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Pubblicato in PERCORSI 2  2002 Saggi e rassegne sulle fonti della Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte "Giuseppe Grosso", Torino, Provincia di Torino.

Alessandro Bima

La prima edizione a stampa dello spartito dell’inno Fratelli d’Italia

di G. Mameli e M. Novaro

Recentemente un notevole interesse è sorto intorno al nostro inno nazionale: libri, articoli di giornale e trasmissioni televisive ci hanno detto quasi tutto su Mameli  ma quasi tutti o hanno solo accennato, o nella maggior parte dei casi hanno taciuto, sull’edizione a stampa dell’inno di Goffredo Mameli musicato dal maestro Michele Novaro (1822-1885). Si è dato, e giustamente, grande rilievo al valore letterario dei versi di Mameli ed al clima in cui sgorgarono ed è stata variamente giudicata la musica del m° Novaro. Chi per primo ha dato alle stampe lo spartito del nostro inno nazionale è stato trascurato, quasi il fatto puramente materiale della stampa  non avesse alcuna rilevanza né interesse.

Si deve rilevare che fino a pochi anni or sono mancava un’opera esaustiva sugli editori di musica in Piemonte, vuoto ora colmato dall’imponente opera del prof. Dell’Ara[1], e anche la semplice datazione di uno spartito presentava non pochi problemi. Mancava a volte la stessa possibilità di visionare gli spartiti, essendo molte raccolte risorgimentali  lacunose o del tutto prive di questo tipo di materiale.

Sebbene la Biblioteca  della Provincia non sia specializzata in questo settore librario e disponga di una raccolta di  soli 244 spartiti, un nucleo interessante, facente parte del legato del senatore Anselmi,  messo in luce da Walter Canavesio notando «il suo risorgimentalismo»[2], spicca per l’omogeneità dell’insieme: si tratta di una ventina di spartiti[3], quasi tutti editi a Torino da Giuseppe Magrini negli anni 1847-48, e tra questi è compreso l’inno Fratelli d’Italia, il cui frontespizio, in una triplice cornice stampata tipograficamente da Baricco e Arnaldi e composta da elaborati fregi, così si presenta: Il canto degli Italiani / Fratelli d’Italia – L’Italia s’è desta / Poesia del Conte / Mammelli[4] /Musica del Maestro / M. Novaro[5] / Proprietà dell’Editore – Prezzo £ 2 / Torino / Presso G. Magrini[6], Editore di musica, Piazza Carignano. Il numero d’edizione è 1193.

Anche le altre copertine di questi spartiti hanno in genere i titoli, gli autori della poesia, della musica, e i dati editoriali racchiusi da cornici più o meno elaborate, comunque sempre sobrie ed eleganti; nelle edizioni di Giuseppe Magrini a volte l’ultima pagina riporta un elenco di  canti e inni, dapprima numerati e col titolo Inni al Re Carlo Alberto posti in musica in occasione delle saggie riforme, poi, a 1848 inoltrato,  solo elencati in ordine alfabetico con il più prosaico titolo Indice degli inni stati pubblicati presso l’Editore G. Magrini.

Questi stessi inni e canti e tanti altri ancora indirizzati al re Carlo Alberto, con moltissime poesie, brindisi ed epigrafi di più o meno oscuri letterati di provincia,  furono anche raccolti in una strenna  che l’editore Canfari pubblicò a Torino nel dicembre del 1847 col titolo Dono nazionale Scelte prose e poesie in esultanza e gratitudine per le riforme accordate da S. M. Carlo Alberto Re di Sardegna[7]. Tra questi inni è pure compreso il nostro Fratelli d’Italia col titolo però di Inno nazionale, con l’annotazione messo in musica dal m° Novaro, e le sole iniziali, G.M., per indicarne l’autore. Inoltre è privo dell’ ultima strofa e presenta qualche piccola variante rispetto alle versioni successive. Si tratta della prima volta in cui fu stampato l’Inno con data certa, poiché lo spartito, com’era consuetudine, reca solamente il numero d’edizione e può essere ragionevolmente assegnato sia al dicembre del 1847 che al gennaio del 1848.

