Risulta insufficiente nella lotta al cambiamento climatico, nella gestione dei rifiuti, nell’uso del suolo e la qualità dei corsi d’acqua, mentre ha migliorato il contenimento degli inquinanti che causano le piogge acide e le emissioni di sostanze precursori dell’ozono. Sono aumentate però, le aree protette e i prelievi per i controlli sulle acque potabili.

Il Ministero dell’Ambiente, tra l’altro, ha dato recentemente parere favorevole a quattro nuove centrali elettriche che produrranno circa 3.200 megawatt di potenza.

Le centrali che hanno ottenuto l’approvazione ministeriale sono quelle dell’Eni, nella raffineria di Sannazaro de’Burgundi (Pavia), Foster Wheeler a Voghera (Pavia), Sondel ad Altomonte (Cosenza) e Edison a Candela (Foggia).

I quattro decreti, già firmati dal ministro, insieme ai dieci ulteriori progetti che stanno per essere approvati, rappresentano in tutto una capacità produttiva potenziale di circa 7.500 megawatt.

Dopo il parere definitivo degli enti locali sarà emesso il decreto dal ministero dell'Ambiente. L'investimento complessivo dovrebbe attestarsi attorno ai 3.5 miliardi d’euro.

Il parere favorevole della commissione ministeriale di Valutazione d’impatto ambientale (Via), impone a tutti una serie d’impegni per ridurre l'effetto sul territorio.

 Occorre fare un' osservazione :privilegiando le centrali termoelettriche, si aumentano le emissioni di gas serra, che attualmente sono elevate, nel nostro Paese. Incrementate purtroppo, da un traffico che in Italia è eccessivo, con notevoli emissioni dei gas che causano l’effetto serra.

Sono inoltre prodotte le condizioni che producono quantità eccessive d’ozono troposferico, l’aumento del benzene nell’aria, del particolato (polveri) ed infine del rumore. Per questi motivi occorre incentivare subito la mobilità sostenibile.

Secondo i dati ANPA, nell’ultimo decennio, l’Italia è passata da 498 a 525 milioni di tonnellate di gas serra emessi in atmosfera, con un incremento del +5,2%, a fronte della riduzione a livello europeo pari al 3,5% dovuta soprattutto alla diminuzione delle emissioni in Germania ed Inghilterra.

Questo valore è però insufficiente a rispettare gli impegni previsti dal Protocollo di Kyoto che prevedevano per il continente europeo, una riduzione complessiva pari ad un valore del 5,2%, entro il 2012.

L’Italia entro giugno 2002, ratificherà definitivamente il Protocollo di Kyoto che alla fine del mese d’aprile ha avuto il parere favorevole della "Commissione esteri" insieme con quella dell’ambiente, alla Camera dei Deputati.

Dal rapporto dell’ANPA emergono inoltre altri punti negativi, tra cui l’aumento della produzione dei rifiuti pari a +9%, rispetto al 1990 (dai dati del 1999, ogni italiano ne produce ben 492 Kg, mentre il programma d’azione comunitario definisce l’obiettivo da rispettare di 300Kg a persona).

Si rileva inoltre, la presenza di ben diecimila siti contaminati da vari inquinanti, la scarsa protezione del suolo e la pressoché inesistente lotta al rumore.

Questo rapporto evidenzia inoltre che il 70% del territorio è a rischio erosione, e ad oggi sono stati spesi negli anni, migliaia di miliardi di lire per tentare di riparare i ricorrenti dissesti idrogeologici.

I problemi ambientali relativi all’inquinamento, che vi sono nelle varie nazioni industrializzate, si evidenziano in quegli Stati che accelerano lo sviluppo tecnico ed economico.

Le nazioni del terzo mondo tendono a svilupparsi sul modello consumistico occidentale, generando di conseguenza ulteriore inquinamento, con i problemi visti in precedenza.

Tra l’altro, alcuni di questi Paesi in via di sviluppo, accolgono industrie anche multinazionali, con produzioni particolarmente a rischio (che quindi, non potrebbero utilizzare per le leggi restrittive in vigore nei Paesi industrializzati). Usando inoltre, impianti rischiosi per i processi di lavorazione, oppure per la tipologia degli impianti tecnologicamente superati, obsoleti, ma che risultano economici in quel particolare contesto sociale.

In pratica, non essendo in vigore in quelle nazioni delle rigorose leggi che tutelano l’ambiente, invece di applicare le costose tecnologie moderne, utilizzano processi di lavorazione che si rivelano inquinanti.

Anni fa a Bhopal, nel cuore dell’India, un’industria multinazionale procurò un disastro ambientale in cui morirono avvelenate migliaia di persone.

Nel 1984 una nube tossica, si sprigionò dalla fabbrica di pesticidi Union Carbide, a Bhopal, uccidendo più di 16.000 persone e lasciandone quasi mezzo milione, colpite da cronici problemi di salute.

Per molte persone ormai, il disastro fa parte della storia, ma per la gente di Bhopal le sofferenze continuano. Ancora oggi tonnellate di rifiuti tossici, compresi mercurio e composti chimici cancerogeni, si trovano sparsi attorno alla fabbrica.

Un fatto che è stato confermato da Greenpeace in un rapporto del 1999. Questo studio ha inoltre trovato diversi composti velenosi nelle acque sotterranee, utilizzate dalla popolazione residente, cui manca qualunque altra possibilità di scelta per l’approvvigionamento idrico e che conseguentemente usano, attingendole dai pozzi con le pompe.

Questo procedere ostacola nel mondo, la messa in pratica di una politica complessiva efficace, atta a risolvere e senza indugi, il problema a livello mondiale. Si rischia solamente di perdere tempo prezioso.

Solo lo sviluppo sostenibile può limitare il problema dell’inquinamento atmosferico a livello mondiale. Occorre quindi analizzare dettagliatamente l’impatto ambientale delle produzioni industriali e non solo.

Con il trascorrere degli anni, non riuscendo a limitare le emissioni di gas serra per l’aumento eccessivo dell’inquinamento atmosferico, accadranno con tutta probabilità eventi meteorologici sfavorevoli, causati dalla modifica del clima.

Violenti nubifragi, trombe d’aria d’intensità notevole, colpiranno le colture agricole, le industrie e le stesse abitazioni, com’è accaduto anche recentemente qui in Italia, con possibilità di danni ingenti.

L’alluvione avvenuta l’otto novembre 2001, in Algeria, una nazione dove storicamente piove poco, procurando solo ad Algeri, alcune centinaia di morti, evidenzia tragicamente i cambiamenti climatici che si stanno attuando lentamente nel mondo.

Pure le piogge intense avvenute in Marocco alla fine di dicembre del 2001, hanno prodotto danni ingenti ed estesissimi allagamenti con numerose vittime.

Infine, anche recentemente, nel giorno di Pasqua del 2002, vi è stata un’intensa alluvione alle Canarie che ha prodotto sei morti, tra cui anche una bambina di appena due anni, seminando il terrore tra i turisti stranieri.

E’ stato pesante il bilancio delle disastrose alluvioni che hanno colpito le isole Canarie ed in particolare, Santa Cruz de Tenerife, capoluogo dell’isola omonima ed affollata di turisti stranieri, sorpresi e terrorizzati dalla violenza dell’inondazione.

Cinque, dei sei morti, erano spagnoli, mentre ammonta a circa una trentina il numero dei feriti ricoverati negli ospedali, considerando nel bilancio due dispersi. Vi sono state, per i danni dell’alluvione, almeno 500 persone che hanno subito la distruzione almeno parziale della propria casa.

Le precipitazioni meteorologiche si sono interrotte durante la notte, dopo che tra le ore 16 e le 20 del giorno di Pasqua, sono caduti ben 225 litri d’acqua per metro quadrato. Un valore impressionante!

Durante la giornata di Pasquetta, le cose sono andate migliorando anche se la grave situazione si è protratta nel tempo, con pericolo di crolli e smottamenti. Le strade della città erano completamente invase dal fango.

