Introduzione: cosa significa
Au pair


Fare i bagagli, dire ciao a papà e mamma e partire per un anno (ma anche meno), diretti in un paese europeo o magari oltreoceano. Seguire un buon corso di lingua e tornare in Italia con una esperienza significativa da mettere sul proprio curriculum e in più dei bei ricordi da raccontare. Il tutto spendendo pochi soldi, e se si è fortunati neanche quelli.

Ecco, in poche parole, cosa significa Au Pair.

Il concetto è semplice. Si parte dall’Italia dopo aver contattato una famiglia residente nel paese in cui si vuole andare. Una volta arrivati a destinazione la famiglia garantisce vitto, alloggio e una paga settimanale in cambio di piccoli lavori domestici. La formula generale è questa: in pratica ci si inserisce all’interno del nucleo famigliare con gli stessi diritti, ma anche con gli stessi doveri, degli altri componenti. Alla pari, appunto. In più, bisogna dedicare un numero di ore variabili alle esigenze della famiglia. Va da sé che non si è assunti come camerieri o come facchini, e in questo senso le leggi europee parlano chiaro: "La persona collocata alla pari deve disporre di un tempo sufficiente per seguire i corsi di lingua e perfezionarsi sul piano culturale e professionale; a tale scopo verrà accordata ogni facilitazione per regolare opportunamente gli orari di lavoro". Così la Convenzione di Strasburgo del ’69.

Naturalmente esistono dei requisiti minimi da possedere per sfruttare questa opportunità, anche se spesso essi variano da situazione a situazione e soprattutto da paese a paese. Innanzitutto l’età, che tendenzialmente deve essere compresa tra i diciassette e i trent’anni. Poi bisogna avere la possibilità di rimanere all’estero per almeno un mese. Se si parla la lingua del paese ospitante è molto meglio. Altro fondamentale requisito, nella stragrande maggioranza dei casi, è quello di "saperci fare con i bambini", visto che è con loro che si dovrà dividere larga parte del tempo in famiglia. Per questo le ragazze riescono a partire come au pair con molta più facilità dei maschietti, anche se in questo senso non esiste una vera e propria pregiudiziale: "Tutti possono compiere quest’esperienza –dice Eveline Hermans, general manager di "Intermediate", una organizzazione romana che si occupa di questi programmi- il sesso non è una discriminante, anche se spesso le famiglie richiedono ragazze. La dote essenziale infatti è l’adattabilità. E del resto le incombenze sono semplici: consistono essenzialmente nell’aiutare i bambini a vestirsi, accompagnarli a scuola e da scuola a casa, intrattenerli con giochi ed altre attività. Bisogna essere in grado di preparare dei pasti semplici, sistemare la propria stanza e quella dei bambini. Bisogna anche occuparsi delle faccende domestiche collaborando alla sistemazione della casa". Attività per le quali, a causa di un noto stereotipo culturale, sono considerate più idonee le fanciulle. E se un ragazzo tutte queste cose le sa fare e vuole partire come au pair? Il segreto è quello di fare domanda con largo anticipo, dare la disponibilità per un periodo lungo e non essere troppo esigenti.

Per quanto riguarda la durata dei soggiorni, essa varia: da un minimo di un mese nel periodo estivo fino a sei mesi/un anno, specie se si seguono dei corsi di lingua che in molti casi, in particolare in America, sono a carico della famiglia. Capita anche che quest’ultima si offra di pagare, parzialmente o totalmente, le spese di viaggio, ma questo naturalmente dipende dal caso specifico.

Resta da trattare l’argomento più spinoso: come fare per trovare una famiglia disposta ad accoglierci.

Le opzioni, in generale, sono due. La prima è quella di spulciare gli annunci che periodicamente appaiono sui giornali italiani più o meno specializzati, o su pubblicazioni straniere europee, anche telematiche. La seconda consiste nel servirsi di un’agenzia che funge da intermediario. Entrambe le soluzioni presentano dei "pro" e dei "contro". In particolare, quando si parte da soli, all’avventura, bisogna mettere in conto possibili spiacevoli sorprese, visto che non sempre c’è un contratto che stabilisce i diritti e i doveri dell’au pair. È possibile, cioè, ed è successo, essere tranquillamente buttati fuori di casa dopo un litigio con il padrone. E non avere un punto di riferimento in un paese straniero in simili situazioni non è che sia proprio il massimo. Problemi di questo tipo di solito non si verificano, se non in misura minore, quando si parte con un’agenzia specializzata. Innanzitutto perché la famiglia firma un contratto. E poi perché nel paese ospitante c’è sempre un punto di riferimento per ottenere dell’assistenza, la quale, ed ecco i "contro", chiaramente va pagata. Le organizzazioni di intermediazione chiedono generalmente una commissione per il servizio che si aggira intorno alle 350 mila lire. Essa include una garanzia, che però non è mai assoluta, relativa alla serietà della famiglia di cui si è ospiti. Ed anche una serie di facilitazioni di diverso tipo.

In Italia le organizzazioni che operano nel settore sono molte e di natura diversa: si va dalle associazioni culturali ai tour operator. Noi abbiamo raccolto delle informazioni relative alle più note, di cui pubblichiamo anche gli indirizzi, con l’avvertenza che la cosa migliore da fare è sempre quella di contattarle di persona per chiedere maggiori chiarimenti. In particolare abbiamo intervistato i responsabili delle tre maggiori agenzie di Roma, da dove la nostra indagine è partita, che ci hanno spiegato le modalità del servizio da loro erogato, i costi, i compensi, le ore di lavoro, i rischi ed alcuni preziosi consigli.

Dategli un occhiata.


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