Michele Novaro a Torino

Sull’arrivo a Torino della poesia di Mameli e sull’opera del musicista Michele Novaro siamo abbastanza informati. Anton Giulio Barrili[8], ripreso in seguito da quasi tutti coloro che si sono interessati della cosa, ci narra che l’Inno fu «scritto a Genova nel settembre del ‘47», ( alcuni posticipano un po’ l’evento), che Michele Novaro, genovese, musicista, da poco a Torino ed al Mameli amicissimo, trovandosi in casa Valerio con altri patrioti dove si faceva musica e politica, stavano  provando al pianoforte molti degl’inni che in quel tempo sorgevano copiosi da tutt’Italia, quando «in quel mezzo, entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l’egregio pittore che tutti i suoi Genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: -To’, gli disse; te lo manda Goffredo.  – Il Novaro apre il foglio, legge, si commuove. Gli chiedono tutti che cos’è; gli fan ressa d’attorno. – Una cosa stupenda!- esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio.  –Io sentii – mi diceva il maestro nell’aprile del ’75, avendogli io chiesto notizie dell’Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli, - io sentii dentro di me qualcosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posai al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all’inno, mettendo giù frasi melodiche, l’una sull’altra, ma lungi mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai, scontento di me; mi trattenni ancora un po’ di tempo in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c’era rimedio; presi congedo, e corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d’un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani; nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio: fu questo l’originale dell’inno Fratelli d’Italia».  Inoltre su una lapide, posta a Torino in via XX Settembre, si può leggere: « In questa casa che fu di Lorenzo Valerio una sera sui 10 di novembre 1847 il maestro Michele Novaro divinava le note al fatidico Inno di Mameli».

Il Barrili, riferendo quanto gli narrò il Novaro, afferma che «La polizia rincorreva come tante fiere tutti coloro che lo cantavano: ma già il popolo lo aveva fatto suo; e in ogni moto, in ogni festa, ufficiale o non ufficiale, l’Inno faceva capolino». Anche in un recente volume dedicato all’Inno[9] si sposa in toto questa tesi che dovrebbe forse essere un po’ ridimensionata.

Infatti, come ho poco sopra riferito, l’aver inserito l’Inno nella strenna Dono nazionale, in libreria a fine dicembre ’47, e l’averne il più importante editore di musica a Torino divulgato a stampa il testo e la musica, probabilmente contemporaneamente o tuttalpiù all’inizio del 1848, in un contesto di esultante gioia per le riforme accordate da Carlo Alberto il 30 ottobre 1847, rende dubbiosi sulla presunta persecuzione; si deve però constatare che nel Dono e nello spartito l’ultima strofa fu soppressa dalla censura[10] o dalla prudenza dei curatori e editori e sostituita con  la strofa Evviva l’Italia, L’Italia s’è desta… che è presente come incipit dell’Inno nel manoscritto originale riprodotto dal Barrili; prima della guerra all’Austria, parole come Son giunchi che piegano / le spade vendute / Già l’aquila d’Austria /  le penne ha perdute… non potevano certo essere autorizzate dal Regio Governo, anche se piacevano a Cesare Valerio. Nel 1850, concesso lo Statuto e fatta la guerra all’Austria, quando gli scritti del Mameli apparvero in un’edizione postuma pubblicata a Genova con un ricordo di Goffredo del Mazzini, quest’ultima strofa non venne più soppressa[11].