I Paesi che non cercheranno saggiamente di ridurre i gas serra, rischiano di diventare con il trascorrere degli anni, i diretti responsabili di questi disastri.

I danni ingenti prodotti da questi eventi meteorologici estremi, per la modifica del clima, generando rilevanti rovine per tale causa, possibili ovunque sulla Terra, dovrebbero essere risarciti per equità, da coloro che in qualche misura hanno contribuito a generarli.

In altre parole, soprattutto dagli stessi Paesi industrializzati, che avendo immesso nell’atmosfera, già negli anni trascorsi, miliardi di tonnellate di cosiddetti gas serra, ne sono direttamente responsabili. Questo però sarà difficile che accada se non si trova un accordo complessivo.

Molto più realisticamente ognuno dovrà pensarci per proprio conto, soprattutto nei Paesi dove la povertà è diffusa. In pratica, nelle nazioni sottosviluppate, dove le risorse economiche sono limitate. Soprattutto se questi eventi sfavorevoli dovessero aumentare nel tempo, producendo danni sempre maggiori, con impegni finanziari crescenti.

E’ ben vero che nel Protocollo di Kyoto, sono previsti alcuni aiuti indirizzati ai paesi in via di sviluppo, per affrontare gli effetti nocivi dei cambiamenti climatici. Occorre però che questo trattato entri effettivamente in vigore, con l’adesione della maggioranza di Nazioni industrializzate che hanno prodotto nel passato (e che generano anche attualmente), quantità notevoli di gas serra.

Nelle altre nazioni, quelle più ricche, anche se vi saranno finanziamenti a fondo perduto, finalizzati all’opera di ricostruzione, si produrrà in ogni modo, un danno economico generalizzato, poiché in genere i rimborsi tardano a venire e non risarciscono il danno completo.

In questa spiacevole situazione i danni che accadranno, causati dal clima ostile, obbligheranno le persone e le imprese ad assicurare i loro beni. I premi stabiliti dalle varie compagnie d’assicurazione sicuramente aumenteranno in funzione dei danni prodotti dal clima.

Già oggi, i disastri naturali causano danni per cinquanta miliardi di dollari l’anno.

Dal sito Internet del WWF (http://www.wwf.org - Italia. News - comunicati stampa) riporto di seguito alcuni significativi articoli:

Negli ultimi anni si stanno moltiplicando in tutto il mondo per intensità e frequenza le catastrofi naturali causate dai cambiamenti climatici: alluvioni, uragani, inondazioni, siccità.

Le conseguenze saranno diverse fra le varie regioni del globo: per i paesi industrializzati, ad esempio, gli impatti più significativi riguarderebbero l’intensità e la frequenza degli eventi estremi: per l’Europa in particolare cresce il rischio alluvioni.

Lo afferma il rapporto del WWF "Climate change and the extreme weather events", che analizza l’impatto ecologico, sociale ed economico delle catastrofi naturali.

Negli ultimi trent’anni il danno economico causato da disastri naturali riferiti al clima è aumentato da 10 a 50 miliardi di dollari l’anno (circa 113.000 miliardi di lire/anno). La maggior parte delle perdite economiche di un paese, secondo il rapporto del WWF sono dovute alla maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi.

Nel 1998 l’inondazione del fiume Yangste in Cina, ha portato alla morte di 4.000 persone e perdite economiche per un valore di 30 miliardi di dollari. Nello stesso anno le condizioni climatiche estreme in Florida, hanno causato incendi che hanno devastato 195.470 ettari e 356 edifici per un valore di 276 milioni di dollari.

Complessivamente, negli ultimi 30 anni il peso economico dei disastri climatici è aumentato, passando, dai 10 miliardi di dollari spesi nel 1969, ai 50 miliardi di dollari spesi nel 1999. Questi dati preoccupano non solo gli ambientalisti, ma anche le assicurazioni: secondo una stima della Munich Reinsurance Company gli eventi meteorologici estremi hanno causato danni per 67 miliardi di dollari.

Il totale delle perdite direttamente o indirettamente causate da condizioni meteorologiche particolari negli anni ’90 ha raggiunto i 430 miliardi di dollari, più di 5 volte la cifra relativa agli anni ’80. Anche il clima italiano sta infatti diventando più caldo e più secco, in particolare nel Sud, a partire dal 1930.

Quel che è più preoccupante è che, in tutta l’Italia settentrionale, l’intensità delle precipitazioni è andata crescendo negli ultimi 60-80 anni, con un aumento del rischio di alluvioni in questa regione, in particolare nella stagione autunnale, quando il rischio di alluvioni è massimo.

Se la concentrazione di gas serra nell’atmosfera non verrà arrestata, è probabile che uragani, inondazioni, siccità ed altri eventi meteorologici estremi si verificheranno più spesso e con sempre maggiore intensità – ha dichiarato Gianfranco Bologna, Portavoce del WWF Italia – ecco perché e’ urgente che i Governi impegnati nel Summit dell’Aja sul clima, dal 12 novembre, facciano la loro parte "obbligando" i paesi industrializzati a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra.

Urge un ruolo attivo del Governo italiano per indirizzare le politiche dell’Unione Europea. Siamo preoccupati perché l’Italia sta mancando clamorosamente gli obiettivi previsti dal protocollo di Kyoto. Anzi, le nostre emissioni di CO2 sono aumentate, dal 1990 al 1998, del 6,3%. E’ urgente promuovere le energie rinnovabili, riconvertire il sistema trasporti, puntare sull’efficienza e sugli usi finali dell’energia.

I rischi di danni ingenti sono da non sottovalutare. Con i cambiamenti climatici in atto, gli eventi estremi saranno sempre più frequenti, inoltre, si è costruito dove non si doveva, soprattutto in aree che erano di storica pertinenza fluviale e dove non a caso, non si era mai costruito sino agli ultimi decenni. Il rischio d’alluvioni e d’esondazioni sarà sempre più alto.

Ancora dal WWF Italia (www.wwf.it): l’Italia si riscalderà di 4,4 °C nei prossimi cento anni? Mentre la maggior parte degli studi ha fino ad oggi presentato risultati a scala continentale o sub-continentale, questo nuovo studio britannico presenta risultati paese per paese, basati su dati a maggior risoluzione e sul paragone dei maggiori modelli climatici esistenti.

Lo studio rappresenta un importante contributo scientifico, che consente a livello locale di farsi un’idea del riscaldamento previsto nel caso che le emissioni di gas-serra continuino con il trend attuale. Le previsioni del riscaldamento medio per l’Italia sono di 4,4°C in cento anni.

E’ probabile che il nostro paese non abbia mai sperimentato un cambiamento climatico così veloce, almeno nella recente storia geologica, inclusa quella post-glaciale.

Le potenziali conseguenze per comunità umane, ecosistemi e agricoltura debbono ancora essere valutate in dettaglio, ma probabilmente sono molto serie.

Così oltre all’Italia, lo studio fornisce, per ciascun paese, un set di indicatori del cambiamento climatico relativi al riscaldamento passato e futuro, alle emissioni pro-capite di carbonio e alla vulnerabilità economica di ogni paese.

I risultati del lavoro vanno letti in maniera critica, tenendo conto, ad esempio, della scarsa affidabilità delle previsioni su scala regionale e utilizzando i dati di vulnerabilità economica semplicemente per individuare una scala di vulnerabilità, a prescindere dalla rappresentatività dei valori assoluti del danno previsto. I risultati dello studio sul sito del Tyndall Centre (http://www.tyndall.uea.ac.uk/main.htm).

Cambiamenti climatici: in Italia in aumento le emissioni di anidride carbonica. Italia in ritardo su obiettivi Kyoto: uno studio del WWF. Italia ancora ferma al palo sulla riduzione dei gas serra.

