attrezzature e tecniche dannose per gli ecosistemi, la creazione di zone di protezione.

Altri provvedimenti comunitari sono stati presi per l'organizzazione comune dei mercati, per mezzo della armonizzazione degli standard di riferimento per il miglioramento della qualità dei prodotti commercializzati (freschezza e calibrazione del peso o della taglia); i prodotti di origine comunitaria e quelli provenienti da paesi terzi possono essere immessi sul mercato solo se soddisfano le disposizioni contenute nel Reg. 2406 del 26-11-96. Altre direttive, recepite nel 1993 dall'Italia disciplinano le norme di polizia sanitaria per il commercio dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura e dei molluschi bivalvi vivi. Infine l'Unione Europea esercita in via esclusiva la negoziazione dei trattati internazionali di pesca con paesi terzi per l'accesso delle flotte comunitarie nelle acque territoriali o di esclusivo sfruttamento economico di tali paesi; gli accordi prevedono come contropartita sia aiuti finanziari sia programmi di collaborazione per lo sviluppo del settore ittico.

 

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