Pensando, ora, a quest’Inno , noi lo collochiamo in una serie di avvenimenti successivi ai quali, nel 1847, i contemporanei solo aspiravano in modo molteplice e confuso: quando Mameli lo scrisse a Genova, lui mazziniano, non pensava probabilmente di finire dopo pochi mesi a Torino tra altri autori di canti in lode di Carlo Alberto; così per cogliere l’atmosfera di quei mesi  è interessante leggere quanto Giorgio Briano scriveva nell’introduzione al Dono Nazionale: «L’italico risorgimento iniziato a Roma da Pio IX, continuato in Toscana da Leopoldo II, mercè di Carlo Alberto è ora immensamente progredito. Dietro Carlo Alberto riformatore i quattro milioni d’italiani diventan nove, affratellati, volenterosi, unanimi – Che non potranno questi col loro esempio? I Liguri e i Piemontesi congiuntisi tra loro d’animo, di voleri, d’affetti, aggiunti ai romani e toscani formano una lega, che il giorno 3 novembre ebbe nome di Doganale, ma che in non lontano avvenire acquisterà quello di lega italica»[12].

 In quei giorni i sudditi di Carlo Alberto erano esultanti, oltre che per la lega doganale, anche per la legge sulla stampa e per le nuove leggi sui consigli municipali e provinciali e sulla polizia.

 I sindaci di Torino, Colli e Nigra, indirizzarono vari proclami alla cittadinanza; il 31 ottobre per una illuminazione pubblica della città  che iniziava con queste parole: «Torinesi, l’ottimo nostro Re ha colmato i nostri voti coll’accordarci le leggi le più provvide e le più desiderate…», e il giorno successivo ringraziavano i torinesi così: «Il giorno di ieri fu consecrato alla gioia; un popolo riconoscente volle manifestare la sua gratitudine ad un Principe, la cui memoria vivrà eternamente..».

Anche Vittorio Bersezio ricorda quei giorni: «Ah! Furono giorni di pubblica inesprimibile esultanza: un vero rinascimento alla vita, la liberazione da un incubo, una ondata d’aria libera ai polmoni»[13].

Poco oltre il Bersezio ricorda la partenza del 3 novembre per Genova  del re, e il regista delle ampie manifestazioni popolari di gioia al suo passaggio: Roberto d’Azeglio; anche per il ritorno del re da Genova questi «preparò una dimostrazione enorme, a cui tutti gli ordini della cittadinanza con proprie insegne e bandiere e aggruppamento a squadre pigliavan parte, e quasi ognuna di quelle corporazioni, mestieri, s’era provveduto d’un inno in musica da cantare a saluto del re».

 Questa descrizione ci dà un’idea di come si svolgessero allora le feste popolari e una ragione dei molti canti allora prodotti e ci introduce alla comprensione di quello che è considerato il debutto dell’inno, il 10 dicembre 1847 durante il pellegrinaggio al santuario di Oregina, festa che intendeva celebrare la cacciata degli Austriaci nel 1746 da Genova. In quell’occasione i convenuti erano divisi in drappelli di fratelli piemontesi, genovesi, romagnoli, toscani, tutti questi preceduti da bande, seguivano i lombardi, i parmigiani e i napolitani senza bande; c’erano «i drappelli di tutte le corporazioni, delle donne, del clero, in cui erano molti cappuccini ed altri frati, dei fanciulli, degli studenti, delle arti e dei mestieri, dei marinai, dei barcajoli, dei vetturini, dei terrazzani delle due valli del Polcevera e Bisagno..»[14].

 Certamente non tutti questi gruppi cantarono l’inno di Mameli, anche se la popolarità di Mameli e l’essere Genova filomazziniana ebbero la loro importanza; noto che G. B. Cevasco non nomina, nella lettera testè citata, l’inno di Mameli, come non nomina molti altri inni che vennero sicuramente cantati, ricorda solamente quello del maestro Cagnoni e quello del Bertoldi.