Ad un anno dall’emanazione della delibera CIPE "Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra", il cui obiettivo e’ dare applicazione alle indicazioni UE di riduzione del 6,5% rispetto al 1990, l’Italia e’ fortemente inadempiente: le emissioni nel 1999 sono aumentate di circa il 5% rispetto a quelle del 1990, secondo una comunicazione della Commissione Europea al WWF, continuando di questa tendenza l’Italia mancherà il suo obiettivo per ben 17 milioni di tonnellate di CO2, pari al 3,2% di mancate riduzioni rispetto ai valori del 1990.

Con questo trend, su ogni italiano peseranno nel 2010 ben 3,2 tonnellate di CO2 in più rispetto a due anni fa. Lo rivela uno studio del WWF, che mette sotto accusa i ritardi del Governo, o le politiche contraddittorie su energie rinnovabili, trasporti, rifiuti e carbon tax. "L’opinione del WWF, confermata da questi dati, e’ che le azioni intraprese dal Governo italiano siano complessivamente deboli, di fatto insufficienti".

Libro bianco rinnovabili. I programmi annunciati nel Libro bianco per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili, come Comuni solarizzati e "Diecimila tetti solari", non sono ancora operativi; in Italia risultano installati appena 180.000 mq di pannelli contro i 2.000.000 di metri quadri della Germania ed i 1.241.000 dell’Austria.

Il piano di 70.000 mq. In tre anni corrisponde a meno di un settimo dei pannelli installati in Germania nel solo 1999.

Clima: nuovi posti di lavoro in Europa con la riduzione delle emissioni di CO2.

Il WWF ha presentato il 2 giugno uno studio che dimostra che una tassa sull’energia e altre misure per affrontare il problema dei gas che provocano l’effetto serra ridurrebbero la disoccupazione nell’Unione Europea e stimolerebbero l’innovazione tecnologica e la domanda di beni prodotti in Europa. Lo studio e’ stato presentato il giorno prima dell’incontro a Colonia tra i leader europei per discutere le strategie inerenti lavoro e mutamenti climatici.

Lo studio, condotto dal prestigioso Fraunhofer Institute, asserisce che "una tassa su energia ed emissioni di CO2 darebbe un importante contributo alla riduzione della disoccupazione". Lo stesso istituto cita una ricerca secondo la quale una tassa sull’energia potrebbe creare fino a 1 milione e 900 mila posti di lavoro.

Vengono presi in considerazione costi e benefici delle misure per affrontare il problema dei gas serra - inclusa una maggiore efficienza nei processi manifatturieri, la produzione congiunta di riscaldamento ed energia, tecnologie che fanno uso di energie rinnovabili, dispositivi domestici che utilizzano l’energia in modo efficiente, migliore isolamento degli edifici e riduzione dei consumi di carburante delle automobili e dimostra che tutte queste misure darebbero un impulso alla creazione di posti di lavoro.

Lo studio giunge alla conclusione che la commercializzazione di dispositivi di uso domestico che utilizzano l’energia in modo più efficiente e l’applicazione di migliori standard di isolamento creerebbero più posti di lavoro nel breve periodo mentre l’efficienza nei processi industriali, le tecnologie ad energia rinnovabile, la diminuzione dei consumi di carburante delle auto e nuovi sistemi di isolamento delle finestre farebbero scattare importanti effetti di lungo termine dovuti al loro alto potenziale innovativo.

Il summit di Colonia coincide con le prime due settimane dei negoziati internazionali di Bonn sui mutamenti climatici. Il WWF è critico nei confronti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per il fatto che cercano di evitare la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, concentrandosi invece sul commercio dei "permessi di emissioni"

"I leader dell’Unione Europea non possono ignorare i fatti - commenta Gianfranco Bologna, segretario del WWF-Italia - Il taglio delle emissioni di CO2 significa nuovi (e "puliti") posti di lavoro in Europa. I leader europei dovrebbero smetterla di cercare di non rispettare il loro impegno a diminuire l’inquinamento da gas riscaldanti. Al contrario, dovrebbero incentivare le tecnologie a basso consumo energetico e le nuove industrie competitive".

La ricerca sugli effetti nella creazione di posti di lavoro delle politiche e dei provvedimenti presi dall’Unione Europea per ridurre le emissioni di anidride carbonica è stata commissionata dal WWF all’Istituto Fraunhofer per la ricerca sui Sistemi e sull’Innovazione, ed è stata effettuata dal Dr. Rainer Walz, dal Dr. Joachim Schleich, da Regina Betz e Carsten Nathani.

Già nel 1992, con la "Conferenza di Rio de Janeiro" (ed in precedenza con la "Conferenza di Stoccolma" o Conferenza dell’ONU sull’Ambiente Umano, del 1972), i Governi delle nazioni industrializzate, comprendendo il grave problema, hanno cercato di trovare un accordo globale sulla limitazione di questi gas serra. Accordo che in seguito, come ho scritto in precedenza, si è tentato di formalizzare con il Protocollo di Kyoto.

La Conferenza di Stoccolma è considerata una delle tappe fondamentali del pensiero su sviluppo e ambiente globale, determinando la presa di coscienza dei problemi ambientali a livello internazionale.

Uno dei risultati della conferenza è stata la formazione dell’UNEP, un organismo dell’ONU avente il compito di fungere da catalizzatore per le politiche ambientali, di indirizzare la coscienza mondiale, quindi di coordinare le politiche ambientali delle varie agenzie delle Nazioni Unite e dei vari governi, nonché le azioni delle comunità scientifiche ed economiche, e delle associazioni ambientaliste.

Da questo si è sviluppata Agenda XXI, composta di 40 capitoli che affrontano tutti i campi nei quali è necessario assicurare l’integrazione tra ambiente e sviluppo, dopo due anni di preparazione e la discussione conclusasi a Rio.

Di notevole rilevanza, per una politica di sviluppo sostenibile in Italia, è il "Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, in attuazione dell’Agenda XXI" approvato dal CIPE nella seduta del 28/12/93 e pubblicato su GU n. 47, del 26/2/94.

Questo piano nazionale seleziona dall’Agenda XXI, gli obiettivi e le azioni più congruenti con l’attuale condizione ambientale del nostro paese, tenendo conto dei settori chiave, già individuati dalla CE nel V Piano d’azione.

Questo mostra l’impegno sui temi ambientali che molte nazioni portano avanti, per uno sviluppo sostenibile.

Gli Stati Uniti però non vogliono ratificare il protocollo di Kyoto.

Dal sito internet (www.wwf.it) del WWF riporto il seguente testo.

Clima: Bush "stupisce" con la solita arroganza del più grande inquinatore del mondo. "Le dichiarazioni di Bush ci riportano drammaticamente con i piedi per terra", ha dichiarato Gianfranco Bologna, portavoce del WWF Italia. "Cadono le speranze suscitate a Trieste, in occasione del vertice G8 dei ministri dell’ambiente, dalla ministra dell’ambiente statunitense Cristie Withman che, come un’incantatrice di serpenti, aveva comunicato ai giornalisti di tutto il mondo che la nuova amministrazione americana avrebbe stupito tutti per i suoi impegni sull’ambiente.

Certamente le dichiarazioni di Bush stanno stupendo, non certo nel verso che tutti avremmo voluto. Si tratta di un fatto molto grave, di un vero e proprio atto di arroganza da parte del Paese più grande inquinatore del mondo, un passo che non aiuta assolutamente il processo di negoziazione per la ratifica del protocollo di Kyoto che, pure a Trieste, era, in qualche modo oggettivamente ripartito e che faticosamente la COP6 bis di Bonn a luglio deve riavviare nel concreto.

Particolarmente assurde sono le affermazioni di Bush relative ancora una volta alle incertezze sulle cause e le soluzioni dell’incremento dell’effetto serra naturale in atto, ormai documentate anche dal terzo rapporto dell’ I.P.C.C., e quelle relative al fatto che l’anidride carbonica non va ridotta non essendo prevista nella lista degli inquinanti nel Clean Air Act. Vere e proprie stupidaggini. La posizione americana deve essere sottoposta da subito ad una seria rivalutazione, altrimenti il processo per la ratifica di Kyoto può definirsi fallito già ai nastri di partenza.