Vittorio Bersezio ci ha pure lasciato una testimonianza che cozza con quanto sopra affermato e che ha avuto larga diffusione, facilitata dall’accattivante foga oratoria e patriottica con cui è scritta; egli collega la prima diffusione dell’inno di Mameli con le dimostrazioni di gioia per la cacciata dei gesuiti dagli Stati Sardi: «Uscì finalmente il decreto che bandiva la famosa Compagnia da tutti gli Stati del Re di Sardegna; e il giorno 6 marzo (1848) tutti gli istituti e collegi e conventi gesuitici erano vuoti e deserti. Nuove dimostrazioni di gioia: passeggiate, fiaccolate e canti serali per le piazze e per le strade. E fu in queste dimostrazioni che s’intese per la prima volta in Italia quell’Inno di Mameli, musicato dal Novaro, che doveva diventare il canto nazionale italiano».

Come dimostrano i documenti citati, non era così, forse il Bersezio lo sentì per la prima volta allora, o collegò tra loro eventi accaduti in tempi diversi, e buon letterato e patriota, ricamò a distanza notevole di tempo una scena ad effetto, molto teatrale e carca di pathos in cui il Novaro, entrato nel caffè Calosso di Torino, con gli occhi sfolgoranti, col cappello rigettato indietro esclama: «Amici! – gridò con voce alquanto concitata. – Ho scritto la musica dell’Inno di Mameli. L’ho finita adesso: Voglio che la sentiate…Venite!». Seguono due pagine di descrizione dell’audizione in casa Novaro tra candele e lucerne accese, visioni di Pio IX,  richiesta di scuse a Mameli per l’aggiunta del all’ultimo verso, con finale di applausi, grida e pianti di gioia.

I ricordi, quando non si fondano su dati precisi, sono sempre un po’vaghi; anche sulla prima edizione a stampa dell’Inno, fatta della calcografia musicale Giuseppe Magrini di Torino,  il  maestro Novaro ci ha lasciate due testimonianze parzialmente discordanti; in una lettera, datata Genova 17 ottobre 1859, in risposta ad una richiesta di Tito Ricordi, così si esprimeva: «..io nel ’48 (come si vede, l’autore ricorda con approssimazione poiché in realta si tratta della fine del ’47[15]) feci l’Inno in questione e diversi altri: Magrini si offerse di stamparli col patto di darmene delle copie, ora non mi ricordo più il numero. Io aderii, egli lo stampò, ma io non feci alcun contratto perché non gli diedi che un semplice permesso a voce, però egli scrisse sopra: “Proprietà dell’Editore”»[16].

In questa citazione si noti anche la parte attiva avuta dal Magrini : «si offerse di stamparli», basterebbe questo fatto per rendere degno di ricordo anche l’editore.

La fortuna editoriale di uno spartito

Sicuramente la guerra all’Austria giovò alla popolarità dell’inno, come la morte eroica del giovane Mameli[17]. Non è possibile ora conoscere la tiratura della prima edizione a stampa dello spartito fatta dal Magrini perchè la perdita quasi completa degli archivi delle case editrici torinesi dell’Ottocento, dovuta alla mancanza di continuità del mestiere nella stessa famiglia, cosa di cui  invece i Ricordi di Milano hanno potuto beneficiare, ci priva di dati certi. Tuttavia, dato il costo non indifferente, due lire, non dovrebbe essere stato molto alto; solo le ristampe accertate potrebbero dirci qualcosa sulla sua diffusione. Inoltre allora molti dilettanti copiavano ancora a mano pezzi musicali e non è infrequente trovare raccolte di spartiti a stampa con inframmazzati spartiti manoscritti. E’ comunque evidente che la ristampa dello spartito è l’indice principe della sua popolarità e diffusione. I successori di Magrini a Torino nell’Ottocento ristamparono varie volte l’Inno in questione, sempre con lo stesso numero di edizione: il Dell’Ara rileva un’edizione per coro e pianoforte  di Racca e Balegno, successori di Magrini, e una di Giudici e Strada, tutte con il numero dell’edizione originale 1193[18]; sempre a Torino l’editore Francesco Blanchi stampò una riduzione per pianoforte col n. 2926 databile al 1875 circa.