L’Europa deve considerare la possibilità di avviare da subito il processo di applicazione del protocollo di Kyoto, traendo vantaggio anche economico da una marcia indietro che gli USA pagheranno non sono in termini ambientali.

Scegliere l’economia pulita oggi prima o poi sarà un passo obbligato per tutti, che porterà soltanto degli effetti positivi.

Infine, sempre dal WWF - Italia: Roma, 17.5.2001 - Il piano energetico di Bush è un attentato al protocollo di Kyoto. "L’Amministrazione Bush sta provando ad allarmare il pubblico americano per convincerlo ad approvare un piano energetico che contribuisce al riscaldamento della terra, distrugge l’ambiente e inquina l’aria", dice Jennifer Morgan, Direttrice della Campagna sui cambiamenti climatici del WWF.

"L’America purtroppo non si preoccupa dei bisogni energetici a lungo termine, non investe in fonti di energia rinnovabili e non realizza piani di conservazione a lungo termine che diano rilievo all’efficienza energetica".

"Ciò che il Governo non ha ancora detto al pubblico americano è che il piano energetico è un progetto che aumenta la dipendenza nazionale dai combustibili fossili ed espone la società ad un maggiore inquinamento, comprese le emissioni di anidride carbonica, la causa maggiore del riscaldamento della superficie terrestre" accusa J. Morgan.

Proprio in occasione della presentazione del Rapporto Bush-Cheney sull’Energia, il WWF e l’Istituto Tellus hanno presentato un rapporto dal titolo "L’energia americana: miti e fatti nei dibattiti americani sulle fonti di energia e il riscaldamento della terra".

Il documento contesta le posizioni espresse dall’Amministrazione Bush, secondo la quale l’unico modo per andare incontro ai bisogni di crescita energetica americana sia quello di fare delle ricerche petrolifere nei territori federali, costruire più impianti che sfruttano l’energia ricavata dai combustibili fossili e aumentare l’energia nucleare.

Usando la formula "miti contro fatti", il rapporto del WWF confuta le teorie del governo USA secondo le quali lo Stato può attenuare la sua dipendenza dal petrolio straniero sfruttando le esigue quantità di petrolio che si trovano nel nostro territorio; la crisi energetica californiana preannuncia che questo problema tra breve riguarderà tutti gli stati dell’unione, e le estrazioni nell’Artic National Wildlife Refuge dell’Alaska sono la risposta all’aumento dei prezzi.

"Noi pensiamo che gli americani abbiano bisogno di ascoltare la verità sul progetto del governo Bush, che non abbasserà i prezzi del gasolio e non provvederà al rifornimento energetico in California, ma sarà devastante per l’ambiente" conclude J. Morgan.

Gli Usa potrebbero risparmiare 300 miliardi di dollari di spese energetiche l’anno ricorrendo a tecnologie già esistenti, in grado di fornire servizi identici o migliori a prezzi competitivi rispetto a quelli attuali - ha dichiarato Gianfranco Bologna, Portavoce del WWF Italia -.

Ad esempio tra il 1979 ed il 1986, quando si ripresero dalla seconda crisi petrolifera, gli USA riuscirono a produrre cinque volte piu’ energia attraverso attente misure di risparmio ed efficienza piuttosto che ampliando la rete di fornitura.

Nel 1986 le emissioni di CO2 furono inferiori di 1/3 e i costi energetici annuali scesero di 150 miliardi di dollari, rispetto ai livelli di efficienza raggiunti nel 1973. Oggi proseguire in quella direzione consentirebbe agli USA di raggiungere nei tempi stabiliti e con profitto, gli obiettivi di Kyoto; con ulteriori interventi li potrebbe addirittura superare.

Oggi le centrali elettriche USA trasformano il combustibile, quasi sempre carbone, al 38% in energia elettrica e al 66% in calore disperso, sprecando così una quantità di calore pari all’utilizzo totale di energia del Giappone, seconda maggiore potenza economica mondiale.

Goteborg - Roma, 14.06.01 - Clima: Bush non impedisca al mondo di andare avanti. Il presidente Bush ha incontrato giovedì i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea per discutere dei mutamenti climatici e del protocollo di Kyoto.

L’incontro offre ai leader europei l’opportunità di dire al presidente Bush che l’Europa e impegnata a finalizzare e ratificare il protocollo di Kyoto, anche se gli Stati Uniti stavolta non dovessero starci- ha detto Jennifer Morgan, Direttore della Climate Change Campaign del WWF Internazionale…

Ci auguriamo che dal canto suo il presidente Bush si impegni almeno a non ostacolare il processo. Per diventare legge internazionale il Protocollo di Kyoto deve essere accettato da almeno 55 Paesi che producano tutti insieme il 55% delle emissioni di carbonio del mondo.

Questo è possibile anche senza gli Stati Uniti, se il protocollo verrà ratificato dall’Europa, dal Giappone e dalla Russia.

Sia L’Unione Europea che il Giappone hanno dichiarato l’intenzione di ratificare il protocollo di Kyoto entro il 2002, e anche paesi tradizionalmente alleati degli Stati Uniti, come la Nuova Zelanda e la Norvegia, hanno dichiarato l’intenzione di seguire questa strada.

La Russia sta seriamente prendendo in esame questa possibilità. Vogliamo che Bush non impedisca a chi lo vuole di andare avanti. E ai leader europei chiediamo di andare avanti con decisione, anche perché mettere il futuro del clima nelle mani del Presidente Bush è un’ipotesi talmente rischiosa da non meritare nemmeno di essere considerata. I paesi industrializzati non hanno ancora ratificato il Protocollo solo perché non sono ancora state completate le regole per la sua applicazione, e non come sostiene Bush perché il protocollo e fallito. Le regole devono essere completate a Bonn, in Germania, in luglio.

Le questioni ancora sul tappeto saranno di fondamentale importanza per mantenere l’efficacia ambientale del Protocollo, e le trattative ad alto livello stanno continuando, nonostante le prese di posizione del Presidente Bush. Il 27 e 28 giugno, all’Aja, in un incontro dei ministri dell’ambiente si discuterà la nuova proposta del Presidente dei negoziati internazionali, l’olandese Pronk. Non si sa se gli Stati Uniti prenderanno parte alla riunione.

Intanto, un sondaggio in quattro paesi europei (Belgio, Italia, Spagna e Gran Bretagna) commissionato e reso noto dal WWF martedì scorso, ha dimostrato che una schiacciante maggioranza dell’opinione pubblica (ben oltre l’80%, l’88,7 in Italia) vuole che l’Unione Europea vada avanti con la ratifica di Kyoto, con o senza gli Stati Uniti.

L’accordo al Protocollo di Kyoto, trova concordi tra loro, molte nazioni industrializzate.

Dal WWF- Italia, internet news del 23 luglio 2001, riporto il seguente articolo: Questo accordo è un terremoto geopolitico", dice Gianfranco Bologna, portavoce del WWF.

Gli altri Paesi hanno dimostrato la loro indipendenza dall’Amministrazione Bush. Ora essi devono arrivare ad una rapida ratifica del Protocollo. La leadership europea comincia a farsi sentire più forte di quella statunitense e questo è un dato politico di grande rilievo, soprattutto perché ha luogo sui problemi ambientali.

La decisione di oggi manda un messaggio chiaro al mondo imprenditoriale che deve cominciare ad investire in misure che riducano l’inquinamento da carbonio". Inoltre le conclusioni di Bonn smentiscono le vuote parole del comunicato finale del G8 sul clima e la forte sensazione che Bush avesse influenzato in maniera significativa Berlusconi.

Il WWF continua, con la sua campagna di raccolta delle cartoline per un forte e serio impegno sul clima, inviate dai cittadini al Presidente del Consiglio Berlusconi. Il resto del mondo ha in effetti respinto le affermazioni del Presidente Bush, secondo il quale la scienza del clima è piena di difetti e i costi per realizzare il Protocollo di Kyoto sarebbero troppo alti.

Le Nazioni industrializzate hanno fatto bene a prendere l’impegno di essere i primi a porre un freno alle emissioni, senza aspettare provvedimenti simili da parte dei Paesi in via di sviluppo.

Nonostante l’accordo sia più debole di quello che il WWF avesse sperato, esso prevede una solida architettura del Protocollo, puntando in ogni caso ad un trend di diminuzione delle emissioni di CO2 da parte dei Paesi industrializzati.

Esso prevede delle norme per l’utilizzo di meccanismi flessibili, quali il commercio delle emissioni e il Clean Developing Mechanism, e comprende vari finanziamenti per assistere i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi agli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici. La proposta include anche un numero limitato di "serbatoi" che assorbono carbonio dall’atmosfera. Sebbene le previsioni di adeguamento siano deboli rispetto a quanto sperato, il WWF crede che la struttura del Protocollo ponga delle solide basi per avviare una nuova politica di mutamenti climatici.

Negli ultimi giorni del negoziato, le posizioni dell’Unione Europea e del gruppo G77 delle Nazioni in via di sviluppo si sono avvicinate, diventando la forza trainante per raggiungere l’accordo. Mentre il Giappone dichiarava il suo appoggio al fatto che il Protocollo di Kyoto entrasse in vigore entro il 2002, i negoziatori hanno ottenuto una serie di concessioni, specialmente sui "serbatoi", mentre hanno dovuto concedere poco.

Il Canada, l’Australia, e la Russia hanno tentato di ostacolare l’accordo, il resto del mondo non ha voluto tollerare ulteriori ritardi. I Ministri a Bonn erano ansiosi di evitare una ripetizione dannosa da un punto di vista politico, simile a quella che si era verificata a novembre scorso al summit sul clima dell’Aja.

Il WWF crede che, con il raggiungimento dell’accordo odierno, i governi abbiano finalmente cominciato ad ascoltare le voci che reclamavano l’azione.

"Nella battaglia contro il riscaldamento globale, il primo piccolo passo è rappresentato da un balzo da gigante per l’umanità e per il futuro del nostro Pianeta", ha detto Jennifer Morgan, Direttrice della Campagna Clima del WWF Internazionale, presente ai negoziati di Bonn.

I funzionari governativi trascorreranno l’ultima settimana del summit sul clima traducendo l’accordo politico dei Ministri in un testo legale.

***

Occorre essere consapevoli che il modello di sviluppo occidentale, ed in particolar modo quello utilizzato dagli Stati Uniti, basato sul consumismo e sull’impiego notevole di risorse energetiche mondiali, non può essere preso com’esempio per lo sviluppo civile delle popolazioni dell’intero pianeta.

Lo stesso sistema di produzione dei beni, oggi utilizzato largamente nel mondo, la "produzione snella" (Lean Production), in altre parole quella tipologia di produzione che è in grado di produrre a costi inferiori, migliorando la qualità ( rappresentando quindi un nuovo criterio d’organizzazione e gestione della produzione manifatturiera ) implica notevoli impatti ambientali legati alla movimentazione dei prodotti semilavorati e finiti.

Questo sistema manifatturiero è particolarmente diffuso nel mondo, perché con i concetti di produzione (Production) e fabbricazione (Manifacturing) si può gestire qualsivoglia sistema produttivo.

Combinando questa tipologia con il Just In Time (JIT), che rappresenta il criterio di gestione del flusso di materiale in modo che risulti strettamente commisurato alla domanda dei prodotti, con la gestione della qualità totale (TQM), un criterio di management, in altre parole di conduzione dei sistemi produttivi basato sul conseguimento della qualità in modo totale, si ottiene una produzione migliore con l’abbassamento dei costi aziendali.

Questo metodo produttivo, si basa sulla riduzione dei prodotti nei magazzini per diminuirne i costi di giacenza. In questo modo, vi è però la necessità che le merci (semilavorati e prodotti finiti), siano trasportati in tempo utile ed in continuo, per le opportune lavorazioni, dall’azienda fornitrice a quella utilizzatrice.

Oggi la movimentazione delle merci è effettuata soprattutto su gomma e ed in modo limitato su rotaia. Per trasportare questi prodotti, si fa quindi largo uso d’autotreni, camion, furgoni, ecc. che, con le loro emissioni di gas di scarico aumentano l’inquinamento dell’atmosfera. L’uso di nuovi carburanti non inquinanti, come ad esempio l’idrogeno, stenta a diffondersi, anche per varie difficoltà tecniche.

In questo modo si contribuisce costantemente negli anni, ad aumentare la percentuale di "gas serra" nell’atmosfera, facendone lievitare di continuo la temperatura, aggravando i fenomeni estremi descritti in precedenza.

Auguriamoci che le generazioni future non ci rimproverino, per il nostro attuale comportamento nei confronti delle continue emissioni inquinanti nell’atmosfera, la rovina dell’ambiente, in cui loro saranno costretti vivere.

La ratifica del Protocollo di Kyoto, che ne prevede una limitazione su scala mondiale, è un importante passo avanti verso un ritorno alle condizioni che permettono alla Terra, di poter continuare serenamente ad ospitare le varie specie che la popolano, per altri numerosi secoli.

E’ un dato di fatto che, se non s’interviene drasticamente, riducendo i numerosi gas serra nell’ambiente, il clima nel mondo peggiorerà negli anni.

Gli Stati Uniti però, non vogliono ratificare il Protocollo di Kyoto per timore di una loro recessione industriale. Da notare che gli USA, con poco di più del 4% della popolazione mondiale, utilizzano il 24% di tutta l’energia prodotta nel mondo, mentre l’India, con il 16% della popolazione, ne utilizza solo il 2%.

In generale i paesi industrializzati, con 1/4 della popolazione mondiale, consumano i 4/5 dell’energia utilizzata in tutto il globo.

In Germania, uno studio sul carico ambientale della popolazione, ha evidenziato che: mille tedeschi consumano circa dieci volte di più di mille argentini, filippini o egiziani (Bieischwitz und Schútz, 1992). Bastano questi brevi accenni, per capire che gli scenari che si aprono quando si parla di sviluppo economico e di compatibilità ambientale sono complessi ed articolati, ma soprattutto nascondono quel fascino particolare che si sprigiona ogni volta che si parla di futuro.

L’opera di diplomazia, di sensibilizzazione, prosegue incessante per cercare di trovare un accordo complessivo relativo ai paesi industrializzati.

Il 14 luglio 2001, l’agenzia ANSA di Parigi diffondeva su Internet, il seguente messaggio: un alto responsabile dell’ONU, Michael Zammit Cutajar ha evocato iersera la possibilità di rinviare le scadenze previste dal protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni inquinanti se ciò avverrà nel quadro di un accordo politico globale che includa gli Stati Uniti.

Cutajar è il segretario esecutivo della Commissione dell’ONU sui cambiamenti climatici, derivata dal cosiddetto accordo di Rio del 1992, con prosecuzione nel protocollo di Kyoto.

Gli Stati Uniti non ratificano il protocollo di Kyoto perché ritengono che con azioni mirate, ad esempio con il rimboschimento, si possa ancora contrastare l’effetto serra, almeno quello relativo a ridurre la sola anidride carbonica. Il CO2 assorbito dalle piante messe a dimora dovrebbe diminuire o rimanere costante con gli anni.

In realtà un eccesso d’anidride carbonica nell’aria, produce la sofferenza delle stesse piante o comunque l’assenza di un effetto positivo, com’evidenzia , riferendo studi effettuati ,il periodico "Le Scienze" (edizione italiana di "Scientific American"), n. 390, del febbraio 2000, con un articolo dal titolo esplicito: "Effetto serra? Neppure le piante l’apprezzano".