Ma fu Tito Ricordi di Milano nel 1859 che diffuse maggiormente la musica di Michele Novaro in conseguenza della seconda guerra per l’Indipendenza, che liberò Milano dall’Imperial Regio Governo, e gli diede modo di arricchire il suo catalogo di innumerevoli inni e canti che fino allora, per ragioni politiche, non aveva potuto stampare. Col numero d’edizione  31364 impresse una riduzione, per canto e pianoforte o pianoforte solo, di Filippo Fasanotti dell’Inno: era questo delle riduzioni un modo per superare l’ostacolo dei possibili diritti vantati da altri editori. Questo spartito, con copertina litografica a colori raffigurante due bandiere italiane incrociate con stemma sabaudo, ebbe larga diffusione ma probabilmente suscitò le rimostranze dell’editore torinese che vantava ancora dei diritti; infatti si può trovare lo spartito n. 31364 con la riduzione di Filippo Fasanotti con l’indicazione Poesia del conte Mammelli – Musica di M. Novaro, oppure senza questa fondamentale indicazione, e per il resto del tutto identico internamente, parole e musica, e con il bollo a secco del 1859 che spazza ogni dubbio sulla datazione[19].

Da una lettera indirizzata a Tito Ricordi, conservata presso l’archivio Ricordi, sappiamo che Tito scrisse al maestro Novaro per ottenere una copia autografa dell’inno, e che questi gli  rispose da Genova il 17 ottobre 1859: «Io sono dispostissimo ad inviarle una copia manoscritta del mio Inno Fratelli d’Italia, ma vorrei prima esser certo di non mancare a quei doveri di delicatezza che ogni uomo deve imporsi, e per conseguenza le spiego in precisi termini come io mi trovo colla stamperia di musica del fu Magrini, e Vostra Signoria, che conosce perfettamente la partita, saprà dirmi se io posso o non posso permetterle di stampare il suddetto inno». Qui spicca la grande onestà di Michele Novaro, che, come ho trascritto precedentemente, illustra i termini dell’accordo orale a suo tempo fatto col Magrini, e non vorrebbe, dando il permesso per una seconda edizione, «mancare di convenienza verso gli editori di Torino, perché mi darebbe assai di fare una cattiva azione». Rinuncia inoltre, nel caso l’inno fosse eventualmente ristampato, a qualsiasi compenso a favore della sottoscrizione iniziata da Garibaldi. Sicuramente l’astuto Ricordi, che aveva già stampata la riduzione del Fasanotti, lo convinse ad inviargli il manoscritto, infatti l’inno fu ristampato con il numero d’edizione 32349 col titolo di Inno nazionale, sottotitolo Il Canto degli Italiani, le solite due bandiere incrociate, poesia di G. Mameli (e non più Mammelli) e a grandi lettere: musica di M. Novaro, edizione originale[20]. Sarà ristampato da Ricordi per tutto l’Ottocento, a volte anche con altri numeri di catalogo, per destinazioni particolari.

Sempre a Milano in quegli anni pure l’editore musicale Francesco Lucca stampò lo spartito dell’inno di Mameli col n. 12130. Non poteva mancare Genova, patria dei due autori, qui col titolo di Inno di guerra: l’ultimo canto di G. Mameli, musica del m.° Novaro, col n. 990 d’edizione, fu stampato dall’Euterpe Ligure Subalpina di G. Poma. Si potrebbe continuare citando la riduzione per canto e pianoforte di F. D. Alberth  edita a Firenze da Salani e altre ancora.

Sarebbe auspicabile uno studio sistematico, più approfondito di questi cenni sommari, delle edizioni dello spartito del nostro inno nazionale, che avrebbe inoltre  il vantaggio di far sempre più apprezzare la ricchezza dell’editoria musicale italiana dell’Ottocento, fino a tempi recenti poco valorizzata e soprattutto non fatta conoscere con appropriate mostre al grande pubblico[21]. 