Inoltre, le piogge acide che si sviluppano con l’inquinamento prodotto dalle attività umane, sono un ostacolo allo sviluppo forestale. Non solo, gli eventi climatici estremi danneggiano gravemente le foreste, il forte vento abbatte gli alberi.

Questo accade a maggior ragione nei territori litoranei, dove il terreno è sabbioso e non ha quella consistenza che gli conferisce l’argilla.

Si sono verificate in tempi recenti per questa causa sul territorio del Parco Naturale regionale, a San Rossore e Migliarino, in occasione di forti perturbazioni meteorologiche, numerose cadute d’alberi in ampie zone.

Con la tropicalizzazione del clima, il caldo torrido favorirà l’espandersi di possibili incendi nei boschi, specie per la presenza di vento, con ulteriore produzione d’anidride carbonica, oltre al fatto che per far ricrescere il bosco rigoglioso, occorrono decenni.

Inoltre, la trasformazione in deserto del territorio fertile, la cosiddetta desertificazione, prodotta dalla siccità, rallenta notevolmente la crescita delle piante. Da considerare infine, che la percentuale dei gas serra, prodotti dall’uomo, aumenta progressivamente negli anni.

La parola deserto, deriva dal latino deserere che significa abbandonare, lasciare. Deriva quindi, dall’abbandono delle terre da parte dell’uomo, per la difficoltà od impossibilità a viverci.

La conferenza delle Nazioni Unite sulla Desertificazione, tenutasi a Nairobi, nel 1977, adottò come definizione di desertificazione la "riduzione o distruzione del potenziale biologico del terreno che può condurre a condizioni desertiche".

La sola anidride carbonica che continuamente è prodotta sulla Terra, ha da parte della natura un tempo d’eliminazione, di dissolvimento, lunghissimo.

Per migliaia d’anni l’uomo, ha svolto attività compatibili con l’ambiente e per questo la natura, la Terra, ne ha reso possibile la presenza. Tra l’altro la popolazione nel mondo nei secoli trascorsi era assai limitata, per la mortalità dovuta alle ricorrenti epidemie, alle guerre e le carestie che hanno caratterizzato la storia dell’uomo.

C’è da chiedersi con questo procedere nell’aumentare l’inquinamento sulla Terra, come sarà il futuro.

L’industrializzazione, sviluppatasi dal secolo XIX, proseguita incessantemente, soprattutto dopo la metà del XX secolo, ha aumentato notevolmente le emissioni inquinanti nell’atmosfera.

Lo sviluppo industriale, la motorizzazione diffusa, il consumismo e le attività umane unite all’elevato incremento della popolazione nel mondo, hanno influito, sempre più pesantemente, con le emissioni di scarichi inquinanti, sulla modifica sostanziale delle sue condizioni naturali.

Tutto questo, se non saranno adeguatamente limitati i gas serra, produrrà nei prossimi secoli effetti deleteri sul clima del pianeta Terra, mettendo a dura prova, con il trascorrere del tempo, lo stile di vita dell’uomo e la stessa società civile.

La civiltà dell’uomo è stata caratterizzata dall’uso degli strumenti che ha adoperato: l’Età della pietra, quella del bronzo, del rame ed infine l’Età del ferro. Quest’attuale sarà ricordata come l’Età del petrolio.

E’ pur vero che alla fine i giacimenti di petrolio si esauriranno, ma il clima riuscirà a riprendere l’equilibrio originario in un accettabile periodo temporale, per garantire una vita tranquilla all’uomo e agli altri esseri viventi del pianeta?

Il petrolio, così inquinante, da quale altra fonte energetica sarà sostituito?

Sarà un’energia pulita o si rivelerà, a livello complessivo, anch’essa inquinante?

Sono tutti interrogativi attualmente senza risposta.

***

Dal sito Internet di Legambiente (www.legambiente.com), riporto il seguente articolo:

La Terra soffoca per l’inquinamento, anche il clima sembra impazzire. Al termine di un ventennio che ha visto crescere di quasi mezzo grado la temperatura media sulla Terra e aumentare il numero e l’intensità degli eventi meteorologici estremi (uragani, inondazioni, ondate di calore, siccità), in molti ormai ipotizzano che siamo già entrati nell’era dell’effetto serra.

Certo l’effetto serra è una minaccia sempre più concreta, che rischia di diventare incontrollabile se continuerà ai ritmi attuali l’immissione nell’atmosfera dei cosiddetti "gas serra’, sostanze prodotte dalle attività industriali - in particolare l’anidride carbonica, prodotta dalla combustione di carbone petrolio e gas, o liberate per effetto di fenomeni, come la deforestazione, causati dall’uomo.

I rischi sono elevatissimi, perché un aumento ulteriore anche di pochi decimi di grado della temperatura terrestre innescherebbe una terribile reazione a catena: parziale scioglimento delle calotte polari, innalzamento del livello di mari e oceani, tropicalizzazione del clima in molte regioni oggi temperate (compresa parte dell’Italia).

In base al Protocollo di Kyoto, firmato nel 1997, ogni Paese o gruppo di Paesi ha sottoscritto un proprio obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Tra i Paesi industrializzati, responsabili di gran parte delle emissioni che minacciano il clima e cui tocca perciò lo sforzo maggiore per una loro riduzione, solo l’Unione europea ha in parte tenuto fede ai suoi impegni; quanto all’Italia, malgrado alcuni positivi passi in avanti - siamo stati uno dei primi Paesi ad adottare una "energy-carbon tax", imposta che grava sugli usi energetici a maggiore impatto climalterante, l’obiettivo di ridurre del 6,5% le emissioni di CO2 entro il 2010, resta lontanissimo.

Ora il fallimento della Conferenza dell’Aja, dove l’Europa non è riuscita ad imporre a Stati Uniti e Giappone l’accettazione di misure incisive per curare la febbre del pianeta, mette tutti davanti a un bivio: o i governi, le forze politiche, i sistemi economici, gli stessi consumatori si muoveranno in fretta per fermare l’aumento delle emissioni che stanno alterando il clima, oppure tra pochi anni dovremo fronteggiare non più una minaccia, ma una drammatica realtà.

Alcuni dei gas presenti nell’aria, detti "gas serra", hanno la capacità di assorbire il calore di quella quota di radiazioni solari che una volta "rimbalzate" sulla superficie terrestre sfuggirebbero poi verso lo spazio: più cresce la loro concentrazione, e più aumenta la quantità di calore intrappolata nell’atmosfera e dunque, tendenzialmente, la temperatura sul nostro pianeta.

Sono "gas serra’ l’anidride carbonica (C02), i clorofluorocarburi (CFC), il metano (CH4), l’ossido di azoto (N20), l’ozono troposferico (03).

La concentrazione dei ‘gas serra" nell’atmosfera cresce sia per l’aumento delle emissioni sia, nel caso dell’anidride carbonica, per la sistematica distruzione di milioni di ettari di foresta: gli alberi, infatti, agiscono da veri e propri "accumulatori" di carbonio, e per ogni ettaro di foresta bruciato cresce quindi di un po’ la quantità di anidride carbonica liberata nell’aria, e con essa l’effetto serra.

A partire dalla rivoluzione industriale, la concentrazione dei "gas serra" nell’atmosfera è progressivamente aumentata: era di 280 parti per milione alla metà dell’Ottocento, è oggi di 370 parti per milione. Parallelamente, si è verificato anche un graduale aumento della temperatura media, che negli ultimi anni ha subito un’accelerazione: gli anni ’90 sono stati il decennio più caldo a memoria d’uomo, e al ’98 è toccato il record di anno più caldo mai registrato.

A provocare l’effetto serra sono l’anidride carbonica, i clorofluorocarburi, il metano, l’ossido di azoto, l’ozono troposferico: gas la cui concentrazione aumenta sempre di più per una serie di cause tutte legate ad attività umane.