Bibliografia

BARRILI, 1902: Anton Giulio Barrili, Scritti editi e inediti di Goffredo Mameli ordinati e pubblicati con proemio, note e appendici, Genova, Società ligure di Storia patria, 1902.

BERSEZIO 1931: Vittorio Bersezio, I miei tempi Con una prefazione e note di Remo Formica, Torino, Alfredo Formica, 1931. Questa raccolta incompiuta di articoli apparsi sulla Gazzetta del popolo di Torino a fine secolo, confezionata da Remo Formica, è stata ripubblicata recentemente dal Centro Studi piemontesi di Torino.

(CANAVESIO), 1997: (Walter Canavesio), La Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, Torino, Provincia di Torino.

DELL’ARA 1999: Mario Dell’Ara, Editori di musica a Torino e in Piemonte, Torino, Centro Studi piemontesi-Istituto per i beni musicali in Piemonte, 1999.

DONO NAZIONALE 1847: Dono nazionale Scelte prose e poesie in esultanza e gratitudine per le riforme accordate da S. M. Carlo Alberto Re di Sardegna, Tipografia e Libreria Canfari, 1847.

MAMELI, 1850: Goffredo Mameli, Scritti, Genova, Tip. Dagnino,1850.

MAMELI, 1982: . Nino Mameli, Poeta di libertà La breve vita intensa di un grande del Risorgimento, Prefazione di Sandro Pertini, Torino, Bruno Boggero, 1982.

MAIORINO, 2001: Tarquinio Maiorino - Giuseppe Marchetti-Tricamo - Piero Giordana, Fratelli d’Italia, Milano, Mondadori, 2001

VALERIO 1994: Lorenzo Valerio Carteggio (1825-1865) Raccolto da L. Firpo, G. Quazza, F. Venturi, a cura di A. Viarengo, Torino, Fondazione Einaudi, 1994.

VERGANI, 1958: Orio Vergani, Piccolo viaggio in un archivio, Milano, G. Ricordi & C., 1958.

Didascalie delle illustrazioni

Sotto il ritratto: Ritratto inciso da Parenti in: Panteon dei Martiri della libertà italiana, Torino, Fontana, s. d. (1851 o 1852 ?)

-Spartito di Tito Ricordi n. 31364 del 1859 con l’indicazione degli autori Mameli e Novaro.

-La stessa edizione di Tito Ricordi del 1859, n. 31364, senza l’indicazione degli autori.

-Ristampa torinese del 1875 circa di Giudici e Strada.
 

[1] DELL’ARA, 1999.

[2] CANAVESIO, 1997, p. 113.

[3] Tra i più significativi, con numero d’edizione precedente l’Inno di Mameli, si possono citare: Per le saggie riforme di S. M. il Re Carlo Alberto Inno Popolare Poesia di N.N., Musica di N. Paoletti, Torino, Presso G. Magrini;  n. 1010 d’ed.; La coccarda Inno nazionale al Re Cantato per la prima volta dal Popolo torinese il 3 novembre 1847 in occasione che S. M. partiva per Genova, Poesia di G.Bertoldi, musica di Luigi Felice Rossi, Torino, Presso G. Magrini, n. 1185 d’ed.; A Sua Maestà il Re Carlo Alberto, Inno popolare, poesia di B. Muzzone posto in musica da Paolo Bodojra, Torino, Presso G. Magrini, n. 1187 d’ed.; Fede e concordia I Liguri ai Fratelli piemontesi, Inno di L. Ponthenier, musica del maestro Novaro, Torino, Presso G. Magrini, n. 1189 d’ed.;  A Sua Maestà il  Re Carlo Alberto, Inno popolare, poesia del cavaliere Pietro Giuria, musica di Antonio Marchisio, Torino, Presso G. Masgrini, n. 1190 d’ed.; Le donne subalpine a S. M. il Re Carlo Alberto Inno popolare, poesia di C. Canfari, musica di N. Paoletti, Torino, Presso G. Magrini, n. 1191 d’ed.; All’ottimo Re Carlo Alberto per le saggie Riforme da Lui statuite, Inno popolare all’unisono di Francesco Guidi poeta de’ R. Teatri di Torino, posto in musica dal maestro Gaetano Magazzari, eseguito per la prima volta in Torino al Teatro Carignano la sera del 3 novembre 1847, Torino, Officina tipografica e litografica di G. Fodratti, senza numero d’ed.; Al Re che ritorna, Inno di Felice Govean, posto in musica dal maestro Luigi De-Macchi, Torino, Officina Tipografica e litografica di G. Fodratti, 1847.