Gran parte della responsabilità per il progressivo riscaldamento del nostro pianeta va addebitata al modello energetico dominante: l’80% delle emissioni di anidride carbonica, il principale "gas serra", proviene dalla combustione del carbone, del petrolio e del metano, dunque dall’attività delle centrali termoelettriche, dai fumi delle industrie, dagli scarichi delle automobili.

Ma sotto accusa ci sono anche i fertilizzanti azotati usati in agricoltura, che oltre ad alimentare il fenomeno dell’eutrofizzazione che sta uccidendo decine di laghi e mari, tra cui l’Adriatico, sono anche responsabili di buona parte delle emissioni di ossido di azoto.

Infine altri due "imputati" di primo piano sono i clorofluorocarburi responsabili della distruzione della fascia di ozono, la cui produzione per fortuna è in rapida diminuzione, e la deforestazione, che nelle foreste tropicali procede al ritmo di un campo di calcio al secondo.

Quanto alla parte di ‘colpa" delle varie aree geo-politiche del mondo, il dato che salta subito agli occhi e che oltre la metà delle emissioni di anidride carbonica e degli altri "gas serra" viene dai Paesi industrializzati - Stati Uniti, Unione europea, Canada, Giappone, Australia - dove vive appena un quinto della popolazione mondiale.

GLI EFFETTI

Se le emissioni dei "gas di serra" in atmosfera proseguiranno ai ritmi attuali, dovremo attenderci nei prossimi decenni un riscaldamento globale del pianeta compreso tra 1 e 3,5 gradi centigradi. Le conseguenze di questo aumento della temperatura sarebbero catastrofiche a vari livelli.

INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEI MARI

Il riscaldamento provocherebbe il parziale scioglimento dei ghiacci e un’espansione termica degli oceani, con un innalzamento prevedibile del livello dei mari di 15-95 centimetri. Regioni come la Florida, la Louisiana, la zona costiera giapponese o il Delta del Po, Paesi come il Bangladesh o l’Egitto, arcipelaghi come le Isole Marshall, città come Atene, Boston, Tokyo, Nuova Delhi, Amsterdam, Londra, Leningrado, Venezia o Trieste potrebbero venire parzialmente sommerse.

ALTERAZIONI CLIMATICHE

I periodi di siccità, che già in questi anni si sono estesi dalle latitudini equatoriali a molte regioni temperate in Europa e negli Stati Uniti, si moltiplicherebbero, e vaste aree intensamente coltivate che oggi forniscono grano e cibo a tutto il mondo, come le grandi pianure nordamericane ma anche in parte la Pianura Padana, potrebbero diventare zone aride non adatte all’agricoltura.

Al tempo stesso, l’aumento della temperatura produrrebbe un’intensificazione e una maggiore estensione di eventi meteorologici estremi come alluvioni, inondazioni, cicloni tropicali.

EFFETTI SANITARI

Quanto più crescerà la temperatura sulla Terra, tanto più aumenterà anche l’incidenza e la diffusione di malattie tropicali. Secondo alcune stime, per esempio, se non verrà fermato l’effetto serra la parte della superficie terrestre a rischio malaria passerà dal 45% al 60%.

DISTRUZIONE DELLE SPECIE ANIMALI

La febbre del pianeta accelererebbe l’estinzione di migliaia di specie animali e vegetali, non più in grado di sopravvivere nelle mutate condizioni climatiche. Lo scioglimento dei ghiacci potrebbe compromettere irrimediabilmente interi ecosistemi. Tra le specie più a rischio orsi polari e pinguini, salmoni e trichechi, foche e tigri, e poi ambienti già oggi fortemente minacciati come le barriere coralline. Infine, si assisterebbe alla crescente tropicalizzazione di mari "temperati" come il Mediterraneo, dove la fauna e la flora autoctone verrebbero progressivamente soppiantate da specie provenienti dai mari del sud.

I RIMEDI

La minaccia dell’effetto serra è conosciuta da molti anni, ma i governi faticano maledettamente a compiere gli atti necessari per fermarla. Il petrolio e gli altri combustibili fossili, cui si deve gran parte delle emissioni, continuano a farla da padroni nei sistemi energetici dei Paesi più ricchi, mentre restano al palo le fonti "pulite" e si fa pochissimo per promuovere il risparmio energetico.

In base al Protocollo di Kyoto firmato nel 1997, le nazioni industrializzate hanno preso l’impegno di ridurre le emissioni di anidride carbonica di almeno il 5% entro il 2008-2012 rispetto ai livelli del ’90: un obiettivo troppo timido, visto che molte delle conseguenze previste in caso di riscaldamento del pianeta sono già in parte una realtà, e in ogni caso un obiettivo che rimane lontanissimo.

In particolare l’Italia, che si è impegnata a ridurre del 6,5% entro il 2010 rispetto al ’90 le emissioni di CO2, finora ha fatto assai poco per centrare l’obiettivo, tanto che al ’98 le nostre emissioni erano addirittura cresciute di oltre il 5%. Un ritardo, oltretutto, doppiamente autolesionista, perché quasi tutte le misure utili ad abbattere le emissioni di CO2 servirebbero anche a combattere l’inquinamento atmosferico e a ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese dal petrolio.

L’albero è una delle risposte della natura al riscaldamento del pianeta. Come la deforestazione fa crescere di continuo l’anidride carbonica presente nell’aria, così ogni nuovo albero "cattura" in media, quando è in fase di crescita, circa 6 chili di anidride carbonica all’anno. Esistono in commercio, elettrodomestici che consumano il 30-40% di energia in meno di quelli tradizionali, e lampade fluorescenti che costano un po’ di più ma consumano un quarto dell’energia e durano molto più a lungo delle altre.

Quando guidi un’automobile contribuisci alle emissioni dei gas serra, che nei paesi sviluppati sono causate per circa un terzo dal sistema dei trasporti. Meno automobili, più mezzi pubblici: è la ricetta per arrestare l’effetto serra e vivere in città meno inquinate (...).

***

L’agricoltura, è condizionata in modo evidente dal clima. In Italia, una temperatura più calda e più secca, nelle regioni meridionali e centrali italiane, potrebbe creare notevoli problemi e spingere colture tradizionalmente legate al meridione, come quelle relative agli agrumi ed olivi, ad essere coltivabili nella pianura padana.

Alcune piante amplierebbero la loro stagione di crescita e di sviluppo, per l’aumentata temperatura, ma altre specie sarebbero danneggiate, come il grano, che predilige per svilupparsi la stagione invernale. La produttività di molte piante quindi, potrebbe diminuire notevolmente.

Vi è un ulteriore rischio, con le modifiche apportate dall’uomo alle foci dei fiumi per evitare gli insabbiamenti.

Le maree, con il corso fluviale in magra, spingono l’acqua salata nel fiume, facendola risalire verso l’interno, per chilometri. Le coltivazioni presenti dovranno essere irrigate sempre più, per la temperatura elevata, sollevando meccanicamente dai pozzi, mediante le pompe, l’acqua dalla falda freatica nel sottosuolo.

In questo modo, più si coltiva, più s’irriga, più aumenta il rischio di salinizzazione delle terre destinate all’agricoltura.

L’irrigazione delle terre agricole in aree dove la temperatura è elevata, produce l’evaporazione rapida dell’acqua, e lascia lentamente sul terreno, il deposito dei sali marini contenuti nella stessa acqua, aumentando nel tempo la loro concentrazione, facendole diventare aride. Sali, quindi, che rendono impossibile l’utilizzo del territorio per l’agricoltura.

Nel bacino mediterraneo, le antiche civiltà fluviali che erano presenti nel passato in alcune regioni, come la Siria, la Mesopotamia e l’Iran, sono scomparse per l’aridità del territorio.

Molte vaste regioni dell’Africa, sono abbandonate dalla popolazione locale per la siccità, che negli anni si fa più preoccupante. I territori abitati diventano deserto, e costringono la popolazione locale ad abbandonare intere regioni.

Migrazioni che hanno raggiunto, nel tempo, dimensioni bibliche, e che saranno sempre più sensibili con l’accentuazione dell’effetto serra e della tropicalizzazione del clima negli anni futuri. Le aree abitate prossime alle zone aride diminuiscono per questo motivo la loro estensione, si trasformano in deserto nel corso degli anni.

Nell’ultima conferenza internazionale dell’Unccd (Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alle desertificazioni), il segretario ha dichiarato testualmente: non saremo in grado di garantire un successo minimo nel futuro se non ci sarà continuità nel sostegno fornito alle nazioni toccate dalla desertificazione (Il sito Internet, è il seguente: www.unccd.ch ).

Con l’aumento della temperatura, si andrebbe incontro ad una prolungata siccità, che determinerebbe una notevole sofferenza nelle coltivazioni, con diminuzione dei raccolti.

Influenzate dai cambiamenti micro-climatici nelle varie regioni italiane, causate dall’aumento della temperatura dell’aria atmosferica, potrebbero ridursi sempre più, le risorse idriche.

Tra l’altro, noi italiani consumiamo mediamente 1.200 metri cubi a persona ogni anno. Siamo primi in Europa per consumi d’acqua e terzi nel mondo.

Consumano più acqua di noi, solo gli Stati Uniti con 1900 metri cubi a persona in un anno ed il Canada, con 1800 metri cubi in un anno, riferito sempre al consumo individuale, mentre una persona su tre, di quelle che vivono nei Paesi in via di sviluppo deve fare i conti con la scarsità d’acqua.

Noi italiani, consumiamo quattro volte l’acqua usata in Gran Bretagna (300 m3/anno per persona) e sei volte l’acqua usata in Danimarca (200 m3/anno per persona), ed in genere sprechiamo almeno il doppio dell’acqua che ci serve.

Già oggi, mediamente il 34,6% degli italiani non ha acqua a sufficienza. La situazione è grave soprattutto al sud della penisola, con il 78% d’insufficienza idrica, anche dovuta in parte alla rete obsoleta, non efficiente, di distribuzione dell’acqua potabile.

La dispersione dell’acqua nella rete idrica varia dal 40% nel Molise, ad una percentuale del 8.5%, nel nord Italia, mentre sale al 18% nel centro Italia ed al 55% nelle varie isole. Da evidenziare, come ho scritto poc’anzi, le dispersioni notevoli che si presentano nel meridione d’Italia.

Una ricerca pubblicata da "La Nazione" il 30 luglio 2001, denunciava che per colpa di tubature vecchie e inadeguate perdiamo mediamente il 33% della distribuzione:

Se nel mondo, un miliardo di persone soffrono la sete, ogni italiano ha in media una dotazione d’acqua più che sufficiente ai propri bisogni: 241 litri al giorno. Ma la rete di distribuzione idrica "fa ancora acqua": le perdite ammontano al 33% dell’acqua distribuita. Il dato emerge dalla relazione al Parlamento del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche.

Le perdite sono attribuibili in gran parte all’avanzata età della rete: in media le tubature sono vecchie di almeno 35 anni, ma in molte realtà si superano i 50 anni. L’età media delle opere di presa si attesta sui 32 anni, con variazioni comprese tra i 14 ed i 62 anni.

L’età maggiore è in genere quella delle opere di captazione da sorgenti.
I pozzi invece, sono generalmente di costruzione più recente, anche se non è raro trovarne di età superiore ai 40 anni. Per gli impianti di sollevamento, la media è di 19 anni.

Quanto ai grandi impianti di potabilizzazione, hanno un’età media di 25 anni ed è lecito ipotizzare che siano caratterizzati da uno standard potenzialmente inferiore rispetto alle tecnologie più recenti. Ma i dati medi sulla disponibilità d’acqua sono fuorvianti, fa notare la relazione, esiste, infatti, una forte variabilità territoriale.

Un’indicazione illuminante in proposito è fornita dal sondaggio Istat sulla percezione della qualità del servizio percepito dagli utenti. Risulta che il 14% degli italiani denuncia irregolarità nell’erogazione dell’acqua. Il fenomeno peggiora se ci si sposta da Nord a Sud: lo denunciano, infatti, il 3,9% delle famiglie del Trentino Alto Adige e ben il 45,2%, di quelle calabresi. Grave, risulta anche la situazione in Sicilia (29,7%) e Molise (24,2%).

Un fenomeno conosciuto già da diversi anni e che deriva anche da un certo tipo di sviluppo: Negli anni questo fenomeno si è sempre più accentuato: l’enorme incremento del fabbisogno idrico, dovuto all’industrializzazione, irrigazione, aumento demografico e dei consumi pro capite per usi civili, ha portato i prelievi d’acqua dal sottosuolo ad un punto tale che le falde difficilmente si ricaricano fino alla saturazione(Mazzanti Renzo, Paolo Roberto Federici: "L'evoluzione della Paleogeografia e della rete idrografica del Valdarno inferiore". Bollettino della Società Geografica Italiana, Roma, 1988, pag. 609. ).

Alcuni dati, mostrano l’avanzamento delle terre aride anche in Italia ed infine l’avvio di un cambiamento climatico, che ha portato ad un progressivo aumento della temperatura, spesso accompagnata da una riduzione della piovosità.

Nell’ottobre del 1998, qui in Italia, a Matera, vi è stato il "Forum on European Policies to combat desertification in the Mediterranea basin".

Regioni come Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, mostrano un processo iniziale od avanzato, di trasformazione in deserto.

Recentemente, una siccità senza precedenti ha colpito anche alcune regioni del nord, soprattutto Piemonte e Lombardia. Le colture agricole subiscono per questa causa pesanti danni.

Con i temporali infine, data la loro carica d’energia accumulata, il rischio è di avere delle forti alluvioni, com’è accaduto qui in Italia, nel novembre 2000.

La diminuzione di piogge tende a diminuire l’apporto di sedimenti nei corsi d’acqua, e molti fiumi nel mondo, sono in regresso per quanto riguarda la loro capacità d’avanzamento della costa.

L’erosione costiera è presente diffusamente pressoché ovunque nel mondo, soprattutto dove si sono sviluppati negli anni gli insediamenti urbani, interessando varie coste litoranee. Un fenomeno preoccupante, in lenta ma continua crescita.

Occorre comprendere le cause che ne hanno consentito il suo sviluppo, poiché solo intervenendo nel rimuoverle abbiamo la certezza di poterla sconfiggere. Intervenire solamente sugli effetti devastanti di questo dannoso fenomeno, porta ad investimenti notevoli, con spese elevate e benefici limitati nel tempo.

Da studi effettuati, è stata evidenziata in Europa tra la metà del Cinquecento e la metà dell’Ottocento, una cosiddetta piccola età glaciale, in cui, per la modifica della temperatura, i fenomeni atmosferici di piovosità, in quei secoli, furono accentuati (E. Le Roy Ladurie: "Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall'anno Mille", ed.Einaudi,Torino, 1981, p. 144 e pag. 301. - Vedi anche, di Mario Pinna: "La storia del clima, variazioni climatiche e rapporto clima-uomo in età postglaciale", memorie della Società Geografica Italiana, vol. XXXVI, 1984. ).

La deduzione logica è che la diminuzione della pioggia rientri tra le cause principali dell’erosione litoranea. In realtà molto dipende dall’intensità della corrente fluviale, che nelle piene, è eccessiva producendo fenomeni di corrosione dei fondali marini, allontanando i sedimenti lontano dalla costa.

D’altra parte i fenomeni naturali essendo complessi, interagendo tra loro, sono spesso di difficile comprensione. Occorre prendere in considerazione molteplici aspetti, perché sono correlati tra loro.

Scrive Plinio: naturae rerum vis maiestas in omnibus momentis fide, si quis modo partes eius ac non totam complectatur animo (non è possibile comprendere la forza e la maestà della natura delle cose in tutte le loro sfumature, se con la mente ne abbracciamo solo una parte e non tutte nel loro complesso.).

Un fiore delle dune costiere (Cisto)

 

 

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