Tra gli Inni stampati successivamente a Fratelli d’Italia: Coraggio, coraggio Siam oggi soldati, Inno militare di G. Bertoldi posto in musica da Michele Novaro, Torino, Presso G. Magrini, n. 1200 d’ed.; La Costituzione, Inno di G. Rossetti posto in musica e indirizzato ai fratelli lombardi da Gualfardo Bercanovich, Torino, Presso G. Magrini, n. 1208 d’ed.; Inno a Carlo Alberto il dì 8 febbraio, Poesia di Pietro Mazza, musica di Luigi Felice Rossi, Torino, Presso G. Magrini, n. 1209 d’ed.; Canto dei soldati Coraggio, coraggio, siam oggi soldati,, Poesia di G. Bertoldi, musica del maestro Luigi Felice Rossi, Torino, Presso G. Magrini, n. 1210 d’ed.; La guardia civica piemontese, Inno marziale, poesia di A. Parato, musica di M. Novaro, Torino, Presso G. Magrini, n. 1212 d’ed. 

[4] Goffredo Mameli  nacque il 5 settembre 1827 a Genova dal cagliaritano Giorgio Mameli dei Mannelli, ufficiale della Regia Marina Sarda e da  Adelaide dei  marchesi Zoagli, genovese. La curiosa grafia Mammelli è usata anche nel suo ritratto inciso da Parenti.

[5] Michele Novaro nacque a Genova il 23 dicembre 1822 da Gerolamo e da Giuseppina Canzio. Dopo aver studiato composizione e canto nella città natale si trasferì a Torino avendo ottenuto un contratto di secondo tenore e maestro dei cori presso il Teatro Regio e il Teatro Carignano. Negli anni ’47 e 48 musicò vari inni e la sua carriera di musicista e di insegnante si concluse a Genova il 21 ottobre 1885, avendo potuto vedere il compimento dei sogni risorgimentali. E’ sepolto nel cimitero di Staglieno vicino alla tomba di Giuseppe Mazzini e per lui Arrigo Boito dettò una lusinghiera epigrafe chiamandolo «artefice di possenti armonie».

[6] Giuseppe Magrini, discendente di una famiglia originaria di Tolmezzo nel Friuli, abile calcografo, formò nel 1818 una società con il torinese  Giuseppe Tagliabò, organista della Cappella Regia dal 1814 al 1859 e con  vari incarichi presso il Teatro Regio. La società si sciolse verso la fine del 1830 e il solo Magrini continuò l’attività di calcografo ed editore musicale con grande successo fino al 4 gennaio 1852 quando cedette il laboratorio e il negozio ai suoi dipendenti Antonio Racca e Luigi Balegno. Così  il Dell’Ara sintetizza l’operato del Magrini: «Nel ventennio della sua attività Magrini si affermò come il principale editore in Piemonte, ed ebbe come concorrenti soltanto Francesco Artaria, attivo a Novara tra il 1835 e il 1843, e Evasio Bocca, attivo a Torino tra il 1841 e il 1849, ma con una produzione decisamente irrilevante rispetto a quella di Magrini».

[7]DONO NAZIONALE, Torino, Tipografia e libreria Canfari, 1847. Questo volume di 315 pagine ha il frontespizio e il controfrontespizio incisi, quest’ultimo figurato: due figure muliebri abbracciate sovrastate da un genio con vari simboli e la scritta Plaude l’italico Genio al bacio di fratellanza tra la Donna delle Alpi e la Donna del Mare Così Italia tutta s’unisca in un amplesso. (U. B. da Genova del.-A. L. da Torino inc.).

[8] BARRILI, 1902, pp. 26-27

[9] MAIORINO, 2001.

[10] In una lettera di Cesare Valerio a G. B. Cevasco del 18 novembre 1847 si legge: A Torino si stampa un dono nazionale in cui si raccorrannoli più belli scritti che uscirono in questa circostanza se la censura lo permetterà saranno stampate le bellissime poesie del Mamelli. Solo dovresti richiedere il cambio dell’ultima bellissima strofa nel caso che la censura non lo permettesse… cifr. VALERIO, Carteggio, II, 1994, p. 537

[11] MAMELI, 1850. La poesia di Mameli in  quest’opera reca il semplice titolo: Inno. L’esemplare della Biblioteca civica di Torino reca un’interessante dedica autografa della madre del poeta: Alla illustre sposa di Gustavo Modena la madre di Goffredo riconoscente. Gustavo Modena (1803-1861), mazziniano e patriota, fu un illustre e celebre attore teatrale.

[12] DONO NAZIONALE, 1847, p.7.

[13] BERSEZIO, 1931, p. 220.

[14] Lettera di  G. B. Cevasco inserita nel DONO NAZIONALE, 1847, pp.300-301. G. B. Cevasco (1817-94) scultore genovese ed esponente del movimento democratico ligure.

[15] Lo stesso Novaro scrisse invece sulla prima pagina di uno spartito manoscritto conservato presso il Museo del Risorgimento di Torino: «Alla mia diletta città di Torino. – Inno nazionale. – Il Canto degli Italiani, poesia di Goffredo Mameli, musica di Michele Novaro. – Questo inno fu da me composto verso la fine dell’anno 1847 in Torino dove avevo stabile dimora. Novaro Michele».

[16] VERGANI, 1953.

[17] Morto a Roma il 6 luglio 1849 in seguito a una grave ferita, mal curata, subita nella difesa della Repubblica Romana.

[18] Racca e Balegno, successori di Magrini operarono dal 18 gennaio 1852 al  9 marzo 1854; la ditta poi continuò ad operare col solo Racca fino al 16 aprile 1859 quando fu ceduta a G. B. Giudici e A. Strada. La ristampa dello spartito di questi editori presso il Centro Studi della Storia del libro di Rivoli, considerato l’indirizzo della ditta, è databile a dopo il 1874; è molto probabile ci siano state altre ristampe tra il 1854 e il 1874.

[19] Presso il Centro Studi per la Storia del Libro di Rivoli, da me diretto, sono conservati i due spartiti descritti. Quello che reca i nomi di Mameli (si noti come il nome sia ancora scritto come nello spartito di Magrini: Mammelli) e di Novaro in quarta di copertina reca su tre colonne un elenco impressionante di «Inni, marcie, canti popolari, nazionali, guerreschi pubblicati a tutto il 15 ottobre 1859 dallo stabilimento Nazionale Ricordi di Milano».

[20] Il frontespizio è riprodotto a pag. 236 del catalogo della mostra promossa dalla Fondazione Luigi Berlusconi La Braidense La cultura del libro e delle biblioteche nella società dell’immagine, Firenze, Artificio, 1991.

[21] In quest’ottica il Centro Studi per la Storia del Libro di Rivoli ha allestito gratuitamente ad Alpignano, dal 6 al 14 ottobre 2001, a cura di Alessandro Bima, in collaborazione con la Biblioteca civica di Alpignano, una mostra sull’editoria musicale dell’Ottocento dal titolo Da Beethoven a Verdi. L’inaugurazione è avvenuta con un intervento del prof. Francesco Malaguzzi, docente di biblioteconomia e bibliografia  presso la facoltà di Lettere del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”.